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Il senso religioso: la chiamata alla libertà

Il senso religioso di Franco Zadra

La CHIAMATA alla LIBERTÀ

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Ai lettori di questa rubrica sarà forse del tutto chiarito l'intento di chi scrive, quel ricercare, cioè, le ragioni della scelta di fede come un atto personale in cui il credente esprime al meglio il suo desiderio di libertà e la sua forza di esercitarla. Non c'è nulla, infatti, come lo scegliere di credere che consenta di comprendere la propria vita come una chiamata alla libertà. Ma libertà da che cosa? E, soprattutto, per quale scopo? Guardare con un'apertura all'Infinito alla nostra realtà, risponde con l'evidenza di un fatto a queste domande che solo l'uomo, in quanto umano, si pone e può porsi tra tutti gli esseri animati di questo mondo.

Domande che oggi rifuggiamo sbadigliando, come “metafisiche”, eliminandole d'istinto dalle preoccupazioni di ogni giorno, dando per assodato che il nostro “bisogno metafisico” non potrà mai essere soddisfatto, condannandoci così a una sofferenza eterna, quasi che l'uomo fosse una specie di “Tantalo spirituale”. Per chi non avesse dimestichezza con i miti greci, spiego subito che Tantalo è una figura retorica utile a definire una persona che desidera qualcosa che non può raggiungere. La libertà è una esigenza originale che urge nel nostro spirito, ma diventando adulti, e scoprendoci ingannati, alienati, schiavi di altri, strumentalizzati, finiamo per adattarci a una quasi libertà, incapace di soddisfarci veramente. Vivere consapevolmente la dimensione religiosa – dalla quale non è possibile sottrarsi se si vuole rimanere umani, cioè, si potrà essere a favore o contro il fatto religioso, ma non esiste chi si possa dire “extra” religioso – ci promette, e ci permette, di superare quelle situazioni che ci opprimono, avendo ben chiaro un termine di paragone (Infinito) che la mentalità comune ci sottrae quasi in maniera sistematica, con il supporto spontaneo di chi detiene il potere. Parliamoci chiaro: chi vuole che diventiamo capaci di un giudizio su tutto alla luce delle nostre evidenze prime? «La tradizione familiare – scrive Giussani ne Il senso religioso -, o la tradizione del più vasto contesto in cui si è cresciuti, sedimentano sopra le nostre esigenze originali e costituiscono come una grande incrostazione che altera l'evidenza di quei significati primi, di quei criteri, e, se uno vuol contraddire tale sedimentazione indotta dalla convivenza sociale e dalla mentalità ivi creatasi, deve sfidare l'opinione comune». Uno sfidare che appare semplice, ma non è mai scontato, e Giussani indica con la parola “ascesi”, cioè «l'opera dell'uomo in quanto cerca la maturazione di sé, in quanto è direttamente centrato sul cammino al destino», una fatica che fa parte della conversione. Chi oggi pensa più a queste cose? E chi è impegnato in questo? Vi invito a mettervi davanti a uno dei quadri più popolari e conosciuti di Vincent Van Gogh, quello che ritrae i mangiatori di patate, tra i suoi primissimi quadri, quando ancora doveva trovare il suo stile, considerato però uno dei suoi migliori risultati. Guardatelo bene, immergetevi in quella scena, e poi provate a rispondere a voi stessi dicendovi che l'uomo non è altro che un animale un po' più evoluto degli altri, che non ha nulla di metafisico. Non so voi, ma quelle patate riescono a nutrirmi più di un pranzo di nozze. Rimane da scegliere tra una realtà che ci appare immediatamente e una realtà approfondita, più vera e concreta, l'unica che duri. Ma poi, ridete! Vedrete che cosa vi distingue dagli animali, che sapore ha la libertà, e capirete perché un cabarettista berlinese fu giustiziato dal “tribunale della barzelletta” di Hitler per aver chiamato Adolf il suo cavallo. A proposito, questa volta vi consiglio “Racconti da ridere”, a cura di Marco Rossari, Einaudi, 2017.