La Freccia - marzo 2022

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ANNO XIV | NUMERO 3 | MARZO 2022 | www.fsitaliane.it | ISSN 2785-4175

PER CHI AMA VIAGGIARE

ELEONORA DANIELE

STORIE AL FEMMINILE




© Brian Jackson/Adobestock

EDITORIALE

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CHE SIA VENTO, MA DI

PRIMAVERA M

arzo è la primavera che torna a sbocciare, il ciclo della vita che non si arresta. Marzo è donna, è l’otto marzo tutto l’anno. Marzo è la voglia di uscire e riassaporare le emozioni del viaggio e della scoperta. Marzo è un cambio di passo, ci auguriamo, nella lotta e nel distacco dalla pandemia. Purtroppo marzo, quando diamo alle stampe La Freccia, si avvicina accompagnato da terribili venti di guerra che soffiano da Est, dai confini tra Ucraina e Russia, in un’Europa che di guerre nei secoli ne ha conosciute fin troppe. Ma che sembra abbiano insegnato ancora poco, tanto da ricordarci il leopardiano ammonimento nei confronti delle “magnifiche sorti e progressive” del genere umano che qualcuno, di fronte alle strabilianti innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche, può ingenuamente illudersi siano reali e inarrestabili. Così non è, purtroppo. E non soltanto per l’indifferenza della matrigna natura, di un vulcano d’improvviso sterminatore. A risvegliarci da un esagerato

ottimismo sulle nostre sorti è la nostra stessa intima natura. Del resto, l’umanità non è una scolaresca da dividere, sulla lavagna della storia, tra buoni e cattivi. I dualismi tra bene e male, altruismo ed egoismo, ragione e istinto, amore e odio, Venere e Marte – e potremmo allungare l’elenco fino alla noia – pervadono l’animo individuale e collettivo e ne sono consustanziali. Utopico e irrealistico immaginare un futuro nel quale spariscano del tutto e una colonna della lavagna resti vuota. Auspicabile e ragionevole lavorare, con la pazienza e tenacia dei tessitori di pace, unita al disincanto di chi conosce l’imperfezione del genere umano, perché l’interesse generale prevalga su quello dei singoli, siano essi persone, famiglie, nazioni o blocchi sovranazionali. Un piccolo contributo lo si può dare anche raccontando, come siamo soliti fare dalle pagine di questa rivista e sui nostri social, storie di inclusione, scelte etiche ed esempi di coesione territoriale e sociale, che rappresenta uno degli obiettivi delle infrastrutture e dei servizi di mobilità

ai quali FS Italiane lavora. O quando evidenziamo il valore insito nelle diversità, mostriamo rispetto per l’ambiente nel quale viviamo, diventiamo paladini della sostenibilità, anche e soprattutto nel fare impresa, e non come sillabazione di un mantra di moda, ma come altruistica attenzione verso le generazioni a venire. La Freccia di marzo prosegue in quel solco raccontando un’Italia dalle mille apparentemente inesauribili risorse, bella da vedere, da conoscere, da vivere, fatta di donne e uomini sorprendenti nella loro creatività, sensibilità e capacità di progettare. Non sappiamo se quando leggerete questa pagina i fumi della guerra si saranno dissolti o avranno reso più greve l’aria che respiriamo. In ogni caso, la storia e la cronaca ci ammoniscano. E che donne e uomini di volontà continuino a svolgere con entusiasmo, dignità, serietà il proprio compito, ma soprattutto con il dovuto rispetto per i sentimenti e le idee altrui. Cercando di non far mai agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. 3


SOMMARIO MARZO 2022

IN COPERTINA ELEONORA DANIELE

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35

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UN TRENO DI LIBRI

I SENTIERI DELL’ANIMA

Nell’Invito alla lettura di questo mese l’Accademia Molly Bloom propone ai lettori l’ultimo romanzo di Veronica Raimo, Niente di vero

pag.

42

8 RAILWAY HEART

L’ITALIA CHE FA IMPRESA INNOVATION

62

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L’ANELLO DELLE DOLOMITI

VISTA LAGO

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In treno verso i Castelli Romani, Frascati, Castel Gandolfo e Albano Laziale, sulle orme di antiche genti. Tra paesaggi lacustri, dolci colline e ville pontificie

MEMORIE DAL SOTTOSUOLO

70 ITALIA IN VERDE

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LE BELLE VENEZIANE La rappresentazione della donna nella Serenissima del ‘500. In mostra a Milano i capolavori di Tiziano, Giorgione, Lotto, Veronese e Tintoretto

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22

LA FORMA DELL’ACQUA

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14 18

58

IL BORGO DEI MISTERI

75 COLTIVARE LA COOPERAZIONE

78 LO SCIABORDIO DEL SILENZIO

AGENDA

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26

NEL CUORE DI GENOVA

90

GUSTA & DEGUSTA

LE PIONIERE DEL PROGETTO

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94

WHAT’S UP

28

RACCONTARE I TALENTI

98

82

FOLGORAZIONE PASOLINI

102 L’EREDITÀ DEL FUTURO

107 SCAMPOLI DI REALE

125 PRIMA DI SCENDERE LE FRECCE NEWS//OFFERTE E INFO VIAGGIO

111 SCOPRI TRA LE PAGINE LE PROMOZIONI E LA FLOTTA DELLE FRECCE i vantaggi del programma CartaFRECCIA e le novità del Portale FRECCE

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I numeri di questo numero

Tra le firme del mese

PER CHI AMA VIAGGIARE

MENSILE GRATUITO PER I VIAGGIATORI DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE ANNO XIV - NUMERO 3 - MARZO 2022 REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA N° 284/97 DEL 16/5/1997 CHIUSO IN REDAZIONE IL 23/02/2022

62 milioni

gli euro fatturati da Veralab nel 2021 [pag. 14]

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ALCUNI CONTENUTI DELLA RIVISTA SONO RESI DISPONIBILI MEDIANTE LICENZA CREATIVE COMMONS BY-NC-ND 3.0 IT

i chilometri di piste del Dolomiti Superski [pag. 63]

LEONARDO COLOMBATI Scrittore e giornalista, dal 2005 a oggi ha pubblicato cinque romanzi e curato i volumi sulla canzone italiana e Bruce Springsteen. Nel 2016, ha fondato l’Accademia Molly Bloom assieme a Emanuele Trevi. Nel 2021 è uscita, per Mondadori, la raccolta di saggi Scrivere per dire sì al mondo

1.200

Foto e illustrazioni Archivio Fotografico FS Italiane Adobestock Copertina: © Claudio Porcarelli Tutti i diritti riservati Se non diversamente indicato, nessuna parte della rivista può essere riprodotta, rielaborata o diffusa senza il consenso espresso dell’editore

i metri di profondità del pozzo di San Patrizio a Orvieto (TR) [pag. 67]

Info su creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/it/deed.it

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EDITORE

le sezioni della mostra dedicata a Pier Paolo Pasolini a Bologna [pag. 99]

Communication Piazza della Croce Rossa, 1 | 00161 Roma fsitaliane.it Contatti di redazione Tel. 06 44105298 | lafreccia@fsitaliane.it

Read also

ENZO FORTUNATO Frate minore conventuale di Assisi, è stato direttore della sala stampa del Sacro Convento e del mensile San Francesco. Scrive anche per Avvenire e Il Corriere della Sera. Volto di Rai1 con la rubrica Tg1 Dialogo, nel 2021 ha pubblicato per Mondadori Buongiorno brava gente

Direttore Responsabile Responsabile Editoria Caporedattrice Coordinamento Editoriale

FSNews.it, la testata online del Gruppo FS Italiane, pubblica ogni giorno notizie, approfondimenti e interviste, accompagnati da podcast, video e immagini, per seguire l’attualità e raccontare al meglio il quotidiano. Con uno sguardo particolare ai temi della mobilità, della sostenibilità e dell’innovazione nel settore dei trasporti e del turismo quali linee guida nelle scelte strategiche di un grande Gruppo industriale

Caposervizio In redazione Segreteria di redazione Coordinamento creativo Ricerca immagini e photo editing Hanno collaborato a questo numero

Marco Mancini Davide Falcetelli Michela Gentili Sandra Gesualdi, Cecilia Morrico, Francesca Ventre Silvia Del Vecchio Gaspare Baglio Francesca Ventre Giovanna Di Napoli Claudio Romussi Osvaldo Bevilacqua, Cesare Biasini Selvaggi, Francesco Bovio, Peppone Calabrese, Claudia Cichetti, Leonardo Colombati, Giuliano Compagno, Alessandra Coppa, Fondazione FS Italiane, Enzo Fortunato, Alessio Giobbi, Peppe Iannicelli, Sandra Jacopucci, Valentina Lo Surdo, Arianna Mallus, Luca Mattei, Giuliano Papalini, Enrico Procentese, Andrea Radic, Elisabetta Reale, Gabriele Romani, Davide Rondoni, Floriana Schiano Moriello, Flavio Scheggi, Francesca Smacchia, Mario Tozzi

REALIZZAZIONE E STAMPA

Via A. Gramsci, 19 | 81031 Aversa (CE) Tel. 081 8906734 | info@graficanappa.com Coordinamento Tecnico Antonio Nappa

GIULIANO PAPALINI Giornalista professionista con una lunga esperienza nel settore economico e finanziario. Collezionista ed esperto di arte moderna e contemporanea, segue come art advisor alcune collezioni private italiane e internazionali

PROGETTO CREATIVO

Team creativo Antonio Russo, Annarita Lecce, Giovanni Aiello, Manfredi Paterniti, Massimiliano Santoli

PER LA PUBBLICITÀ SU QUESTA RIVISTA advertisinglafreccia@fsitaliane.it | 06 4410 4428

La carta di questa rivista proviene da foreste ben gestite certificate FSC®️ e da materiali riciclati

FLORIANA SCHIANO MORIELLO Giornalista, attiva nel campo della comunicazione e degli eventi di promozione territoriale, dell’agroalimentare e dell’enogastronomia. Con la passione vulcanica della natia terra flegrea, ama scoprire e raccontare angoli, sapori e tradizioni d’Italia

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On web La Freccia si può sfogliare su fsnews.it e su ISSUU 5

PER CHI AMA VIAGG IARE

PER CHI AMA

VIAGGI

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FRECCIA COVER

New York, USA (1955) © Sabine Weiss

LA VITA IN UN ISTANTE di Flavio Scheggi

«Per essere potente, una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana e farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto». Ne era convinta Sabine Weiss, tra le maggiori rappresentanti della fotografia umanista francese insieme a Robert Doisneau, Willy Ronis, Brassaï e Izis. La Casa dei Tre Oci di Venezia presenta, dall’11 marzo al 23 ottobre, una retrospettiva di oltre 200 immagini dedicata alla fotografa franco-svizzera, scomparsa lo scorso 28 dicembre all’età di 97 anni nella sua casa di Parigi. Le stampe esposte ripercorrono l’intera carriera di Weiss, dagli esordi nel 1935 agli anni ‘80. La forza della

mescoupsdecoeur

sua curiosità per il mondo e la sua gioia nel documentare la troviamo nei ritratti dei bambini così come in quelli dei grandi artisti. Ma anche nelle scene di vita quotidiana per le strade di New York brulicanti di dettagli, dal Bronx a Harlem, da Chinatown alla Ninth Avenue. Inoltre, la mostra dedica ampio spazio ai lavori realizzati dalla fotografa nei manicomi del dipartimento dello Cher, in Francia, durante l’inverno 1951-1952. A questi si aggiungono gli scatti realizzati a partire dagli anni ‘80, all’età di 60 anni, durante i suoi viaggi in Portogallo, India, Birmania, Bulgaria ed Egitto. treoci.org 7


RAILWAY heART

PH OTOS TO R I E S PEOPLE Innamorati a Termini © Giovanni Trombetta giovannitrombetta_

IN VIAGGIO Verso Milano © Fabio Brigante ettorethereal

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LE PERSONE, I LUOGHI, LE STORIE DELL’UNIVERSO FERROVIARIO IN UN CLICK. UN VIAGGIO DA FARE INSIEME a cura di Enrico Procentese

Utilizza l’hashtag #railwayheart oppure invia il tuo scatto a railwayheart@fsitaliane.it. L’immagine inviata, e classificata secondo una delle quattro categorie rappresentate (Luoghi, People, In viaggio, At Work), deve essere di proprietà del mittente e priva di watermark. Le foto più emozionanti tra quelle ricevute saranno selezionate per la pubblicazione nei numeri futuri della rubrica. Railway heArt è un progetto di Digital Communication, FS Italiane.

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LUOGHI Reggio Emilia AV © Veronica Penserini stone_23

AT WORK Claudia, capotreno Frecciarossa © Edoardo Cortesi eddiecortesi

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RAILWAY heART

A TU PER TU di Alessio Giobbi - a.giobbi@fsitaliane.it

B

runa Marsili segue le politiche sociali in Anas, la società del Gruppo FS che gestisce la rete di strade statali e autostrade di interesse nazionale, garantendone sviluppo e manutenzione. Quando sei entrata in azienda? Lavoro in Anas da 17 anni. Dopo una serie di percorsi interni, ora sono nella Direzione affari istituzionali e media e seguo le politiche sociali, ovvero tutti quei progetti che si inseriscono come parte integrante della strategia di sostenibilità di Anas. Puntiamo a migliorare il benessere sociale della collettività, indirizzando l’attività in quelle aree tematiche che hanno affinità con la mission aziendale e ne sono influenzate o correlate. Tra queste, per esempio, la sicurezza stradale, la valorizzazione del territorio e delle infrastrutture. Ce ne illustri uno in particolare? Quest’anno abbiamo pubblicato un libro illustrato per ragazzi con l’obiettivo di promuovere la sicurezza stradale, una delle missioni principali di Anas. Si intitola Eroi sulla strada. In viaggio con Nico. È la storia del lavoro quotidiano di un cantoniere che, in via eccezionale, viene affiancato dalla nipote Ludovica e dal figlio Carlo, due 12enni affascinati dal mondo Anas e determinati a raccontarlo sui social. Come è nata l’idea? Pensiamo che sia indispensabile educare in maniera divertente i più piccoli – i futuri conducenti, pedoni, ciclisti e passeggeri – alla prudenza sulla strada. Gli argomenti trattati nel volume, ideato e prodotto da Anas e pubblicato da Giunti Editore, sono fatti realmente accaduti o progetti in corso, raccontati anche grazie alle testimonianze dei colleghi cantonieri. Cosa ti piace del tuo lavoro? Le opportunità offerte dall’azienda mi hanno spinto a iscrivermi alla facoltà di Scienze della comunicazione, con indirizzo istituzioni pubbliche e media digitali, per approfondire e valorizzare le mie conoscenze nel settore. Sono riuscita anche a anche a conciliare il mio ruolo di mamma di una figlia di 14 anni. L’attività di cui mi occupo mi ha permesso poi di collaborare con la rivista aziendale Strada facendo, periodico distribuito su scala nazionale ai dipendenti Anas. Ho inoltre potuto dare spazio a interessi personali come la passione per l’arte, in particolare dopo aver diretto una galleria, e per la fotografia, con la fondazione di un’associazione dedicata. Come hai vissuto il passaggio di Anas nel Gruppo FS? È una bella sfida: mi ha appassionato dall’inizio, dandomi la possibilità di allargare a 360° la mia visione in tema di infrastrutture, trasporti e intermodalità. Si è rafforzato il senso di appartenenza verso una famiglia che tutti i giorni muove il Paese. I cambiamenti non mi hanno mai spaventato perché rappresentano un arricchimento da cui possono nascere tante altre idee. Attese sul tuo futuro professionale? Mi aspetto di sfruttare al meglio gli insegnamenti messi da parte in tanti anni, grazie anche a un osservatorio privilegiato sulle nuove generazioni. E di continuare ad andare a fondo nella comprensione di punti di vista differenti tra persone con sensibilità di ogni tipo.

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LE STORIE E LE VOCI DI CHI, PER LAVORO, STUDIO O PIACERE, VIAGGIA SUI TRENI. E DI CHI I TRENI LI FA VIAGGIARE

M

ario Amendola, classe 1953, è un cacciatore di talenti che ha trovato nel treno il mezzo ideale per i suoi spostamenti. In cosa consiste la sua attività? Dal 1984 lavoro nell’ambito delle risorse umane: mi occupo di selezione del personale e formazione, soprattutto per giovani laureati. In particolare, faccio da tutor a chi ha studiato Giurisprudenza, Economia, Scienze politiche, Psicologia o Filosofia e vuole cominciare un percorso di crescita. Viaggio molto per portare avanti il mio ruolo di formatore in ambito post-universitario, come docente all’interno dell’Associazione italiana per la direzione del personale e come selezionatore e head hunter per la MCS-Management consulting & selection. Un ruolo professionale a tutto tondo. Cerco di favorire il passaggio di competenze e conoscenze da una generazione all’altra. Non mi definisco coach, preferisco ritenermi uno scopritore di talenti. Nei colloqui punto a tracciare una mappa e a soffermarmi sulle storie personali, gli aspetti caratteriali e culturali, le particolarità che meglio si adattano ai profili richiesti. Si parla molto di soft e hard skill per valutare competenze, esperienze e conoscenze tecniche ma a me piace anche prediligere gli interessi soggettivi, tra cui le passioni per i viaggi, lo sport, l’arte, la musica, la lettura. Considero la correttezza, la disponibilità, la gentilezza e l’onestà intellettuale dei punti di forza. Il suo rapporto con il treno? Tra le aziende di cui mi occupo ce ne sono diverse che lavorano nei settori della meccanica e dei trasporti. Anche questo ha favorito la mia passione per il treno, che comunque ha origini ben più lontane: in giovane età, infatti, mi spostavo molto dalla Calabria e dalla Sicilia per raggiungere Roma. Da allora ho imparato ad apprezzare sempre più la ferrovia per gli spostamenti professionali e i viaggi nel tempo libero. In treno medito, lavoro, leggo e parlo poco al telefono per non disturbare. Utilizzo spesso l’area del silenzio sul Frecciarossa, dove posso immergermi in un libro tra un panorama e l’altro. Il prossimo viaggio? Ce ne sono tanti in programma: oltre a quelli di lavoro, principalmente con l’Alta Velocità, spero quanto prima di poterne organizzare uno di piacere sui treni storici, che stanno aiutando molto la ripresa del turismo territoriale. Da fan dei notturni, inoltre, mi fa piacere verificare quanto si stia investendo nel servizio Intercity, che rimane il mio preferito. Per il mio viaggio di nozze sono stato in Francia viaggiando in wagon-lits e mi piacerebbe tornare presto a Parigi con mia moglie sul nuovo Frecciarossa. Un suggerimento per migliorare i nostri servizi? Da 22 anni risiedo a Corciano, in provincia di Perugia, nel territorio umbro, che ha innumerevoli potenzialità di sviluppo socio-culturale, artistico ed enogastronomico. Spero in un maggiore impegno sul trasporto a lunga percorrenza in questa zona dell’Italia centrale, comunque compensato dal servizio regionale di cui si notano gli ottimi risultati.

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RAILWAY HEART

PUNTA DI DIAMANTE A EXPO 2020 DUBAI DEBUTTA IL DOTTORE DEI BINARI. IL NUOVO TRENO DIAGNOSTICO DI FS ITALIANE, TRA I PRIMI AL MONDO, DEDICATO ALL’ALTA VELOCITÀ

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iamante 2.0 arriva a Expo 2020 Dubai. I riflettori delle railway di tutto il mondo sono puntati su questo concentrato di tecnologia digitale e design made in Italy. Sembra un Frecciarossa ma,

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di Francesco Bovio

con la sua livrea blu e gialla, è il treno diagnostico più moderno e sostenibile della flotta di Rete Ferroviaria Italiana (RFI), società del Gruppo FS. Percorre ogni anno su e giù per l’Italia 160mila chilometri – con l’obiettivo di arriva-

re presto a 400mila – per garantire la massima sicurezza delle persone e delle merci che viaggiano sull’Alta Velocità. Il 15 marzo il suo debutto mondiale all’Esposizione universale, che si chiu-


© Archivio FS Italiane

Diamante 2.0, il treno diagnostico di RFI

de negli Emirati Arabi Uniti alla fine del mese, alla presenza di Anna Masutti e Vera Fiorani, presidente e amministratrice delegata di RFI, accompagnate da Andrea Nardinocchi, Ad di Italferr, la società di ingegneria del Gruppo FS. La flotta diagnostica di RFI è composta da 40 treni speciali. I due convogli dedicati alle linee ad Alta Velocità – insieme a Diamante 2.0, c’è anche Aiace 2.0 – si aggiungono ai 38 impiegati nel check-up delle linee convenzionali elettrificate, diesel e, fra non molto, anche di quelle per i treni a idrogeno. L’intero parco dei mezzi dedicati alla manutenzione, circa 2800 unità, è stato da poco rinnovato con un investimento pari a 1 miliardo e 750 milioni di euro. Tra gli addetti ai lavori, Diamante 2.0 è definito il “dottore dei binari”. Al posto dei sedili per i viaggiatori, è dotato di veri e propri laboratori mobili che sfrecciano a 300 chilometri orari.

È composto da otto carrozze, cinque delle quali costituiscono il suo cervello digitale: nella prima e nell’ottava c’è il Data processing center, nella quinta e nella settima la Diagnostic – dove vengono misurati attriti, usure e sollecitazioni – e nella sesta carrozza la Certification dell’infrastruttura. A queste si aggiungono due locomotive speciali posizionate alle estremità che controllano alcuni parametri, come quelli relativi al segnalamento, la sala Delegations per accogliere ospiti in visita, quella per i meeting e il Bar Bistrot. Il treno speciale si avvale di 98 telecamere e oltre 200 sensori posti sul tetto e sui carrelli vicini alle ruote per monitorare oltre 500 parametri e analizzare le condizioni dell’infrastruttura ferroviaria e della linea aerea, da dove i treni captano l’energia elettrica. Grazie a nuove e sofisticate strumentazioni è possibile ispezionare la linea, controllare la geometria e l’eventuale

usura dei binari e analizzare le interazioni fra ruota e rotaia. Questo prodigio della tecnologia italiana è poi in grado di incrociare tutti i dati raccolti, interpretarli ed elaborare una diagnosi in tempo reale, dialogando con la Sala operativa diagnostica infrastruttura, per capire se è necessario o meno organizzare rapidamente l’intervento di manutenzione. Diamante 2.0 è dotato anche di sistemi in grado di monitorare la qualità del servizio di connettività offerto ai viaggiatori delle Frecce e degli altri treni ad Alta Velocità. Il Gruppo FS punta sulle tecnologie più all’avanguardia per realizzare un nuovo modello di manutenzione predittiva per l’infrastruttura ferroviaria, supportato dal 5G, con l’ambizione di diventare un modello europeo, come è già accaduto per l’ERTMS/ETCS di livello 2, il sistema di segnalazione e protezione dei treni basato sulla trasmissione radio dei dati digitali. 13


L’ITALIA che fa IMPRESA

IL CINISMO DELLA BELLEZZA I PRODOTTI MIRACOLOSI NON ESISTONO. CON QUESTA VERITÀ CRISTINA FOGAZZI HA RIVOLUZIONATO IL MONDO DELL’ESTETICA, ARRIVANDO A FATTURARE 62 MILIONI DI EURO di Cecilia Morrico

© Krasnig Roberta

Il negozio Veralab a Roma

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MorriCecili

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Il bus turistico a due piani di Veralab durante il Pink Friday a Roma (2021)

follower e clienti, che l’hanno premiata concedendole la loro solidarietà e comprensione. A chi vuole mettersi in proprio, lei consiglia di imparare subito a far bene i conti: «È un aspetto un po’ antipatico ma fondamentale. Bisogna mettersi davanti a un business plan ma anche imparare a delegare circondandosi di persone capaci. Inutile partire con l’idea che non ci si può fidare di nessuno». Cominciamo dall’inizio: cosa è successo quando è stata licenziata dal beauty center in cui lavorava? Ho deciso di mettermi in proprio e di aprire un mio centro estetico a Milano nel 2009. Avevo una sola dipendente, ero in affitto e senza un budget. La linea di prodotti era pensata solo per l’utilizzo in salone, non avevo l’intento di mettere in piedi un e-commerce. Poi, visto che con il blog stavo acquistando una certa visibilità online, ho pensato di provarci. Nel 2015 è nato il brand cosmetico Veralab: all’inizio avevo cinque referenze, poi con il passaparola e la credibilità social mi sono affermata sempre di più. Un successo in ascesa, dovuto alla qualità dei prodotti made in Italy e alla schiettezza con cui ne parla sui social. Quale aspetto pesa di più?

Credo che siano equivalenti. La qualità è fondamentale, senza quella ci saremmo già sgonfiati. Ma se mandi sul mercato un prodotto cosmetico non valido, che non fa quello che promette, perdi subito credibilità. È un circolo virtuoso che si alimenta. Quanti dipendenti conta ora l’azienda? Oggi ne ha 62. Agli inizi li conoscevo personalmente tutti, adesso è un po’ più complicato. Ma con il mio staff, che comprende il marketing, il com-

© Krasnig Roberta

«Q

uando si apre un’attività, non bisogna pensare di poter avere successo in due anni. È necessario darsi del tempo e non abbattersi mai». Parola di Cristina Fogazzi, al secolo Estetista cinica, che per diventare la proprietaria di uno dei beauty-brand più venduti in Italia ci ha messo sette anni. Dal centro estetico è passata al blog, fino a diventare un’imprenditrice digitale con oltre 900mila follower su Instagram e un marchio, Veralab, che nel 2021 ha fatturato oltre 62 milioni di euro. Un successo che Fogazzi si è conquistata soprattutto con la promessa di dire sempre alle sue seguaci la verità (da qui l’appellativo “cinica”): non esistono creme miracolose contro la cellulite o sieri dell’eterna giovinezza. La raggiungiamo poco dopo la fine dello tsunami mediatico che l’ha coinvolta per la questione dei punti fedeltà erogati alle sue clienti, valorizzati per errore a 0,50 euro invece che 0,05. Una svista – la prima in sette anni di attività – che le sarebbe costata più di 5 milioni di euro, provocando il crollo finanziario dell’azienda. Per questo l’imprenditrice ha dovuto fare un passo indietro chiedendo scusa alle “fagiane”, così definisce le sue

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© Daniele Venturelli

L’ITALIA che fa IMPRESA

Cristina Fogazzi con il suo staff e due “fagiane” storiche alla 78esima Mostra del cinema di Venezia (2021)

merciale e l’e-commerce, c’è un rapporto stretto. Magari ho meno confidenza con chi è in amministrazione, ma comunque lavoro bene con tutti. Oltre all’e-commerce, ora ha aperto anche alcuni saloni fisici, riconoscibili dal colore rosa shocking. A Milano e Roma abbiamo due negozi di proprietà, poi ci sono circa 145 punti vendita in giro per l’Italia, dalle Rinascenti di Milano, Roma, Torino, Palermo, Catania fino alle profumerie, tra cui Pinalli e Naïma, e ad alcune farmacie. Il prossimo corner sarà a Cagliari, sempre per La Rinascente. Con Veralab si è aggiudicata il premio LeQuotabili 2020, attribuito alle società italiane che possiedono le caratteristiche giuste per entrare in Borsa entro tre o cinque anni. Che futuro immagina per la sua azienda? Mi piacerebbe essere quotata. Oltre 16

a vendere, sarei interessata anche a fare delle acquisizioni, pensando a nuovi brand da incubare. Ho parecchie idee in mente, c’è tanta carne al fuoco, ma dovete aspettare (ride, ndr). Su Instagram ha due profili, il suo personale e quello di Veralab. Come li concilia? Il primo è mio, il secondo fa capo al mio team. Diciamo che se non mi fossero piaciuti i social non ce l’avrei mai fatta. Nessuno mi ha obbligato ad aprire un profilo e a dedicarci tanta attenzione. Quando leggo certe considerazioni drammatiche rispetto alla fatica di gestire i profili online penso che alcune persone non hanno mai lavorato come camerieri. Io so di essere davvero una privilegiata, anche se gli spazi della mia privacy vengono compromessi. Come spiega la popolarità della co-

smetica sul web? Era cominciata già prima della pandemia, ma durante il lockdown c’è stato il boom. Con quelle call infinite davanti al pc, che ci rimandava sempre l’immagine del nostro viso, è maturata la voglia di prendersi cura di sé. Oltre al food è cresciuta anche la skincare, che già prima aveva il suo seguito. Il mio profilo, poi, è un po’ anomalo rispetto a quello che si vede di solito. Non faccio balletti, non incarno le dive dei social e non dico mai che basta usare un determinato prodotto per diventare super bella. A novembre è riuscita a trasformare il Black Friday in Pink Friday… Oltre agli sconti online, abbiamo organizzato due eventi davanti ai nostri shop di Milano e Roma. Con il contingentamento degli ingressi si era creata la fila per entrare, così alla fine sono


diventati una sorta di sagra: abbiamo offerto waffle e caciocavallo impiccato sulla bruschetta a Milano e mortadella a Roma, con pop-corn rosa e spritz nel pomeriggio in entrambe le sedi. In più, abbiamo affittato due bus turistici a due piani, tinti di rosa per l’occasione, offrendo giri gratuiti con prenotazione online. Ad accompagnarci, c’erano influencer e amici: siamo passati da momenti d’intrattenimento alla spiegazione delle bellezze artistiche e architettoniche delle due città. Ai due eventi hanno partecipato più di un migliaio di persone e abbiamo venduto oltre 14 milioni di prodotti. Ha anche organizzato le iniziative estive Bellezze al museo, dove ha portato la sua community a scoprire

l’arte di Ancona, Taranto e Matera. Mi piace molto l’idea di poter valorizzare il territorio e avvicinare le giovani donne a qualcosa con cui prima non erano in contatto. Anche questa è bellezza. Lo scorso anno abbiamo regalato più di 1.500 biglietti per i musei di queste città e per l’estate 2022 ripeteremo l’esperienza con nuove tappe. E siamo anche digital partner della mostra Tiziano e l’immagine della donna, a Palazzo Reale di Milano (vedi articolo a pag. 86, ndr). Nello store di Milano abbiamo duemila biglietti da regalare per questa esposizione, che è perfetta per il nostro brand. Vengono mostrate donne burrose, sensualissime, con corpi normali e voluttuosi, lontanissimi dai canoni estetici odierni.

A settembre ha sfilato anche alla Mostra del cinema di Venezia, insieme agli amici più stretti, al suo staff e a due fagiane storiche. Il prossimo red carpet? È stata una bella occasione ma non sono appassionata di red carpet: la mia grande ambizione è andare all’apertura della Biennale arte a Venezia. Quest’anno una parte delle opere esposte sono deperibili e se vai a vederle dopo un paio di mesi non sono le stesse dell’inizio. Pertanto, visitarla appena apre ha sicuramente più senso di sfilare su un red carpet. Anzi, devo parlarne subito con il mio staff: questa cosa va fatta. veralab.it estetistacinica

© Marco Curatolo

Il negozio Veralab a Milano

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INNOVATION

L’Innovation Hub Isola Catania

L’ISOLA DELLE IDEE T APRE A CATANIA IL TERZO INNOVATION HUB DI FS ITALIANE. UNO SPAZIO DEDICATO AL DIGITALE E ALL’ENERGIA ALL’INTERNO DI UN PALAZZO DEL ‘600 di Arianna Mallus 18

rovare soluzioni innovative, sperimentare nuovi business e rispondere alle sfide tecnologiche facendo incontrare idee e persone. Questo l’obiettivo del Gruppo FS che da circa due anni ha avviato l’apertura di diversi Innovation Hub sul suolo italiano. Dopo Roma e Napoli, a fine dicembre è stato inaugurato l’hub di Catania, uno spazio dedicato al digitale e all’energia, ospitato in Isola all’interno di Palazzo Biscari, uno stabile di fine ‘600 Patrimonio dell’Unesco, vicino

alla stazione ferroviaria della città siciliana. La scelta di ogni singolo luogo è strategica: «Vogliamo intercettare contesti ricchi di cambiamento o in procinto di esserlo valutando le eccellenze del territorio, tra cui realtà imprenditoriali, università ed enti di ricerca. E, dove possibile, cerchiamo di ragionare anche in termini di valorizzazione delle infrastrutture aziendali non più funzionali», spiega Silvia Tatti, responsabile degli Innovation Hub per il Gruppo FS. Il primo è nato nel dicembre 2020 a


FS sta lavorando su diversi progetti. «Scegliendo questa città l’azienda ha compiuto un'azione concreta che genera impatto e cambiamento al Sud, investendo sui talenti e sulle startup, accorciando le distanze e facendo del digitale uno strumento vero di crescita», spiega Antonio Perdichizzi, Ceo di Tree-Opinno Italia e fondatore di Isola Catania. «Palazzo Biscari, con tutta la sua bellezza, coniuga storia e modernità, design e tecnologia, cultura e innovazione. Nei suoi spazi è nato un hub in costante dialogo con il territorio e sta attraendo dall'Italia e dal mondo professionisti interessati a cogliere le opportunità che stanno nascendo nel suo ecosistema, oltre che quelle del south working», conclude. Ma gli hub sono solo uno degli strumenti utilizzati da FS Italiane per promuovere «un modello di innovazione distribuita, basata sulla condivisione di informazioni e conoscenze tra l’interno e l’esterno dell’azienda, con

© Archivio FS Italiane

Roma, all’interno della Stazione Termini: «Qui svolgiamo attività in collaborazione con LVenture Group, tra i più importanti acceleratori di innovazione d’Europa che ospita nei suoi spazi, adiacenti a quelli di FS Italiane, realtà come Binario F, il centro di Facebook per la formazione e lo sviluppo delle competenze digitali», continua Tatti. A Napoli la sede scelta è il Polo Tecnologico di San Giovanni a Teduccio dell’Università Federico II: «Un contesto frizzante all’interno del quale coesistono didattica, ricerca, e tecnologia, grazie alla presenza di aziende come Apple e Deloitte, passando per Cisco e Tim. Qui abbiamo concluso da poco un progetto di Open Iinnovation, una challenge legata al turismo coinvolgendo Trenitalia e il mondo delle startup». Infine, Catania, considerata il the place to be, come afferma il claim di Tree-Opinno Italia, società specializzata in Open Innovation con cui

Silvia Tatti, responsabile degli Innovation Hub di FS Italiane e Rita Casalini, responsabile di Open Innovation per il Gruppo FS 19


INNOVATION

L’Innovation Hub Isola Catania

l’intento di generare effetti positivi», spiega Rita Casalini, responsabile di Open Innovation. Il Gruppo FS ha deciso di seguire questo paradigma per intercettare le idee più interessanti, creando valore sia in termini di business, sia di contaminazione. «Cerchiamo di presidiare i diversi ecosistemi, dalle startup alle Piccole e medie imprese, senza dimenticare incubatori, acceleratori, istituzioni, università e centri di ricerca. Da questo processo emerge un’enorme quantità di idee che viene poi filtrata, sulla base delle esigenze di business, con l’obiettivo di testare e calare a terra progetti di co-inno-

vazione. Passare alla fase dell’esecuzione è la grande sfida quotidiana, per traghettare brillanti idee dalla teoria alla pratica. C’è un gran bel lavoro da fare», continua. «Cerchiamo di far scattare l’interesse verso soluzioni diverse, superando le abitudini che portano a dire “si è sempre fatto così”. Certo, è rischioso andare fuori da prassi consolidate, ma è quanto mai necessario perché stiamo assistendo a un importante processo di trasformazione legato principalmente alla digitalizzazione, ma non solo, che la pandemia ha ulteriormente accelerato. Non possiamo aspettare di tornare alla normalità senza cogliere

© Archivio FS Italiane

L’Innovation Hub nella Stazione di Roma Termini

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l’enorme opportunità che può nascere dal cambiamento», spiega ancora la manager. Ci si muove su un terreno difficile, quindi, che deve far coesistere schemi regolatori consolidati con modelli di business nuovi e in continuo mutamento. Per Casalini, la chiave di volta è la contaminazione, in grado di valorizzare le competenze e le esperienze interne con l’apporto innovativo di esterni. «Perché ogni persona è importante per costruire il cambiamento». isola.catania.it Isola.Catania cataniaisola


ISRAELE riapre al turismo

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

Tra storia e tradizione, il racconto di un’inedita esperienza di spiritualità L’attesa è finalmente terminata! Israele ha riaperto al turismo dallo scorso 7 gennaio. A poco meno di 4 ore di volo dall’Italia, collegata con una rete di voli giornalieri dalle principali città italiane, Israele è la Terra della spiritualità, dove si incontrano e si coniugano Antico e Nuovo Testamento. E Gerusalemme rappresenta il cuore di questa eccellenza!

LE PIETRE CHE RACCONTANO STORIE A Gerusalemme si trovano ancora le pietre sulle quali ha camminato Gesù e ciascuna di esse racconta una storia. Uno dei luoghi dove le pietre di Gerusalemme parlano è sicuramente la Città Vecchia, splendido sito da visitare che racchiude nei suoi 4 km² una parte importante della storia dell’umanità. Non potrà allora davvero mancare una visita nella Città Vecchia all’arco di Wilson, unica struttura visibile rimasta del complesso del Secondo Tempio, o al tunnel del Muro Occidentale, sito ancora da esplorare che consentirà di camminare proprio sulle pietre delle strade che condussero Gesù al Calvario. https://english.thekotel.org/western_wall_sites/western_wall_tunnels/ SPIRITUALITÀ A GERUSALEMME TRA TRADIZIONE E NOVITÀ Il periodo pasquale è quello che maggiormente vede Gerusalemme protagonista della storia della cristianità. Dal Getzemani sul Monte degli Ulivi alla piscina di Siloe, dalla fortezza Antonia alla splendida Chiesa di Sant’Anna, capolavoro crociato in Medio Oriente, al Santo Sepolcro: questi sono alcuni luoghi tra i più famosi che raccontano la storia della permanenza gerosolimitana di Gesù regalando talvolta una visione inedita della città, grazie anche alle continue scoperte archeologiche che fanno emergere pietre e tradizioni ancora sconosciute come, per esempio, l’anfiteatro romano emerso fortunosamente dagli scavi nella ricerca dell’antica strada del Secondo Tempio e ubicato proprio sotto l’arco di Wilson. La Città Antica di Gerusalemme si riveste di una straordinaria vitalità proprio grazie agli appuntamenti pasquali, partendo dalla suggestiva processione della Domenica delle Palme che accompagna il ricordo dell’ingresso di Gesù nella splendida Città Santa. «Solo Gerusalemme può offrire l’irripetibile emozione di partecipare spiritualmente alla vicenda umana di Gesù, attraverso un coinvolgente momento di raccoglimento che porterà poi alla gioia del giorno di

Pasqua. Un’esperienza indimenticabile per chiunque riuscirà a essere personalmente nella “città della luce”, che prende vita dalla gioia dei turisti che stanno tornando a ravvivarla», ha dichiarato Kalanit Goren Perry, direttrice dell’Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo. A Gerusalemme si sale, per parafrasare un verbo della lingua ebraica, e la salita spirituale verso il Tempio della Cristianità si alimenta attraverso una visita ai luoghi più tradizionali, come appunto le stazioni della cosiddetta Via Crucis, partendo dalla Flagellazione custodita dai francescani insieme anche al rinnovato museo che racconta la storia delle pietre della Terra Santa e della presenza francescana voluta dall’irriducibile San Francesco, coraggioso pellegrino in questa terra.

PERCORSI DI DEVOZIONE E proprio camminando sulle orme di Francesco, così come la tradizione racconta, partendo da Gerusalemme si potrà giungere fino alla città crociata di Akko, chiamata anche San Giovanni di Acri: una sorpresa per l’appassionato di storia e di religione che giungerà in questa città spesso estranea ai percorsi più tradizionali scoprendo un luogo di eccezionale convivenza tra i popoli. Se si parla di ricerca della spiritualità in Israele, non si può certamente dimenticare il luogo che vide l’infanzia e la predicazione di Gesù: la Galilea. La visita all’antica sinagoga di Cafarnao, dove secondo la tradizione lo stesso Gesù insegnò, guarì e cacciò i demoni, o a Cana, dove si ricorda il suo primo miracolo, o al Monte delle Beatitudini sono mete insostituibili e di eccezionale significato spirituale ed esperienziale. C’è, però, un modo forse ancora più inedito per conoscere questa terra vivendo fino in fondo lo spirito religioso: compiere un pellegrinaggio a piedi proprio in Galilea, coniugando la dolcezza della natura con lo splendore dei luoghi, camminando come gli antichi discepoli sulle orme di Gesù. Si tratta del Gospel Trail, un percorso che può essere realizzato anche in auto, in bicicletta o addirittura a cavallo. Circa 60 km in Galilea alla scoperta dei luoghi del Nuovo Testamento, un percorso segnato e organizzato, messo a disposizione di tutti, anche dei pellegrini non più giovanissimi che si stanno preparando a ritornare in Israele per la Pasqua 2022. Un appuntamento irrinunciabile, la ripresa di un sogno accantonato per oltre due anni che ora riprende vita in un Paese sempre più accogliente e rinnovato. Offerte e pacchetti sul sito: https://new.goisrael.com/it

Venite a scoprire Israele e tutte le novità sulla pagina www.facebook.com/VisitateIsrael Postate e condividete messaggi insieme a noi!

#israeletiaspetta

www.instagram.com/visit_israel | https://new.goisrael.com/it

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AGENDA a cura di Luca Mattei ellemme1 lucamattei1 - l.mattei@fsitaliane.it e Francesca Ventre - f.ventre@fsitaliane.it

save MARZO the date 2022 GIORNATE FAI DI PRIMAVERA ITALIA 26 E 27 MARZO Edizione numero 30 per l’evento di punta del Fondo per l’ambiente italiano (Fai). Sabato 26 e domenica 27 marzo è possibile scoprire e riscoprire lo straordinario patrimonio del Paese partecipando, con un contributo, alle visite organizzate dai volontari del Fai. Si può scegliere tra centinaia di luoghi, spesso inaccessibili o poco conosciuti. L’elenco dei beni è consultabile dal 17 marzo sul sito web. Sono aperti palazzi e ville storiche, aree archeologiche, chiese di grande valore, esempi di archeologia industriale, castelli, biblioteche, collezioni d’arte e musei. Non mancano itinerari nei borghi e visite didattiche in parchi urbani, orti botanici, giardini e cortili. A Montecassiano (MC), uno dei Borghi più belli d’Italia, si possono ammirare

Montecassiano (MC) © Adolfo Veroli

la Pinacoteca civica e la Collegiata di Santa Maria Assunta, che ospita una monumentale pala d’altare in terracotta invetriata e la Chiesa di San Marco. A Lecce sono visitabili gli spazi del Magazzino concentramento tabacchi, complesso industriale edificato un secolo fa dalla società di costruzioni di Pier Luigi Nervi, al cen-

Una scena dello spettacolo Notre Dame de Paris © Alessandro Dobici

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tro di un progetto di rigenerazione. Mentre a San Marco Argentano (CS), antico insediamento urbano lungo la Valle del Crati e importante centro culturale, apre in via straordinaria l’abbazia di Santa Maria della Matina, tra le architetture cistercensi più raffinate d’Europa. giornatefai.it

NOTRE DAME DE PARIS 2002 - 2022 ITALIA 3 MARZO>18 DICEMBRE Il 14 marzo 2002, al Gran Teatro di Roma, andava in scena per la prima volta in Italia Notre Dame de Paris, spettacolo musicale che da allora ha appassionato oltre quattro milioni di persone. Un successo senza precedenti, dovuto soprattutto a una storia senza tempo, capace di affascinare tutte le generazioni, e alle musiche sublimi di Riccardo Cocciante. Quella per il ventennale sarà una tournée esclusiva, con il ritorno del cast originale. Oltre a Lola Ponce (Esmeralda), sul palco saliranno Giò Di Tonno (Quasimodo), Vittorio Matteucci (Frollo), Leonardo Di Minno (Clopin), Matteo Setti (Gringoire), Graziano Galatone (Febo) e Tania Tuccinardi (Fiordaliso). Special guest d’eccezione in alcune date Claudia D’Ottavi e Marco Guerzoni rispettivamente nelle vesti di Fiordaliso e Clopin. Si parte il 3 marzo dal Teatro degli Arcimboldi di Milano. Gran finale il 18 dicembre al Politeama Rossetti di Trieste. ndpitalia.it


ANTONIO LIGABUE. L’UOMO, L’ARTISTA MONZA FINO AL 1° MAGGIO Un mondo visionario popolato da autoritratti, animali e scene di vita agreste. È l’universo di Antonio Ligabue, artista complesso e geniale del ‘900, dal vissuto sofferto, che esprimeva la sua creatività attraverso un’esplosione di colori. Tra le 90 opere esposte nell’Orangerie della grandiosa Villa Reale non mancano capolavori, come Testa di tigre (1957-58) e Autoritratto con cavalletto (1954-55), in cui emerge il disagio del genio e, nello stesso tempo, la sua volontà di affermarsi. L’esposizione ricorda il percorso di un artista dapprima incompreso e poi capace di suscitare l’ammirazione di collezionisti e critici d’arte. Oltre ai dipinti che lo hanno reso famoso, sono in mostra incisioni, disegni e sculture in bronzo. vidicultural.com Antonio Ligabue, Testa di tigre (1957-58) © Galleria Centro Steccata, Parma

Giulio Casanova, progetto per il soffitto della sala da pranzo del Treno reale (1925)

DISEGNARE LA CITTÀ TORINO FINO AL 27 GIUGNO La mostra è un viaggio nella storia dell’arte e dell’architettura torinese, tra eclettismo e liberty. Tra l‘800 e il ‘900, l’Accademia Albertina fu un punto di riferimento per la formazione e la ricerca, contribuendo a definire la

nuova immagine della città sabauda come centro industriale. Obiettivo del progetto è illuminare questa vicenda attraverso un percorso con disegni architettonici e progetti decorativi, solitamente non visibili. Da osservare ci sono soprattutto i meravigliosi acquerelli di Giulio Ca-

sanova, che ideò e dipinse tutti gli elementi dei suoi lavori. Tra questi i bozzetti originali del Treno reale, concepito in occasione del matrimonio tra Umberto di Savoia e Maria José e ancora oggi a servizio della Presidenza della Repubblica. pinacotecalbertina.it

MILANO GRAPHIC FESTIVAL MILANO 25>27 MARZO Prende il via la prima edizione della kermesse dedicata a graphic design, illustrazione e culture visive. Tre giorni con un fitto calendario di appuntamenti, fra workshop, talk, letture e installazioni, dislocati in due location. Negli spazi di Base Milano, Signs, l’osservatorio permanente sul visual design, presenta la mostra Signs II. Grafica italiana contemporanea, uno spaccato sullo stato della comunicazione in Italia che ospita tra gli altri Andrea Rauch, Silvana Amato e La Tigre. Al Certosa Graphic Village, spazio performativo temporaneo dedicato alla creatività contemporanea, prende vita la collettiva Generazione YZ, con designer under 30 che lavorano a un progetto di grafica urbana e le retrospettive di maestri come lo statunitense John Alcorn e l’italiano Albe Steiner. milanographicfestival.com John Alcorn, Poster pubblicitario Campbell’s (1969) © Stephen Alcorn e famiglia Courtesy Archivio John Alcorn, Centro Apice, Milano

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AGENDA

spesso le cartine sono state utilizzate come sostituto della realtà ma, trattandosi di opere dell’uomo, non sempre hanno rispecchiato la geografia effettiva. I mappamondi si sono diffusi come espressioni di convenzioni sociali che hanno imposto confini e considerato concreti i concetti astratti di potenza e dominio. La rassegna si presenta come un viaggio nel tempo e nello spazio che parte dalle mappae mundi inserite nei libri di preghiere del XIII secolo, passa per le costruzioni cartografiche realizzate per i commerci oceanici nell’epoca delle grandi scoperte geografiche e giunge alla contemporaneità con Google Maps. Oltre a 40 riproduzioni provenienti da biblioteche nordamericane, europee e giapponesi, sono esposti arazzi, tele e tappeti originali del XX e XXI secolo. fbsr.it | trevisocontemporanea.it

MIND THE MAP! TREVISO FINO AL 29 MAGGIO La mostra allestita a Ca’ Scarpa invita a riflettere sulla mappatura del mondo come attività da osservare con distacco:

Francesco Rosselli, Universale (1508), Royal Museum Greenwich

LIBERO SPAZIO LIBERO BOLOGNA FINO AL 15 APRILE La mostra a Palazzo Paltroni, curata da Fabiola Naldi e organizzata da Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, invita a porre l’attenzione sul rapporto tra fisicità, libertà e spazio. Un argomento sul quale sono state chiamate a pronunciarsi artiste di generazioni e provenienze diverse. Cinque donne che si esprimono attraverso altrettanti utilizzi differenti della parola, della scrittura, del corpo e degli oggetti per portare al centro della riflessione pubblica un tema sociale, soggettivo, critico e di denuncia. Il viaggio espositivo parte dall’artista concettuale americana Martha Rosler e dalla poetessa italiana Giulia Niccolai, lontane tra loro ma unite dalla volontà di far combaciare poesia, performance, arte e suono. Si giunge poi a Lucy Orta, Claudia Losi e Claire Fontaine, autrici che mostrano come l’arte possa aiutare a svuotare gli stereotipi. fondazionedelmonte.it

Claire Fontaine, Untitled (anemic moon) (2018) Courtesy Galleria T293 e l’artista

WARMING! SIENA FINO AL 27 MARZO Nel bastione Madonna della Fortezza Medicea, con ingresso gratuito, sono in mostra le illustrazioni di Benedetto Cristofani. L’artista dallo stile grafico e concettuale è famoso per aver realizzato le copertine delle riviste più importanti del mondo, tra cui The Economist, Die Zeit, Wired e Le Courrier International. L’esposizione racconta la condizione umana nell’epoca digitale, il rapporto tra uomo e ambiente, i meccanismi economici di sfruttamento e la dipendenza dalle risorse naturali. La semplice e diretta rappresentazione della realtà offre al pubblico la possibilità di una libera interpretazione, senza imporre nessuna tesi. L’iniziativa è realizzata dall’associazione Propositivo (Pro+), con il contributo di Cesvot e del Comune di Siena, e rientra nel format Vivi Forte Off, che ha l’obiettivo di far rivivere i luoghi della città con musica, arte e cultura. propositivi.it Benedetto Cristofani, Carless Cities 24


TASTE. IN VIAGGIO CON LE DIVERSITÀ DEL GUSTO FIRENZE 26>28 MARZO Il Salone di Pitti Immagine dedicato alle eccellenze del gusto torna a riunire in Toscana il meglio della gastronomia e delle tendenze contemporanee nel settore food. Lo fa in presenza – cosa che non accadeva dal 2019 – e in una nuova location: lo show di sapori si sposta, infatti, dalla Stazione Leopolda alla Fortezza da Basso. Tanti gli eventi che declinano la sostenibilità in relazione al green, alla regionalità e al digitale, come i due focus Il riso che produce ambiente e Zero spreco. Confermati i punti cardine della fiera: Taste Tour, per degustare tutte le specialità proposte; Taste Tools, dedicato all’abbigliamento, alle attrezzature e alle idee innovative per la cucina; Taste Shop, dove acquistare i prodotti preferiti; Taste Ring e Talk, per chiacchierare con esperti e chef. Non mancano, infine, la vetrina digitale della kermesse, con la piattaforma Pitti Connect, e il programma FuoriDiTaste, con cene, assaggi e spettacoli in tutta Firenze. taste.pittimmagine.com

Taste the unexpected!, la campagna grafica per Taste 2022

GRAN PREMIO INTERNAZIONALE DEL DOPPIAGGIO ROMA 25 MARZO L’edizione 2022 ha scelto come location il Teatro Eliseo. Il 25 marzo vengono premiati i migliori tra doppiatori, adattatori dei dialoghi, direttori di doppiaggio e tecnici di sala. E anche i film e e le serie tv con la traduzione e l’adattamento più riusciti. L’evento è in grado di richiamare un vasto e selezionato pubblico e ha ricevuto l’Alto patronato della Repubblica italiana. Coinvolge, infatti, le maggiori case di distribuzione italiane e internazionali e le principali cariche istituzionali della cultura e dello spettacolo. Oltre a far emergere una serie di professionisti che, negli ultimi decenni, si sono imposti al grande pubblico al pari degli attori. Infine, il Gran Premio rappresenta l’occasione per approfondire un’arte in cui l’Italia primeggia nel mondo. premiodeldoppiaggio.it SALVADOR DALÍ - LUCE. I TESORI DEL MAESTRO VICO EQUENSE (NA) FINO AL 30 SETTEMBRE Salvador Dalì è stato capace di esprimere il suo estro non solo nella pittura ma anche in altre forme espressive. Affascinato dalla scultura, per esempio, dava tridimensionalità alle sue immagini più iconiche. Si distinse come designer, trasformando utensili pratici in manufatti stravaganti. Ebbe un grande interesse per la moda e l’amicizia con Coco Chanel ed Elsa Schiaparelli lo ispirò per ideare abiti volutamente ostentati. È su questi aspetti non convenzionali del genio catalano che accende i riflettori la mostra al Museo mineralogico campano, curata dal direttore artistico Roberto Pantè. Un connubio tra arte e glamour che prende forma attraverso i 70 pezzi in esposizione: i Dalì d’Or, che l’artista realizzò alla fine degli anni ‘60 assemblando la sua collezione di monete, sculture in diamanti o in argento, opere surrealiste appartenenti alla collezione The Dalì Universe e oggetti di uso comune come grafiche e capi d’abbigliamento d’ispirazione daliniana realizzati da importanti griffe. daliavicoequense.it

Salvador Dalì, Profilo del Tempo (ideato nel 1977, prima fusione nel 2008) 25


GUSTA & DEGUSTA

di Andrea Radic

Andrea_Radic

andrearadic2019

SAPORE DI MARE NEL NUOVO MENÙ DI TERRAZZA GALLIA

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n racconto del Mediterraneo, con i suoi sapori e colori, anima il menù del rooftop restaurant di Excelsior Hotel Gallia, a Luxury Collection Hotel, a Milano. Una terrazza con vista sulla città, piatti di classe e contemporanea creatività, fondati sulle solide basi della grande cucina italiana, quella dei fratelli Vincenzo e Antonio Lebano. Il tutto di fronte alla Stazione Centrale di Milano, ideale per provare il fine dining anche fra un treno e l’altro. Un viaggio alla scoperta dei piccoli produttori locali, nel segno della sostenibilità, per creare piatti che soddisfino pienamente occhi e palato. Tra i must del menù, la Triglia croccante, cacciucco, basilico, aioli e il Risotto con cipolla di Giarratana, gamberi rossi di Mazara, alghe croccanti. Non mancano proposte vegetariane come la Tartare di rapa gialla, zafferano, gel di kumquat. Carta dei vini di ampia geografia enologica gestita dall’ottimo sommelier Paolo Porfidio. marriott.com

Triglia croccante, cacciucco, basilico, aioli

AMATIVO E TERESA MANARA DI CANTELE: VINI DI IDENTITÀ ED ELEGANZA

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iamo a Guagnano, nel cuore dell’assolato Salento, dove Augusto Cantele, per primo in tutta la Puglia, decise di creare un vino capace di coniugare la forza e la morbidezza del Primitivo con la struttura e la complessità del Negroamaro. Era il 1999 e nasceva Amativo. Un vino dal forte valore affettivo: «L’unico blend della nostra azienda», afferma Paolo Cantele, terza generazione della famiglia di produttori, «indissolubilmente legato a mio padre Augusto che ora non c’è più. Ha segnato il passaggio di testimone tra i nostri genitori e noi fratelli e cugini». Amativo Igt Salento sprigiona al naso sentori floreali di rosa e violetta intensi e raffinati, frutti del bosco e spezie leggere. Al palato giunge complesso, morbido e di gran carattere. Teresa Manara Chardonnay è invece l’omaggio amoroso alla donna, madre, moglie e nonna, che da Imola si trasferì in Salento attraversando l’Italia negli anni in cui le imprese erano ancora riservate agli uomini. Un vino

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La famiglia Cantele, da sinistra: Gianni, Paolo, Luisa, Domenico e Umberto

imperdibile: nobile, austero, caldo e affascinante al medesimo tempo. cantele.it


I VINI DI LENTSCH NASCONO SULL’ETNA CON IL FASCINO DEI SUOI CONTRASTI

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Etna Rosso Doc Cosentino di Massimo Lentsch

assimo Lentsch ha scelto il versante nord dell’Etna, convinto dal gioco di contrasti creato tra la lava del vulcano e l’acqua del fiume Alcantara che scorre lì vicino. In questo luogo unico produce vini di grande identità, che nascono dal lavoro manuale, duro e complesso, su vitigni aggrappati alle lingue di terra tra le colate laviche a 750 metri di altezza. Come il vigneto Cosentino con alberelli centenari da cui nasce l’Etna Rosso cru Cosentino. Un Nerello Mascalese in purezza, i cui grappoli diventano un vino dalla trama complessa, dove acidità e volume riescono a essere in perfetto equilibrio. Di colore rosso rubino profondo, il Cosentino esprime al naso note intense di ciliegia matura, pepe nero, liquirizia dolce. Al palato è fresco e rotondo, la trama tannica lo rende di grande eleganza con una piacevole punta sapida. Tutti i vini di Lentsch seguono protocolli bio e vegan, con l’obiettivo di preservare ambiente e natura millenaria. Così come la nuova cantina che punta a diventare un’opera di paesaggio, ispirata alle energie del vulcano. massimolentsch.it

© pierpaolometelli

GRANDE OSPITALITÀ E OTTIMA CUCINA AD ASSISI

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ssisi dona pace e serenità, non solo per la sua mistica forza, ma anche per la bellezza dei suoi angoli, intrisi di storia e bellezza. Qui il senso dell’ospitalità è da sempre nelle corde della sua gente. Un giardino affacciato sulla torre di San Pietro, una sala medievale, una terrazza da cui ammirare il verde dell’Umbria. Il Fontebella Palace Hotel è tutto questo, un luogo intimo, dove da 50 anni la famiglia Angeletti cura ogni dettaglio e rende il soggiorno un’esperienza unica. La cucina del ristorante Il frantoio, guidata dal talento dello chef Lorenzo Cantoni, esalta con contemporanea eleganza le materie prime del territorio, a partire dall’olio, unico condimento utilizzato e prodotto dalla stessa Elena Angeletti. Il Risotto alle tre senapi, maionese di nocciola e lime e il Baccalà alla perugina sono piatti eleganti, concreti e golosi che valgono il viaggio. fontebella.com

Fontebella Palace Hotel e ristorante Il frantoio 27


© Gabriele Giussani

WHAT’S UP

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CIAO CIAO A TUTTI!

DOPO AVER SBANCATO CON IL TORMENTONE LANCIATO A SANREMO, LA RAPPRESENTANTE DI LISTA PENSA AGLI APPUNTAMENTI ESTIVI. E SI PREPARA AL TOUR DI NOVEMBRE di Gaspare Baglio

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veri vincitori di Sanremo? Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, deus ex machina della queerpop-band La Rappresentante di Lista. La loro travolgente hit Ciao Ciao ha fatto ballare tutto l’Ariston, valicando i confini tv per trasformarsi in un vero e proprio tormentone. Suonatissima in radio, ha ottenuto oltre 14 milioni di stream ed è fissa nella top ten di Spotify delle nuove uscite discografiche a livello globale, oltre a essere viralissima sui vari social, TikTok in testa. Dopo l’esperienza festivaliera, il gruppo ha sfornato il repack dell’album My Mamma con il pezzo presentato alla kermesse e la cover di Be my baby delle Ronettes. È proprio il caso di parlare del vorticoso successo che li vede protagonisti. Tiriamo le somme su questo Sanremo? [DM] Un’esperienza unica. Avendo già partecipato lo scorso anno, abbiamo preso le misure e ci siamo goduti tutto: dal palco al lavoro con il team fino alle interviste. Ciao Ciao richiede un approccio energico e impattante. L’avete scritta pensando subito all’Ariston? [DM] Il nostro pallino, tra il momento della scrittura e quello più potente dei live, è fissare le sensazioni raccolte durante i concerti. Ci siamo chiusi in studio con la band, che ci supportava dal punto di vista ritmico e musicale. Sono nati diversi inediti, tra cui Ciao Ciao. L’idea era di inserire il brano

gasparebaglio

nel prossimo lavoro, ma siamo i primi a gasarci per le cose che facciamo: abbiamo mandato il demo ai nostri discografici, il pezzo funzionava e il resto è storia. Non avete pensato di cantarlo in duetto, magari con Donatella Rettore, visto che la scorsa edizione era con voi nella serata delle cover? [VL] Non abbiamo ancora aperto questo canale. [DM] Il mondo della musica è pieno di featuring, noi portiamo avanti il nostro percorso. Vi aspettavate di vincere? [VL] Sognare è gratis: anche se non volevamo concentrarci solo sulla competizione e la classifica, un po’ ci abbiamo pensato. Io puntavo molto sul fatto che da anni non vinceva una voce femminile. Resta la soddisfazione per il brano e i suoi significati, il divertimento vissuto e la trasformazione con costumi e trucco. Oltre al fatto di aver potuto dar voce a determinati temi. Si nota un grosso studio dietro alle vostre performance. [DM] Quello già lo facciamo per i nostri tour, figuriamoci per Sanremo. Abbiamo studiato la coreografia con Thomas Signorelli e Gianmarco Capogna. Dopo Amare, portata lo scorso anno, volevamo mostrare un’altra faccia. E invogliare il pubblico a venire ai concerti. Tra gli endorsement ricevuti c’è stato addirittura quello di Paolo Sorrenti-

no: ha modificato il finale di È stata la mano di Dio sulle note di Ciao Ciao. [DM] Mamma mia! Cosa possiamo dire? Ci ha scritto un messaggio e gli abbiamo risposto che eravamo senza parole. Da dove nasce l’idea di mettere in musica la fine del mondo? [DM] Filosoficamente parlando era presente nel nostro romanzo Maimamma. Abbiamo preso consapevolezza della situazione attuale e, durante i giorni della COP26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ci siamo fatti diverse domande sull’ecocidio in atto. Siamo scesi in piazza con i ragazzi di Friday For Future e abbiamo anche stretto la mano all’attivista Greta Thunberg. Nel brano volevamo dare risalto a una problematica esistente: un modo poetico per raccontare, in maniera iperbolica, quello che stiamo vivendo come umanità. Come prosegue il vostro viaggio? [VL] Mi auguro continueremo a trasformarci, scoprendo possibilità altre per la nostra musica. Questa condizione di laboratorio, di progetto in crescita, mi entusiasma: ci sono in ballo inediti, appuntamenti estivi e un tour a novembre. Proseguiamo con passione, tenendoci strette le cose scoperte lungo questo percorso. Ci sarà da divertirsi. rappresentantelista larappresentantedilistaufficiale 29


© Riccardo Ghilardi

WHAT’S UP

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DA NAPOLI A BOLOGNA, PASSANDO PER ROMA. TRA FILM, FICTION E PROGRAMMI TV. A TU PER TU CON MORELLI, DAL 10 MARZO AL CINEMA NEL TERZO CAPITOLO DELLA SAGA C’ERA UNA VOLTA IL CRIMINE gasparebaglio

Ma stavolta è stato realmente goliardico, abbiamo riso tantissimo. Spero che questo divertimento arrivi anche in sala. Hai fatto anche alcune incursioni in tv. Prevedi un futuro da presentatore? Ho coronato un sogno conducendo Le iene con Frank Matano. Il programma di Davide Parenti mi ha molto soddisfatto, è stata un’occasione di crescita professionale. Che cosa ti piacerebbe portare sul piccolo schermo? Una serie crime tipo Ray Donovan. Non sarebbe male pensarla all’italiana. Si avvicina molto al mondo di Coliandro. Sì, ma dal punto di vista opposto. Legittima l’uso di armi e un certo tipo di linguaggio. In Coliandro c’è un’ironia di fondo che in Ray Donovan non è presente, ha proprio un altro tipo di scrittura. Sei di Napoli, vivi a Roma e il successo nazionalpopolare te l’ha regalato Bologna, dove è ambientata la fiction L’ispettore Coliandro. Che mi dici di questi tre luoghi? Napoli è la mia città, la mia cultura, ce

l’ho nel cuore, nella pancia, nella testa. Nonostante me ne sia andato per fare l’attore, sono profondamente partenopeo. E sono contento che abbia iniziato a ospitare tanti set, anche grazie al film Song’e Napule dei Manetti Bros, nel quale recito anche io. Roma è la mia nuova casa. È più grande, dispersiva, ma mi ha permesso di fare il lavoro dei sogni. Bologna è una Napoli del nord: vivace, molto forte culturalmente, piena di vita, locali, turisti. Quale luogo racchiude di più l’anima della città in cui sei nato? Il bello di Napoli sono le tante anime che permettono di respirarne le diverse declinazioni. A Mergellina non si può non sentire un tuffo al cuore per il mare. Nel centro ci sono meraviglie come la Cappella di Sansevero, con il Cristo velato, e poi la Napoli di una volta, quella dei vicoli. È veramente difficile racchiudere la città in un unico luogo. Per esempio Via dei Mille, la strada cittadina più ricca e borghese, ha come traversine i quartieri spagnoli: qui il popolo si fonde alla nobiltà. E solo a Napoli si vive questa atmosfera. giampaolomorelliofficial giampaolo_morelli

Marco Giallini e Giampaolo Morelli nel film C’era una volta il crimine

© Maria Marin

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i piace molto andare in treno. Mi sembra una magia ed è davvero rilassante. Ricordo che lo presi per il mio primo provino A Roma. Dopo aver letto un articolo sul Mattino di Napoli, corsi in stazione per andare al casting. All’epoca, ci volevano due ore e 40 minuti. Oggi, invece, in un’ora si arriva. Il solo pensiero mi fa sentire più vicino alla mia città, a quelle persone, a quei luoghi. E, magari, fra 20 anni ci vorrà ancora meno tempo». Grazie a quel treno Giampaolo Morelli ottenne la sua prima parte e da lì iniziò una carriera, è proprio il caso di dirlo, ad alta velocità. Tra i suoi tanti ruoli basta ricordare quello dell’ispettore Coliandro, nell’omonima serie Rai che l’ha portato alla consacrazione. La prossima stazione lavorativa è C’era una volta il crimine, terzo capitolo della saga comedy firmata da Massimiliano Bruno, in cui interpreta Claudio Ranieri, new entry della banda capitanata da Marco Giallini e Gianmarco Tognazzi. Nel film, in sala dal 10 marzo, il gruppo si ritrova addirittura ai tempi della Seconda guerra mondiale. Che personaggio interpreti? Sono il colto e l’irascibile della gang: battibecco in continuazione con Moreno, che ha il volto di Giallini. È stato un ruolo molto divertente, grazie alla bella sintonia nel cast. Avevi visto i film precedenti? Sono sempre stato fan della saga. Questa volta ci troviamo al tempo del secondo conflitto mondiale, in un’Italia devastata dagli scontri e dai nazisti, incontriamo addirittura il Duce. Sono cose che possono accadere solo al cinema: tornare indietro nel tempo e sognare. Un plot magari già sfruttato, ma sempre interessante. Quindi ti prenoti per l’eventuale quarto capitolo? Se dovessimo andare avanti in qualche modo, mi auguro di sì. Con il gruppo e il regista ci siamo davvero trovati bene. Di solito non amo dire che il set è divertente, perché è un impegno.

di Gaspare Baglio

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WHAT’S UP

PRONTI A RIDERE?

DALLA COMMEDIA DI CLAUDIO AMENDOLA I CASSAMORTARI AL FILM D’ANIMAZIONE L’ERA GLACIALE - LE AVVENTURE DI BUCK. CON LUCIA OCONE IL DIVERTIMENTO È ASSICURATO di Gaspare Baglio

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gasparebaglio

uando si fa una call con Lucia Ocone le risate sono assicurate. L’attrice romana si è fatta conoscere in show comici cult come Macao, Mai dire domenica, il divertentissimo Quelli che il calcio e il reality Music Farm. A marzo, arriva con due film: il 24, su Amazon Prime Video, esce la commedia I cassamortari di Claudio Amendola, il giorno dopo, su Disney+, è il turno della pellicola d’animazione L’era glaciale - Le avventure di Buck. Partiamo da I cassamortari. Che film è? Molto cinico e l’ho amato tantissimo. Tutto ruota attorno ai fratelli Pasti, che hanno ereditato dal padre un’agenzia di pompe funebri. Io sono Maria, un personaggio completamente diverso da me, Massimo Ghini ha il ruolo dell’avaro Giovanni, Gian Marco Tognazzi è Marco, specialista nel trucco di cadaveri e Alessandro Sperduti interpreta Matteo, che ha la fissa di fare l’influencer. Ne vedremo delle belle, quindi… Dico solo che è un gruppo senza scrupoli che ha il motto: «Tutti devono mori’ ma solo pochi ce guadagnano ». I rivali sono quelli di Taffo, a cui cercano di rubare clienti. La grande occasione è il funerale di una rockstar, interpretata da Piero Pelù. Addirittura. Sì, è divertentissimo: fa una vita sregolata tutta sesso, droga e rock ’n’roll, ma in pubblico si spertica in slogan contro la droga. Morirà in un incidente, fatto come una pigna. Mi racconti qualcosa in più su Maria? Colleziona vedovi, un’ossessione più forte di lei: deve portarsi a letto giovani, vecchi, belli e brutti. Ma poi si capirà che alla base c’è un malessere. La sceneggiatura ha una parte molto sentimentale, che racconta i risvolti umani di questi personaggi orrendi. Sono davvero così terribili? 32

Per dirne una: si mettono d’accordo e pagano gli infermieri degli ospedali per farsi chiamare poco prima che i malati passino a migliori vita. Come ti sei trovata con Claudio Amendola? L’ho amato dopo un quarto d’ora. Siamo due ciacioni de Roma con un core così e ce piace magna’. Claudio ha saputo darmi delle belle dritte registiche. Passiamo a L’era glaciale - Le avventure di Buck. Una figata! Io sono la zorilla Zee, un animale preistorico che per difendersi spara puzzette. È stato divertentissimo. All’orizzonte vedi un ritorno in tv?

Non c’è più nulla di quello che facevo sul piccolo schermo. Sono nata coi personaggi e adesso, comicamente, il proliferare dei social ha creato un’accelerazione. Le imitazioni sembrano un po’ datate, non esiste un contenitore per quel tipo di umorismo. Dove ti vedresti? In una serie tv politicamente scorretta, tipo Will & Grace. E poi vorrei fare un programma sui cani: devo spodestare Michela Vittoria Brambilla da Rete 4 (ride, ndr). A parte gli scherzi, è il sogno della vita, così starei tutto il giorno in mezzo agli animali. lucia_ocone luciaoconeofficial


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ROME - MILAN - MONTECARLO - LONDON - MIAMI


UN TRENO DI LIBRI

Invito alla lettura

di Leonardo Colombati [scrittore e fondatore dell’Accademia Molly Bloom*]

NIENTE DI VERO LA SUA FAMIGLIA, L’INFANZIA VIOLENTA E L’ADOLESCENZA STRUGGENTE NELL’ULTIMO ROMANZO DI VERONICA RAIMO

N

essuno in Italia scrive come Veronica Raimo. Volete una prova? Leggete il suo ultimo romanzo, Niente di vero. Entrare tra le mura di casa Raimo e fare la conoscenza di suo padre, sua madre e suo fratello mi ha ricordato di quando da ragazzo ho ringraziato Saul Bellow e Philip Roth per avermi permesso di sbirciare dentro casa di Augie March e di Alex Portnoy. Ecco, Raimo è l’unica nostra scrittrice che mi pare possedere il fraseggio ritmico, l’ironia e la disperata vitalità (quale ossimoro può essere più caro al lettore?) dei miei prediletti autori americani. «Quando in famiglia nasce uno scrittore», scrive all’inizio del libro, «sarà lo scrittore a fare una brutta fine nel tentativo disperato di uccidere madri, padri e fratelli, per ritrovarseli inesorabilmente vivi». Mi sembra una risposta perfetta alla domanda delle cento pistole: perché si diventa scrittori? Perché prendersi la briga di raccontare i fatti propri e quelli dei propri cari, rischiando di far infuriare tutti? Diceva il cileno Roberto Bolaño: «Da una parte c’è l’abisso senza fondo e dall’altra i volti amati, i volti amati che sorridono, e i libri, e gli amici, e la tavola». Quando si ha talento, vale la pena gettarsi nell’abisso. E avere talento – quello letterario – vuol dire notare, magari sin da piccoli, “certe” cose. Forse le notano tutti. Ma gli scrittori sono i rompipalle che lo fanno ad alta voce: vogliono farti sapere che il

re è nudo o che tua madre – come in questo caso – fa il broncio come una bambina quando il mondo la mortifica e se ne sta perennemente a letto con una bandana in testa per l’emicrania ad ascoltare Radio 3. «Ho sempre preso alla lettera il detto: “Prova a metterti nei panni degli altri”», ci spiega Veronica. «Mi trovo bene in quei panni, apro armadi sconosciuti e mi infilo quello che c’è. Mi guardo allo specchio e mi riconosco». La particolarità di casa sua, poi, è che di scrittori ce ne sono due. Già, perché scrive romanzi anche il fratello di Veronica – un fratello riverito come un Seymour Glass (tanto per scomodare, dopo Bellow e Roth, un terzo gigante a stelle e strisce: nientemeno che il signor J. D. Salinger). Apprendiamo dall’autrice che questo fratello innominato (ma che non facciamo fatica a confondere con Christian Raimo) a quattro anni conosceva le capitali di tutto il mondo e i nomi dei presidenti americani in ordine cronologico, da ragazzino componeva poemetti in ottonari sulle gesta di Garibaldi e risolveva equazioni a due incognite. È in preda a soventi crisi mistiche ed è il cocco di mamma. Anche se tutta la nostra simpatia di lettori va per la pigra, insonne, stitica, anoressica e mal lavata Veronica, con un quoziente intellettivo superiore alla media ma soprattutto con la capacità di rendere (senza mai sbagliare un aggettivo, una frase, una virgola) la sua infanzia e la sua adolescenza violente e struggen-

ti con uno sguardo al tempo stesso spietato e misericordioso. È un percorso pieno di dolori quello che facciamo assieme a lei: la morte del padre, la depressione della madre, un aborto, l’incontro con una serie di squallide figure maschili (zii violenti e libidinosi, politici e produttori cinematografici dediti all’antico sport del ricatto sessuale). Ma senza mai cedere un millimetro di campo al sentimentalismo e alla retorica, Veronica Raimo riesce nel miracolo di inverare la suggestione del proprio anagramma: invocare amori. Sicuramente, si è guadagnata quello dei suoi lettori.

Einaudi, pp. 176 € 17,10

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UN TRENO DI LIBRI

BRANI TRATTI DA NIENTE DI VERO

© alexkich/Adobestock

[…] Io e mio fratello siamo diventati tutti e due scrittori. Non so cosa risponda lui quando gli chiedono come mai, io dico che è grazie a tutta la noia che ci hanno trasmesso i nostri genitori. Se mia madre era iperapprensiva, mio padre aveva una forma di paranoia più sottile. I suoi studi da chimico lo portavano a considerare il mondo un ricettacolo di agenti nocivi da cui bisognava costantemente proteggersi. Ovvero limitare il più possibile l’uscita di casa e asfissiarci tra quattro mura, che nel nostro caso erano cento. Avevo otto anni quando ci fu l’esplosione del reattore di Černobyl′. La mia famiglia, anche quando l’emergenza sembrava rientrata, continuò a vivere in uno scenario da film postapocalittico fingendo che non abitassimo in una città relativamente benestante dell’Occidente, ma in una fantascientifica Zona X ad alto tasso di contaminazione. In ogni plot catastrofista che si rispetti, quando il mondo è infetto, l’unica cosa importante è preservare i legami di sangue: la famiglia.

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Così per tre anni mio padre ci impedì di consumare frutta e verdura, uova, latte fresco, di andare a mangiare al ristorante o di comprarci un trancio di pizza per strada. L’unico cibo consentito erano prodotti in scatola confezionati prima del 26 aprile 1986. Non era semplice attenersi al protocollo, ma devo confessare che la cosa aveva un suo fascino, mi faceva sentire un’eroina in uno stato di quarantena invisibile a tutti gli altri. Restare trincerata dentro il nostro appartamento bonificato a mangiare tonno e fagioli come i pionieri, inventare scuse improbabili quando andavo a fare i compiti a casa di una compagna di classe e mi veniva offerta la merenda, o monitorare al supermercato le date di confezionamento come fossero codici segreti riservati soltanto a noi eletti. Alla fine ci ritrovammo tutti con un discreto deficit di vitamine e, nonostante mia madre ci drogasse di Be-Total e Co-Carnetina, nessuno di noi aveva una bella cera. Comunque eravamo sopravvissuti. Al massimo ce la saremmo vista con lo scorbuto. […]

[…] Il genio di casa aveva inventato

un gioco che ha scandito i nostri pomeriggi per diverse estati. Durante la controra, poi via via fino al tramonto, e fino all’ora di cena, quando eravamo costretti ad alzarci, restavamo sdraiati vicini sul pavimento, i gomiti a terra e un quadernetto di fronte per giocare alla gara dei numeri. Non giocavamo uno contro l’altra, ma uno accanto all’altra, perché il gioco non era competitivo. In realtà non era nemmeno collaborativo. Era più simile all’esercizio zen di contare le pecore che saltano la staccionata per addormentarsi. Si tirava un dado, e si segnava il numero che usciva. Passavamo ore a fare questa cosa. Devoti, assorti. Eravamo entrambi grandi fan del cinque, per cui l’unica vera tensione del gioco era sperare che il cinque uscisse più volte possibile. Che dimostrasse la sua superiorità. Mentre lanciavo il mio dado, spiavo mio fratello che lanciava il suo, intuivo nel suo sguardo concentrato la speranza che uscisse un cinque, poi seguivo la sua mano ferma e onesta che segnava una crocetta sotto il numero quattro. Appena un guizzo di rammarico negli occhi e la fede intatta pronta al prossimo lancio. Attenta a non farmi vedere, io segnavo sul mio


© spass/Adobestock

Un assaggio di lettura

quaderno una crocetta sotto il cinque, facendo calare un sipario di dita davanti al mio dado con un misero due. Riuscivo a imbrogliare in un gioco zen, non aveva senso. Eppure non riuscivo a farne a meno. Quando i miei ci chiamavano per cena e confrontavamo i quadernetti, io avevo sempre il cinque vincitore. Non so se mio fratello lo sapesse che imbrogliavo, o se non riuscisse nemmeno a contemplarla una simile meschineria. Cercava di decifrare quei dati ed era sorpreso di come scivolassero fuori da ogni regola statistica. Provava a dissotterrare un’altra possibile logica, tentava le sue prime esplorazioni nella metafisica. Come faceva a uscirmi così tanto il cinque? Poi mi dava una pacca sulla spalla e mi diceva: «Brava». Ci ho ripensato spesso a quel «brava». Mi sono chiesta se fosse per il principio dei vasi comunicanti: se mio fratello fosse costretto a tirare fuori qualche «bravo» per permettersi d’incamerare tutti gli altri rivolti a lui. Mi sono anche chiesta se fosse una delle sue prime manifestazioni di sarcasmo. Magari involontario. Mi sono chiesta se inve-

ce volesse proprio dirmi «brava» per quell’azzardo irragionevole, per il mio tentativo di spezzare la noia del suo gioco insensato facendo qualcosa di ancora più insensato. Se volesse dirmi: come facciamo a uscire da questa cameretta? Come facciamo a liberarci? […] […] Nella mia famiglia erano tutti dei gran russatori. Un suono pieno, avvolgente. Non è mai esistito il silenzio della notte. In generale non è mai esistito il silenzio. C’era sempre qualcosa di acceso: la radio, la televisione, l’aspirapolvere, il phon, il trapano, la sega circolare (il sabato era il giorno in cui mio padre costruiva i muri). Le pareti di cartongesso, i pannelli di truciolato, le porte finte non attutivano nulla. Vivevamo immersi nel ronzio fagocitante dei nostri corpi e degli impulsi elettrici. Eravamo un unico organismo compresso e stipato dentro casa che agitava la coda e sbatteva contro i tramezzi. Ci parlavamo addosso ai rumori, dentro ai rumori, il che si rivelava sempre utile per sostenere in un secondo momento che era l’altro ad

aver capito male. […] […] L’unica volta che ho provato un senso di maternità è stato un Natale a Berlino. Era il primo Natale che trascorrevo senza la mia famiglia e, benché fossi stata io a inventarmi che non ci fossero più biglietti per rimpatriare, la mattina mi svegliai con la neve e una violenta malinconia. Un mio amico mi aveva parlato di una festa in un casermone lungo il fiume. Mi aveva dato le indicazioni per arrivarci, una mappetta disegnata a mano che avevo studiato approfonditamente per occupare il tempo della solitudine. La sera mi ritrovai persa nel buio tra la fanghiglia e le pozze ghiacciate, finché trovai la fabbrica abbandonata che corrispondeva alla descrizione. Da fuori non si sentiva né la musica né il vociare di una festa. Entrai, il mio amico non c’era, in compenso c’era un gruppetto di ragazzi strafatti che si scaldava intorno a uno spiedo con un maialino carbonizzato. Nessuno si voltò verso di me, nessuno sembrò badare al mio arrivo. Sdraiati a terra c’erano dei bambini addormentati. 37


UN TRENO DI LIBRI

Un assaggio di lettura

© Serg Zastavkin/Adobestock

Mi presentai, il mio nome si librò nel vuoto della stanza senza che nessuno fosse interessato ad afferrarlo; non potevo nemmeno trincerarmi dietro la sgradevole sensazione di sentirmi un’intrusa, dal momento che l’intrusione non era stata proprio registrata. Mi misi a sedere anch’io intorno al fuoco acceso sotto al maialino. Mi versai del vino rosso da un cartone dentro una tazza con la scritta ACAB, dove aveva già bevuto qualcun altro. Il gruppetto dondolava la testa e continuava a ignorarmi. Avevo portato uno spumante, ma mi pareva fuori luogo stapparlo, e non volevo svegliare i bambini. Poi fui colta da un pensiero angoscioso, il terrore che quei fagotti sul pavimento fossero in realtà corpi morti. Mi alzai per tastare i polsi uno a uno e sentire il respiro. Non erano morti. Una bambina aprì gli occhi e mi

fece un sorriso incredibile, o forse era un sorriso qualsiasi, ma era il primo gesto vitale da quando ero arrivata. Mi fissò con aria più curiosa che sorpresa. Non sapendo che fare, mi misi ad accarezzarle i capelli. Erano biondi, con dei piccoli dread naturali. Lei mi afferrò per il gomito e mi disse: – Devo fare la pipì. […] […] Nella mia vita non vedo mai il bicchiere mezzo pieno. Nemmeno mezzo vuoto. Lo vedo sempre sul punto di rovesciarsi. Oppure non lo vedo proprio. Non c’è nessun bicchiere. Non c’è niente. Sono di fronte a un tavolino brutto e sopra il nulla. Potrebbe sparire anche il tavolino. Anzi, è già sparito. Non mi resta l’assenza, ma la perplessità. Scusate, non mi ricordo più. Cos’è che dovevo vedere? Non so dove trovare la risposta, perché a quel punto è svanita anche la domanda. A volte mi chiedo se l’indeterminatezza costante in cui vivo dipenda da una mia caratteristica innata: non mi riconosce nessuno. Non soltanto i miei parenti pugliesi, la scrittrice per cui ho appaltato una marchetta, o gente incontrata a una festa con cui ho scambiato due chiacchiere, ma nemmeno gli amici più stretti. Nel mio quartiere gira un ragazzo che si avvicina per chiederti un abbraccio e poi ti tocca il culo. Anche se so come andrà a finire, lo lascio fare, pensando alla mia frustrazione di quando mi lancio in un abbraccio e vedo l’altro fare un passo indietro perché non mi ha riconosciuto. C’è sempre qualcosa che non torna: ho gli occhiali da sole, ho i capelli più corti, più lunghi, ho cambiato colore, porto i tacchi, sono abbronzata, ho il cappuccio, ho la sciarpa, ho un supplì che mi copre la bocca. Una volta feci un provino per un mio amico regista. La sera mi chiamò in preda all’angoscia dopo aver visionato il materiale. – È stato come vedere un horror. Non puoi capire.

– No, infatti. Sosteneva che cambiassi letteralmente faccia in ogni inquadratura. Ho avuto lo stesso problema nei miei anni insieme ad A. Lui fa il fotografo. Se fosse una donna, avrebbe detto che è un artista che usa la fotografia come mezzo espressivo, ma visto che è un uomo, si accontenta di dire che fa il fotografo. Il problema è che questo non lo esimeva dal sentirsi un artista ogni volta che doveva farmi una fotografia. Mi spiace per tutte quelle donne che hanno sofferto nell’essere relegate al semplice ruolo di musa davanti a un obiettivo fotografico, vorrei però rassicurarle: poteva andare molto peggio. A. non è mai stato interessato a fotografarmi, c’era sempre qualcosa di più rilevante nel mondo: una particolare formazione calcarea, un impasto di foglie marce, una parete franata. I pochi ritratti che ho sono stati estorti o barattati con altro («Okay, però mi scrivi tu il progetto per la Biennale»). Per me è sempre rimasto un mistero cosa vedesse quando inquadrava il mio volto, cosa accadesse in quello spazio di aria e luce tra la lente e il confine del mio corpo, nella stasi contemplativa in cui io lo pregavo di non riprendermi dal basso e lui era immerso nel silenzio della creazione. Il risultato comunque erano foto imbarazzanti della mia faccia mostrificata. Nell’angosciosa deformazione dei miei lineamenti, A. riconosceva linee oscure, ombre, stratificazioni visive: non il viso della persona amata, ma un paesaggio inquietante, rovinoso, come una bruttezza rivelatoria che affiorava al mondo e sembrava placare la sua vena artistica. – Sono orrenda. – Però è una bella foto. Me l’ha sempre detto con una schiettezza disarmante, e quindi più dolorosa. Eravamo entrambi affetti dalla nostra personale disabilità visiva: lui non vedeva me e io non vedevo la sua foto. […]

ACCADEMIA MOLLY BLOOM Da questo mese la nostra rubrica Un treno di libri è a cura di Molly Bloom, l’accademia fondata a Roma da Leonardo Colombati ed Emanuele Trevi, che riunisce alcuni dei migliori scrittori, registi, sceneggiatori, musicisti e giornalisti del Paese. Con un unico fine: insegnare la scrittura creativa per applicarla ai campi della letteratura, della musica, dello spettacolo, dei media e del business. 38


Lo scaffale della Freccia a cura di Gaspare Baglio e Sandra Gesualdi TROPPA NOTTE INTORNO A ME Carlos Solito Sperling & Kupfer, pp. 288 € 25 Dante, illustratore di 35 anni, meridionale ma milanese d’adozione, si trova ad affrontare la perdita di un figlio in un tragico incidente. Così, torna nei luoghi della sua infanzia, in Irpinia. E incontra Virgilio, uno speleologo che vive nei boschi e lo accompagnerà in un viaggio ideale nelle grotte più affascinanti d'Italia, nel profondo del dolore da cui è stato irrimediabilmente segnato. Da quel cammino, il protagonista riemergerà rinato.

LONDON VOODOO Orso Tosco Minimum Fax, pp. 205 € 16 Un’insensata serie di attentati e omicidi affligge Londra. I responsabili sono persone comuni che compiono improvvisi gesti di una violenza inaudita e inspiegabile. Così, per sconfiggere il nemico invisibile, il Primo ministro crea una nuova squadra della polizia speciale. Eva B, la donna chiamata a dirigerla, mette in campo due tra i suoi uomini migliori: il Porco e Dennis Tabbot, insolitamente agili, insensibili al dolore ed esperti di voodoo urbano. Noir a tinte horror intriso di tematiche new weird.

DIMORA DI RUGGINE Khadija Abdalla Bajaber 66thand2nd, pp. 320 € 18 Aisha vive a Mombasa con la nonna e il padre, pescatore di origini Hadrami. L’uomo scompare durante una spedizione e la figlia, per rintracciarlo, salpa su una barca incantata fatta di ossa. Come guida ha solo Hamza, un gatto erudito venuto dalla Dimora di Ruggine, luogo fiabesco e irraggiungibile, mai avvistato dai naviganti. Superate diverse prove, recupera il genitore. Ma una volta tornata a casa, per sottrarsi alle pressioni di chi vuole farla sposare, riparte per il mare.

RIBELLARSI CON FILOSOFIA Matteo Saudino Vallardi, pp. 206 € 14,90 La biografia e le idee di Immanuel Kant, Karl Marx, Baruch Spinoza, Ipazia o Epicuro, approfondite e studiate, possono diventare strumenti contro il pensiero omologato e superficiale. Ne è convinto l’autore, diventato popolare con BarbaSophia, canale YouTube di divulgazione filosofica. Il sapere è un atto rivoluzionario, un vero e proprio arnese per coltivare l’indipendenza di valutazione rispetto a ciò che ci circonda.

INSEGNA AL CUORE A VEDERE Daniele Cassioli con Salvatore Vitellino De Agostini, pp. 256 € 16,90 Storie, riflessioni e incontri raccontati da uno sportivo e formatore cieco dalla nascita che, come un amico premuroso, ci accompagna alla scoperta di sé. Per farci capire come la vera disabilità sia solo la paura che blocca, rende miopi, impedisce al cuore di ragionare e scegliere al meglio. Pagine che vogliono insegnare a vivere in armonia con il mondo, valorizzando quelle qualità che ci rendono unici. A piccoli passi.

VOLERE, POTERE Martino Cafiero, a cura di Teresa Megale, Elena Lenzi Tab edizioni, pp. 380 € 28 Tra il 1878 e il 1880, a Napoli, una giovane Eleonora Duse sboccia a teatro, iniziando una carriera in ascesa. Nel romanzo d’appendice, apparso all’epoca sul Corriere del Mattino, si racconta un passaggio biografico cruciale per l’autore e l’attrice, che vivono un amore passionale e contrastato. Giornalismo e teatro si intrecciano in una storia che fa da sfondo ad alcune decisive scelte della grande interprete drammatica. 39


Lo scaffale ragazzi a cura di Claudia Cichetti

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cichettic

IO SARÒ LA PRIMA Mick Manning, Brita Granström Editoriale Scienza, pp. 48 € 15,90 (da 8 anni) Ventuno storie di donne straordinarie che hanno sfidato i pregiudizi e le convenzioni sociali. Dalla pilota Amelia Earhart alla pioniera del fotogiornalismo Lee Miller, dall’astronoma Caroline Herschel alla naturalista Jane Goodall, passando per l’astronauta Mae Jemison, la prima scalatrice dell’Everest Junko Tabei e l’oceanografa Sylvia Earle. Sono solo alcune delle protagoniste che hanno aperto la strada a nuove esplorazioni e scoperte, dimostrando che chiunque può raggiungere sogni apparentemente impossibili.

UNDICESIMO COMANDAMENTO Davide Calì, Tommaso Carozzi Kite Edizioni, pp. 48 € 18 (da 15 anni) Grazie all’emozione esclusiva delle immagini questo silent book mette i piccoli lettori di fronte a uno scenario distopico: e se un giorno, alzando gli occhi al cielo, vedessimo decine di placide balene che lo attraversano? Proveremmo meraviglia, inquietudine o paura? Si può scegliere di restare a osservare, cercare di comprendere cosa sta succedendo o agire per risolvere la situazione. Ma forse esiste anche un undicesimo comandamento: non sfidare la natura.

TUTTI PER UNO Enrico Franceschini De Agostini, pp. 240 € 13,90 (da 11 anni) Immaginate di veder scorrere davanti al finestrino i grandi eventi che hanno segnato la storia dell’Europa e i principali personaggi che ne hanno fatto parte. E poi pensate ai cittadini di oggi e a quella carrellata di iniziative che hanno portato alla creazione di una coscienza europea. Un libro per giovanissimi che spiega perché riscoprirsi abitanti di questo meraviglioso Vecchio continente. Una sfida per sentirsi parte di una stessa famiglia.

VIOLET E IL LIBRO PROIBITO Kelly Barnhill De Agostini, pp. 368 € 15,90 (da 10 anni) Violet è la principessa del regno di Andulan, si sente brutta e si nasconde dietro le storie che legge e racconta, riuscendo a rapire, con l’immaginazione dame di corte e servitori. Un giorno trova un libro che libera un’antica divinità malvagia che ammalia l’intero reame sussurrando promesse. Ogni parola proferita dall’entità sprigionata ha un prezzo. E la protagonista dovrà capire quali sono le voci amiche e trovare l’unica storia in grado di salvare il suo popolo. G.B.

IL GATTO DEL PAPA Flavio Insinna Rai Libri, pp. 128 € 15,20 (da 10 anni) Una piccola favola che va dritta al cuore. In una Roma senza tempo, il Santo Padre porta avanti il pontificato in maniera istituzionale, coadiuvato dal suo camerlengo. Ma l’imprevisto e misterioso incontro con un gatto nero e parlante lo risveglierà dal torpore morale ed emotivo di cui è vittima: emergono dubbi, pensieri e rivelazioni che portano il Papa a interrogarsi sull’essenza originaria del suo insostituibile ruolo, quello di pastore di anime. G.B.

BARKUS Patricia MacLachlan, illustrazioni Marc Boutavant HarperCollins, pp. 48 € 8,50 (da 5 anni) Nicky è la piccola di famiglia e ha trovato un nuovo amico speciale fuori dalla porta: un cagnolone esuberante, un po’ maldestro ma affettuoso e sempre scodinzolante. Da quel momento, non si separerà più da lui. Inventeranno giochi e affronteranno peripezie a misura di sei zampe. Sempre insieme, anche a scuola. La nuova avventura della collana Questo lo leggo io!, con pagine dai caratteri grandi per le primissime letture. S.G.


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INCONTRO

Eleonora Daniele nello studio della trasmissione Storie italiane

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STORIE DA RACCONTARE DAL RICORDO DEL FRATELLO LUIGI ALLE MEMORIE D’INFANZIA. LA CONDUTTRICE ELEONORA DANIELE PORTA IN TV VITE INTENSE E PROFONDE. PROPRIO COME LA SUA Andrea_Radic

andrearadic2019

© Assunta Servello

di Andrea Radic

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INCONTRO

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© Federico Guberti

accontare storie drammatiche, spesso segnate dal dolore o dalla violenza, è qualcosa che puoi fare solo con grande profondità e rispetto per le persone. «Troppo spesso i media creano il cosiddetto effetto torcia: un cono di luce illumina un fatto e poi, quando si sposta, viene tutto dimenticato. Io, al contrario, cerco di seguire gli sviluppi delle storie che racconto, accendo molte di quelle torce». A parlare così del suo lavoro è Eleonora Daniele, giornalista e conduttrice del programma Storie italiane, su Rai1, ma soprattutto sorella di Luigi, colpito dalla sindrome dell’autismo, con il quale ha vissuto sempre, fino alla sua prematura scomparsa a 44 anni. «Da bambini, la nostra passeggiata nei prati finiva sempre sotto un grande albero. Quand’ero piccolina mi sembrava una quercia, ma non so in realtà se lo fosse davvero. E lì, nel nostro posto segreto, al riparo, accendevamo la radiolina e ascoltavamo le canzoni». Un amore profondo, incondizionato, che hai raccontato nel libro Quando ti guardo negli occhi. Storia di Luigi, mio fratello. Una vera e intensa storia d’amore che va avanti ancora ogni giorno, anche nella conduzione del mio programma porto sempre con me una parte di Luigi. Ho voluto fortemente scrivere questo libro, per far rivivere mio fratello e raccontare la sua vita, chi era. È stato un viaggio profondo nell’animo e nel dolore che porto con me. Anche un momento di condivisione nel quale c’è la gioia del ricordo e delle cose belle che abbiamo vissuto insieme. Delle cose che mi ha insegnato, in particolare la capacità di ascoltare, di rispettare gli altri e tendere loro la mano. Perché lui lo faceva: era capace, anche solo con uno sguardo, di essere consolatorio. Con le tue sorelle Cosetta ed Elisa, sei presidente di Life Inside Onlus e testimonial di molte campagne solidali, tra cui dueapriletuttigiorni - ConTatto Blu, volte alla sensibilizzazione dell’inclusione di soggetti con sindrome autistica. Per me è fondamentale parlare di autismo per sostenere tante famiglie in solitudine che si sentono abbandonate. Hanno bisogno di aiuto, di sostegno e 44


Luigi, il fratello di Eleonora Daniele

di quell’ascolto che tanto mi ha insegnato mio fratello. Dove siete cresciuti? A Saonara, un paesino in provincia di Padova. Ci andavo ogni volta che potevo per stare con Luigi, anche in giornata, proprio in treno, quello che in quegli anni era l’Eurostar da Padova a Roma. Un treno che mi ha sempre tenuta legata a doppio filo a mio fratello. Negli ultimi anni della sua vita, tornavo per andare a trovarlo in ospedale, anche solo per un’ora. Era una grande storia d’amore quella tra Luigi e la nostra famiglia, comprese le mie sorelle. E si è improvvisamente spezzata quando lui se n’è andato in maniera prematura. Una piccola pausa. Eleonora parla con grande profondità di questo rapporto: parole intense, ricordi vivissimi, pezzi di vita di fronte ai quali non è possibile restare indifferenti. Così come è impossibile non emozionarsi leggendo il libro, dove i pezzi si compongono e si rincorrono. E lei spesso li rimette insieme proprio durante i viaggi in treno. «Il finestrino somiglia a una lavagna dove tutto piano piano si ricompone», scrive. «Luigi non riusciva a scrivere ma articolava le parole con attenzione, aveva una bellissima voce, spesso sogno che mi stia parlando e la riascolto. Una delle prove più difficili di una perdita è affron-

tare ogni giorno l’impossibilità di rivedere quella persona, di stare con lei e condividere ancora il tempo perduto». Quanto ti coinvolgono le storie che racconti? Nel giornalismo deve esserci obiettività, non coinvolgimento, esiste comunque un conflitto tra due parti. Poi, certo, ci sono vicende che mi toccano maggiormente il cuore. Come quelle sui genitori dei bambini disabili che, non potendo staccarsi un attimo dai propri figli, non hanno più una vita. Mi ha particolarmente colpita quella sul “bambino dai pantaloni rosa” che, schernito e preso in giro, si è tolto la vita. Sono passati dieci anni e la mamma, che ho intervistato, ha ritrovato la forza: oggi va nelle scuole a raccontare la storia del figlio, affinché non accada più. Non ti pesa tutto questo dolore contenuto negli episodi di cui parli? Riesci ancora a divertirti? C’è sempre stata in me una certa consapevolezza del dolore, fin da piccola, quando ero bambina e nello stesso tempo grande, quasi madre di mio fratello. Ma a questa unisco anche la leggerezza: sono una giocherellona, un po’ casinista, amo divertirmi. Non applico due pesi e due misure, sono me stessa e penso che nella felicità ci sia anche sofferenza e viceversa. Non fingo mai,

la vita mi ha donato soddisfazioni, Luigi è stata anche una grande gioia. Eravamo felici sotto la nostra quercia, dove coloravamo il mondo con i nostri colori. Sei veneta, terra ospitale e generosa. Mio padre Antonio aveva questo spirito, rideva sempre, era capace di strappare un sorriso anche nei momenti più difficili. Mi ha insegnato che nella vita la testa si rialza sempre con un’enorme dignità. Era molto legato al suo paese, alla sua storia, io sono cresciuta in uno dei suoi negozi, un piccolo supermercato, e nei terreni che coltivava, inclusi dei vigneti. Bellissime le vendemmie, i vicini ad aiutare, c’era la musica e pigiavamo le uve. Mio padre univa la semplicità alla felicità. Persino il giorno del suo funerale ha lasciato scritto una lettera che ha letto mia cugina, perché io non ci sono riuscita. Al termine del testo, invitava amici e paesani al bar Da Ennio per bere in suo onore e attaccare la musica di Raoul Casadei ad alto volume. Così è stato. Qual è il profumo della tua infanzia? Quello dei fiori: la violetta, il glicine con la sua intensa fioritura di agosto e un altro chiamato “gli occhi della Madonna”, una piccola margheritina azzurra con l’interno bianco. Nel libro racconti i tuoi primi provini per la tv. In famiglia, avevano qualche dubbio. 45


INCONTRO

Il manifesto della campagna dueapriletuttigiorni - ConTatto Blu

Non da parte di mamma, però. Lei recitava in teatro a Saonara e aveva lavorato come dattilografa per la zia di Pippo Baudo. Oggi compi 20 anni di carriera televisiva con ottimi ascolti, sopra il milione ogni giorno, e con le dirette da Sanremo hai toccato il 25% di share. Ciclicamente si parla di crisi della tv generalista, io la faccio da molti anni e penso il contrario: regge ancora e bene. A me piace raccontare le storie di vita delle persone. Che emozioni ti consegna il viaggio in treno? È un percorso interiore, sai di avere quelle tre ore, un tempo determinato ma infinito, se ci pensi. Il tempo del silenzio, dello sguardo fuori dal finestrino, con la campagna a perdita d’occhio, un fiume con il letto di sassi rinsecchito dal sole, una montagna innevata nonostante sia marzo. Dipende dalla tua capacità di osservare. Il treno è un oggetto elegante, una forma d’arte. Dimostri una grande voglia di conoscere. Amo imparare: non dobbiamo mai smettere di farlo, di studiare, chi si crede arrivato non lo è affatto. La vita e la sua quotidianità sono scoperte conti46

nue. Sei testimone di tanto dolore, metti mai in dubbio lo sguardo di Dio? È una domanda costante quella sul conflitto tra scienza e Dio, il bisogno di cercare spiegazioni. Ciò che mi domando e non comprendo è come l’uomo possa compiere azioni dove il male prevale sul bene. Il grande mistero è l’indole dell’uomo, non lo sguardo di Dio. Cosa detesti nelle persone e cosa invece apprezzi di più? Odio la superbia e la stupidità, che vanno sempre di pari passo, apprezzo invece l’umiltà e il coraggio di essere persone libere. Il tuo luogo del cuore? Sono due: Cetona, in provincia di Siena, e l’Argentario. In entrambi si arriva in treno. Ti piace cucinare? Ho cominciato durante il lockdown: preparavo molti piatti e sperimentavo. Il risotto me lo ha insegnato mia madre al telefono. Oggi sono diventata piuttosto brava e amo cucinare per gli altri. Mi piace anche sorseggiare un buon calice di vino e invito a bere italiano. Marzo è il mese dedicato alle donne. È un onore per me raccontare ogni giorno le loro storie, essere al loro fian-

co. Il 5 marzo saremo con la Presidenza del Senato per raccogliere importanti testimonianze di donne impegnate in vari settori. Hanno qualcosa in più? Hanno molto in più. eleonoradaniele eleonora_daniele_official

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IN VIAGGIO CON

I SENTIERI DELL’ANIMA SONO QUELLI CHE DONATELLA FINOCCHIARO PERCORRE OGNI VOLTA CHE DEVE INTERPRETARE UN RUOLO. NELLO SPETTACOLO IL FILO DI MEZZOGIORNO, IN TOUR DAL 4 APRILE, SI CIMENTA CON LA FOLLIA DI GOLIARDA SAPIENZA di Andrea Radic

U

na delusione d’amore l’ha lasciata annichilita, spaesata. Ha reagito alla tristezza iscrivendosi a un corso di teatro nella sua città, Catania. Ed è stata quella la porta girevole che ha condotto Donatella Finocchiaro verso una carriera come attrice di successo al cinema e a teatro. «Ho vissuto il classico dramma d’amore dei 20 anni, la crisi esistenziale, dalla quale ti sembra di non poterti sollevare. Ma ho reagito, cercando qualcosa che desse un senso a tutto e trovandola in un corso di teatro. Mi piaceva moltissimo, sentivo quella passione che sale e sale, così alla fine del corso mi sono presentata agli esami di ammissione per l’Accademia nazionale d'arte drammatica Silvio d'Amico. Ero insieme a una collega, ci facevamo da spalla a vicenda recitando La casa di Bernarda Alba di Federico García Lorca, io interpretavo Adele. Passo la prima selezione, ma non la prova scritta. Mi ostino e, dopo qualche mese, entro al Teatro Stabile di Catania. Così, mi dividevo tra il praticantato in uno studio legale

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Andrea_Radic

andrearadic2019

e la recitazione: la mattina in tribunale con la borsa da avvocato e la sera sul palcoscenico. A 20 anni lo fai, hai un’energia vitale incredibile, ricordo che facevo anche arte, danza, canto lirico, fotografia, tutto ciò che mi piaceva. Quanta tristezza nel vedere tanti giovani che oggi restano fermi, chiusi nella loro stanza senza seguire la voglia di conoscere e scoprire. La nostra società ha grandi colpe per tutto questo». E mentre parla la sua energia traspare da occhi e dal viso, immutata oggi come allora. I tuoi genitori erano d’accordo sul fatto che studiassi teatro? Mio padre non proprio (ride, ndr). Mi diceva: «Prima ti laurei e poi vediamo». Quando ero a Roma mi chiamava ogni sera, alle 22, per farmi desistere. Ma io niente, insistevo con passione e caparbietà. Poi un giorno venne a vedermi a teatro, recitavo nell’opera Le Mosche, di Jean-Paul Sartre. E alla fine mi disse: «Adesso ho capito perché vuoi fare l’attrice. Ma ricordati che il piatto di pasta a tavola non devi farlo mancare mai». Quando lasciai l’avvocatura

fu difficile, il primo anno rimasi ferma, nessun ruolo. Poi attraverso lo Stabile cominciai a lavorare con Lina Sastri e con Benedetta Buccellato. Un giorno arrivò a Catania la regista Roberta Torre, cercava un’attrice siciliana per il ruolo da protagonista nel film Angela, mi scelse e cominciò tutto. Un possibile futuro magistrato che inizia con un ruolo da criminale: quasi un contrappasso. L’interpretazione, per te, è più una questione di studio o nasce da una scintilla attoriale? Ne parlavo sere fa con amici attori dopo aver visto uno spettacolo di Elio Germano. Dicevamo proprio di quanto sia bello venire assorbiti dal personaggio e dimenticarsi completamente di se stessi. È la magia della recitazione. Certo devi studiare ogni passaggio emotivo, ma poi vai in scena. Quando un regista è capace di metterti nelle migliori condizioni, anche eliminando qualche aspetto tecnico a favore dell’istinto, riesci davvero a vivere il ruolo. Torre è stata la mia prima grande maestra, io non avevo mai visto una macchina da presa e lei


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© Mario Spada

IN VIAGGIO CON

Donatella Finocchiaro nello spettacolo Il filo di mezzogiorno

mi diceva: «Non guardarla, assecondala, ma cerca di non accorgertene». Secondo lei, avevo una capacità innata. Ma io ho cercato sempre di migliorare. Voglio raggiungere quel livello di verità capace di farmi scomparire dentro al personaggio. A teatro cosa è più importante per te? L’energia: nel lavoro di Mario Martone Il filo di mezzogiorno che stiamo portando in scena con Roberto De Francesco (e sarà in tour dal 4 aprile al 5 giugno, ndr), recito per un’ora e 40 50

minuti interpretando una donna dalla mente provata, Goliarda Sapienza, scrittrice e attrice realmente esistita. Recitare la follia è sempre una grande scommessa, devi saper tenere il ritmo della scena. Ho intrapreso un viaggio catartico nella disperazione di Goliarda, che non voleva arrendersi alla malattia ma uscirne. Un’evoluzione continua, un viaggio dell’anima. Di Catania, la tua città, cosa conservi nel cuore? La luce: è diversa e lo capisci appena arrivi in Sicilia. E poi gli odori e il ricor-

do di quando scendevo al mare in bicicletta. Sono cose che mi mancano, come mi manca la mia famiglia mio padre, mio fratello, i parenti e gli amici di sempre. Appena posso scappo a Catania, vado a via San Giuliano, a via Etnea. È casa mia. Tua figlia ti segue sul lavoro? Quando era più piccola veniva con me sui set, stava al trucco e mi aspettava. Ora, che ha sette anni, la porto anche a teatro: è successo per Il filo di mezzogiorno e Taddrarite, di Luana Rondinelli, che ha visto cinque volte in


sala. Lo sa a memoria, ripete le battute di tutti i personaggi mentre gioca in camera sua e per me è un’emozione grande anche se mi terrorizza l’idea che possa fare l’attrice. Ha il suo posto in un piccolo palco, il direttore di scena già lo sa e glielo indica tutte le volte. Adesso, ha cominciato addirittura a invitare gli amichetti. Se tornassi bambina, quale sarebbe il profumo della tua infanzia? Il gelsomino, il mare, la salsedine. Il primo lo sentivo in primavera, quando arrivavo nella mia città in treno e aprivo il finestrino. Da bambini andavamo sempre al mare, mio padre ci ha buttati nell’acqua a due anni dicendo: «Nuota». Ne aggiungo un altro, quello dell’arancino, con la “o” finale, come si dice a Catania. Ami più interpretare protagonisti contemporanei, realmente esistiti, o peronaggi di fantasia? Mi è capitato di recitare entrambi i ruoli. Nel mio percorso attoriale non utilizzo la tecnica dell’imitazione, bensì quella di metterci l’anima. È un mestiere complicato, devi entrare dentro

il personaggio per non risultare una sua fotocopia sbiadita. Sei stata più volte paragonata ad Anna Magnani. Avere un quarto della sua aura sarebbe già moltissimo. Nel frattempo, dopo 20 anni di carriera, cerco di essere coerente con il mio gusto e le scelte professionali. Mi pongo molte domande: accettare un ruolo oppure no? Abbracciare il progetto di un’opera prima? E se poi non si crea il giusto feeling con il regista? Il rischio della delusione è sempre presente. Io sono stata fortunata, ho sempre lavorato con anime belle, da Torre a Marco Bellocchio, da Emanuele Crialese a Mario Martone, persone con le quali ho rapporti meravigliosi. Prima, quando saltava un progetto mi arrabbiavo molto. Oggi sono fatalista: se non accade qualcosa è perché non deve accadere. Ed è meglio così. Non sopporti l’arroganza, quindi. Che cosa apprezzi? La gentilezza, il saper essere garbato con chi hai di fronte. Una vera rarità. Che emozioni ti provoca viaggiare in

treno? Per le tournée teatrali mi sposto molto, ormai è diventato una seconda casa. Prendere il treno non è solo viaggiare con il corpo ma anche farlo con la mente, che si apre completamente nel guardare e conoscere nuovi luoghi. Una sensazione di meraviglia che ti fa tornare un po’ bambina. Ricordo con grande piacere quando, per un provino a Roma, ho viaggiato in vagone letto: è stato bellissimo. Dormivo e mi presentavo fresca e bella la mattina successiva. Oggi scelgo il treno perché ti regala quel momento per te, dove puoi fare mente locale e riflettere. Tra le tue esperienze professionali, quale ti piacerebbe rivivere? Ne ho vissute molte, grazie alle anime belle che ho incontrato sul mio percorso. Forse vorrei tornare a lavorare con ciascuno di loro, per provare altre bellissime sensazioni arricchite dall’esperienza. donatellafinocchiaro.com donatellafinocchiaro

Donatella Finocchiaro con il giornalista Andrea Radic

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VISTA LAGO IN TRENO VERSO I CASTELLI ROMANI: FRASCATI, CASTEL GANDOLFO E ALBANO LAZIALE. SULLE ORME DI ANTICHE GENTI. TRA PAESAGGI LACUSTRI, DOLCI COLLINE E VILLE PONTIFICIE

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uori Roma, c’è la storia di Roma. Tracce di templi, passaggi imperiali, ville sconfinate, terme e ninfei, residenze pontificie. E un lago, un tempo vulcano, che custodisce gli abissi. I binari per i

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di Sandra Gesualdi

sandragesu

treni regionali diretti ai Castelli Romani sono in fondo alla stazione Termini, verso l’uscita di via Giolitti. Nei giorni feriali, sono battuti da pendolari e studenti. Un brulichio di zaini, occhi appiccicati di sonno, colazioni spi-

luccate sui sedili. Nessuna atmosfera delle gite fuori porta del weekend. Poco oltre, passata la Tiburtina e poi la Tuscolana, la città si allunga. Si riconoscono i cipressi del Verano, le piste per i cavalli di Capannelle, quelle


via Tuscolana. Pittoresche e colorite alcove per vigneti succulenti e cucina casereccia fin dai tempi di Lucullo e Cicerone, queste terre hanno attirato papi, imperatori, regnanti e, poi, attori e letterati. FRASCATI, LA BELLA SIGNORA Fuori dalla stazione di Frascati, in salita si raggiunge il centro del paese. Saliscendi, aria ventilata e sapore di antichità sono una costante di queste zone. A poche centinaia di metri, la cattedrale di San Pietro riempie quasi del tutto la piazza omonima con la sua facciata barocca, resa scenografica e appariscente dalla pietra sperone e dal travertino di Tivoli. È adornata da nicchie e statue, orologi, pinnacoli, rosoni. Il corso, invece,

è una via stretta tra i palazzi che presto si apre su altre due grandi piazze dove la città si anima e si incontra tra i tavolini dei caffè. Da lì parte la passeggiata pedonale e si spalanca la terrazza sulla vallata. Sotto i binari, poi, la spianata di Roma e, oltre, la linea sottile che indica l’inizio del mar Tirreno. Appoggiati nel vuoto, cubici, cromati d’aragosta e battuti dal sole si ammassano i palazzi signorili. Da questo lato, Frascati pare una bella signora agghindata nel volto per nascondere i suoi anni e un po’ di decadenza rilevata nelle viuzze strette che si intrecciano dietro. Dall’altra parte del belvedere, oltre la fontana a colonna, i cipressi e le palme, si staglia in alto, superba e solitaria,

© marcociannarel/Adobestock

per il rullaggio di Ciampino, mentre il treno taglia la periferia verso sud-est. E continua in direzione Frascati, sulla ferrovia laziale FL4, per raggiungere uno dei 16 Castelli Romani, tra le mete segnalate sulla guida di Giunti per Trenitalia, I Regionali da vivere. Lazio in treno. A una manciata di chilometri dall’Urbe, adagiati sui rilievi dolci dei Colli Albani – nati dalle vetuste attività del vulcano laziale – questi borghi si distinguono per il caratteristico centro storico, il dialetto tipico della zona, un santo o una santa patrona, monumenti o personaggi famosi che lì hanno trascorso giorni lieti. La Capitale li tiene legati a sé con antichi tiranti stradali: la via Appia, la via Latina e la

Il lago di Albano (RM)

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© cristian/Adobestock

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Vista dalla terrazza di Frascati (RM)

Villa Aldobrandini. A prima vista sembra un cartonato appiccicato sul colle Tuscolano e, un po’ tetra e ingrigita, emana un senso di struggente nostalgia per i fasti passati. Fin dal ‘500, infatti, la cittadina fu scelta dalla nobiltà romana come luogo di soggiorno e molte cascine di campagna furono ampliate e trasformate in lussuose residenze signorili, tra le quali Villa Torlonia, Falconieri, Tuscolana e Mondragone. Negli spazi delle Scuderie Aldobrandini, un tempo al servizio dell’omonima villa, oggi c’è il museo civico che espone reperti provenienti dalla città romana di Tusculum. Centinaia di frammenti risalenti all’età imperiale, giulio-claudia o repubblicana. Terrecotte di teste votive, sepolcreti, utensili e gioielli, statuette di figure femminili, satiri e dionisi raccontano di una terra da sempre abitata e attra-

© Stefano/Adobestock

Villa Aldobrandini, Frascati (RM)

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versata da popoli in movimento tra la Campania e l’Etruria. Obbligatorio da queste parti fermarsi nelle fraschette per assaggiare il bianco Frascati, vino Doc fruttato e fiorito, in cui si percepisce il sapore della campagna romana. Baciati dal clima docile del Mediterraneo, vigneti e uliveti si perdono alla vista e le molte aziende vinicole – come la Merumalia, biologica e gestita da giovani donne – ottengono freschi bianchi colorati di paglierino o rossi morbidi ed erbacei. SUL LAGO, TRA STORIA E NATURA Il cuore dei Castelli Romani è una lamina d’acqua completamente cinta da colli fitti di vegetazione, un tempo bocca di un vulcano, oggi il lago Albano. Sommario di leggende e misteri, testimonianze archeologiche e storiche, passeggiate amene o sentieri d’acqua navigabili in canoa. Lo sguar-

do lo contiene tutto nei suoi pochi chilometri di estensione, ma lui come un’ellissi si incunea nelle viscere della terra, sfiorando profondità di quasi 200 metri. Il nome lo ha preso da Alba Longa, antichissima nemica di Roma, l’acqua da piogge e polle subacquee, e sotto conserva ancora un emissario artificiale scavato dai romani nel 398 a.C. che corre fino al mare. La linea ferroviaria lo attraversa sul cratere con due gallerie. Dalla Capitale è frequentato per il suo parco naturale, le passeggiate sui sentieri lacustri, le escursioni boschive o le balneazioni dolci: un rifugio all’aria aperta a mezz’ora dalla città. I papi vi trasferirono la loro residenza estiva già dal ‘600 con Urbano VIII. E, prima di loro, gli etruschi e poi gli imperatori romani si fermarono qui per la sua posizione. Il perché lo si capisce


dopo aver scalato rampe per godersi il paesaggio dall’alto, prima di raggiungere a piedi dalla stazione Castel Gandolfo, che, a picco sul lago gli fa da faro. CASTEL GANDOLFO, CITTÀ DEI PAPI Il clima è mite per gran parte dell’anno e su questo colle antico batte una costante brezza fresca che sa di monti e odora di mare. Incastonato in uno dei borghi più belli d’Italia, una piazzetta con basilica e fontana, un centinaio di abitanti nel centro storico, Castel Gandolfo è noto in tutto il mondo per il complesso delle Ville Pontificie, 55 ettari di territorio estero che appartengono alla Città del Vaticano. Nel palazzo principale si passeggia su pavimenti in marmo intarsiato, tra decine di sale dalle pareti dipinte o ricoperte di stoffe pregiate, dove nei mesi più caldi i papi si intrattenevano con delegazioni reali, politiche o capi di Stato in visita. Il lago lo si scorge da molte delle grandi finestre, poco sotto, fermo e scuro, come se ci galleggiassimo sopra. Nella galleria, i ritratti iniziano da quel Giulio II che commissionò a Michelangelo gli affreschi della Cappella Sistina, mentre la lista dei successori di Pietro contiene tutti i 264 nomi. Lungo corri-

doi infiniti e tirati a lucido si succedono le sale del trono, quelle per i prelati e della musica. La piccola cappella privata di Urbano VIII, scrigno di intarsi e affreschi, da far perdere la testa, poi le stanze private: la biblioteca, gli studioli, gli uffici, fino alla camera da letto in stile Liberty, dopo le ristrutturazioni negli anni ‘30. Tanto sontuosi e cerimoniali, queste stanze custodiscono passaggi di umani destini anonimi che ne accrescono la poesia. Davide, guida appassionata, racconta che alla fine del ‘44, durante i bombardamenti, furono accolti qui 8400 rifugiati. Su una parete di Villa Cybo ancora si notano gli sfregi delle granate. Lo scalone del Palazzo Pontificio che sale al piano nobile, durante quei tragici giorni, di notte si trasformava in dormitorio per gli sfollati e sul letto alla francese di sua Santità nacquero 40 bambine e bambini, perché sotto gli ordigni era l’unica stanza sicura e con un generatore per l’elettricità. A memoria e gratitudine, in tanti qua si chiamano Pio, proprio come Pio XII, ed Eugenio, vero nome di papa Pacelli. La cappella privata, accanto alla camera, è cosmopolita e dedicata alla Madonna Nera. Per accedere ai giardini di villa Barbe-

rini, invece, si torna qualche metro su suolo italiano, prima di entrare nei parchi sconfinati, tanto estesi da contenere al loro interno anche un asilo pubblico e perfino una pompa di benzina. Dentro, stratificazioni di ere, paesaggi e religioni. In età imperiale, nel I secolo d. C., Diomiziano vi fece costruire una villa lunga e larga per chilometri di cui appaiano, di tanto in tanto, resti originali intrecciati a radici di alberi secolari: acquedotti, perimetri di edifici, tratti di strada a ciottoli, un portico nascosto, il teatro. Viali alberati, laghetti, giardini all’inglese o all’italiana, ortensie, cespugli di bosso squadrati, statue classiche, fontane di ninfee, fioriture variopinte fanno da scenografia a interminabili passeggiate. In fondo c’è la fattoria vaticana, brulicante di mucche, galline ovaiole, papere e disegnata da vigne e uliveti, orti e arnie: qui si producono latte e formaggi, miele, vino e olio per i pasti papali. Uscendo, su una lapide si legge in latino: «Disprezzando le piccole cose non si conquistano quelle grandi». Dal 2016, quando papa Francesco ha deciso di rinunciare alla residenza estiva, le ville sono state trasformate in un percorso museale e aperte al pubblico.

© Alberto_Patron/Adobestock

Castel Gandolfo (RM)

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© giumas

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I giardini delle Ville Pontificie, Castel Gandolfo (RM)

ALBANO, RESTI DI PASSATO A cinque minuti di treno c’è Albano Laziale, da visitare per quell’odore di arcaico leggendario di cui è avvolto. Forse il nome deriva proprio da quello di Albalonga, la città fondata da Ascanio, figlio di Enea e narrata da Virgilio. Ancora custodisce porte romane ben conservate, un tratto di Appia Antica in roccia vulcanica, terme in mattoncini rossi incastonate tra finestre e terrazze di oggi e reperti sparsi. Sono così numerosi che chi abita Albano si è abituato a convivere con un passato tanto ingombrante, dimenticandosi talvolta di salvaguardarlo. Le strade del centro salgono in salita, piene di case un po’ stropicciate e da un parcheggio si scorgono altre rovine vetuste. In alto, la vista della città si tuffa nel lago che da quassù offre un altro suo profilo tondeggiante. Inerpicandosi per cercare l’anfiteatro Severiano (III

© neiezhmakov/Adobestock

I Cisternoni, Albano Laziale (RM)

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secolo), sulle cui gradinate si riunivano quasi 15mila persone, ci si imbatte nell’ingresso dei cosiddetti Cisternoni. Su un cancello chiuso a catena c’è un piccolo cartello sgangherato con due numeri, uno del museo civico, che squilla a vuoto, l’altro di un cellulare. Risponde Angelo, il custode-Virgilio che ha le chiavi di questa architettura mai vista prima. È una delle cisterne – la più grande – che furono costruite dai romani per il rifornimento idrico di ville private e imperiali o per assicurare l’acqua all'accampamento della Legione Partica, lì insediato. Completamente intatta, sembra una cattedrale sotterranea. Buia, umida, imponente, disposta su cinque navate lunghe quasi 50 metri, capace di contenere oltre 10mila metri cubi di acqua e ancora funzionante. Scendere sul fondo di questo rozzo cetaceo di pietra, attraverso una scala di cui non si vede la fine, per perdersi

in una selva oscura di pilastri e volte a botte è un’esperienza che stupisce e spaventa. Per il tanto ingegno umano. visitcastelliromani.it

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LA FORMA DELL’ACQUA NELLA VALLE SEGNATA DAL FIUME NERA, TRA ANTICHE CITTÀ FORTEZZA, GOLE SPETTACOLARI ED ECCELLENZE DEL TERRITORIO di Floriana Schiano Moriello

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l’acqua a disegnare il percorso della valle che dalle porte di Terni si apre per cento tortuosi chilometri, su su fino a Castelsantangelo sul Nera (MC). Un susseguirsi di gole, alture verdissime talvolta anche rocciose, eremi, torri di avvistamento e timidi borghi medievali abbarbicati a mezza costa. Il Nera,

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floriana.schianomoriello

florianaschianom - floriana.fsm@gmail.com

settimo per portata tra i fiumi italiani, gorgogliando tra le rive ha segnato i destini degli abitanti della Valnerina, dando il nome a questa valle misteriosa e pressoché intatta. Un ambiente incantato, ispiratore non a caso di profonda spiritualità, tutt’uno con il suo fiume e le sue tradizioni. Ne sa qualcosa Vallo di Nera (PG), l’antica

Castrum Valli, sorta nel 1217 su concessione del podestà della vicina e potente Spoleto (PG), sulle curve concentriche di un colle a guardia della via di comunicazione sul fiume. A vederla sbucare dal verde fitto, è facile intuire le ragioni delle sue origini: la posizione eccezionale dispiegata sul poggio ne fa un avamposto stra-


© Marco Ilari

Vallo di Nera (PG)

tegico di attuale imponenza. Vallo di Nera ha conservato il suo impianto urbano grazie alle meticolose riqualiLe gole del Nera

ficazioni che si sono susseguite negli anni: case in pietra, archi, contrafforti e scalinate si aprono e si fondono di continuo, insieme a vicoli, anche coperti, detti dagli abitanti “lu bucu di Ersilia o lu bucu di Maria”, in base al nome del proprietario dell’epoca. Nata come libero castello fortificato, Vallo fu nel Medioevo la comunità più ricca della valle, dedita all’allevamento e all’agricoltura. Una prosperità che favorì la nascita di una committenza agiata, con una certa propensione per l’arte. Imperdibile a tal proposito la chiesa di Santa Maria Assunta, restaurata dopo l’ultimo sisma e riaperta al pubblico di recente. In stile tardo gotico, dalla facciata e le pareti in conci di pietra bianca e rosa, la chiesa, con la sua unica navata, rappresenta una singolare pinacoteca di affreschi di grande qualità stilistica e narrativa, realizzati tra la fine del ‘300 e gli inizi del ‘400. E se nell'abside si riconosce lo stile giottesco dei due maestri Cola di Pietro da Camerino e Francesco di Antonio da Ancona, che vi lavorarono nel 1383, sulle pareti è un'esplosione di brillanti colori che ritraggono una moltitudine di santi, papi e Madonne del latte, ex voto commissionati da devoti del posto. Tutta da ammirare la Processione dei Bianchi, risalente al 1401, straordinario documento storico del corteo di penitenti che passò realmente per Vallo nel 1399, procla-

mando la pace universale. A ridosso del castello sorge il cinquecentesco borgo dei Casali, ornato da torri colombaie, fontane e lavatoi, il tutto intorno alla chiesa votiva di San Rocco. Imboccate le intricate stradine tra una feritoia e un beccatello, si passa attraverso il romantico vicolo delle Baciafemmine, un angusto passaggio a ridosso della Porta Maggiore, tipico delle città medievali umbre. Il luogo, romantico e panoramico, ha spesso ispirato la narrativa locale, come le celebri vallanate, aneddoti leggeri sui personaggi (mitologici e non) locali. Per conoscere la sua storia vale una visita alla Casa dei racconti: centro di ricerca e documentazione dove un armadio-scultura conserva le memorie raccolte nel tempo. La vista dall’acropoli del paese è ampia e rassicurante e consente di apprezzare l’avvolgente verde dei boschi di roverelle, faggi e pini d'Aleppo: piante ottime per lo sviluppo delle tartufaie. Qui, infatti, il tartufo vegeta abbondante, al punto da aver trasformato il territorio in un immenso giacimento di oro nero: a questo proposito, Vallo di Nera vanta la qualifica di Città del tartufo. Ma non basta: questa antica città fortezza, meno di 400 anime, può fregiarsi di numerosi altri titoli virtuosi: Borgo più bello d’Italia, Bandiera arancione del Touring Club, Città dell’olio, Comune amico delle api – garanzia di ambiente sicuramente 59


© Marco Ilari

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Chiesa di Santa Maria Assunta, Vallo di Nera (PG)

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tanti. Vale quindi una visita il Museo civico a Palazzo Santi, con la sua sorprendente collezione di sculture in legno, terracotta e pietra risalenti al XIII e XV secolo: tra queste, da non perdere la statua dell’Arcangelo Raffaele con

Tobiolo, capolavoro che lascia a bocca aperta. A perpetuare in città l’operosità della santa dei casi impossibili ci pensano poi le monache di clausura del monastero: dedite non solo alla vita contemplativa, infatti, producono deliziose pastarelle, la cui ricetta ar-

Tartufo nero

© Maria Luisa Celesti

sostenibile – e Comune fiorito. Last but not least, Vallo di Nera è anche promotore di Fior di cacio, evento dedicato ai formaggi della Valnerina, tra cui spicca la ricotta salata, presidio Slow Food. Insomma, tutta una serie di titoli e attività che premiano le peculiarità del borgo e combattono lo spopolamento. E tutto ciò fa di Vallo di Nera un esempio di buona pratica da replicare in contesti simili. Scendendo dal paese, poi, si può percorrere la ciclabile lungo il percorso dell’ex ferrovia Norcia-Spoleto, costeggiando per lunghi tratti il fiume. Le acque cristalline del Nera non smettono però di stupire: addentrandosi verso nord nel profondo della vallata, all’altezza di Borgo Cerreto (PG), si uniscono a sorgenti sulfuree: qui sorgono i Bagni di Triponzo, alimentati dall’unica acqua termale umbra, salutare per corpo e mente. È proprio nei dintorni di Triponzo che il Nera incontra il Corno, suo affluente, e qui si apre l’omonima, aspra valle che conduce sino a Cascia, luogo di immensa (e celebre) spiritualità ma anche di inaspettati spunti artistici e gastronomici. La città, patria di Santa Rita, un tempo punto d’incontro tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio, fu crocevia di traffici e commerci e a metà del ‘400 raggiunse il suo massimo splendore e ben ventimila abi-


© Massimo Chiappini

Cascia (PG)

– d’archivio e nei campi – di Silvana Crespi, brillante imprenditrice agricola a cui si deve anche il recupero della roveja, oggi presidio Slow Food. Questo legume, simile a un pisello di colore scuro, saporito e nutriente, ha arricchito nei secoli passati le zuppe dei popoli della Valnerina. Riscoperta fortunosamente dall’imprenditrice, oggi la roveja è tornata sulle tavole dei ristoranti, sia come minestra che come fresca insalata estiva. E, come ci fa sapere lo chef del Quirinale, è uno dei piatti prediletti dal presidente Sergio Mattarella. Nei suoi paesi e nelle sue colture, quindi, questo territorio racconta i segni lasciati dagli uomini che hanno interagito con l’amCascata delle Marmore (TR)

© Alessio Russo/AdobeStock

rivò dalla Sicilia con suor Pia, più di cento anni fa. La loro vendita mira a sostenere la costruzione della Casa di Santa Rita, edificio destinato a ospitare le famiglie dei malati ricoverati negli ospedali locali. Tra le innumerevoli eccellenze agroalimentari del territorio casciano vale la pena citare un legume antico, la roveja, e lo zafferano, che con i suoi fiori colora di viola i paesaggi all’inizio di ogni autunno. Lo zafferano purissimo di Cascia è infatti uno dei prodotti agroalimentari tradizionali dell’Umbria. Coltivato fino al ‘500 e poi inspiegabilmente scomparso, ha ripreso a essere prodotto nel 2000, grazie anche all’indefesso lavoro di ricerca

biente naturale senza mai sovrastarlo. Merita una sosta anche la cascata delle Marmore, proprio ai confini della valle solcata dal Nera, secondo sito più visitato dell’Umbria e, tramite le riprese del regista premio Oscar Gabriele Salvatores, testimonial delle bellezze italiane a Expo Dubai 2020. Anche stavolta l’acqua è protagonista. La straordinaria opera di architettura idraulica risale al 271 a.C., quando il console romano Manio Curio Dentato, per liberare la piana reatina dalle stagnanti acque del Velino, ordinò lo scavo di un canale, la Cava Curiana, presso la rupe di Marmore, in modo da convogliarle più in basso verso il letto del Nera. Inizia così la lunga storia della cascata artificiale, diventata attrazione mondiale: 165 metri articolati in tre grossi salti, di cui il primo, di 85, è il più alto al mondo. Il ricorso all’intervento dell’uomo ha modificato l’assetto originario, permettendo però al contempo che la natura prendesse poi possesso dell’area, rendendola scenografica e preziosa anche dal punto di vista della biodiversità ormai presente. La sua spettacolarità ha incantato e ispirato scrittori e poeti di ogni tempo, da Virgilio a Cicerone fino a Lord Byron e oggi a raccontarne il passato, il presente e il futuro c’è Hydra, il museo multimediale che completa l’offerta del parco. Inoltre, dal XIX secolo la forza motrice dell’acqua viene utilizzata per generare energia elettrica e alimentare le acciaierie di Terni. Tutto torna: l’acqua del Nera continua a fare storia e ad accompagnare costantemente chi va, chi torna e chi resta. 61


TRAVEL

L’ANELLO DELLE

© Harald Wisthaler

DOLOMITI

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UNISCE QUATTRO STORICHE VALLATE LADINE TRA TRENTINO, ALTO ADIGE E VENETO. IL GIRO DEI QUATTRO PASSI, INTORNO AL MASSICCIO DEL SELLA, È LO SKITOUR PIÙ FAMOSO AL MONDO di Valentina Lo Surdo ilmondodiabha.it

C’

valentina.losurdo.3

è chi lo conosce come Giro dei quattro passi, chi come Sellaronda: certo è che questo straordinario tour è il più amato dagli sciatori di tutto il mondo. Circa 40 km da compiere in senso orario o antiorario, di cui almeno 26 con gli sci – i restanti sono coperti dagli impianti – seguendo la segnaletica verde o arancione. E se la maggior parte di chi lo intraprende si accontenta di tornare al punto di partenza, l’opportunità offerta dalla Sellaronda è in realtà ancora più grande. Un tour mitico che, come racconta Sandro Lazzari, pioniere del turismo invernale in Val Gardena, tra i fondatori e a lungo presidente di Dolomiti Superski è «nato spontaneamente negli anni ‘60, tra gli

ValuLoSurdo

ilmondodiabha

appassionati di sci che volevano guardare le Dolomiti oltre che scendere giù dalle piste». È fondamentale cogliere alcuni aspetti che lo rendono un capolavoro non solo per la ricchezza del percorso sciistico, ma anche dal punto di vista paesaggistico e culturale. Ci riferiamo in particolare a due opportunità: la possibilità di utilizzare il Giro dei quattro passi per esplorare i comprensori sciistici che da esso si diramano, e l’occasione di scoprire, attraverso di essi, la loro matrice comune, che a ben ascoltare parla la lingua ladina. Il Giro intorno al massiccio dolomitico del Sella (BZ), infatti, descrive l’abbraccio

reale e simbolico tra quattro delle cinque storiche vallate ladine comprese tra Trentino, Alto Adige e Veneto. È proprio dall’unione di una delle più antiche e specifiche culture presenti sul suolo italiano che negli anni ‘70 si formalizzò questo mitico tour, la cui estensione a ulteriori valli diede vita nel 1974 al più grande progetto di turismo consorziato del mondo: il Dolomiti Superski, con 1.200 chilometri di piste, 450 impianti e una capacità ricettiva di 210mila posti letto.

Sassolungo, Val Gardena

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© grahof_photo/Adobestock

TRAVEL

Col Rodella, Val di Fassa

Impressionante, dunque, pensare che una minoranza linguistica di appena 38mila persone – tanti sono i ladini al giorno d’oggi – sia stata capace di un’impresa così grande. Al tempo stesso, però, questo ci ribadisce la forza di una cultura nata dal contatto delle genti che abitano le Alpi da migliaia di anni e l’Impero romano, che qui giunse nel 15 a.C. La lingua ladina, infatti, sorella dell’italiano e di tutte le altre di origine neolatina, rappresenta la popolazione rimasta caparbiamente ad abitare le montagne: un popolo che ha attraversato secoli di un’esistenza impervia non soltanto da un punto di vista

© ingusk/Adobestock

Val Gardena

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meteorologico, ma anche sociale ed economico. Basti pensare che, prima della nascita del turismo invernale subito dopo il secondo dopoguerra, i ladini versavano in condizioni di povertà assoluta, portando avanti una vita di stampo contadino, basata su una sussistenza di base. «Tutto cambiò quando mio nonno Erich Kostner», ricorda Andy Varallo, presidente di Dolomiti Superski, del Consorzio impianti a fune Alta Badia e della Fis Ski World Cup Alta Badia, «ebbe un’intuizione che cambiò per sempre il destino di queste montagne. Era il 1946 quando creò il primo impianto di risalita in Italia per sostituire una rudimentale slittovia

che portava i primi intrepidi sciatori in cima al Col Alt, simbolo di Corvara, messa fuori funzione nel corso della Seconda guerra mondiale». Grazie a Kostner, l’industria degli impianti di risalita divenne in breve fiorente in Alta Badia, sviluppandosi nelle valli circostanti. Di lì a qualche decennio, «nacque l’idea di creare un biglietto unico per i frequentatori della Sellaronda, costretti a prendere in mano il portafogli per pagare a ogni impianto», ricorda Lazzari. L’iniziativa partì da un gruppo di illuminati imprenditori convocati nella primavera del 1973 dallo stesso Kostner: Ugo Illing, Erich Kastlunger,


Cabinovia Boé a Corvara, in Val Badia

Gottfried Declara, Paolo Fosco, Franz e Fiorenzo Perathoner. Senza rendersene conto, stavano dando vita al biglietto unico non solo per la Sellaronda, ma anche per il Dolomiti Superski: poco dopo, infatti, aderirono anche le valli di Cortina e la Val Pusteria – anch’esse fortemente caratterizzate dalla cultura ladina, ampezzana nel primo caso, puntereste e ladina nel secondo – e i successivi anni videro poi l’adesione di ulteriori comprensori per un totale di 12 valli. Se si dovesse tuttavia delineare un nucleo centrale, esso è inevitabilmente rappresentato dalla Sellaronda al punto che, come spiega Diego Clara, addetto stampa di Dolomiti Superski, «i 15mila passaggi quotidiani di turisti invernali sulla Sellaronda nelle giornate di punta corrispondono a circa 3 milioni di utenti unici in una stagione, per un totale di 150 milioni di passaggi lungo tutto l’arco del Dolomiti Superski». Insomma, la Sellaronda è un rito obbligato per gli appassionati di sci e vale la pena sfruttarlo al meglio. Come spiega ancora lo stesso Clara: «Il circuito si compone del classico Giro dei quattro passi, e il segreto per goderne a pieno è integrarlo con le sue infinite varianti. Per questo, più che un anello, ci piace considerarlo una sorta di sole, con un nucleo centrale e tanti raggi intorno

che segnano le direttrici capaci di ampliare notevolmente il dominio sciabile centrale, abbracciando circa 600 chilometri di piste percorribili con gli sci ai piedi». Dunque, prendete nota e considerate queste indicazioni utili a trascorrere ogni giornata sulle piste in modo diverso, sfruttando la Sellaronda come circuito di base, indispensabile a raggiungere scenari ogni giorno differenti: «In Val Gardena, scavallando il passo Gardena dopo aver goduto della stupenda veduta dalla terrazza Dantercepies, vale la pena soffermarsi nell'area Col Raiser/Seceda o passare addirittura all’Alpe di Siusi e poi rientrare attraverso Monte Pana e Ciampinoi nella Sellaronda. In Val di Fassa, svalicato il passo Sella e dopo esserci riempiti gli occhi dal Col Rodella, si può proseguire da Alba di Canazei per Ciampac e la Val Jumela verso Buffaure sino a Pozza di Fassa. Da Arabba, invece, dopo esserci soffermati sulla vista mozzafiato dal Pordoi, si può facilmente raggiungere la Marmolada per un’esperienza unica sulla cima più alta delle Dolomiti (3.343 m), che è anche l’unico ghiacciaio nel Dolomiti Superski. E in Alta Badia, lasciandoci alle spalle il più morbido dei quattro passi, il Campolongo, si apre allo sguardo il vasto altopiano del Pralongià, capace

di offrire l’esperienza di un vero e proprio viaggio sciistico, grazie alle sue piste lunghe e dolci». E poi va ricordato anche il secondo aspetto fondamentale del tour, quello culturale, come specifica Varallo: «Approfondendo ogni singola vallata da un punto di vista sciistico, si entra in contatto con quattro differenti mondi compresi nella cultura ladina. Ogni valle porta infatti il suo dialetto, il proprio stampo architettonico, una differente tradizione culinaria che si può cogliere assaggiando i piatti nei rifugi, una più spiccata tendenza culturale indirizzata verso l’italiano o il tedesco. Ciò che è certo, comunque, è che in questa impresa comune ognuno lavora per portare benefici anche alle valli vicine, sviluppando simultaneamente sia il turismo ad alta quota sia quello a fondovalle». Non dimentichiamo infine che Sellaronda è una realtà ormai consolidata anche d’estate, come conferma Clara: «L’attraversamento delle province di Bolzano, Trento e Belluno è un’esperienza ormai apprezzata anche nel periodo estivo, in bicicletta o a piedi, utilizzando gli oltre 100 impianti di risalita che restano aperti entro e oltre il percorso della Sellaronda, grazie al circuito della Dolomiti Supersummer». dolomitisuperski.com 65


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MEMORIE DAL SOTTOSUOLO ANTRI INFERNALI, SORGENTI SOTTERRANEE, CAPOLAVORI D’INGEGNERIA IDRAULICA. UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEI POZZI D’ITALIA, CUSTODI DI LEGGENDE NASCOSTE SOTTO I NOSTRI PIEDI di Peppe Iannicelli

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Pozzo di San Patrizio, a Orvieto (TR)

indispensabile per la vita. Privati del suo apporto, gli uomini sono condannati a morte e le città destinate a perire. Papa Clemente VII lo sapeva bene. Scampato al Sacco di Roma del 1527, il pontefice ordinò la costruzione di un gigantesco pozzo nella città fortificata di Orvieto, dove avrebbe trovato rifugio in caso di pericolo: profondo 54 metri, avrebbe garantito il necessario approvvigionamento idrico durante un lungo assedio. Antonio da Sangallo, con la collabora-

zione di Giovanni Battista da Cortona, realizzò un vero e proprio capolavoro d’ingegneria idraulica, oggi ammirato dai visitatori di tutto il mondo. La sorgente si raggiunge attraverso due rampe elicoidali a senso unico con 248 gradini. Il percorso carrabile consentiva di trasportare l’acqua estratta dal pozzo con i muli senza che i flussi di discesa e salita s’intralciassero reciprocamente. Questo cilindro largo 13 metri, illuminato in modo naturale e suggestivo da 72 finestroni, trasferisce i visita-

© Roberto Favini/AdobeStock

U

t bibat populus, affinché il popolo possa bere. Papa Clemente VII incaricò Benvenuto Cellini di coniare una moneta speciale per celebrare la costruzione del pozzo di San Patrizio, a Orvieto (TR). Nel prezioso metallo l’artista impresse Mosé che, battendo una roccia con il bastone, fa sgorgare l’acqua della salvezza per dissetare gli ebrei erranti nel deserto. Di tutti gli elementi presenti in natura, l’acqua è certamente il più prezioso e

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© greta gabaglio/Adobestock

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Pozzo etrusco, Perugia

tori in una dimensione quasi magica. Inizialmente, era chiamato il pozzo della Rocca. A metà dell‘800 venne rinominato facendo riferimento alle leggende collegate a San Patrizio, il patrono d’Irlanda, convinto che queste opere idrauliche fossero una sorta di accesso all’inferno presso

© Massimo Beccegato/Adobestock

Pozzo della Polenta, Corinaldo (AN)

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le quali fermarsi a pregare e meditare. Quest’aura di mistero continua ad ammantare non solo il pozzo di Orvieto, nel quale i turisti lanciano monetine beneauguranti, come nella Fontana di Trevi, ma anche altri pozzi storici scavati nelle viscere profonde delle città italiane.

IL POZZO DELLA POLENTA E LA SUA LEGGENDA A metà della Piaggia di Corinaldo (AN), maestosa scalinata delle Marche, i visitatori ammirano il pozzo della Polenta, che a metà luglio diventa meta di rievocazioni storiche ed eventi popolari. L’origine del


alla cavità. Così, qualche fantasioso buontempone raccontò all’osteria che avesse lanciato nel pozzo anche delle salsicce e che qualche massaia avesse aggiunto del sugo a questa immaginaria pietanza degna del paese dei matti. I MUNACIELLI NEL SOTTOSUOLO DI NAPOLI Se a Corinaldo il pozzo produce polenta, la situazione a Napoli è ben più seria. Dal sottosuolo di Partenope, Sotterranei di Napoli

© manola72/Adobestock

nome è burlesca. Un contadino portava sulle spalle un pesante sacco di granturco e, giunto a metà della gradinata, lo poggiò sul bordo del pozzo per riposarsi un attimo. Per disgrazia, il prezioso bagaglio finì in fondo al pozzo e il contadino disperato cercò in tutti i modi di recuperarlo, imbrattandosi di farina e richiamando l’attenzione dei passanti. Quando riemerse, sembrava avesse effettivamente mangiato la polenta in fondo

infatti, emergevano i munacielli a turbare la pace domestica. Tra il ‘500 e il ‘600 furono scavati nel ventre tufaceo di Napoli centinaia di pozzi direttamente collegati alle abitazioni con una botola. Ogni famiglia attingeva l’acqua con secchi e carrucole, ma le condotte avevano bisogno di periodica manutenzione. Tale lavoro era affidato ad agilissimi operai che s’infilavano nei cunicoli indossando una sorta di saio che li faceva sembrare dei monaci. Tra leggende e dicerie, i “munacielli” diventarono una presenza costante nell’immaginario familiare partenopeo per giustificare piccoli furti, tradimenti, danni nelle abitazioni. Le visite alla zona sotterranea di Napoli consentono di accedere a pozzi e cisterne e, magari, imbattersi in qualche munaciello superstite. SORGENTI SOTTERRANEE DAGLI ETRUSCHI AL RINASCIMENTO Palazzo Sorbello, a Perugia, custodisce il pozzo etrusco, la cui costruzione si può far risalire addirittura al III secolo avanti Cristo. Con una canna cilindrica che raggiunge la profondità di 37 metri, ha garantito un rifornimento idrico costante alla città umbra anche nei momenti più drammatici della sua storia. Siena, invece, è lontana dai corsi d’acqua. E, nel corso dei secoli, i contradaioli hanno dovuto attingere a sorgenti sotterranee oppure alla canalizzazione dell’acqua piovana. Nel sottosuolo sono stati dunque realizzati 25 km di gallerie, oggi visitabili grazie a una serie di appuntamenti organizzati dal Comune. La costruzione di questi “bottini” ha garantito il rifornimento idrico della città del Palio contribuendo alla sua potenza economica e culturale. Il Palazzo Ducale di Urbino, vera e propria città nella città, era servito da pozzi e cisterne che il Gruppo speleologico locale ha riportato alla luce. Un ingegnoso dedalo di stanze e cunicoli che avevano lo scopo di raccogliere le acque piovane destinate a soddisfare il fabbisogno idrico della corte. In questo viaggio sotterraneo, accompagnati da guide esperte, si possono ammirare la condotta di Santa Lucia e le quattro cappelle del Santissimo Crocifisso della Grotta. 69


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ITALIA IN VERDE IL 17 MARZO MONUMENTI ILLUMINATI E FESTEGGIAMENTI IN TUTTO IL PAESE PER CELEBRARE SAN PATRIZIO, PATRONO D’IRLANDA

di Francesca Smacchia

© Foto PellegriniI

È appunto legato al mito il fascino che la sua immagine esercita su milioni di italiani. A Roma intorno alla Basilica di San Clemente, officiata dai padri domenicani irlandesi, si raccoglie un’antica assemblea di irlandesi che ogni anno festeggiano l’anniversario del patrono. E in tutto il Paese, la sera del 17 marzo, i principali siti e monumenti cittadini si colorano di verde per il Global Greening, iniziati-

La Torre di Pisa illuminata di verde per il Global Greening 2021

N

on è San Francesco, non si tratta di San Gennaro. Eppure, è uno dei santi più conosciuti in Italia. Stiamo parlando del patrono d’Irlanda, San Patrizio, le cui celebrazioni ricorrono il 17 marzo. Sarà perché l’eredità culturale dell’isola è tramandata e diffusa dalle numerose comunità di irlandesi sparse nel Paese, oppure perché il colore verde associato all’Irlanda piace molto anche agli italiani, resta il fatto che ogni anno in Italia sono numerose le

persone che si uniscono ai festeggiamenti del Saint Patrick’s Day. Quando si parla di San Patrizio, ci si riferisce a una figura tra le più straordinarie del panorama agiografico. Gli sono stati attribuiti molti miracoli, tra i quali il merito di aver cacciato tutti i rettili dall'isola, in modo particolare i serpenti. E la leggenda vuole che abbia utilizzato il trifoglio per spiegare il concetto cristiano della Trinità ai celti, durante la sua missione di conversione al cattolicesimo.

va culturale globale lanciata nel 2010 dall’ente del turismo irlandese con l’illuminazione della Sydney Opera House in Australia. Quest’anno è prevista l’accensione di circa 40 monumenti, dalla Torre Pendente di Pisa al Palazzo del Municipio di Parma, da Villa Spada a Roma a Palazzo Cabrino di Novara, da Castel Nanno in Val di Non al Pozzo di San Patrizio a Orvieto (TR) da Palazzo Merlato di Procida, Capitale della cultura 2022, all’UniCredit Tower di Milano. Il capoluogo lombardo rende omaggio al santo anche con l’Irish Week, dal 14 al 20 marzo: un’intera settimana dedicata all’Irlanda con diversi appuntamenti, sia in presenza sia digitali, tra cui una mostra fotografica, performance di street art, una rassegna di film in lingua inglese ed eventi a tema in pub e ristoranti per celebrare il patrono dell’Isola di Smeraldo. Tutti gli aggiornamenti su irlanda.com.

© Tourism Ireland

I LUOGHI DEL SANTO

La Cattedrale della Santissima Trinità a Downpatrick, in Irlanda del Nord 70

Chi vuole scoprire le terre di San Patrizio può spingersi nell'attuale Irlanda del Nord e visitare lo Slemish Mountain, nella contea di Antrim: qui sorgeva la prima casa del patrono, dove pare facesse il pastore. Ma anche la Chiesa di Saul, nella contea di Down, dove il santo visse fino alla sua morte, e, sempre nella stessa contea, la Cattedrale della Santissima Trinità di Downpatrick, dove si ritiene sia stato seppellito l’apostolo d’Irlanda. Infine, chi ama viaggiare a piedi può percorrere il Saint Patrick’s Trail, un itinerario di circa 148 km attraverso i più importanti siti cristiani legati al santo.



IL PAESE DEI MILLE PAESI di Osvaldo Bevilacqua [Direttore editoriale Vdgmagazine.it e ambasciatore dei Borghi più belli d’Italia] Foto © Gianni Nicosia

IL BORGO DEI MISTERI A TRIORA, GIOIELLO DELL’ENTROTERRA LIGURE CHE ALLA FINE DEL ‘500 FU SEDE DI UNO DEI PIÙ FAMOSI PROCESSI PER STREGONERIA

C’

è ancora qualcuno che crede alle streghe? Per intere generazioni, questo spauracchio è stato agitato da genitori e nonni con l’obiettivo di calmare i bambini capricciosi e dispettosi. Per rispondere a qualche domanda

Triora (IM) dall'alto

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sulla loro esistenza, vi condurrò alla scoperta di un gioiello dell’entroterra ligure: Triora (IM), uno dei borghi più belli d’Italia, incastonato nell’Alta Valle Argentina, anticamente via del sale e granaio della Repubblica di Genova. Circondato da una natura rigogliosa

e selvaggia, ricca di corsi d’acqua, il principale dei quali è il torrente Argentina che attraversa la valle, Triora colpisce il visitatore per i suoi romantici caruggi e le suggestive atmosfere delle sue case in pietra con i caratteristici tetti d’ardesia.


vdgmagazine.it

© Società tarquiniense d'arte e storia

a cura di

In questa pagina, due scorci di Triora (IM)

In questa serena cornice si stenta a immaginare la lugubre vicenda che vide coinvolte decine di persone, in prevalenza donne, iniziata nell’estate del 1588 e conclusasi l’anno seguente, in uno dei più famosi processi per stregoneria celebrati nella penisola. Un dramma frutto del pregiudizio so-

ciale e del fanatismo religioso che, anche senza roghi, lasciò comunque la sua scia di dolore e morte. Oggi Triora è conosciuta come la Salem d’Italia, anche se cronologicamente sarebbe più corretto il contrario visto che la città americana fu sede di una vasta caccia alle streghe

nel 1687. Da quando ha raggiunto la fama di borgo delle streghe, la città ha scongiurato un graduale spopolamento grazie a importanti iniziative sul tema della magia e della stregoneria storica che richiamano turisti da tutto il mondo. Triora è sede del primo Museo etno-

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IL PAESE DEI MILLE PAESI

Antonietta Chetta, l'ultima signora delle erbe di Triora (IM)

storico della stregoneria, realizzato su progetto dell’architetto Luca Dolmetta e curato, per la parte scientifica, dallo storico Paolo Portone. Nelle quattro sale di Palazzo Stella, lo stesso dove furono celebrati i processi e da cui si gettò, per la disperazione, una delle accusate, i visitatori possono immergersi nella cultura delle persone definite streghe, nelle coordinate del pensiero magico, nelle figure di riferimento appartenenti alla mitologia arcaica e classica, nei saperi erboristici tramandati soprattutto dalle donne. Chi si trovasse a passare dal borgo non deve perdere l’occasione di incontrare Antonietta Chetta, l’ultima signora delle erbe, un’arzilla 90enne che, oltre a un magnifico sorriso, vi svelerà i segreti per conservare la salute grazie ai rimedi naturali, frutto della sua intensa esperienza nella raccolta delle

piante officinali. Le conoscenze erboristiche delle donne definite streghe, infatti, erano assolutamente analoghe a quelle della medicina monastica e ospedaliera. Dopo una mia intervista esclusiva, Antonietta è diventata una star dei social e della tv. Si è ormai consolidato un “pellegrinaggio” di giornalisti, turisti e curiosi che si rivolgono a lei per curarsi con le piante officinali. E la signora delle erbe ha una risposta per (quasi) tutti i malanni. Merita una visita anche la chiesa di San Bernardino, eretta agli inizi del XV secolo in posizione strategica, lungo la via dei pellegrini che dal mare volevano raggiungere i paesi montani fino alla Francia. All’interno, alcuni dipinti murali di grandi dimensioni hanno come sfondo il tema del Giudizio Universale. Tra questi, spicca una delle primissime testimonianze della nuova

eresia delle streghe in cui alcune fattucchiere sono raffigurate mentre ardono in una fornace infernale. Da non perdere la Collegiata, chiesa di origine medievale che sorge su un tempio pagano, e il Museo etnografico in cui sono raccolti numerosi oggetti antichi, talvolta usati ancora oggi dai discendenti di contadini e pastori. Per completare la visita del borgo ci si può fermare ad assaggiare la cucina locale: i ravioli di magro con ricotta e borraggine (in alternativa con bietole o spinaci), le tagliatelle al sugo di coniglio, gli gnocchi di zucca con burro e timo, i bügaeli (grumi di farina di castagne cotti in acqua salata e serviti con latte caldo), i ciapazöi, una pasta verde di forma quadrangolare condita con sugo di funghi e le patate nella teglia, cotte sulla brace, da gustare direttamente dentro una foglia di castagno.

DOLCI DAL SAPORE ANTICO di Sandra Jacopucci

Turrun o cubaite

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A Triora si chiamano turrun, in altri comuni limitrofi prendono il nome di cubaite. Sono dolci di origine araba dal sapore antico diffusi, con diverse denominazioni e declinazioni, anche in altre regioni d’Italia. Per le due ostie, le nèggie, ricavate da una pastella di acqua e farina, si utilizzava uno speciale attrezzo di ferro a forma di pinza con due cerchi sovrapposti a una delle estremità: una sorta di stampo che permetteva anche di imprimere un simbolo sulla superficie. Il ripieno è un composto di miele di castagno, nocciole, mandorle e gherigli di noci tostate. Dopo averlo cotto per un’ora sul fuoco, a temperatura controllata, in una pentola di terracotta, si aggiunge la scorza tritata di mandarino o arancia.


GENIUS LOCI di Peppone Calabrese PepponeCalabrese [Conduttore Rai1, oste e gastronomo]

peppone_calabrese

COLTIVARE LA COOPERAZIONE

© Leonardo Golzato

A BASSANO DEL GRAPPA, LA FATTORIA SOCIALE CONCA D’ORO VENDE ORTAGGI BIOLOGICI COLTIVATI DA GIOVANI CON DISABILITÀ PSICHICA. CONIUGANDO SVILUPPO SOSTENIBILE E CULTURA DELLA SOLIDARIETÀ

La fattoria sociale Conca d’oro a Bassano del Grappa (VI)

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er entrare nel cuore di Bassano del Grappa (VI) c’è una sorta di rito da compiere. Bisogna attraversare Ponte vecchio, detto anche degli alpini, cantando: «Sul ponte di Bassano noi ci darem la mano, noi ci darem la mano ed un bacin d’amor, ed un bacin d’amore». Realizzato su progetto di Andrea Palladio, questo gioiello sul Brenta coperto

in legno è considerato uno dei ponti più caratteristici d'Italia. Arrivo lì davanti in bici e, prima di imboccarlo, scendo dal sellino per attraversarlo lentamente e respirare la storia che trasuda da questo luogo. Dal 1928, infatti, questo ponte è dedicato alla memoria delle centinaia di migliaia di soldati, alpini nella maggior parte dei casi, che durante la Prima

guerra mondiale lo hanno percorso per salire sull'altopiano, teatro di sanguinosi combattimenti. L’ingresso a Bassano del Grappa è frizzante: giovani che suonano sotto un arco, mercato all’aria aperta, gente sorridente che fa colazione nei bar. Mi fermo anche io a prendere un cappuccino e un trancio di ciambellone bassanese, dolce tipico simile al pa75


GENIUS LOCI

nettone, ma molto più semplice e veloce da preparare, meno spugnoso e più ricco. Il suo aroma è intenso, in più è molto goloso, insomma la giornata è iniziata proprio bene. Mi faccio strada con la bici tra la gente e arrivo nella parte del mercato più colorata e ghiotta. Tra i tanti banchi gastronomici, me ne incuriosisce uno in particolare. Quello di una fattoria sociale, la sola dell’intero mercato che vende prodotti biologici. Inizio a fare domande e apprendo che si chiama Conca d’oro e, da anni, cerca non solo di produrre con modalità che siano rispettose della terra ma vogliono anche coltivare la bellezza. C’è Filippo alla bilancia, Monica alla cassa che segue i clienti e Marco e Luca che coordinano il lavoro di tutti. Filippo è un ragazzo affetto dalla sindrome di down, molto scrupoloso nel suo lavoro, conosce i codici e i prezzi dei prodotti e tiene tutto sotto controllo. Gli chiedo quanti giorni lavora

al mercato e la risposta è secca: «Io lavoro anche in fattoria, dove sto in bottega, al ristorante e nei laboratori». Mi incuriosisco sempre di più, chiedo indicazioni e mi viene indicato Fabio per avere informazioni più dettagliate. Mi avvicino e chiedo quale sia la strada da percorrere e se posso raggiungere il posto in bicicletta. La risposta è affermativa e così ci avviamo in direzione Trento. Il paesaggio è in perfetta sintonia con la nostra passeggiata lenta, prima d’imboccare la Valsugana facciamo una breve digressione a sinistra e siamo arrivati. Lungo il tragitto Fabio, che si cognome fa Comunello ed è presidente della fattoria, mi parla di un luogo particolarmente gradevole in cui si producono e si vendono ortaggi coltivati da giovani con disabilità psichica: «Li chiamiamo apprendisti, sono coordinati e sostenuti da noi operatori, che siamo costituiti in cooperativa». Lasciamo le biciclette e continuiamo

© Leonardo Golzato

Gli apprendisti con un operatore della bio fattoria Conca d’oro

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la nostra chiacchierata: «In realtà, le attività che si svolgono all’interno della struttura sono molte. Oltre alla gestione dei campi e delle serre, vengono prodotte squisite marmellate e creme di verdura e si panifica utilizzando la pasta madre e la farina prodotta partendo dal nostro frumento. È attivo anche un ristorante segnalato da diverse guide di settore e realizziamo alcuni manufatti molto ricercati soprattutto in occasione delle festività». Insomma questa impresa, che qualcuno ha definito “diversamente agricola”, ha avvicinato alla terra giovani con difficoltà cognitive che hanno potuto e saputo creare una comunità dove si trovano solo prodotti di alta qualità. Ma una buona insalata o un broccolo, offerti alle persone che sempre più numerose frequentano la fattoria, non sono solo fonte di reddito: diventano anche veicolo di relazioni e di riconoscimento del loro operato.


© Freesurf/AdobeStock

Il Ponte vecchio a Bassano del Grappa (VI)

favorire la collaborazione tra contesti diversi: guida il pensiero, le parole, le intenzioni e le azioni così da suggestionare il comportamento di tutti gli attori che co-costruiscono e realizzano segmenti di progetti di vita basati sul benessere e sul fare condiviso. Inizia a farsi sentire la fame ma prima vorrei che mi sintetizzasse tutto l’operato della bio fattoria: «Se chiedi agli operatori che cos’è Conca d’Oro», precisa Fabio, «ti rispondono che è un’impresa capace di stare sul mercato ma anche di saper fare sintesi apparentemente impossibili fra la sobrietà e lo sviluppo sostenibile. Perché i beni a disposizione, la terra che ci dà da mangiare e l’aria che respiriamo sembrano non tollerare altri insulti». È in grado di fare una sintesi, continua, «fra la scienza che spinge il pro-

Uno degli apprendisti mentre impasta il pane per il ristorante della fattoria

© Leonardo Golzato

Cresce il mio interesse e chiedo a Fabio quanti sono: «Più di 40», mi risponde orgoglioso. E continua: «I nostri giovani apprendisti con i loro operatori non coltivano solo ortaggi e non offrono solo buon cibo ma, fra mille contraddizioni e difficoltà, cercano di coltivare la cooperazione che esclude la competizione esasperata ma include l’emulazione. Alla base c’è la solidarietà, grazie alla quale anche il meno abile può trovare una buona ragione per vivere con gioia e soddisfazione». Sono molto affascinato dalla cura con cui si cercano di conoscere le abilità e le propensioni dei ragazzi e dico a Fabio che tutto questo genera tanta bellezza. Il presidente si illumina: «Siamo convinti che, almeno nel nostro micromondo, sia possibile contrapporre la bellezza, cioè la raffinatezza, la gradevolezza, l’armonia, la dolcezza, l’eccellenza, la socialità, la generosità, alla bruttezza, che comprende la grossolanità, la spiacevolezza, la discordanza, la cattiveria, l’indifferenza, la tristezza, lo squallore, l’indifferenza, l’egoismo, l’individualismo». Mostro il mio assenso e, a sorpresa, mi dice: «Ho capito che anche tu la cerchi sempre e allora ti propongo un’alleanza per operare una piccola rivoluzione culturale facendo in modo che la bellezza diventi il minimo comune denominatore per ogni progetto dedicato alle persone fragili». A queste parole gli stringo la mano perché sono convinto che questa parola comprenda anche una sorta di attenzione trasversale capace di

gresso e la conservazione dell’ambiente naturale, perché la prima può dirci quali metodi di coltivazione non danneggiano l’uomo e la terra. Ma anche fra la cultura della solidarietà e quella del mercato, fra il profitto e l’etica, fra il senso del limite e lo sviluppo, fra la qualità, la quantità e la bellezza che, se ben gestita, produce anch’essa reddito. Insomma, fra il benessere del singolo e quello della collettività». Fabio diventa molto serio, mi guarda, è felice ed emozionato, fa un secondo di pausa e aggiunge: «Pensiamo, con un certo orgoglio, di riuscire a dare una risposta al mondo complesso delle persone con disabilità. Una realtà che sta cambiando perché è sempre più consapevole di poter avere un ruolo del processo produttivo e dare sostegno alle imprese condividendone obiettivi e interessi. Il tutto ha un effetto collaterale benefico, contribuisce ad abbattere i costi della gestione dei servizi e offre serenità a molte famiglie che affidano alla fattoria i loro figli più deboli perché diventino un po’ più forti e si sentano parte attiva della comunità». Lo abbraccio con affetto, consapevole di aver condiviso un bel momento con una persona perbene che ha una visione da nuovo umanesimo. È il momento di andare nel ristorante della cooperativa e tutta la bellezza che ho attraversato l’ho ritrovata nel piatto. Buonissimo tutto. concadoro.org

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BUON VIAGGIO BRAVA GENTE

di Padre Enzo Fortunato

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[Giornalista e scrittore]

In questa pagina e nelle successive, foto dell'Eremo delle Carceri, Assisi (PG)

LO SCIABORDIO DEL SILENZIO SUL MONTE SUBASIO, IMMERSO TRA LECCI SECOLARI, SORGE L’EREMO DELLE CARCERI. UN LUOGO DOVE SAN FRANCESCO SI RITIRAVA IN PREGHIERA, PER ASCOLTARE SOLO IL RESPIRO DELLA NATURA

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© Andrea Cova

© Pietro D'Antonio/Adobestock

«C’

è un silenzio più alto del silenzio…». Così comincia una delle poesie scritte da Pier Paolo Pasolini e inserita nella selezione Carne e cielo (Salani Editore, 2015), che mette insieme scritti legati ai temi dell'amore e dell'impegno civile. Potrebbe sembrare azzardato e ardito mettere in relazione Francesco di Assisi con il più grande intellettuale dissidente del XX secolo. È sufficiente guardare la sequenza in cui Totò interpreta la predica agli uccelli nel film del 1966 Uccellacci e uccellini per capire che non si tratta poi di un rischio così grande. L’episodio di frate Ciccillo e frate Ninetto viene girato tra i boschi, nella campagna vicino a Tuscania (VT). Un posto abbastanza isolato che, magari non volendo, mette in evidenza quanto nella vita del santo fossero importanti le situazioni eremitiche. I luoghi di raccoglimento, riflessione, preghiera e silenzio: «L'uomo di Dio si era voluto trasferire in un certo eremo, dove avrebbe potuto dedicar-

si più liberamente alla contemplazione» (Fonti Francescane, 1368). Nelle precedenti tappe del nostro viaggio abbiamo esplorato il monte della Verna (AR) e Poggio Bustone (RI). Questa volta ci allontaniamo di pochi chilometri dal centro di Assisi (PG) e, salendo verso il monte Subasio, l’Appennino che campeggia sulla Città serafica, raggiungiamo l’Eremo delle Carceri, protetto da una lecceta secolare. Un imponente blocco di roccia, dove le grotte usate come celle per i frati sono tuguri simili a carceri e spiegano l’origine del nome de carceribus. Oltre queste, troviamo un piccolo oratorio centrale in cui i frati si riunivano per la preghiera comune e la condivisione dell’esperienza di Dio. Si trattava di una giornata scandita dalla preghiera. All’eremita è frequentemente associata l’idea di solitudine, il vivere in maniera isolata e lontano da tutti. Per Francesco non era così. Il suo testo conosciuto come Regola per gli eremi dimostra che la vita dei frati eremiti è 79


BUON VIAGGIO BRAVA GENTE

© Andrea Cova

parte integrante del carisma francescano, tanto quanto quella di coloro che lavorano o predicano. Del resto, sono queste le tre sfaccettature della vita minoritica presenti anche nella Regola non bollata. Sempre seguendo la tradizione, nel breve scritto Francesco cita le sorelle Marta e Maria come figure rispettivamente della vita attiva e di quella contemplativa. In questo luogo, gli occhi si riempiono della natura raccontata nel Cantico delle creature. Lo sguardo è dominato dal verde delle fronde dei lecci. Dal terrazzo dove si affaccia il chiostro del convento è possibile godere della vista sulla selva incredibilmente rigogliosa e di uno squarcio sulla vallata umbra. Ciò che veramente rende magico il posto è il profondo mare di silenzio, rotto solo dal respiro della natura, proprio come il leggero sciabordio dell’acqua segnala la presenza, e la vastità, del mare sulla spiaggia. Dal piccolo chiostro è possibile accedere al Conventino, alla chiesa antica e alla cappellina di Santa Maria, dopodiché si arriva alla Grotta di san Francesco e, attraversando un piccolo ponte, dall’altra parte della selva. Il santo aveva fatto di questo sperone roccioso il suo nido e, come imprigionato in questa cavità di pietra, si abbandonava alla meditazione del suo Signore: per Francesco la pietra è Cristo ed egli ricordava come le rocce si fossero spezzate nel momento della Passione e della morte. Al tramonto, quando il digiuno e le penitenze lo avevano ormai stremato, si stendeva sulla nuda pietra per riposare. Il silenzio intorno lasciava che il sonno prendesse il sopravvento. Lo stesso silenzio che di giorno permetteva al santo di mettersi in relazione con Dio. Sono posti come questo che ci permettono di comprendere come sia importante, nella ferialità della nostra vita, vivere incontri poveri di parole ma capaci di accogliere l’altro. Senza clamore, sentendo insieme il silenzio come faceva la scrittrice russa Catherine De Deuerty, che pensò di ricavare all’interno della propria abitazione un angolo definito “pustinia” (deserto). Ogni volta che ne aveva bisogno si ritirava lì per ritrovarsi e ascoltare la voce di Dio. 80


INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

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CULTURA

NEL CUORE DI GENOVA

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TRA I VICOLI DEL CENTRO STORICO CON CLAUDIO ORAZI, SOVRINTENDENTE DEL TEATRO CARLO FELICE, PER SCOPRIRE LE STORIE D’AMORE CHE HANNO ISPIRATO OPERE E CANZONI

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hissà se insieme a Claudio Orazi, sovrintendente del Teatro Carlo Felice di Genova, siamo seduti proprio su quel palco dove, l’8 aprile 1828, il re omonimo gustò in forma privata e solitaria

la seconda replica dell’opera Bianca e Fernando, di Vincenzo Bellini. «Il successo fu grande», commenta il maestro, «anche se Genova non vive solo dei suoi altissimi trascorsi, ma sa proiettarne l’esperienza in una dimen-

© Roberto Lo Savio/Adobestock

di Giuliano Compagno

sione viva e attuale. Per esempio, il 29 settembre del 2020 ho voluto aprire la stagione teatrale con Il Trespolo tutore di Alessandro Stradella, opera comica del 1679, tra le prime nella storia musicale italiana. E in quell’occasione il

Una veduta del centro storico di Genova

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© Ansa/Luca Zennaro

CULTURA

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pubblico mostrò una partecipazione emotiva sorprendente». A tre secoli e mezzo di distanza, racconta ancora, «anziché vivere quel capolavoro come una specie di oggetto museale

© otobeam.de/Adobestock

Il Teatro Carlo Felice

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degno di astratta contemplazione, gli spettatori ne apprezzarono i contenuti tanto da aderirvi pienamente, come se in scena ci fossero i loro antenati redivivi». A ridosso di quella prima genovese Orazi decise di ripercorrere, insieme al direttore d’orchestra Fabrizio Callai, un itinerario stradelliano che ebbe inizio dalla fine. Da quella piazza Banchi nel centro storico di Genova, dove il compositore seicentesco venne pugnalato a morte da un sicario, assoldato per lavare l’onta di una tresca proibita con la nobildonna Maria Caterina Lomellini. Quella passeggiata non fu soltanto l’occasione per presentare una messa in scena straordinaria ma soprattutto per sottolineare il radicamento di una grande civiltà musicale tra vicoli e piazze storiche, dove chi non è genovese smarrisce il

proprio cuore fino a lasciarlo. Chi invece dalla città fu adottato – come nel caso del poeta Giorgio Caproni – così l’avrebbe ringraziata: «La mia città dagli amori in salita, / Genova mia di mare tutta scale / e, su dal porto, risucchi di vita / viva fino a raggiungere il crinale / di lamiera dei tetti, ora col quale / spinta nel petto, qui dove è finita / in piombo la parola, iodio e sale / riviera sulla punta delle dita». Dalla stazione principale, invece, vi occorre un quarto d’ora a piedi per raggiungere piazza dell’Amor Perfetto, dove fu provato e mai consumato un sentimento struggente. Lei si chiamava Tommasina, giovane di nobili ascendenze che, appena ventenne, era andata in sposa al marchese Giovanni Battista Spinola. Era una donna di fine cultura e bellezza abbagliante. Racconta Jean d’Auton, storiografo di


© Luca/Adobestock

Luigi XII, che a fine agosto del 1502 a Villa Cattaneo si tenne un ricevimento in onore del sovrano francese e, sotto un pergolato non lontano dal ninfeo, al risuonare del Vespro Lucis Creator optime di Antonius Janue, Tommasina e il Père du peuple si conobbero. Avvenne qualcosa di più di un inchino e un fulmine indusse la giovane a esporsi nella sola maniera concepibile. Luigi, infatti, era unito in seconde nozze ad Anna di Bretagna e Tommasina gli propose un intendyo, termine genovese che stava a descrivere una relazione di amor cortese. A quella confessione di donna virtuosa e innamorata, il sovrano rispose: «Oui». Ella lo elesse come suo amante platonico e lo nominò signore del suo cuore e dei suoi pensieri. Si narra che, sette mesi dopo, a Tommasina giunse notizia della morte del re. In verità si era

Vicoli di Genova

soltanto ammalato ma all’epoca le precisazioni e le smentite tardavano a giungere. Naufragato il sentimento in cui era immersa, la donna lasciò che la disperazione la uccidesse. In sua memoria restano un epitaffio di Luigi e, nella chiesa di Santa Maria di Castello (oggi museo omonimo), la tela del Paradiso di Ludovico Brea, dove la fanciulla morta d’amore è ritratta. Ora spostatevi di 500 metri e 500 anni, in vico dei Castagna. Al civico 4 risentirete le note di una celebre canzone, poi l’eco della leggenda secondo cui essa fu dedicata a un’attrice, infine il mormorio di una verità non meno romantica. Quella secondo cui Gino Paoli aveva scritto Il cielo in una stanza per nostalgia del Castagna, bordello preferito da studenti e poeti della Genova di fine anni ‘50. A chiusura avvenuta, seguirà il nostalgico verso di Paoli: «Questo soffitto viola no, non esiste più, io vedo il cielo sopra noi». L’amore come pura immaginazione. «È la lotta del pubblico genovese contro i cliché del consumo, il riserbo di questi cittadini per le loro emozioni e la libertà che ciascuno sa difendere

grazie a quel senso di apertura che il mare gli regala», riprende Orazi, che lancia un invito: «Il 25 marzo è prevista la prima di Manon Lescaut, con una direzione, una regia e degli interpreti fantastici. Insieme a Pierangelo Conte, il nostro direttore artistico, abbiamo pensato a una delle opere più ardimentose di Giacomo Puccini, ispirata al libro di Antoine François Prévost, un romanziere di coraggio. Venga, l’aspetto!». Ci sarò maestro Orazi, grazie. E anche voi lettori, venite a Genova per la storia di Manon Lescaut e il chevalier des Grieux. Regalatevi un altro amore che possa meravigliarvi e due anime che riprendano a vivere sino a morirne, perché a Genova il cuore batte di paradossi e contrasti, cerca l’ombra dinanzi alla marina e sta a occhi socchiusi nell’attesa che una frase faccia buio. «Fondere assieme i contrari: intensità e chiarezza, spontaneità e rigore...Non è la poesia un equilibrio di resistenze?». Angelo Barile, poeta e ligure, senza fine. teatrocarlofelice.com teatrocarlofelice TeatroCarlo 85


ARTE

LE BELLE VENEZIANE

Tiziano Giovane donna con cappello piumato (1534-1536 ca.) San Pietroburgo, Museo dell’Hermitage 86


LA RAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA NELLA SERENISSIMA DEL ‘500. IN MOSTRA A MILANO OLTRE CENTO CAPOLAVORI DI MAESTRI COME TIZIANO, GIORGIONE, LOTTO, VERONESE E TINTORETTO di Giuliano Papalini

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ame e popolane, eroine, cortigiane, letterate, artiste e promesse spose. Sono loro le protagoniste dei dipinti presenti nella mostra Tiziano e l’immagine della donna, a Palazzo Reale di Mila-

Giorgione Laura (1506) Vienna, Kunsthistorisches Museum

Tiziano Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere (1537 ca.) Firenze, Galleria degli Uffizi

no fino al 5 giugno. Una straordinaria rappresentazione femminile nella Venezia del ‘500 attraverso oltre cento capolavori, tra cui quelli di Tiziano, Giorgione, Lotto, Palma il Vecchio, Veronese e Tintoretto. «Figure reali e suggestive nelle quali i grandi maestri hanno immortalato bellezza e carattere, emozioni e temperamento delle donne veneziane dell’epoca, creando di fatto importanti documenti per conoscere storia, usi, costumi e mode della Serenissima di quegli anni», spiega la curatrice Sylvia Ferino-Pagden, già direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Un racconto esauriente che mette in luce uno spaccato di vita sociale nella città dei Dogi del XVI secolo: «All’epoca, le donne veneziane godevano di particolari diritti e privilegi rispetto ad altre città. Per esempio, quelle sposate potevano continuare a disporre della propria dote e distribuirla ai figli, anche dopo la morte del marito», continua la curatrice. L’attenzione sul ruolo femminile, enfa-

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ARTE

tizzato anche dalle opere letterarie di Ludovico Ariosto, Pietro Aretino, Pietro Bembo, Giovanni Della Casa, Sperone Speroni e Baldassarre Castiglione, come spiega la Ferino-Pagden nel catalogo critico, portava le più erudite a cimentarsi con i loro scritti in un vero e proprio dibattito passato alla storia come la querelle des femmes. Una sorta di antesignano movimento protofemminista a cui parteciparono, tra le altre, le letterate Moderata Fonte e Lucrezia Marinelli. Otto le sezioni di cui si compone il percorso espositivo (Prologo, Ritratti, Le belle veneziane, Coppie di amanti ed altri, Eroine e sante, Letterati e poetesse, Venere e gli amori degli dèi, Allegorie), circa un centinaio le opere esposte, 46 i dipinti, a cui si aggiungono sculture, gioielli, libri, documenti e una creazione omaggio di Roberto Capucci a Isabella d’Este del 1994. Quindici le tele di Tiziano, per lo più prestate dal Kunsthistorisches Museum di Vienna. Tra queste spiccano la Madonna col Bambino, il Ritratto di Isabella d’Este e il bacio carnale raffigurato in Marte, Venere e Amore. Dagli Uffizi, invece, proviene il Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere del 1538, con cagnolino a fianco e finestra aperta sulla natura, dall’Hermitage Museum di San Pietroburgo il dipinto di una giovane donna con cappello, dal Museo di Capodimonte di Napoli quello che raffigura una giovinetta, mentre la Biblioteca Marciana di Venezia ha prestato l’Allegoria della Sapienza. Profili di sante, nobildonne o cortigiane per riflettere sul ruolo dominante della donna nella pittura veneziana del XVI secolo, che non ha eguali nella cultura europea del periodo. palazzorealemilano.it palazzorealemilano

Tiziano Marte, Venere e Amore (1550 ca.) Vienna, Kunsthistorisches Museum 88


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© Musacchio/Ianniello/Pasqualini

ARTE

L’allestimento della mostra Buone nuove

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LE PIONIERE DEL PROGETTO AL MAXXI DI ROMA UNA MOSTRA RACCONTA IL RUOLO DELLE ARCHITETTE DAL 1890 A OGGI. DALLA PRIMA LAUREATA SIGNE HORNBORG AL PREMIO PRITZKER ZAHA HADID di Francesca Ventre – f.ventre@fsitaliane.it

rchitettura al femminile: partecipazione, lavoro di gruppo, attenzione all’ambiente. Ma anche rispetto del territorio e proposte innovative per gli spazi sociali. Sono le forme e la sostanza che caratterizzano i talenti delle donne raccontati nell’esposizione Buone nuove, donne in architettura, al Museo nazionale delle arti del XXI secolo (MAXXI) fino al’11 settembre. «Una testimonianza importante di come la presenza femminile nell’architettura sia sempre più autorevole. Oltre alla battaglia contro ogni discriminazione e all’impegno verso l’ambiente, la dimensione sociale e l’uguaglianza di genere, le donne affrontano con lungimiranza le sfide del terzo millennio grazie a una sensibilità finissima verso i materiali e alla capacità di combinare tradizione e innovazione e mettere in relazione le diverse discipline. Il nostro museo, laboratorio di futuro progettato da una pioniera tra le archistar come Zaha Hadid, prima donna a vincere il prestigioso Pritzker Prize, è la sede naturale per questa mostra», spiega Giovanna Melandri, presidente della Fondazione MAXXI. Secondo Elena Tinacci, curatrice della rassegna con Elena Motisi e Pippo Ciorra, «la trasformazione attuale non può prescindere dalle storie delle quasi 90 donne, tra progettiste, critiche, studiose, che con opere, scritti e biografie più o meno epiche hanno tratteggiato il volto femminile della professione a partire dal 1890, anno in cui Signe Hornborg si afferma come prima donna al mondo laureata in architettura». Un attento lavoro di ricerca d’archivio ha portato alla luce il loro lavoro, un patrimonio molto ricco che era rimasto sommerso. Circa un secolo fa, infatti, il sistema sociale non permetteva alle donne di emergere facilmente. Ci sono riuscite poche pioniere come Lina Bo Bardi, figura significativa del ‘900, o l’americana Denise Scott Brown, classe 1931, conosciuta però più spesso come moglie dell’architetto Robert Venturi. Ma l’esposizione punta i riflettori anche su nomi come Norma Merrick Sklarek, la prima afroamericana ad

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© Musacchio/Ianniello/Pasqualini

ARTE

I curatori della mostra: Elena Tinacci, Pippo Ciorra, Elena Motisi

accedere alla professione nel 1954 o Phyllis Lambert, 95 anni, Leone d'oro alla carriera della Biennale Architettura 2014, che è ancora a capo del CCA (Centro Canadese di Architettura), intervistata nella sezione Visioni. «Contributi importanti», spiega Ciorra, unica quota azzurra tra i curatori, «che si contrappongono allo stereotipo dell’archistar: maschio, bianco, accomodato su una sedia con un sigaro in mano, a capo di un’azienda strutturata in modo gerarchico». La rivalutazione storica delle migliori professioniste del settore si associa alla presentazione del loro contributo in epoca contemporanea, come evidenziato dalle 12 installazioni della

© Musacchio/Ianniello/Pasqualini

L’architetta libanese Lina Ghotmeh

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sezione Pratiche. La giapponese Kazuyo Sejima, prima donna a dirigere la Biennale d’architettura di Venezia, presenta in anteprima al MAXXI il suo progetto per il Design Event Center a Puyan, in Cina. Assemble, collettivo multidisciplinare londinese che unisce architettura, arte e design, racconta attraverso un collage di video The Voice of Children, che esplora gli spazi del gioco infantile. «E poi c’è il Grafton Architects, studio di Dublino, fondato nel 1978 da Yvonne Farrel e Shelley McNamara, che si dedica ai luoghi per la formazione dei giovani. Dopo aver progettato la sede dell’Università Bocconi in via Roentgen, a Milano, le due professioniste presentano a Buone

nuove quanto realizzato per la Facoltà di Economia di Tolosa, in cemento e mattoni». Tra le migliori emerge Elizabeth Diller, che presenta al MAXXI l'installazione Bad Press e il grande spazio culturale The Shed a New York. Gli orizzonti spaziano in altre aree del mondo con Mariam Kamara, autrice dell’installazione intima Room for Introspection, una stanza nera in cui affiorano elementi che sottolineano lo stretto rapporto con la sua terra, il Niger. L’attenzione all’ambiente si nota, invece, nei lavori della danese Dorte Mandrup, che al MAXXI porta il modello in acciaio dell'Ilulissat Icefjord Centre, in Groenlandia, dove si studiano i cambiamenti climatici e i conseguenti


rischi della trasformazione ambientale. Un altro esempio è dato da una giovane libanese con studio a Parigi, Lina Ghotmeh, presente alla mostra con Stone Garden, la ristrutturazione di un edificio tra il centro storico e l’area portuale di Beirut danneggiato nel 2020 da un gravissimo incendio. La facciata, in particolare, è stata restaurata completamente a mano, come si faceva secoli fa. E in Italia? «Ci si lamenta che ci sono poche architette, ma tante italiane meritano un posto di rilievo in campo internazionale. Tra le più brave Benedetta Tagliabue, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, la “nomade” Ales-

sandra Cianchetta che lavora tra Parigi e Londra, e le giovani emergenti Francesca Torzo, Lucy Styles e Matilde Cassani, che ha anche allestito la mostra. Sono ragazze di una comunità globale, portatrici di ottimismo», conclude Ciorra. È dedicata ai giovani anche una parte nella sezione Visioni focalizzata sul lavoro di cinque team che, grazie a un progetto europeo, hanno proposto alcune riflessioni su come le questioni di genere possano influire sulla concezione dello spazio. «La mostra è un paesaggio di volti e di progetti che presenta una geografia culturale multietnica e in continuo

mutamento. Particolare attenzione va data all’ultima opera esposta, il progetto Unseen, che analizza il tema del tempo come elemento chiave nelle interazioni umane», spiega infine Motisi, terza curatrice di Buone nuove. L’installazione site specific di Frida Escobedo, infatti, è un meraviglioso arazzo Bauhaus creato negli anni ‘60 da Anni Albers che l’autrice messicana ha ripensato a suo modo, sbrogliandolo, come a dipanare il passato e consolidare così il rapporto tra artigianato e produzione industriale, identità e differenza. maxxi.art

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Unseen, installazione site specific di Frida Escobedo

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ARTE

RACCONTARE SANNO FARSI CAPIRE SENZA MAI BANALIZZARE. QUATTRO DIVULGATORI DELL’ARTE CAPACI DI SPIEGARE CON LEGGEREZZA RASSEGNE, OPERE E MAESTRI di Cesare Biasini Selvaggi - cesarebiasini@gmail.com

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ossiedono l’arte di raccontare l’arte in modo leggero, divertendo, incuriosendo e, allo stesso tempo, riuscendo a interessare il pubblico dei telespettatori e degli ascoltatori. Sono i discendenti diretti di quei giganti della di-

vulgazione culturale che rispondono al nome di Vittorio Sgarbi e del compianto Philippe Daverio. Persone raffinate e di grande preparazione culturale, che parlano in modo semplice ma mai semplicistico, perché quando si parla di cultura banaliz-

NICOLAS BALLARIO

© Tiwi

Come ti sei avvicinato al mondo dell’arte? Il mio grande maestro è stato il fotografo Oliviero Toscani, che mi ha insegnato ad avere un punto di vista diverso sul mondo dell’arte. Ma il primo che mi diede una rubrica dove scrivere fu Umberto Allemandi, fondatore dell’omonima casa editrice. Come è entrata la televisione nel tuo percorso professionale? Ho cominciato con piccoli esperimenti su Rai2 e La7, ma è entrata davvero nella mia vita grazie a Sky Arte. Sono stati il suo direttore e vice Roberto Pisoni e Dino Vannini a credere che io potessi fare tv. Dopo alcune collaborazioni, durante il lockdown hanno deciso di fare una trasmissione per parlare del mondo dell’arte contemporanea che resisteva e si reinventava. Mi hanno chiamato a condurlo e con la casa di produzione Tiwi è stato amore a prima vista. Si chiamava Io ti vedo, tu mi senti, lo giravo tutto da casa mia e registravamo su Skype. Abbiamo dato parola a tanti. Oggi in quale trasmissione tv sei impegnato? The Square su Sky Arte, il program94

zare è un reato. Oltre a lavorare sui set televisivi e negli studi radiofonici, scrivono su giornali e periodici, pubblicano libri spesso bestseller, ideano e curano mostre e cataloghi d’arte. Questo mese abbiamo intervistato quattro di loro.

ma della cultura contemporanea in tutte le sue forme. Prevede interviste in studio e servizi in esterna. A ogni puntata abbiamo una performance di musica o teatro, raccontiamo un anno particolare visto con gli occhi dell’arte, approfondiamo alcune mostre. Poi non manca mai l’agenda con gli appuntamenti della settimana. Quale ospite del programma o incontro particolare ti ha più colpito? Quello con Maurizio Cattelan. Lui non parla in pubblico, quindi gli abbiamo fatto un’intervista lontano dalle telecamere e poi abbiamo realizzato un avatar animato dello stesso Cattelan che dava le sue risposte. Il tutto doppiato da Luca Ward, era assurdo. Quale protagonista della cultura avresti voluto intervistare? Ce ne sono migliaia, ma un rammarico reale è quello di non aver fatto in tempo con Franco Battiato. Cos’è per te veramente contemporaneo oggi? Tutto ciò che non abdica ai grandi temi del mondo. E non basta esserne coscienti, la cultura contemporanea ha il dovere di essere uno strumento di lotta. Alla fine, è la più sofisticata forma di politica e non dobbiamo aver paura di ammetterlo. nicolasballario


© 3D Produzioni

I TA L E N T I

DIDI GNOCCHI Come ti definiresti? Una giraffa che ha allungato il collo nella foresta dell’arte e l’ha trovata buona. Perché le giraffe sono erbivore e l’arte nutre. Come ti sei avvicinata al mondo dell’arte? Tardi, dopo i 20 anni. Un giorno un amico portò a casa mia un quadro dicendo che sarebbe tornato a prenderlo l’indomani. Era uno degli specchi con un uccellino di Michelangelo Pistoletto. Rimase appoggiato al muro per mesi. Non sapevo chi fosse l’autore, ignoranza totale. Mi piaceva, però. Finché qualcuno mi chiese come mai avessi un quadro di quel valore sul pavimento. Lo restituii e imparai chi fosse Pistoletto. Oggi, con la mia società 3D Produzioni, l’abbia-

mo intervistato tante volte e abbiamo già girato due documentari su di lui. In quali programmi tv sei attualmente impegnata? Tanti: con 3D Produzioni realizziamo circa 30 documentari all’anno dedicati all’arte e alla cultura che vanno in onda su Rai, Sky, Mediaset o altre piattaforme. E anche filmati per il cinema. L’ultimo è stato Napoleone. Nel nome dell'arte. E poi c'è Artbox, un magazine d’arte settimanale realizzato con la mia società che, dopo alcune stagioni su Sky Arte, ora è in onda su La7. Ritengo un ottimo risultato aver portato l'arte su un canale che ha un pubblico già molto educato all’attualità e alla cultura. Ci descrivi il format del programma? Raccontiamo due o tre mostre a pun-

tata, non diamo mai per scontata la conoscenza, cerchiamo sempre di entrare nella vita e nella storia dell’artista. Oltre alle immagini dell’esposizione, contestualizziamo con quelle di repertorio e con interviste. Ogni rassegna deve diventare un piccolo racconto. In ogni puntata, poi, invitiamo un critico, un gallerista e un personaggio del settore a recensire una mostra che ha visto di recente: un commento d’autore, insomma. E quest’anno abbiamo introdotto anche una rubrica dove l’artista, come in un breve talk ispirazionale, spiega il suo primo contatto con l’arte e come questa sia diventata la sua vita. Quale protagonista del passato avresti voluto intervistare? Pablo Picasso. Amerei chiedergli se il suo pessimo comportamento con le donne era essenziale al suo lavoro. 3DProduzioni 95


ARTE

COSTANTINO D’ORAZIO Come ti definiresti? Narratore di storie dell’arte. Ho percorso il tema al contrario, partendo dal contemporaneo e attraversando poi l’antico: ne scrivo, ne parlo, lo presento in mostre ideate e curate da me.

Come ti sei avvicinato a questo mondo? Attraverso il cinema, mio primo amore. Quando ho capito che avevo bisogno di essere sfidato di continuo, sono passato all’arte visiva, che è molto più enigmatica e non si preoc-

cupa di farsi capire. A quale modello televisivo di divulgazione culturale ti ispiri? Alla BBC, maestra nel comunicare emozioni attraverso la conoscenza. Oggi in quale programma tv sei impegnato? AR Frammenti d’Arte, una rubrica su Rainews24 che in ogni episodio – tra i sei e i 10 minuti – presenta un luogo: prendo per mano i telespettatori e li conduco attraverso stanze, angoli nascosti, porte chiuse, condividendo informazioni storiche e curiosità. E poi ci sono Unomattina in famiglia e Linea verde. Qual è la tua giornata tipo? Iniziano tutte con il tragitto da casa a scuola di mia figlia. Poi sono sempre diverse, anche se in realtà pagherei per avere una routine. Hai dei riti particolari quando lavori? Non direi, a parte indossare le matite colorate nel taschino della giacca. Quale ospite del tuo programma o incontro particolare ti ha più colpito? Rimango sempre stupito dalla passione dei restauratori: svolgono un lavoro prezioso, difficile, delicato e appaiono poco perché spesso sono gli storici dell’arte a prendere la parola. Non dimenticherò mai la passione e l’umiltà di Gianluigi Colalucci, il restauratore del Giudizio universale di Michelangelo. Aveva messo le sue mani su un capolavoro assoluto, ma ne parlava con una semplicità disarmante, come avrebbe fatto Michelangelo stesso. Qual è l’ospite che ancora non hai avuto e che vorresti? Vorrei parlare con uno dei custodi del Louvre, per sapere cosa si prova a fare la guardia alla Gioconda, di notte, da soli. Quale protagonista dell’arte del passato avresti voluto intervistare? Il pittore Orazio Gentileschi, per sapere tutta la verità sulla violenza subita dalla figlia, un fatto ancora pieno di lati oscuri. Il tuo sogno nel cassetto? Parlare d’arte col Dalai Lama. costantinodorazio

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ELENA DEL DRAGO Ci puoi tracciare un tuo breve identikit? Sono laureata in storia dell’arte e, dopo una breve esperienza nella casa d’aste Sotheby’s, ho cominciato a lavorare come critico, curando mostre e cataloghi. Dal 1999 ho cominciato la mia lunga avventura con l’emittente che ho sempre ascoltato, Radio 3, prima in un contenitore chiamato Mattinotre, poi come conduttrice di Aladino. Infine, sotto la direzione di Marino Sinibaldi è nato A3, il formato dell’Arte, in onda ogni sabato su Radio 3 alle 10:50, che ha riportato nel palinsesto una trasmissione dedicata unicamente a questo tema. Nel frattempo, ho lavorato a diversi progetti, a comin-

ciare dalla fondazione di Eddart, uno spazio di consulenza ed esposizione a Roma. Ci descrivi il programma? È un format di mezz’ora. Ogni settimana, con la curatrice Cettina Flaccavento, scegliamo una mostra che ci sembra particolarmente interessante e ne parliamo con due interlocutori che possono essere il curatore e l’artista, oppure un esperto del tema in questione. Nella seconda parte ci occupiamo delle ultime uscite editoriali, sempre in campo artistico, presentando cataloghi, volumi e libri con i rispettivi autori. Quale ospite vorresti tra quelli che ancora non hai avuto? Maurizio Cattelan. Anni fa girammo

un documentario intitolato È morto Cattelan! Evviva Cattelan! e ho passato mesi, con il regista, a seguirne le tracce, a inseguirlo senza mai riuscire ad avere una conversazione con lui che durasse più di cinque minuti. Qual è la critica più forte che senti di fare al sistema della cultura e dell’arte di oggi? Il poco coraggio. Mi sembra ci sia una forte omologazione: per diversi anni si è guardato sempre tutti nella stessa direzione, verso le medesime latitudini, proponendo gli stessi nomi. Anche quando ci si è rivolti verso gli outsider, lo si è fatto spesso secondo schemi simili. Mi sembra che ora, però, ci sia un’inversione di tendenza. elenadeldrago elenadd 97


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FOLGORAZIONE

PASOLINI

Pasolini sul set di Teorema (1968)

UNA MOSTRA A BOLOGNA RACCONTA PER IMMAGINI LA VITA E LE OPERE DI UNO DEI PIÙ GRANDI INTELLETTUALI ITALIANI DEL XX SECOLO. A CENTO ANNI DALLA SUA NASCITA di Alessandra Coppa – a.coppa@fsitaliane.it

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© Compass Film

ier Paolo Pasolini raccontato per immagini. La sua intera opera, il percorso del pensiero e dell’immaginario presentati attraverso una vera e propria cronaca visiva. Folgorazioni figurative è la mostra che Bologna dedica, fino al 16 ottobre, a


Rosso Fiorentino Deposizione (1521) Pinacoteca e Museo Civico, Volterra

uno dei più grandi artisti e intellettuali italiani del XX secolo. Nato nella città emiliana cento anni fa, il 5 marzo del 1922, qui Pasolini frequentò anche il liceo e l’università. Nell’inverno del 1941 seguì il corso di Storia dell’arte medievale e moderna tenuto da Roberto Longhi, professore che contribuì a fargli sviluppare l’interesse e le competenze per il mondo del cinema, instradandolo verso l’arte figurativa. Passione che lo ha accompagnato per tutto il suo percorso intellettuale. Proprio i dipinti e i disegni dell’arte classica italiana e internazionale e di quella contemporanea – che Pasolini ha assorbito nel proprio sguardo e reinventato nei suoi lavori, creando un immenso sistema fatto di linguaggi visivi e scrittura – fanno da filo conduttore all’intera mostra. L'esposizione, che offre anche dei vantaggi per i clienti di Trenitalia Tper, è ospitata nei nuovi spazi del Sottopasso di piazza Re Enzo e si divide in dieci sezioni. Ognuna è dedicata a uno snodo fondamentale del percorso artistico e formativo dell’intellettuale: dall’insegnamento di Longhi alla pittura friulana, dalla scoperta di Roma e del cinema all’amore per le culture arcaiche, fino alla condanna della massificazione consumistica. I temi centrali sono illustrati da riproduzioni pittoriche e accompagnati anche da testi del poeta,

La ricotta, episodio da Ro.Go.Pa.G. (1963) - Still da restauro © Compass Film 99


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Un fotogramma del film Il Vangelo secondo Matteo (1964) © Cineteca di Bologna / Angelo Novi

Pasolini con la madre Susanna sul set del film Il Vangelo secondo Matteo (1964) © Cineteca di Bologna / Angelo Novi

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Pasolini in via Rizzoli, a Bologna, assieme agli amici Luciano Serra, a destra, e Francesco Leonetti, a sinistra (1940)

oltre che da audiovisivi, sequenze dei suoi film e interviste. Realizzata dalla Cineteca di Bologna – uno dei centri di riferimento internazionale per lo studio su Pasolini – con il patrocinio dell’Università di Bologna e curata di Marco An-

tonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli, l’esposizione raccoglie anche le maggiori opere cinematografiche del regista, analizzate in ordine cronologico: da Accattone, l’esordio del 1961, all’ultimo film Salò o le 120 giorna-

te di Sodoma, uscito postumo. Proprio a poche settimane dal suo omicidio, mai risolto, il 2 novembre 1975 sul litorale romano. cinetecadibologna.it cinetecabologna 101


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L’EREDITÀ DEL FUTURO 102


Solmaz Daryani The Eyes of Earth (The Death of Lake Urmia), 103


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A MANTOVA, DAL 3 AL 27 MARZO, LA BIENNALE INTERNAZIONALE DELLA FOTOGRAFIA FEMMINILE PROPONE UNA RIFLESSIONE SUL TEMA DEL LASCITO ALLE NUOVE GENERAZIONI di Elisabetta Reale

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ollettivi di fotografe o singole artiste, alcune alla prima personale in Italia, portatrici di uno sguardo aperto sul mondo, tra ferite e sogni, speranze e slanci di futuro. Sono le protagoniste della Biennale internazionale della fotografia femminile, a Mantova dal 3 al 27 marzo, ideata e promossa dall’associazione La Papessa, con la direzione artistica di Alessia Locatelli. Nella prima edizione del 2020, ridotta a causa della pandemia, solo alcune delle mostre previste avevano visto la luce. Così, quest’anno, la manifestazione racFatemeh Behboudi, The war is still alive

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Daniella Zalcman, Signs of your identity


Ilvy Njiokiktjien, Born free Delfhine Diallo, Highness

coglie quella forza inespressa per dare corpo a una riflessione sul tema Legacy, un termine che riassume concetti come lascito ed eredità, invitando a ragionare su tutto ciò che creiamo affinché venga trasmesso alle generazioni future. Nell’epoca attuale, così carica di cambiamenti, è necessario confrontarsi con quanto ci è stato consegnato per progettare un futuro equilibrato. Grazie a un puntuale lavoro culturale e di ricerca, la Biennale mira a diventare un solido punto di riferimento sulla fotografia femminile, in Italia e all’estero, oltre ogni stereotipo. L’arte diventa lo strumento capace di garantire una vera parità di genere, affinché la storia del mondo venga raccontata non solo, e non sempre, attraverso occhi maschili. Le immagini in mostra a Mantova aprono squarci potenti sul presente e raccontano di pace, uguaglianza, libertà di espressione. Molteplici spazi cittadini ospitano i lavori di fotografe italiane e internazionali, tra cui Daniella Zalcman, Solmaz Daryani, Fatemeh Behboudi, Ilvy Njiokiktjien, Delphine Diallo e i collettivi Lumina e la mostra Parlando con voi, in cui 30 fotografe italiane si raccontano. Oltre alle mostre principali, sono diverse le iniziative collaterali: presentazioni di libri, conferenze, proiezioni, incontri, letture e workshop tenuti da maestre come Letizia Battaglia, Myriam Meloni e Betty Colombo. bffmantova.com bffmantova 105


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SCAMPOLI DI R E A L E A TORINO, OLTRE 200 IMMAGINI PROVENIENTI DAL MOMA DI NEW YORK. SCATTATE NELLA PRIMA METÀ DEL XX SECOLO, RACCONTANO LA TRASFORMAZIONE DELLA FOTOGRAFIA IN OTTAVA ARTE di Sandra Gesualdi

sandragesu

A

ll’inizio degli anni ‘20 si manteneva a Parigi vendendo stampe a 25 franchi l’una. Qualche anno dopo acquista una Leica e le fotografie diventano le sue parole. André Kertész, uno dei grandi maestri del ‘900, ha lasciato immagini legate ai lati più semplici del-

la vita quotidiana, trasformando oggetti di uso comune, come una forchetta appoggiata su un piatto, in una composizione intima e lirica. Con la sua iconica Fork, del 1928, l’artista ungherese è tra i protagonisti presenti alla mostra Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York, organizzata negli spazi di Camera, a Torino, dal 3 marzo al 26 giugno. Con lui Edward Weston, Brassaï, Henri Cartier-Bresson, Max Busolo August Sander, Cami e Sasha Stone, solo per ci-

André Kertész Fork (1928) © Estate of André Kertész Digital Image © 2021 Museum of Modern Art, New York

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Max Burchartz Lotte (Eye) (1928) © Max Burchartz, by Siae 2021 © 2021 Max Burchartz / Artists Rights Society (ARS), New York / VG Bild-Kunst, Germany Digital Image © 2021 Museum of Modern Art, New York

Umbo (Otto Umbehr) Mystery of the Street (1928) © Otto Umbehr, by SIAE 2021 © 2021 Umbo / Gallery Kicken Berlin / Phyllis Umbehr / VG Bild-Kunst, Bonn Digital Image © 2021 Museum of Modern Art, New York

tarne alcuni. Le oltre 200 opere provenienti dal MoMa sono un pezzo di storia della fotografia che, da scoperta scientifica, dopo le prime sperimentazioni si è trasformata in un linguaggio espressivo capace di rivoluzionare il modo di narrare l’umanità. L’ottava arte ha fermato uno scampolo del reale, su carta e chimicamente, rendendo la visione del mondo più oggettiva rispetto alla rappresentazione pittorica. E grazie alla sua poetica capacità di fissare il tempo, da fine ‘800 foraggia il grande archivio della memoria pubblica e privata. In mostra volti resi immortali, come Woman smoking dell’Atelier Stone o Lotte (Eye) di Max Bur108


chartz, metropoli in bianco e nero, ombre trasformate in personaggi, esperimenti dadaisti. La storia del mondo, le sue declinazioni estetiche, o i più svariati atteggiamenti antropologici sono stati strappati al tempo e nel tempo da scatti memorabili, grazie all’uso sempre più sapiente di contrasti di luce, allo studio delle prospettive ma anche a una molteplicità di sperimentazioni tecniche: collage, doppie esposizioni, fotomontaggi. L’esibizione ospita anche opere di Berenice Abbott, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lee Miller, Tina Modotti, Lucia Moholy, a sottolineare il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna. Quella torinese è l’ultima tappa europea per ammirare questi capolavori, dopo le mostre che si sono svolte in Francia e Svizzera grazie alla collaborazione fra Camera, la Galleria nazionale del Jeu de Paume di Parigi e il Masi di Lugano. camera.to cameratorino

Atelier Stone Cami Stone e Sasha Stone Woman Smoking (1928) Committee on Photography Fund Digital Image © 2021 Museum of Modern Art, New York

Kate Steinitz Backstroke (1930) © The Steinitz-Berg Family Art Collection, 1930 Digital Image © 2021 Museum of Modern Art, New York

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OFFERTE E SERVIZI

CON LE FRECCE PIÙ COMODI E VELOCI C

© Archivio Fotografico FS Italiane

on Trenitalia si viaggia più veloci fino in Francia e lungo l’Italia. Il comfort, lo stile e la sicurezza del Frecciarossa valicano le Alpi con due collegamenti quotidiani andata e ritorno che consentono di raggiungere Parigi Gare de Lyon da Milano Centrale, con fermate a Torino Porta Susa, Modane, Chambéry e Lione. Lungo lo Stivale, le Frecce si confermano il modo più comodo e ve-

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loce di muoversi. È imperdibile l’offerta del Frecciarossa tra Milano e Roma, con 4 collegamenti che uniscono il centro delle due città in 2 ore e 59’, partendo da Termini alle 6:25 e alle 16:25 e da Centrale alle 6:35 e alle 17:35. Ma si può scegliere anche uno degli altri collegamenti a misura di ogni esigenza. Anche tra Venezia, Roma e Napoli l’utilizzo esclusivo del Frecciarossa mette a disposizione dei viaggiato-

ri il top di qualità e comfort. Grazie a due collegamenti quotidiani che prolungano la loro corsa fino a Reggio Calabria, è possibile spostarsi tra il Veneto e la Calabria senza necessità di cambio. Ampia scelta anche per raggiungere la costa Adriatica: a disposizione fino a 20 Frecciarossa e 6 Frecciargento da e per Milano e Bologna e fino a 13 Frecciargento da e per Roma.


CARNET TRENITALIA NUOVE SOLUZIONI CONVENIENTI E FLESSIBILI

L’

© lyudinka/AdobeStock

utilizzo dello smart working ha cambiato le abitudini lavorative dei professionisti e delle aziende. Per rispondere meglio alle mutate esigenze, Trenitalia ha realizzato il Carnet Smart dedicato a chi non ha più bisogno di spostarsi dalla propria città tutti i giorni. Valido su specifiche relazioni, è utilizzabile su Frecciarossa e Frecciargento, comprende 10 viaggi effettuabili dal lunedì al venerdì in 30 giorni con un risparmio di oltre il 60% sul biglietto Base. Ma non è l’unica soluzione offerta da Trenitalia: fino al 31 marzo, è disponibile un ulteriore sconto del 10% sulle altre tipologie di Carnet. Si risparmia fino al 40% sui Carnet riservati ai soci CartaFRECCIA che includono 5, 10 o 15 viaggi sulle Frecce con validità 180 giorni e fino al 50% per i Carnet Biz rivolti alle aziende da 30 o 50 viaggi validi per un anno e 10 viaggi da utilizzare entro 180 giorni. Maggiori informazioni su trenitalia.com

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OFFERTE E SERVIZI

CON TRENITALIA AL BIOPARCO DI ROMA È

il giardino zoologico più antico d’Italia. Situato nel polmone verde della Capitale, all’interno di Villa Borghese, il Bioparco di Roma è un’attrazione per i più piccoli ma anche un luogo dove si proteggono gli animali. Ne ospita circa 1200, tra rettili, mammiferi e uccelli, e si occupa di conservare le specie minacciate di estinzione. Ti-

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gri, leoni, pinguini e moltissimi altri abitanti del parco sono infatti parte di progetti internazionali che hanno come obiettivo la tutela della biodiversità. Chi raggiunge Roma con Trenitalia può trascorrere una giornata nel giardino zoologico all’insegna della natura e del divertimento. Sono previsti una riduzione di quattro euro sul

ticket d’ingresso e uno sconto del 10% presso il Bioparco shop per chi è munito di un biglietto per Frecce o Intercity o di prenotazione con Trenitalia Pass con destinazione Roma, un biglietto di corsa semplice o un abbonamento regionale sempre per raggiungere la Capitale. trenitalia.com bioparco.it


Il Giro d’Italia della CSR

10 eventi in 10 città italiane per raccontare storie di imprese che investono per ridurre l’impatto ambientale e creare valore sociale, di persone che scelgono di consumare in modo consapevole, di comunità che crescono grazie al coinvolgimento dei cittadini, di associazioni che si impegnano per una cultura più inclusiva e responsabile. ROMA TRIESTE

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LIBERTÀ DI VIAGGIO E CAMBI ILLIMITATI Biglietto acquistabile fino alla partenza del treno. Entro tale limite sono ammessi il rimborso, il cambio del biglietto e il cambio della prenotazione, gratuitamente, un numero illimitato di volte. Dopo la partenza, il cambio della prenotazione e del biglietto sono consentiti una sola volta fino a un’ora successiva.

CONVENIENZA E FLESSIBILITÀ Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del giorno precedente il viaggio. Il cambio prenotazione, l’accesso ad altro treno e il rimborso non sono consentiti. È possibile, fino alla partenza del treno, esclusivamente il cambio della data e dell’ora per lo stesso tipo di treno, livello o classe, effettuando il cambio rispetto al corrispondente biglietto Base e pagando la relativa differenza di prezzo. Il nuovo ticket segue le regole del biglietto Base.

SUPER ECONOMY MASSIMO RISPARMIO Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del quinto giorno precedente il viaggio. Il rimborso e l’accesso ad altro treno non sono consentiti.

A/R IN GIORNATA Promozione per chi parte e torna nello stesso giorno con le Frecce a prezzi fissi, differenziati in base alle relazioni e alla classe o al livello di servizio. Un modo comodo e conveniente per gli spostamenti di lavoro oppure per visitare le città d’arte senza stress e lasciando l’auto a casa 1.

CARNET 15, 10 E 5 VIAGGI I Carnet Trenitalia sono sempre più adatti a tutte le esigenze. Si può scegliere quello da 15 viaggi con la riduzione del 30% sul prezzo Base, da 10 viaggi (-20% sul prezzo Base) oppure il Carnet 5 viaggi (-10% sul prezzo Base). Riservato ai titolari CartaFRECCIA, il Carnet è nominativo e personale. L’offerta è disponibile per i treni Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity. Inoltre, acquistando un qualsiasi Carnet per un treno Frecciarossa, Frecciargento o Frecciabianca entro il 31 marzo, è possibile usufruire di uno sconto ulteriore del 10%: Carnet 5 viaggi con sconto del 20% sul prezzo Base, Carnet 10 viaggi con sconto del 30% e carnet 15 viaggi con sconto del 40%. 3.

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BIMBI GRATIS Con Trenitalia i bambini viaggiano gratis in Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity nei livelli Business, Premium e Standard e in 1^ e 2^ classe. Gratuità prevista per i minori di 15 anni accompagnati da almeno un maggiorenne, in gruppi composti da 2 a 5 persone 2.

NOTTE & AV L’offerta consente di usufruire di prezzi ridotti per chi utilizza, in un unico viaggio, un treno Notte e un treno Frecciarossa o Frecciargento. La promozione è valida per i viaggiatori provenienti con un treno notte dalla Sicilia, dalla Calabria o dalla Puglia che proseguono sulle Frecce in partenza da Napoli, Roma o Bologna per Torino, Milano, Venezia e tante altre destinazioni, e viceversa 4 .


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Riservate agli under 30 e agli over 60 titolari di CartaFRECCIA, le offerte Young e Senior permettono di risparmiare fino al 50% sul prezzo Base dei biglietti per tutti i treni nazionali e in tutti i livelli di servizio, ad eccezione dell’Executive, del Salottino e delle vetture Excelsior 6.

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La promozione consente di viaggiare in due tutti i giorni con sconti fino al 50% sul prezzo Base su tutti i treni nazionali. L’offerta è valida in 1^ e 2^ classe e in tutti i livelli di servizio ad eccezione dell’Executive, del Salottino e i servizi cuccette, VL ed Excelsior 7.

Offerta dedicata ai gruppi da 3 a 5 persone per viaggiare con uno sconto fino al 50% sul prezzo Base di Frecce, Intercity e Intercity Notte. La promozione è valida in 1^ e 2^ classe e in tutti i livelli di servizio ad eccezione dell’Executive, del Salottino e delle vetture Excelsior 8.

NOTE LEGALI 1. Il numero dei posti è limitato e variabile, a seconda del treno e della classe/livello di servizio. Acquistabile fino alla partenza del treno. Il cambio prenotazione/biglietto è soggetto a restrizioni. Il rimborso non è consentito. Offerta non cumulabile con altre riduzioni, compresa quella prevista a favore dei ragazzi. 2. I componenti del gruppo che non siano bambini/ragazzi pagano il biglietto al prezzo Base. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. Cambio prenotazione/biglietto e rimborso soggetti a restrizioni. Acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza. 3. Il Carnet consente di effettuare 15, 10 o 5 viaggi in entrambi i sensi di marcia di una specifica tratta, scelta al momento dell’acquisto e non modificabile per i viaggi successivi. Le prenotazioni dei biglietti devono essere effettuate entro 180 giorni dalla data di emissione del Carnet entro i limiti di prenotabilità dei treni. L’offerta non è cumulabile con altre promozioni. Il cambio della singola prenotazione ha tempi e condizioni uguali a quelli del biglietto Base. Cambio biglietto non consentito e rimborso soggetto a restrizioni. 4. L’offerta Notte&AV è disponibile per i posti a sedere e le sistemazioni in cuccetta e vagoni letto (ad eccezione delle vetture Excelsior) sui treni Notte e per la seconda classe, o livello di servizio Standard, sui treni Frecciarossa o Frecciargento. L’offerta non è soggetta a limitazione dei posti. Il biglietto è nominativo e personale. 5. L’offerta è a posti limitati, acquistabile fino alle ore 24 del quinto giorno precedente la partenza del treno e non è cumulabile con altre riduzioni, compresa quella per i ragazzi. È valida per viaggi A/R con partenza il sabato e ritorno la domenica, sulla medesima relazione, categoria di treno e classe (o livello di servizio), effettuati durante lo stesso weekend. Il cambio dell’ora di partenza è consentito una sola volta per ciascun biglietto (di andata e di ritorno), fino alla partenza del treno. Il cambio delle date dei viaggi e del biglietto, il rimborso e l’accesso ad altro treno non sono consentiti. 6. Acquistabile entro le ore 24 del giorno precedente la partenza. Il numero dei posti disponibili è limitato e varia in base al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. La percentuale di sconto varia dal 20% al 50% e si applica al prezzo Base. È possibile cambiare esclusivamente la data o l’ora di partenza, una sola volta e fino alla partenza del treno, scegliendo un viaggio con la stessa categoria di treno o tipologia di servizio e pagando la differenza rispetto al corrispondente prezzo Base intero. Il Rimborso e accesso ad altro treno non sono ammessi. Al momento dell’acquisto il sistema propone sempre il prezzo più vantaggioso. A bordo è necessario esibire la CartaFRECCIA insieme a un documento d’identità. 7. Offerta a posti limitati e variabili in base al treno e alla classe/livello di servizio scelto ed è acquistabile entro le ore 24 del giorno precedente la partenza del treno. La percentuale di sconto varia dal 20% al 50%. Cambio biglietto/prenotazione e rimborso non sono consentite. 8. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. La percentuale di sconto varia dal 35% al 50% e si applica al prezzo Base. Lo sconto non è cumulabile con altre riduzioni fatta eccezione per quella prevista in favore dei ragazzi fino a 15 anni. La promozione è acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno. Il cambio e il rimborso non sono consentiti.

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FOOD ON BOARD

Grazie al servizio Easy Bistrò è possibile ordinare comodamente dal proprio posto gustosi prodotti e menù pensati per ogni momento della giornata. Un’ampia selezione di specialità del Bar/Bistrò tra cui snack dolci e salati, panini e tramezzini, primi piatti caldi e freddi, bevande analcoliche e alcoliche. Menù e prodotti possono essere acquistati direttamente al passaggio del personale dedicato oppure è possibile ordinarli dal Portale FRECCE* pagandoli alla consegna nella fascia oraria desiderata. Il servizio è presente su tutti i collegamenti Alta Velocità.

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SERIE E PROGRAMMI TV

Una selezione di serie e programmi tv

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Il Regolamento completo del Programma CartaFRECCIA, che ha validità fino al 30 aprile 2022, è disponibile sul sito trenitalia.com o presso le emettitrici self service della rete nazionale e le biglietterie Trenitalia. I premi potranno essere richiesti fino al 15 maggio 2022. 120


MOSTRE IN TRENO E PA G O M E N O PER I SOCI CARTAFRECCIA SCONTI E AGEVOLAZIONI NELLE PRINCIPALI SEDI MUSEALI E DI EVENTI IN ITALIA

Joaquín Sorolla y Bastida Mia moglie e i miei figli (1897-1898) Olio su tela Madrid, Museo Sorolla

Per la prima volta in Italia, un’esposizione monografica ripercorre la ricca e fortunata produzione del pittore spagnolo Joaquín Sorolla y Bastida. Poco noto nel nostro Paese, è stato uno dei massimi rappresentanti dell’arte iberica a cavallo tra ‘800 e ‘900 e ha contribuito in modo determinante al suo rinnovamento, aprendola al clima della Belle Époque. Per raccontare l’evoluzione di questo pittore ambizioso e determinato, fino al 26 giugno Palazzo Reale di Milano ospita la mostra Joaquín Sorolla pittore di luce, che raccoglie circa 60 opere

dell’artista. Al profondo amore per la pittura, Sorolla ha sempre abbinato un intenso legame con la famiglia, suo soggetto prediletto. In molte delle sue tele racconta l’amore per Clotilde, moglie, musa e compagna di vita, e per i tre figli María, Joaquín ed Elena. Un legame che ha nutrito la sua ispirazione, guidandolo verso la ricerca della verità dell’immagine, che può essere generata solo da una reale partecipazione e da una potente emozione. Ingresso 2x1 riservato ai soci CartaFRECCIA muniti di un biglietto per

Frecce o Intercity con destinazione Milano in una data antecedente al massimo di tre giorni da quella della visita. Per chi viaggia da solo, alle stesse condizioni, è prevista una riduzione sul ticket di ingresso. Sconto sul biglietto della mostra anche per chi è in possesso di un biglietto di corsa semplice o un abbonamento annuale e/o mensile regionale Trenitalia dal Piemonte, dalla Valle d’Aosta o dall’Emilia-Romagna e Liguria verso la Lombardia (promozione valida anche per Trenitalia Tper dall’Emilia-Romagna). mostrasorolla.it 121 121


NETWORK // ROUTES // FLOTTA

Parigi

Bolzano

Aosta-Courmayeur

Lione Chambéry

Ora Treviso Trento Vicenza

Bergamo Brescia

Milano

Torino

Val Gardena Val di Fassa-Val di Fiemme Cortina d’Ampezzo

Madonna di Campiglio

Udine Trieste Venezia

Verona Reggio Emilia AV

Padova

Mantova

Modena Bologna

Genova

Ventimiglia

La Spezia Pisa

NO STOP

Ravenna Firenze

Rimini Assisi

Perugia

Ancona

Pescara Roma Foggia

Fiumicino Aeroporto

Caserta

Bari

Napoli

Matera

Potenza

Salerno

Lecce Taranto

Sibari Paola Lamezia Terme

Palermo

Messina Reggio di Calabria

LEGENDA:

Catania

Per schematicità e facilità di lettura la cartina riporta soltanto alcune città esemplificative dei percorsi delle diverse tipologie di Frecce. Maggiori dettagli per tutte le soluzioni di viaggio su trenitalia.com Alcuni collegamenti qui rappresentati sono disponibili solo in alcuni periodi dell’anno e/o in alcuni giorni della settimana. Verifica le disponibilità della tratta di tuo interesse su trenitalia.com.

Cartina aggiornata al 23 febbraio 2022

FRECCIAROSSA ETR 1000 Velocità max 400 km/h Velocità comm.le 300 km/h Composizione 8 carrozze 122

Livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard Posti 457 WiFi

Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità Fasciatoio


FRECCIAROSSA

FRECCIAROSSA ETR 500

Velocità max 360 km/h | Velocità comm.le 300 km/h | Composizione 11 carrozze 4 livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard | Posti 574 WiFi | Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIARGENTO ETR 700

Velocità max 250km/h | Velocità comm.le 250km/h | Composizione 8 carrozze 3 livelli di Servizio Business, Premium, Standard | Posti 500 WiFi | Presa elettrica e USB al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

1a

FRECCIARGENTO ETR 600

Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 7 carrozze Classi 1^ e 2^ | Posti 432 WiFi | Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIARGENTO ETR 485

Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 9 carrozze Classi 1^ e 2^ | Posti 489 WiFi | Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIABIANCA

Velocità max 200 km/h | Velocità comm.le 200 km/h | Composizione 9 carrozze Classi 1^ e 2^ | Posti 603 Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIABIANCA ETR 460

Velocità max 250 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 9 carrozze Classi 1^ e 2^ | Posti 479 Presa elettrica al posto | Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio 123



PRIMA DI SCENDERE FONDAZIONE FS

MONTE AMIATA DESTINAZIONE FUTURO

© Archivio Fondazione FS Italiane

LA STORICA STAZIONE IN VAL D’ORCIA È AL CENTRO DI UN IMPORTANTE PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE. CHE PREVEDE UNA SALA CONFERENZE, UN EMPORIO E UN’AREA DEDICATA AL BIKE SHARING

La stazione di Monte Amiata (SI)

L

a storica stazione ferroviaria di Monte Amiata (SI), sulla linea Asciano-Monte Antico, cambierà presto volto. È infatti al centro di un importante programma di riqualificazione e valorizzazione in chiave turistico-culturale. La Fondazione FS Italiane, insieme a Rete Ferroviaria Italiana, è capofila di un progetto per il recupero dei fabbricati ferroviari della stazione, nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza che rilancia l’economia europea in ottica digitale e sostenibile. Il complesso architettonico fu inaugurato intorno al 1870 per servire un

territorio dove l’estrazione mineraria costituiva il più importante vettore economico. E per un secolo intero è stato al centro di un intenso traffico merci grazie al trasporto di cinabro, il solfuro da cui si ricavava il mercurio. Oggi, invece, è meta del turismo di prossimità, che ha l’intento di far conoscere la cultura locale grazie all’eredità industriale ancora presente nel territorio. Il progetto prevede la completa trasformazione della stazione, con la costruzione di una sala conferenze da oltre 200 posti, una sala polifunzionale con un emporio enogastronomico, una

struttura ricettiva, un’area dedicata al bike sharing e un ampio parcheggio. La connotazione ferroviaria sarà garantita dal restauro filologico della torre piezometrica, cioè il serbatoio dell’acqua che un tempo veniva usata per le locomotive, e dal ripristino del posto d’incrocio tra i binari dotato di nuove tecnologie per consentire l’uso di tre linee ferroviarie. Su una di queste viaggeranno anche i treni del progetto Binari senza tempo, per far scoprire ai turisti la storica e affascinante Ferrovia della Val d’Orcia. fondazionefs.it fondazionefsitaliane 125


PRIMA DI SCENDERE FUORI LUOGO

di Mario Tozzi mariotozziofficial

mariotozziofficial

OfficialTozzi

[Geologo Cnr, conduttore tv e saggista]

© Thomas Mallevays/Adobestock

IL PASSO DEL PELLEGRINO

Il passo del Gran San Bernardo (AO)

A

ttraversare il passo del Gran San Bernardo (AO), alla maniera degli antichi pellegrini che percorrevano la Via Francigena da Canterbury a Roma, è un’esperienza che lascia il segno e viene ripetuta anche nell’evo moderno. Il riferimento, da secoli, è il diario dell’arcivescovo britannico Sigerico, che fece il percorso all’inverso nel 990: sono solo 30 km fino ad Aosta e potete percorrerli

126

a piedi in circa otto ore, anche senza essere allenati. Come gli antichi pellegrini, con bastone e sacco a tracolla, potete ancora trascorrere la notte nel convento in vetta, purché siate pii e vi guidi la ricerca della verità, beninteso. I Romani scavarono la strada interamente a mano nella roccia viva, ma quel passo è stato utilizzato dalla gente di montagna che cercava la pianura, almeno fino dall’età

del bronzo. Attraversando pascoli verdissimi e qualche bosco, arriverete al primo centro abitato, il borgo di Saint-Rhémy, fra numerosi “ospizi”: qui, fin dal XIII secolo, si pagava il pedaggio ai Savoia. Aosta non è lontana e, a sera, potrete gustare mocetta con lardo e castagne al miele, una fonduta di formaggio o una cotoletta alla valdostana, magari concludendo con un genepy finale, il buon liquore alpino.


PRIMA DI SCENDERE l

di Davide Rondoni DavideRondoniAutore [Poeta e scrittore]

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STAZIONE POESIA

daviderondoni

Daviderond

© moofushi/Adobestock

ABITARE IL TEMPO

Il tempo è troppo lento per coloro che aspettano, troppo rapido per coloro che temono, troppo lungo per coloro che soffrono, troppo breve per coloro che gioiscono; ma per coloro che amano, il tempo non è. [Henry van Dyke]

M

arzo, la primavera, ovvero l’inizio. Nella parola si cela una radice indoeuropea, dicono gli studiosi, che indica qualcosa di ardente, di acceso, di vitale. La primavera come epoca del risveglio, quindi. Non a caso, il giorno 21 di marzo si celebra la Giornata mondiale della poesia, per indicare che anche questa ha a che fare con l’inizio, con la vita allo stato nascente, originale. I versi dell’americano Henry van Dyke (1852-1933) sono perfetti per descrivere il senso del tempo. A volte – anche in momenti duri come quelli che viviamo – ci vogliono convincere che lo scopo della vita è durare, campare. Come se il valore di un’esi-

stenza fosse nel tempo inteso come mera durata cronometrica. Allora quella di un ottantenne vale più di quella di un ventenne? Siamo sicuri che il suo peso sia nella mera durata? L’esperienza ci insegna, come ricorda l’autore, che il tempo vissuto dipende dal senso, dal significato. Perciò la vita di una persona non è mai solo durata ma anche senso. Il fatto stesso che una stagione come la primavera, in cui, come diceva Giacomo Leopardi, viene da chiedersi a che cosa “sorrida” la natura con la sua bellezza di risveglio, ci doni un senso di inizio e di rinascita, conferma che il tempo non è solo cronos, cronometro, ma anche e soprattutto significato, senso che riconosciamo

nelle cose. L’amore, quando è ardente e vero (e perciò anche paziente, ovvero capace di vera passione, di patire per qualcuno), elimina il tempo come pura durata. Elimina il suo volto anonimo di solo scorrimento. L’amore ci fa abitare il tempo rivelandone il significato, dunque eliminandone il peso, cambiandone il corso e la direzione, scombinando le cose. L’essere umano ha un’esperienza speciale del tempo: per lui le stagioni non passano come per ogni altro essere vivente. A volte ci sorprendono primavere in inverno, ringiovanimenti in autunno, invecchiamenti in estate. Dipende da cosa amiamo, se amiamo. E i poeti ce lo ricordano. 127


PRIMA DI SCENDERE FOTO DEL MESE

di Flavio Scheggi

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Un museo a oltre duemila metri di altezza che si raggiunge in cabinovia. Una fotocamera del 1907 lunga quasi due metri per 70 chilogrammi di peso. Foto realizzate con un procedimento del 1850 chiamato ambrotipia – in greco «immortalità» – che permette di catturare la luce ultravioletta, solitamente invisibile all’occhio umano, e immortalarla su lastre di vetro nero di grande formato. Sono gli elementi della mostra The Invisible Light, fino al 24 aprile al Lumen, il Museo della fotografia di montagna a Plan de Corones, in Alto Adige. Le foto realizzate da Lightcatcher, Kurt Moser e Barbara Holzknecht ritraggono paesaggi dolomitici come lo Sciliar, il Sass de Putia, il Cimon della Pala e Passo Gardena. Grazie alla tecnica secolare utilizzata, il visitatore può ammirare la ricchezza dei dettagli e la profondità delle immagini scattate alle montagne Patrimonio dell’Unesco. Da queste foto emergono cime rocciose, montagne innevate, boschi e cieli densi di nuvole con forti contrasti, dove le scale del grigio regalano profondità inattese ed evocano grandi spazi. lumenmuseum.it lightcatcher.it

Sass de Putia (2021) Ambrotype, 700x900 mm © Lightcatcher

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