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ANALISI DI MERCATO

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LUXURY INSIGHT

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Abbigliamento bambino, il footfall ridotto penalizza le vendite

Mentre l’eCommerce continua a correre anche dopo la riapertura dei negozi, decisa dal Governo a partire dal 14 aprile, gli store registrano un alto tasso di conversione di acquisto, che tuttavia non compensa i flussi dimezzati. Per i retailer, Nord Italia e centri commerciali i più colpiti

Dal 14 aprile è stata consentita la vendita al dettaglio per gli operatori che commercializzano abbigliamento bambino, oltre un mese prima rispetto alla data di riapertura per i negozi di abbigliamento donna e uomo. Ma, il reopening anticipato, se da un lato ha rappresentato un importante servizio al consumatore, da un altro ha determinato spesso ulteriori perdite per i commercianti, penalizzati dai flussi didi Andrea Penazzi mezzati all’interno dei negozi. Il segmento del kidswear sconta inoltre il progressivo calo della natalità nel nostro Paese. «L’abbigliamento bambino soffre della crisi generale in cui versa il fashion, cui va aggiunta la drastica riduzione delle nascite. In compenso, il calo dei consumi nel comparto bambino è stato meno significativo rispetto a quello per adulti - spiega a retail&food AnnaMaria Armano, partner di Sita Ricerca - I motivi di questo andamento sono tre: la necessità funzionale di rinnovo è obiettiva in quanto il bimbo cresce; vi è un investimento affettivo sugli acquisti per il bambino, soprattutto se è molto piccolo; l’acquisto regalo ha un peso rilevante, in particolar modo nella prima infanzia e nel periodo neonatale. Il che spiega anche una certa tenuta dei prezzi se confrontati all’abbigliamento adulto e ragazzo». Nel primo trimestre 2020 il calo dei consumi fashion è stato importante: vanno considerati sia una stagione climaticamente poco favorevole sia, a marzo, il lockdown. «L’esigenza di dover comunque fare acquisti per i bambini, almeno per l’indispensabile, si è scontrata con le complicanze del periodo - prosegue AnnaMaria Armano - Non si è potuto né selezionare né razionalizzare, come indicato dal relativo aumento dei prezzi medi. In termini percentuali, in questo periodo si è registrato un aumento consistente degli acquisti online più che nell’adulto, sia nei pure player sia nel brick&click».

TOTALE ABBIGLIAMENTO ABBIGLIAMENTO ADULTI ABBIGLIAMENTO BAMBINI

VAR % 2017 Vs 2018 QTA SPESA PM

01 -1,5 -1,5 0,0 -1,7 -1,7 0,3 -0,2 -0,6

VAR % 2018 Vs 2017 QTA SPESA PM

-1,8 -3,7 -1,9 -2,0 -4,0 -2,0 -1,4 -2,0 -0,7

VAR % 2019 Vs 2018 QTA SPESA PM

-1,6 -2,8 -1,2 -1,8 -3,1 -1,3 -1,1 -1,5 -0,4

VAR % 2020 VS 2019 QTA SPESA PM

-24,4 -24,5 -0,1 -24,4 -24,9 -0,7 -24,4 -22,5 2,5

ABBIGLIAMENTO DONNA ABBIGLIAMENTO UOMO ABBIGLIAMENTTO NEONATO ABBIGLIAMENTO BAMBINI 3-7 ANNI ABBIGLIAMENTO BAMBINI 8-14 ANNI

-0,4 0,6 0,5 -0,9 1,3 La manager partner di Sita Ricerca ha concluso la propria disamina con una riflessione sul prossimo futuro: «Nei mesi a seguire, il calo dei consumi nel bambino si attenuerà rispetto all’adulto e si distribuirà in tre canali: verso i pure player, anche se un po’ meno rispetto a marzo; nel brick&click, dato che le catene specializzate, nel frattempo, si sono organizzate meglio con l’online; nei punti vendita fisici delle catene specializzate che, come si ricorderà, hanno anticipato la riapertura rispetto agli altri negozi».

LE INTERVISTE AI BRAND

Antonio Di Vincenzo, presidente di Original Marines

Quali erano le vostre performance prima della crisi sanitaria e come avete gestito la fase di lockdown?

Prima del Covid venivamo da un periodo di riorganizzazione dell’azienda, che è sempre stata a gestione familiare sino a quando nel 2017 ho assunto il ruolo di presidente e avviato un percorso di managerializzazione. Tale scelta aveva lo scopo di affrontare meglio la lunga coda della crisi iniziata nel 2009. E, dopo quasi 3 anni, si iniziavano ad apprezzare i risultati di questo lavoro, con

-2,0 -1,3 0,3 -0,1 -0,5 -1,6 -1,9 -0,2 0,8 -1,8 -1,6 -2,7 -0,7 -1,6 -1,5 -3,6 -4,7 -1,4 -1,8 -2,4 -2,0 -2,0 -0,7 -0,3 -0,9 -0,7 -3,7 -1,0 -1,3 -1,1 -2,4 -4,2 -1,4 0,2 -2,8 -1,7 -0,5 -0,3 1,5 -1,7 -25,7 -22,0 -22,6 -25,4 -24,3 -26,3 -22,8 -23,2 -24,5 -20,8 -0,8 -1,0 -0,7 1,3 4,6

aumenti di fatturato talvolta a doppia cifra. Questo percorso di crescita, caratterizzato anche da un riequilibrio del numero dei negozi tra diretti e in franchising, che a fine 2019 ha portato ad averne 270 di proprietà sui 500 totali della rete in Italia, è durato sino a febbraio compreso, tant’è che a inizio marzo abbiamo regolarmente pagato tutti gli affitti. Quando, proprio a inizio marzo, abbiamo compreso la gravità della problema, abbiamo subito lanciato un recovery plan, anticipando quelle che di fatto sarebbero state le mosse dello Stato. Per preservare la salute dei nostri dipendenti abbiamo stabilito di chiudere tutti i negozi diretti prima ancora dell’avvio del lockdown e abbiamo consigliato agli affiliati di fare lo stesso. In quel momento, pensando alla futura riapertura, come presidente ho deciso che avremmo dovuto tenere i contatti con tre tipologie di interlocutori: con il cliente finale, e sottolineo che abbiamo 1,8 milioni di clienti fidelizzati in possesso della Original Marines Card; con i nostri dipendenti; e, non meno importante, con i nostri affiliati e i loro dipendenti, per mantenere viva la catena.

Quali sono i riscontri sui flussi e sui fatturati dalla riapertura ad oggi? Performano meglio i negozi su strada oppure quelli all’interno dei centri commerciali?

La nostra organizzazione ha fatto sì che in soli 7-10 giorni dal 14 aprile riuscissimo a riaprire la quasi totalità dei punti vendita; mentre i nostri affiliati sono stati ancora più veloci. Rispetto ai numeri di sell out, nel recovery plan avevamo ipotizzato risultati molto negativi: ad aprile non pensavamo neanche di poter riaprire, per cui tutto il fatturato è stato considerato segno “+”; per maggio avevamo previsto di perdere l’80%, ma siamo riusciti ad attestarci su un -40%; su giugno, luglio e agosto, a fronte di una previsione del -50%, siamo riusciti a contenere le perdite al -20/30%. In particolare, il -20% nei centri storici e il -30% nei centri commerciali, dove scontiamo un -50% di presenze. Il vero problema dei mall è proprio questo: il footfall. La percentuale migliore del fatturato rispetto a quella dei flussi è dovuta in parte alla bravura dei nostri dipendenti e in parte al fatto che vendiamo un prodotto di stretta necessità per le famiglie: i bambini crescono e il guardaroba deve essere aggiornato ogni stagione, per questo motivo cerchiamo anche di rimanere molto competitivi sul prezzo.

Il tema dei flussi ridotti nei centri commerciali apre un ulteriore capitolo: gli affitti. Come state gestendo questo aspetto con le proprietà immobiliari?

Su questo tema si è palesato un problema di mancanza di esperienza da parte del Governo che, sebbene abbia capito che senza un suo intervento si sarebbe creato un conflitto con le proprietà immobiliari, ha dimenticato che il retail non è più rappresentato dai piccoli commercianti. Oggi, infatti, il 70% del mercato è in mano alle grandi catene come la nostra. Aver fissato, quindi, un cap di 5 milioni per avere diritto al credito d’imposta ha generato un forte contrasto tra noi e i landlord. In questo contesto, è più semplice avere a che fare con i privati perché, be

Abbigliamento Junior: domanda contenuta e offerta differenziata

Siamo il Paese con la più alta percentuale in Europa di over 65, a fronte di poco meno di 8 milioni di under 14 anni, pari al 13% della popolazione totale. Tale dato potrebbe fare pensare a un mercato dell’abbigliamento Junior assolutamente marginale, ma così non è. L’industria in questo settore è attiva e il suo fatturato continua, seppur moderatamente, a crescere grazie soprattutto all’export. Dal punto di vista dei consumi, sulla base degli ultimi dati Istat disponibili, l’incremento della spesa media pro-capite per tale tipologia di prodotti risulta pari negli ultimi anni a circa l’1,4%. Il sud d’Italia presenta un dinamismo maggiore, con un livello di consumi in tale comparto superiore di 25 punti rispetto alla media italiana. Il sistema distributivo vede una struttura divisa tra operatori specializzati sullo specifico target e operatori generalisti nel segmento fashion, con al loro interno reparti sempre più importanti dedicati alla moda Junior. Fanno parte del primo gruppo insegne come Original Marines, Idexè, Okaidi-Obaibi, Brums, Chicco-Prenatal, Du pareil au meme e Z. Alcuni brand, nell’ottica di fornire un servizio sempre più personalizzato, hanno deciso di testare format specifici dedicati a questo target: Kids Foot Locker, Ovs kids e Harmont & Blaine Junior. Tra i generalisti, invece, le insegne maggiormente attive risultano essere H&M, OVS, Piazza Italia, Primark e Zara. Secondo i dati di Confindustria Moda, a livello distributivo si conferma la leadership delle catene, con quasi il 48% del mercato mentre il 31% è coperto dalla GDO (+1,1%). Quanto all’eCommerce, la penetrazione risulta ancora bassa, seppure in forte crescita. L’offerta all’interno dei centri commerciali per i piccoli clienti vede il combinarsi di operatori che trattano abbigliamento e di specialisti delle calzature, oltre che giocattoli e articoli di puericultura. Questi ultimi, considerata la necessità di ampi spazi e la marginalità contenuta, prediligono il posizionamento all’interno di strutture stand alone o retail park: si tratta, in generale, di un mercato molto concentrato che vede la presenza di un numero limitato di operatori attivi. All’interno dei centri commerciali le performance medie nel periodo pre Covid si attestavano su 3.300 euro a mq, con una dimensione media dei punti vendita pari a poco meno di 150 mq di Gla. Nella fase post lockdown, l’abbigliamento Junior è stato uno dei primi segmenti a poter riaprire e ci aspettiamo una buona ripresa anche in termini di fatturati. di Maddalena Panu, head of research-Director di Savills ne o male, hanno capito il problema, mentre la maggior parte dei centri commerciali sembra ignorare che i flussi sono dimezzati e che i negozi sono stati chiusi per due mesi. In generale non nascondo che quando i proprietari ci hanno fatto proposte irricevibili abbiamo inviato loro la lettera di rescissione del contratto. Come azienda ho stabilito che, laddove non riusciremo ad arrivare a un pareggio o almeno a una perdita sostenibile, chiuderemo il negozio. E credo che saranno circa 20 i negozi che andremo a chiudere, a fronte di 6-7 nuove aperture calendarizzate per il 2020.

Infine, l’eCommerce, pur crescendo esponenzialmente, ha dimostrato di non poter sostituire il negozio fisico, anche se diventa un elemento centrale nelle strategie dei retailer. Quali sono i vostri progetti di integrazione tra fisico e digitale?

L’online è importante nella misura che rappresenta un’ulteriore freccia al nostro arco. In questo senso ci siamo impegnati nell’accelerare il processo di multicanalità, ma non pensiamo assolutamente di sostituire il retail fisico con quello digitale. In termini numerici, da quando abbiamo iniziato a implementare con maggiore forza i nostri servizi omnicanale, i risultati dell’eCommerce sono migliorati sensibilmente, con incrementi a doppia cifra che ovviamente nel retail fisico non riscontravamo. Questo sino a gennaio a febbraio di quest’anno. Poi, con l’arrivo del lockdown, i valori sono esplosi, a tal punto che lo stesso fornitore a cui ci appoggiamo per questo servizio non è riuscito a tenere il passo della domanda. Di conseguenza, si è creata una situazione a imbuto che siamo riusciti a normalizzare soltanto una decina di giorni fa (poco prima di metà giugno, ndr). Ancora più sorprendente, tuttavia, è che dopo la riapertura dei negozi l’online ha continuato a mantenere lo stesso ritmo, con punte del +150-200%. Per concludere, per noi l’eCommerce fattura l’equivalente di un ottimo punto vendita fisico, nell’ordine dei 3-4 milioni di euro, e prevediamo di poter raddoppiare presto questo valore.

Paola Gazzola, responsabile marketing F.lli Campagnolo S.p.A. Divisione Nucleo

Innanzitutto, di quanti negozi si compone ad oggi la vostra rete di vendita in Italia, come è dislocata sul territorio nazionale e quante sono state le aperture nel corso del 2019?

I negozi sono circa 40 tra proprietà e affiliazione, questi ultimi a quota 6. Le apertu

re nel 2019 sono state 4. Siamo concentrati nel Nord Italia, tra Veneto e Lombardia, dove contiamo il 70% dei punti vendita.

Come avete gestito, dal punto di vista organizzativo e di sicurezza sanitaria, l’opportunità di riaprire prima durante la crisi rispetto ad altre categorie merceologiche?

Abbiamo aperto dapprima i punti vendita nei centri storici. Siamo partiti con un paio di negozi in Veneto, quindi nel Lazio e poi in Lombardia. Ma i centri commerciali sono arrivati solo successivamente, soprattutto dopo il 18 maggio.

Quali sono i riscontri sui flussi e sui fatturati dalla riapertura ad oggi? Performano meglio i negozi su strada in città oppure quelli posizionati all’interno dei centri commerciali?

Dipende dalle regioni e dalla posizione dei negozi. Ci sono centri storici che funzionano, altri che invece per logistica non sono anco

ra molto trafficati. Lo stesso vale per i centri commerciali. Sicuramente, avere la gran parte dei punti vendita nei centri commerciali ci sta penalizzando, ma il fattore maggiormente penalizzante è dato dal fatto che siamo concentrati tra Lombardia e Veneto. In Lombardia, in particolare, la circolazione è ancora contenuta in quanto il timore del contagio è forte. Di conseguenza, ci accorgiamo che sono cambiati i bisogni e le modalità di acquisto: si compra soprattutto per necessità, capi veloci e con un prezzo moderato. Al momento l’entrata per curiosità, per dare un’occhiata, non c’è. Questo, se da un lato ha sicuramente aumentato l’indice di conversione, dall’altro ha ridotto di molto gli ingressi e anche il fatturato ne ha risentito. Il nostro core business è dato dalla cerimonia, come protagonisti (comunioni/ cresime/battesimi) o invitati (paggetti/damigelle, ecc.), che ha perso la stagione intera. Abbiamo quindi cambiato la nostra offerta, introducendo linee del gruppo con funzione diversa, più orientate al tempo libero, e aumentato le promozioni per andare incontro alle esigenze dei nostri clienti.

Quali sono i vostri obiettivi per i prossimi mesi e per il 2020 in generale?

È una valutazione difficile da fare in quanto non abbiamo la stessa offerta e non abbiamo seguito lo stesso piano commerciale. Sicuramente abbiamo perso in fatturato, ma contiamo di riuscire a recuperare nella prossima stagione almeno la parte di cerimonia che è stata posticipata.

Infine, l’eCommerce, pur crescendo esponenzialmente, ha dimostrato di non poter sostituire il negozio fisico, anche se diventa centrale nelle strategie dei retailer. Quali sono i vostri progetti di vendite online e di integrazione tra canale fisico e digitale?

Lo shop online è sicuramente un canale dove si deve investire sempre di più e, anche se la nostra vendita è basata molto sul servizio e sull’assistenza, stiamo cercando di potenziare questo aspetto anche online con maggiori contenuti e servizi al cliente. In futuro si dovrà lavorare in modo sinergico tra i canali, rendendo molto più fluido l’acquisto tra i due e sfruttando i vantaggi e le peculiarità di entrambi. I clienti non sono necessariamente gli stessi, ma la recente situazione di chiusura generale ha aperto le porte dello shop online anche ai più restii. Questo soprattutto per il bimbo piccolo, dove c’è una grande opportunità per lo shop online. Il negozio fisico resta però un punto importante per consigli, servizio di accoglienza e assistenza, soprattutto in occasioni speciali come una cerimonia. Federica Montinaro, project manager del marchio CycleBand

Innanzitutto di quanti negozi, diretti e in franchising, si compone ad oggi la vostra rete di vendita in Italia e quante sono state le aperture nel corso del 2019?

Contiamo circa 190 punti vendita, di cui 40 diretti. Nel corso dello scorso anno abbiamo portato a termine 30 aperture.

Al momento, tutti vostri punti vendita sono operativi oppure no?

Sono operativi quasi tutti. Su alcuni stiamo valutando l’opportunità in base ai costi di gestione.

Come avete gestito, dal punto di vista organizzativo e di sicurezza sanitaria, l’opportunità di riaprire prima durante la crisi rispetto ad altre categorie merceologiche?

Dal punto di vista organizzativo non abbiamo avuto particolari problemi. Tuttavia, la riapertura anticipata non è stata una vera opportunità in un’ottica commerciale perché, comprensibilmente, nessuno usciva di casa a fare shopping. Quindi è stata forse più un servizio al cittadino, mentre per la nostra categoria si è dimostrata solo un’ulteriore emorragia di risorse.

Quali sono i riscontri sui flussi e i fatturati dalla riapertura ad oggi?

Flussi e fatturati vanno ovviamente di pari passo e sono fortemente negativi.

Rispetto invece ai valori di fatturato dello stesso periodo del 2019, quali sono le vostre performance in termini percentuali?

Dall’inizio dell’anno, il fatturato si attesta al 50% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.

Fatturano di più i negozi su strada in città oppure quelli posizionati all’interno dei centri commerciali? Per quali motivi?

Di sicuro c’è più movimento nei centri cit

tà che nei centri commerciali, i quali sembrano oggi delle cattedrali nel deserto, mentre prima erano i punti di forza della catena. Evidentemente le persone preferiscono stare all’aria aperta perché si sentono più sicure e al riparo da un eventuale contagio.

Quali sono i vostri obiettivi per i prossimi mesi e per il 2020 in generale?

È difficile porsi degli obiettivi rispetto a una condizione sconosciuta e imprevedibile nella sua evoluzione. Certo, ci sono dei numeri al di sotto dei quali non si può andare e questi li conosciamo bene. Bisognerà prevedere una ristrutturazione radicale dell’azienda sperando che tutto finisca per la fine del 2020, e in quella data si potranno quantificare realmente le ferite e programmare una risalita. Oggi si porta avanti principalmente una politica di contenimento delle perdite, lavorando sui costi che non possono rimanere quelli di prima a fronte del drastico calo dei ricavi.

Parlando di nuove aperture, i vostri programmi pre Covid saranno in qualche modo rispettati oppure i progetti di sviluppo retail, diretto e in franchising, sono al momento rallentanti/congelati?

Ciò che era stato avviato precedentemente all’emergenza ed era già a buon punto di definizione è andato in porto. Tutto quello che, invece, era in programmazione, ovviamente è in stand-by, anche perché oggi sono cambiati i parametri e tutto va rinegoziato o rivisto nei requisiti che devono necessariamente essere attualizzati.

Infine, l’ecommerce, pur crescendo esponenzialmente, ha dimostrato di non poter sostituire il negozio fisico, anche se diventa inevitabilmente centrale nelle strategie dei retailer. Quali sono i vostri progetti di integrazione tra canale fisico e digitale?

Ci stiamo equipaggiando ma anche quello prevede investimenti, e in questo momento tutto va ben pesato. ¢

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