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Nomadi in Ladakh pagina
Incontro con i rifigiati tibetani nel piccolo villaggio di Poga Sumdo a 4500 metri di altitudine. I nomadi Khampa vivono in esilio una quotidianità fatta di lavoro e dura sopravvivenza, nella speranza, un giorno, di poter tornare a Lhasa oltre le creste rocciose himalayane
Testo e foto di Angela Prati Ladakh, estremo nord dell’India. La regione segna il confine tra le cime dell'Himalaya occidentale e il vasto altopiano del Tibet. Chilometri di corsi d'acqua infiniti da percorrere a piedi mentre lo sguardo scorre il panorama lungo le montagne spesso senza nome. Salite e discese a oltre 5000 metri tra morene e gole e poi prati verdeggianti. E ancora le aride distese del deserto d'alta quota dell'altopiano tibetano di Chantang. Un posto dove i paesaggi continuano a variare con il sole, la pioggia, il vento, i silenzi, e dove l'immensità dei luoghi sembra non mutare mai.
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Lo sguardo del giovane “Khampa” è rivolto oltre le vette innevate e i ghiacciai dell’Hymalaya. Verso quella casa che non ha mai conosciuto. Lhasa è pura utopia per i rifugiati tibetani, nomadi sulle montagne del Ladakh. Alcuni di loro, nati e cresciuti in esilio, non hanno mai messo piede in




Tibet, oltre quelle creste rocciose. Sono da diversi giorni loro ospite a Poga Sumdo, un piccolo villaggio a 4500 metri d’altitudine, sulla pista che conduce verso il lago Tso Moriri, a una giornata di fuoristrada da Leh, il capoluogo della regione. Vivo con questa gente, ospite nelle loro case e divido con loro una quotidianità semplice, fatta di lavoro e di dura sopravvivenza. Ma anche di momenti di grande intimità religiosa, come l’ora della “puja” favorisce.
Momenti di vita quotidiana che trovano il completamento della giornata nella preghiera La preghiera buddhista raccoglie tutti, uomini, donne e bambini, avvolti nelle pelli di capra, nell’unica stanza grande del villaggio, appena intiepidita dagli ultimi raggi del sole. “Om, Mani, Padme, Hum” , recita il “fiore di loto” , la preghiera che ringrazia Buddha per la sua infinita saggezza. Nel piccolo villaggio di Poga Sumdo, incontro il medico tibetano Dhondup, che una volta al mese, percorrendo le difficili piste d’altura, da Leh raggiunge gli accampamenti nomadi dei Khampa, un’etnia che vive in tenda sulle montagne situate oltre i 5500 metri d’altezza. Chiedo di poterlo accompagnare. Dhondup porta soccorso e cure, visita chi ne ha bisogno e dona medicine e vaccinazioni. Questa volta la sua missione è di vaccinare i bambini. Il medico cerca anche di infondere sentimenti di speranza a questo popolo di rifugiati ai quali, dopo l’invasione cinese del Tibet è proibito tornare nel loro paese. Un esilio che coinvolge anche la massima autorità religiosa, il Dalai Lama Tenzin Gyatso, che dal 1959 di è a Dharamsala in India. La vita di questa gente è durissima, in presenza di un clima impossibile, con temperature che nella stagione invernale raggiungono i trenta gradi sotto zero. Immagini dei rifugiati tibetani a Poga Sumdo, seguaci di Budda. Il buddismo, nato in Indiia nel VI secolo a.C. trova una delle manifestazioni più importanti nella corrente buddista tibetana che nelle vallate dell’Himalaya ha incontrato ospitalità e dove ancora vive, a differenza di quanto avviene nei luoghi di origine (India del nord) dove non è più presente















IVOLTI

Dai volti, dall’intensità degli sguardi, dalle espressioni, dalla luce degli occhi emerge e si percepisce l’anima di un popolo. L’india è un popolo e tanti popoli
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