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Città, rialzatevi
from BARtù 09-10 2020
by Edifis
Già ci avevano pensato i cambiamenti sociali, dagli anni Settanta in poi, ad azzerare il pasto di mezzogiorno nelle grandi città, alludo ai pranzi domestici delle famiglie italiane. Mogli a casa a cucinare, mariti che rientravano dall’ufficio nella pausa di lavoro, famiglia riunita a tavola. Sembra preistoria, anzi lo è. La cultura prandiale resisteva solo nei piccoli centri, in quella provincia felice che sembrava immortale. Ogni volta che capitavo in Toscana, il pranzo di mezzogiorno era irrinunciabile: un rito italiano, del quale si innamorò felicemente il
turismo internazionale che visitava il Bel Paese. Italian style. Stellati che andavano a mille, gourmet e gourmand a caccia di emozioni. Intanto, i bar dei centri cittadini si trasformavano in ristoranti, pasti veloci, panino e bibita, macedonia e via. Poi quella “piccola ristorazione” si organizzò in modo moderno, studiando i bacini di utenza, i territori, lavorando sulla customer satisfaction, investendo energia, denaro e tempo in forme innovative di somministrazione, creando un business senza precedenti. Oggi è uno scenario da dimenticatoio, quello della ristorazione veloce (e non solo) nei quartieri centrali: l’altro giorno, a Milano, sono entrato in un bar, dietro al Pirelli. Scenario agghiacciante, due clienti al banco per una birretta in due, dehors vuoto, commessa alla cassa stanchissima per le ore di semiattività, più logoranti, ci ha detto, della “continuità del lavoro, del rapporto assiduo con i clienti”. Definire una mappa del disastro economico e commerciale delle città non è esercizio facile, anche perché la famigerata macchia di leopardo - c’è chi lavora bene o benino e c’è chi chiude l’attività, ma non dipende da quanto sei o non sei bravo - è una realtà indecifrabile. Il “lavoro da casa” che tanto ha entusiasmato i “nuovi tuttologi”, paladini di concetti in divenire, non meglio definiti, si è rivelato una sciagura. E se il baretto di quartiere piange, il foodservice non ride. Per non dire dei ristoranti, penalizzati dalla pressocché totale assenza della clientela turistica internazionale. Venezia, Firenze, Roma faticano da mesi ormai a reggere questa situazione, sempre più insostenibile. La pandemia ha sconvolto l’intero pianeta e i recenti (e motivati) allarmismi sulla ripresa dei contagi in Europa e nel mondo allontanano ulteriormente le prospettive di ritorno alla normalità, che, peraltro, è un concetto vecchio e senza senso. Se ci sarà una nuova normalità nel nostro settore potrà nascere soltanto da quello che andremo a costruire. Ma, considerato che il tempo ci gioca contro, è impensabile mettere in piedi alla bell’e meglio un nuovo modello di riorganizzazione dei consumi “fuori casa”. Uno stimolo importante potrebbe arrivare dalle risorse apparentemente messe in campo dall’Europa ma, considerati i tempi lunghi (si parla di settembre 2021) il nostro horeca è solo destinato a soffrire quando non a soccombere. O a reinventarsi. Le risorse ci sono, la passione anche. E pure la professionalità, tanta. Attendiamo idee, progetti e, soprattutto, grandi iniezioni di fiducia.•
Alberto P. Schieppati alberto.schieppati@edifis.it