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Via Giove
La via di Giove
Nell’estate 2015 mi tentava l’idea di creare una salita autonoma e continua dalle placche iniziali fino alla vetta della Cima Undici. Le placche grigio chiaro, in alcuni punti color argento, della porzione sinistra della parete offrivano l’opportunità di concretizzare quest’idea. La via si sarebbe chiamata Giove. I tratti umani non sono plasmati solo dalla Terra, ma sono anche espressione del grande firmamento. La fisionomia riflette le manifestazioni degli astri. Ad esempio, la fronte umana rappresenta Giove. Quando questa ha una bella forma appare come un qualcosa di sublime, che conferisce attrattiva e carisma agli uomini. La grande salita sulla parete, dai piedi fino alla vetta, dà realmente la sensazione di grandezza, e quando la si affronta ci si sente forse come se si stesse conquistando l’ampia fronte di questo monte. In ogni caso, Giove è il pianeta che simbolizza valori elevati, amicizia, nobile autostima e superiorità. È allo stesso tempo il re dei pianeti.
Per me ogni impresa sui monti comincia con un’idea, che poi sviluppo in un concetto e alla fine metto in pratica. Mentre l’idea di una nuova via in Vallaccia cominciava a concretizzarsi, lo sguardo vagava tra le placche argentate alla ricerca della migliore traiettoria, percorribile e con un andamento naturale. La forza del pensiero e l’impulso dei sensi sono come una coppia di fratelli che si completano naturalmente a vicenda. Quanto più forti sono le idee di un uomo e quanto più riesce a plasmarle in concetti concreti, tanto più saranno realizzabili e ricche di prospettive alpinistiche per il futuro. Qualcuno potrebbe credere che chi apre una via trovi il percorso in modo fortuito, che esplori in precedenza con il binocolo le diverse zone e la crei in base alle proprie sensazioni. La forza delle idee, che sta alla base di ogni via, ha in sé la scintilla dell’avvio e risveglia i sensi per permettere una visione orientata alla corretta esplorazione. Per questo motivo i sensi seguono il potenziale interiore del mondo delle idee. L’uomo riesce a vedere davvero le traiettorie e le loro piacevoli combinazioni solo se ne ha un’idea sufficientemente ampia o, per dirla in altro modo, se ne ha una sensazione profonda.
Da dove vengono le idee? Come riescono a farsi strada nell’uomo? E come riesce l’uomo a realizzarle? Queste sono tutte questioni che rivestono un certo interesse per chi arrampica. Forse si potrebbe dire che praticare alpinismo o arrampicare su ripide pareti rocciose sia già di per sé una cosa molto folle, capace di appassionare solo gli uomini insoddisfatti della propria quotidianità che, innalzandosi dal fondovalle, cercano qualcosa che li impegni e metta i nervi in tensione. In ogni caso l’alpinismo è strettamente connesso alla forza delle idee dell’uomo, e se questa non fosse sufficientemente sviluppata, oggi probabilmente pochissimi monti sarebbero stati conquistati. Dal punto di vista filosofico, un’idea non è il risultato di una specifica iperattività ormonale o di troppi impulsi del sistema nervoso autonomo. L’idea, quando si manifesta all’uomo, è in un primo momento indipendente dalle condizioni fisiche. Come diceva Platone, l’uomo vive in connessione con le proprie idee, mentre il corpo fisico è l’impronta del potenziale fisico superiore. Il fuoco concettuale di un’idea anima l’uomo come una sorta di risurrezione, e quando quest’idea è sufficientemente pensata la mente umana viene presa rapidamente da un impulso appassionato e si getta nella realizzazione di quanto concepito. Le idee sono un fuoco spirituale, una realtà, che cala sull’uomo dall’alto. Se l’uomo ascolta queste idee, la sua mente risulterà vivacemente stimolata e in breve lo porterà alla loro realizzazione.
La porzione sinistra di parete delle grandi placche della Cima Undici è percorsa dalla via di Graziano “Feo” Maffei e Mariano Frizzera, considerata una classica. Porta il nome di Pilastro Zeni. L’avevamo già ripetuta alcune volte. Una parte relativamente ampia della salita si snoda su fessure, che qui in Vallaccia sono molto difficili, spesso piatte e spiacevolmente strette, e a volte su rocce poco sicure. A destra di questa via la parete sembrava ancora vergine, e lasciava intravedere complessivamente una buona qualità della roccia. Le caratteristiche placche con diversi buchi permettono in questa zona un’arrampicata elegante. La difficoltà dell’arrampicata su placche sta però nella compattezza delle zone. Per questo motivo è estremamente complicato piantare chiodi sicuri e infilare friend o nut. Una prima salita richiede movimenti sicuri sulle placche, da un buco all’altro, e tutto questo mentre si spera che una fessura si palesi in tempo per piantare un chiodo. A volte i buchi sono svasati e aperti, e questo fa un po’ sudare per la paura chi sale come primo.
Stavamo scalando la parete in una calda mattinata. Il primo tiro lo abbiamo portato a casa tranquillamente con un solo chiodo e qualche clessidra. Volevamo evitare lunghi intervalli tra le protezioni sulle placche, perché già durante la prima salita
Non appena la mente è focalizzata su un obiettivo, molte cose vi convergono. Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832)
42. Dove dimori superiore
Heinz Grill, Stefano Santomaso (08/2021).
La via è perfetta per essere affrontata subito dopo le vie 42. Dove dimori o 43. Tetto fessurato.
Dall’uscita delle vie salire verso destra e, seguendo le tracce, giungere al sentiero superiore che porta all’attacco della via (10 min).
Difficoltà: VI, un passaggio, spesso V e IV.
Dislivello: 150 m.
Esposizione: Sud.
Materiale: tutte le soste sono su clessidre o chiodi. Le protezioni intermedie sono costituite da molte clessidre con cordini e chiodi normali. Per una migliore protezione si consiglia di portare con sé alcuni friend, fino al #2.
Tempo di salita: 2h.
Tempo di discesa: 1h.
Tempo di avvicinamento: 1h 25 min.
I tempi di avvicinamento e di discesa sono calcolati rispetto alla Malga Framont. La via è perfetta come “prosecuzione” di altre vie.
Avvicinamento: dal Rifugio Carestiato prendere l’Alta Via n.1 (sentiero n. 554) in direzione ovest, fino a trovarsi sotto la parete. All’altezza di una grande pietra (con un vecchio segno rosso) prendere il sentiero che sale sulla sinistra verso l’attacco (45 min). Partendo invece dalla Malga Framont prendere il sentiero n. 552 fino all’Alta Via n. 1 (sentiero n. 554) e con questa giungere in direzione est fino a sotto la parete. All’altezza di una grande pietra (con un vecchio segno rosso) prendere il sentiero che sale sulla sinistra verso l’attacco (1 h e 30 min).
Discesa: dall’uscita si sale in direzione di un piccolo larice, sopra cui si trova una cengia erbosa. La si segue scendendo, e poi si torna all’attacco passando per rocce con difficoltà I-II (30 min), (ometti di pietra).

“Dove dimori superiore” (42)

Sosta su spuntone
Traverso esposto
Grande parete gialla con tetti
Piccolo larice Lama
Belle placche grigie
Strapiombo, passaggio
Sullo spigolo
Discesa
Traverso a strapiombo VI
I, sul crinale
Strapiombo
Discesa
Sentiero superiore
Piccolo larice
“Tetto fessurato” (43)
“Dove dimori” (42)
Discesa, “Sentiero degli Scalet”
Passaggi fino II
