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L’ALFABETO DELLA MUSICA
I valori musicali rappresentano l’alfabeto della musica. Con la differenza che, rispetto alle lettere, le figure della musica sono sette, delle quali i 64.mi (figure con quattro tagli) usati raramente.
Se non li conosciamo già, impariamoli osservandoli in sequenza verticale e con la tipica versione ad alberello.
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Intero e pausa dello stesso valore (pausa segnata sotto alla quarta linea)
Metà e pausa dello stesso valore (pausa segnata sopra alla terza linea)
Quarto e pausa dello stesso valore (pausa verticale segnata ad altezza nota)
Ottavo e pausa dello stesso valore (pausa con un segno come coda figura)
16.mo e pausa dello stesso valore (pausa con due segni come coda figura)
32.mo e pausa dello stesso valore (pausa con tre segni come coda figura)
I valori musicali si scrivono e si leggono sul rigo musicale, o pentagramma, in uno spazio delimitato, da due stanghette verticali, chiamato battuta o misura.
La quantità e il tipo di figure che deve contenere una misura (quarti, ottavi o altro) viene stabilita dalla frazione tempo o simboli equivalenti.
Dalla teoria alla pratica: se, ad esempio, si trova un 2 sopra e un 4 sotto (2/4) significa che la misura è formata da 2 figure o pause del valore di un quarto.
Il Ritmo
L’elemento naturale che ordina i suoni
In un articolo degli anni ’90, pubblicato sul mensile «La gazzetta della musica», scrissi che Il famoso musicologo e direttore d’orchestra Hans Von Bulow, parafrasando l’incipit del Vangelo secondo Giovanni, ebbe a dire: «Am Anfang war der Rhithmus» («in principio era il ritmo»). Noi possiamo azzardare che il ritmo, quale evento che sta alla base di tutte le arti, nell’accezione tecnica che ci riguarda rappresenta l’elemento naturale che ordina i suoni.
Questa dimensione ordinata dei suoni, nell’esecuzione musicale, si può ottenere in due modi: leggendo i segni di durata della notazione, oppure seguendo istintivamente la successione degli accenti forti e deboli.
Nel primo caso, si corre il rischio di realizzare un ritmo artificiale in quanto dipendente solo dalla lettura dei valori musicali. Nel secondo, invece, si esegue un ritmo istintivo e quindi naturale.
L’intuito o istinto, ossia l’abilità di percepire una situazione musicale in maniera spontanea e senza ragionarci sopra, è spesso una qualità latente che si può scoprire e perfezionare con uno studio mirato e costante. Perciò è stato detto che: «Il ritmo dipende dall’intuizione, la misura dalla riflessione». Come dire che il ritmo è un fatto spontaneo e la misura (ossia lo spazio che contiene i valori musicali) ragionamento.
Possiamo quindi riaffermare che esiste un ritmo naturale, che si può ottenere seguendo istintivamente la successione degli accenti forti e deboli (indipendentemente dalla loro durata) e un ritmo artificiale, che si realizza con il conteggio delle figure di valore.
Il ritmo “artificiale”, conseguito leggendo la parte, evita la “squadratura” (parola che nel gergo musicale indica un esecutore che non va a tempo), ma lo rende schiavo dei segni musicali di durata.
Il conseguimento della sensibilità ritmica, per suonare anche “a memoria”, senza leggere le figure musicali di valore per andare a tempo, si conquista in fase propedeutica, anteponendo esercitazioni istintive allo studio dei segni della notazione. Tutto questo è stato già proposto e sperimentato con il primo volume de La musica tra ritmo e creatività (Edizioni Curci, 1987) metodo le cui esercitazioni, in una recensione del critico musicale Paolo Isotta sul “Corriere della sera”, venivano così descritte: «E questi esercizi sono divertentissimi: eseguendoli con costanza non è solo possibile a chi non li possegga acquisire familiarità con gli elementi primigeni della musica o, per il musicista, sviluppare una più sottile sensibilità verso un aspetto della propria arte spesso tenuto da banda; è anche facile gradualmente pervenire all’arte dell’improvvisazione ritmica che, posseduta talora da individui privi di ogni istruzione musicale, a molti musicisti è ignota...». Come già accennato in altre pubblicazioni: «Ogni allievo è diverso dall’altro e, di conseguenza, deve ricevere un insegnamento su misura per le sue capacità di apprendimento, che i vari metodi di studio non possono prevedere e includere. Qualcosa che lo faccia sentire insegnante di se stesso e non un soggetto passivo che cerca di imitare il docente e i colleghi più avanti negli studi».