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Considerazioni sulla presenza di OCRATOSSINA A nelle carni e nei prodotti derivati

È stata riscontrata la presenza di ocratossina A sulla superficie di insaccati crudi e di prosciutti stagionati. Le quantità riscon trate sono risultate elevate. La contaminazione è sporadica. Tuttavia è opportuno eseguire indagini più vaste su questo tipo di contaminazioni.

Considerations on the presence of ochratoxin A on surfaces of dry salami and dry hams The contamination is, probably, occasional, neverthless it is necessary to execute detailed researches on this contamination.

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Le micotossine sono metaboliti secondari elaborati da muffe e costituiscono un settore di rilevante interesse igienico-sanitario. Quando presenti, esse sono dei contaminanti le cui concentrazioni possono variare da nanogrammi a microgrammi per grammo di prodotto alimentare.

Le ocratossine (OA o OTA) sono il principale e maggiore gruppo di micotossine identificate dopo la scoperta delle aflatossine (van der Merwe e coll., 1965 a,b) e sono sintetizzate da alcune specie di Aspergillus e di Penicillium.

Le varie ocratossine tossinogene identificate sono 11, precisamente:

1) l’ocratossina A;

2) l’ocratossina B;

3) l’ocratossina C;

4) il metilestere della ocratossina A;

5) il metilestere della ocratossina B;

6) il metilestere della ocratossina C;

7) l’ocratossina alfa;

8) l’ocratossina beta;

9) la 4R-idrossiocratossina A;

10) la 4S-idrossiocratossina A;

11) l’idrossiocratossina A.

Tra queste l’ocratossina A è quella prevalen- te ed è importante nei riguardi della salute umana. Negli studi su animali da esperimento l’OA causa effetti cancerogeni e immunotossici (Kuiper-Goodman e coll., 1972). La tossina è presente in numerosi generi di alimenti destinati al consumo dell’essere uma- no e animale (Krogh e coll., 1982) e i suoi effetti epatossici, nefrotossici e teratogenetici si possono produrre negli animali monogastrici in determinate condizioni.

Sono particolarmente sensibili la specie suina e quella aviaria a danno delle quali inducono soprattutto patologie renali, mentre meno sensibili sono gli animali poligastrici (bovini, ovini, caprini) per la inattivazione totale o parziale della OA a opera dei microrganismi ruminali.

Nell’uomo, si ritiene possano esercitare azioni nefrotossiche, e tumori sul tratto urinario nelle popolazioni con diete carenti in selenio (Krogh e coll., 1977; Pavlovic e coll., 1977; Maksimovic e coll., 1991) o in associazione con altri agenti lesivi il tratto genito-urinario come metalli pesanti, infezioni batteriche e virali localizzate e, anche, ligniti plioceniche (Pfohl-Leszkowicz e coll., 2002).

Tra i vari alimenti i cereali apportano circa una percentuale del 50-80% della quota di ocratossine calcolata su una dose giornaliera accettabile (TDI) di 5 ng/kg di peso corporeo.

PRODUZIONE

I miceti produttori di ocratossina A appartengono ai generi Aspergillus e Penicillium

Gli aspergilli tossigeni sono compresi: a) nella sezione dei Circumdati (prima gruppo di A. ochraceus) e precisamente A. ochraceus, A. alutacens, A. melleus, A. auricomus, A. ostianus, A. petrokii, A. sclerotiorum, A. sulphurens; b) nella sezione Flavi dove si collocano A. alliaceus e A. albertensis c) nella sezione Nigri, con alcune varianti di A. niger e A. carbonarius (prima compresi nel gruppo dell’Aspergillus niger). Recentemente è stata segnalata la produzione di ocratossina da A. japonicus, un fungo con micelio nero (Medina e coll., 2005) e da A. glaucus.

Le specie note di Penicillium produttori di ocratossina A sono: Penicillium verrucosum (Pitt, 1987), P. viridicatum (Borman e coll., 2002), P. cyclopium (Lund e coll., 2003) e soprattutto P. nordicum.

Questo penicillio è il micete più diffuso nei salumi tra i produttori di ocratossina ed è stato descritto per la prima volta da Dragoni e Cantoni (1979) (Ramirez, 1985) ed è anche il produttore più attivo nella produzione di OTA (Larsen e coll., 2001).

OCRATOSSINE NELLE CARNI

E NEI PRODOTTI CARNEI

Le prime segnalazioni sulla presenza di ocratossina A nei prodotti carnei sono state pubblicate nel 1976 da Krogh, altre segnalazioni si devono a Madsen e coll. (1982), Cantoni e coll. (1982 a,b), Jusziewicz e coll. (1984), Mortensen e coll. (1983), Pepeliniak. e coll. (1995), Sreemannarayama e coll. (1988), Bauer e coll. (1987), Kuiper-Goodman e coll. (1979), Scheuer (1989), Roseau e coll. (1989), Tesch e coll. (1993), van Egmond e coll. (1994), Jomonsky e coll. (1994), Lusky e coll. (1997), Lusky e coll. (1995), Scheuer e coll. (1997), Jorgensen (1998), Jorgensen e coll. (2002), Curtui e coll. (2001), Spotti e coll. (2001), Cantoni e coll. (1982 a,b, 2004), Zannotti e coll. (2001), Matrella e coll. (2006).

Allo scopo di conoscere quali possano essere le concentrazioni di OA nelle carni, visceri e prodotti carnei derivati, la maggior parte delle ricerche ha preso in considerazione la razza suina in quanto, tra gli animali allevati, i suini sono quelli più soggetti alla contaminazione di OA.

L’OA dopo l’ingestione con l’alimento con- taminato (cereali) è assorbita nel piccolo intestino, principalmente nella parte prossimale del digiuno, e viene quindi legata all’albumina sierica, a una macromolecola non identificata nel sangue (Hult e coll., 1986). La semivita della tossina nel sangue suino è stata calcolata nell’intervallo di 72-120 h (Galtier e coll., 1981). Le concentrazioni più elevate di ocratossina si trovano nel sangue, mentre la localizzazione nei tessuti in ordine decrescente è nel fegato, rene, muscolo e grasso.

Le prime determinazioni dell’OA nelle carni e nei prodotti di carne suina sono state eseguite in Germania dal Centro federale sulle ricerche delle carni, in Kulmbach. Si accertò la presenza di OA nel 19% di salsicce cotte, sanguinacci, salsicce di fegato e würstel (Scheuer, 1989). Le concentrazioni trovate furono di 0,1-3,4 ng/g.

In una successiva ricerca eseguita esaminando altri tipi di carne (Gareis e coll., 2002) ottennero i risultati riportati nelle tabelle 1 e 2. Nella tabella 3 è riportata la distribuzione di OA in campioni suini rilevati da Curtui e coll. (2001).

I livelli di OA riscontrati da questi ricercatori sono paragonabili a quelli rilevati dagli altri ricercatori citati prima. I valori riscontrati sono stati sempre inferiori al massimo livello tollerato in Romania (5 ng/g).

Nella tabella 4 sono riportate le concentrazioni di ocratossina A in carni di vari animali determinate da Jorgensen nel 1998 in Danimarca.

Nella tabella 5 sono stati riportati i dati delle concentrazioni di ocratossina A riscontrate in carni e rene di suino da Jorgensen e Petersen (2002).

Nella tabella 6 sono state riportate le con- centrazioni di ocratossina A secondo quanto riportato da Zannotti e coll. (2001).

Nella tabella 7 sono riportate le concentrazioni di ocratossina A riscontrate nel 2004 da Cantoni e coll. in salumi.

In seguito a segnalazioni di presenza di ocratossina A in alcune partite di insaccati prodotti da una unica azienda e di prosciutti crudi stagionati non marchiati provenienti da un prosciuttificio, si sono volute condurre indagini mirate a individuare le cause della contaminazione, il livello di ocratossina A presente sulla superficie dei prodotti (salumi e prosciutti), nelle carni fresche di suini impiegate per la produzione e negli impasti di salame.

Materiali E Metodi

CAMPIONI ESAMINATI E SCHEMA

DELLA INDAGINE: RICERCA DI OA

1) Salami. Per accertare la presenza o meno di ocratossina A sono stati esaminati tre gruppi di porzioni di budello provenienti da un lotto di salame, e questi, combinati tra loro, sono stati sottoposti a estrazione della OA e suo dosaggio.

2) Carni. Sono stati esaminati n. 3 campioni di carne usati per preparare l’impasto e appartenenti a suini dello stesso allevamento.

3) Impasti. Sono stati esaminati n. 6 impasti di salame di uno stesso lotto preparati nello stesso stabilimento.

4) Spezie. Sono stati esaminati i tipi di pepe (bianco, nero), le spezie e il vino aggiunti agli impasti.

5) Salami. Sono stati analizzati salami appena preparati e dopo 15 gg. di stagionatura. Il tipo di salami esaminati era a macinatura media, stagionati per 90 gg.

6) Prosciutti. Sono stati sottoposti alla ricerca di OA prosciutti non marchiati dello stesso lotto prodotti nel Parmense. Si sono esaminate frazioni superficiali dei prosciutti in corrispondenza delle coscie (cotenna), dell’anchetta, dell’osso del femore e di tessuto muscolare interno per un totale di 12.

Tecniche Analitiche Utilizzate Per La Determinazione Di Ota

La determinazione dell’ocratossina A è stata eseguita, per sicurezza, in tre laboratori diversi adottando le tecniche indicate da Spotti e coll. (2001) e da Matrella e coll. (2006).

Analisi

Porzioni di budelli e di pepe delle superfici di prosciutto sono state insemenzate con terre- ni di coltura, come indicato da Larsen e coll. (2001).

Risultati

Nella tabella 8 sono riportate le concentrazioni di ocratossina A rilevate sulla superficie esterna di insaccati e nei relativi impasti espressi in µg/kg. Non si è riscontrata ocratossina nelle carni usate per preparare gli impasti, ma l’ocratossina è stata ritrovata negli impasti stagionati in concentrazioni comprese tra 1,37 e 10,6 µg/kg, mentre sulla superficie dei budelli si sono ritrovate concentrazioni di ocratossina estremamente elevate (521-1740 µg/kg).

Nel secondo lotto di salami viceversa non si sono rilevate ocratossine sia negli impasti che sulla superficie di budelli e ciò si spiega, come verrà dimostrato di seguito, dalla presenza sulla superficie dei budelli di miceti produttori di ocratossina A.

Nella tabella 9 sono indicate le concentrazio-

Tabella 8 - Concentrazioni di ocratossina A riscontrata sulla superficie esterna in impasti di salame crudo filzetta stagionato da 90 gg. (µg/kg) µg 0,1

1) tessuto muscolare <0,1 0,1

2) tessuto muscolare <0,1 0,1

3) tessuto muscolare <0,1 0,1

1) impasto 5,9 0,1

2) impasto 10,6 0,1

3) impasto 1,37 0,1

4) impasto 3,47 0,1

5) impasto 5,85 0,1

1) budello 521 0,1

2) budello 1740 0,1

Salame 2° lotto µg/kg Limite di rivelabilità µg 0,1

1) tessuto muscolare <0,1 0,1

2) tessuto muscolare <0,1 0,1

3) tessuto muscolare <0,1 0,1

1) impasto <0,1 0,1

2) impasto <0,1 0,1

3) impasto <0,1 0,1

1) budello <0,1 0,1

2) budello <0,1 0,1

3) budello <0,1 0,1 vino <0,1-1,21 0,1 pepe <0,1-8,28 ni di ocratossina A in campioni prelevati dal commercio: in alcuni dei campioni esaminati si sono riscontrate concentrazioni superiori ai limiti di sensibilità dei metodi analitici utilizzati.

Nella tabella 10 sono riportate le concentrazioni di ocratossina A riscontrate sulla superficie e nel tessuto muscolare di prodotti crudi stagionati. In particolari concentrazioni comprese tra 0,28 e 297 µg/kg si sono ritrovate nella zona dell’anchetta e nella noce. Nel tessuto muscolare, invece, si sono riscontrate concentrazioni contenute comprese tra 0,1 e 0,2 µg/kg (limite di sensibilità del metodo 0,1 µg/kg).

Quanto alla flora micetica, sui budelli di salami si è riscontrata la presenta di Mucorales spp., di Penicillium nalgiovensis (ceppo starter) e di Penicillium nordicum

Sulla superficie dei prosciutti si è evidenziata solo la presenza di spore Aspergillus fumigatus e A. flavus non produttrici di ocratossina.

Considerazioni E Conclusioni

Poiché la presenza di ocratossina A in prodotti di salumeria è stata accertata di nuovo e in quantità elevata, è opportuno considerare la questione dettagliatamente. Il primo aspetto riguarda la distribuzione della contaminazione della ocratossina A. Questa è localizzata sulla superficie dei salumi. Infatti le muffe si sviluppano solo superficialmente producendo tossine e la loro penetrazione è limitata a pochi millimetri dalla superficie (budello o cotenna) (Dragoni e coll., 1979; Spotti e coll., 1999, 2001).

Il suo reperimento all’interno è conseguente al trascinamento della tossina durante il prelievo della aliquota da esaminare. Infatti i dati sulla sua presenza nelle carni suine sono sempre stati negativi sia in questo lavoro che e in altri (Cantoni e coll., 2004; Matrella e coll., 2006).

Solitamente l’agente biologico produttore di tossina nei salumi è riconducibile a Penicillium nordicum e, raramente, a miceti del gruppo Aspergillus ochraceus e della specie A. alliaceus.

I ceppi di penicilli produttori di ocratossina sono P. verrucosum, P. nordicum, costituendo due ampi gruppi.

Le specie appartengono alla serie Verrucosa, subgenere Penicillium

P. verrucosum e P. nordicum sono miceti a crescita lenta, con colonie simili per diametro. Dopo la loro crescita in vari terreni colturali, per aspetto morfologico possono essere nettamente distinti l’uno dall’altro: in base alla diversa produzione di metaboliti secondari, per la maggiore quantità di ocratossina prodotta da P. nordicum in molte condizioni di laboratorio e perché le colture di P. verrucosum presentano un colore del rovescio marrone scuro intenso quando si sviluppano su YES agar, mentre colture di P. nordicum presentano un rovescio di colore crema pallido, o giallo opaco su YES agar.

Altro carattere distintivo riguarda l’origine, in quanto P. nordicum viene isolato costantemente da prodotti carnei e P. verrucosum da vegetali e ciò indica che le due specie occupano due differenti nicchie ecologiche a differenza da quanto accertato da Frisvad e coll. (1999).

Quanto alla pericolosità per il consumatore per la possibile ingestione di ocratossina dagli alimenti, le attuali conoscenze mediche riconoscono come, in base ad alcuni studi epidemiologici, esista una correlazione tra esposizione alla ocratossina A e “nefropatia balcanica endemica”, nefrite progressiva riscontrata in aree limitrofe al Danubio.

In uno studio condotto in Bulgaria, Castegnaro e coll. (1987) hanno segnalato l’esistenza di una correlazione tra contaminazione del cibo e concentrazione in fluidi biologici di ocratossina A e nefropatia balcanica, osservando, inoltre, un’elevata incidenza di neoplasie del tratto uroteliale urinario. La comunità scientifica è tuttavia concorde nel riconoscere la nefropatia balcanica come una patologia per ora a eziologia sconosciuta.

L’Agenzia internazionale per la ricerca sul Cancro stabilisce per l’ocratossina A: 1) l’evidenza insufficiente per la cancerogenicità nell’uomo della ocratossina A; 2) la sufficiente evidenza negli animali da esperimento; 3) pone la ocratossina nel gruppo 2B che considera la possibile, ma non dimostrata, cancerogenicità per l’essere umano (uomo in particolare).

Gli effetti tossici negli animali in studi sperimentali sono: danni renali, nefropatie e immunosoppressoria in numerose specie animali, potente teratogeno sulle specie animali testate, effetti negativi sul sistema immunitario, effetto genotossico sia in vivo che in vitro.

Dal punto di vista normativo per i prodotti carnei è stato indicato un limite prudenziale di 1 µg/kg considerato lo scarso apporto di ocratossina da parte degli alimenti carnei. Tenendo presente la vasta e possibile presenza naturale della ocratossina A in alimenti e

Bibliografia

mangimi con ingestione media di 12 ng/kg peso corporeo/giorno e comparando il dato con la dose provvisoria tollerabile giornaliera ingeribile (PTDI) proposta dalla WHO cioè di 100 ng OA/kg peso corporeo/giorno (JEFCA, 2001), la quantità media ingerita sembra piuttosto bassa e gli alimenti causa di maggiore ingestione sono i cereali e i prodotti derivati.

Ma a parte l’aspetto della cancerogenicità, basandoci sulla letteratura disponibile, i processi coinvolti nella tossicità della OA in senso lato sono pur sempre: 1) l’inibizione della respirazione mitocondriale correlata all’esaurimento dell’ATP; 2) inibizione della tRNA sintetasi accompagnata alla riduzione della sintesi proteica (azione immunosoppressiva); 3) aumento della perossidazione lipidica per la formazione di radicali liberi.

Tutto ciò induce quindi a operare affinché il tasso della ocratossina rimanga a bassi livelli o che sia assente.

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Attualmente non è noto quale sia la diffusione della tossina nei salumi, sebbene, in base ai pochi dati in nostro possesso, sembra assai limitata.

È tuttavia indispensabile poter condurre un’indagine approfondita per risolvere l’interrogativo. Tecnicamente è oggi facile individuare la presenza dei miceti ricorrendo alla individuazione delle muffe presenti sulla superficie di insaccati e prosciutti crudi con l’impiego di DRBC (dichloran rose bengal chloramphenicol agar), di DRYES (dichloran rose bengal yeast extract sucrose agar); per la determinazione di P. verrucosum e P. vindicatum che producono un rovescio color porpora; di potato dextrose agar e di YES (yeast extract sucrose agar), eseguendo le rilevazioni dopo 15 gg. dall’inizio della stagionatura.

Si dovrà, infine, procedere alla determinazione della tossina OA con il metodo Elisa e con la tecnica HPLC.

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La rubrica “Chiedetelo a…” è uno spazio attraverso il quale i nostri lettori (ma anche la redazione stessa) possono avere risposte ad argomenti di diversa natura. Le domande devono essere inviate all’indirizzo email redazione@ecod.it I quesiti proposti saranno evasi da persone competenti negli specifici settori.

In Italia si consumano carni di cavallo?

E si possono usare anche per i prodotti di salumeria?

Gli Italiani, secondo Federcarni, sono tra i maggiori estimatori al mondo di carne di cavallo ma il consumo della carne equina fa parte prevalentemente della tradizione culinaria di poche regioni (Veneto, Puglia, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Sicilia e Sardegna). Si stima che nel nostro Paese – considerando quindi l’intera nazione ai fini statistici – il consumo annuo di carne equina si attesti sul valore di 1 kg pro capite, ma questo dato rappresenta solo una media, dal momento che si deve dividere questo “primato” tra pochi buongustai delle regioni summenzionate.

Per qualcuno può sembrare strano parlare di questo alimento, eppure la carne equina è gustosa, magra e digeribile e può essere consumata cruda a carpaccio o cotta delicatamente.

È vero che non tutti i popoli consumano carne di cavallo: non rientra ad esempio nell’abitudine dei paesi anglosassoni (che lo considerano un animale di affezione) e anche la religione ebraica ne vieta esplicitamente il consumo. Tuttavia da noi fa parte della tradizione culinaria italiana tanto nelle regioni del sud che in quelle del nord, unitamente a ricette che utilizzano la carne d’asino.

Bisogna però sfatare una convinzione, e cioè che la carne di cavallo per il consumo umano può essere ottenuta anche da cavalli da corsa macellati a fine carriera: questo non è possibile perché i cavalli da corsa dell’ippodromo (e degli sport ippici in genere) hanno uno specifico documento che per legge li identifica come “cavalli atleta” e per questo non possono essere macellati (D. Lgs. 28 febbraio 2021, n. 36 – art. 19-22). Inoltre il consumatore è abbastanza tutelato che questo sia certificato, perché il nostro sistema veterinario adibito ai controlli sanitari, che esamina gli animali sia da vivi che da morti, vigila che ciò non possa avvenire.

La carne di cavallo può essere inoltre venduta solo in macellerie specializzate, le macellerie equine per l’appunto, ma si trova comunemente in vendita anche nei supermercati più forniti, in vaschette già preparate in atmosfera modificata.

Il consumatore deve sapere che la carne equina è un alimento d’alto valore nutrizionale. È infatti poco calorica perché poca grassa, a bassissimo contenuto di colesterolo, ricca di proteine, vitamine e minerali come il ferro. Per questo è indicata nei regimi alimentari ipocalorici, mentre per il contenuto di ferro (che dà alla carne un colore rosso vivo) che è altamente biodisponibile è indicata per le persone carenti di questo minerale e che soffrono di anemia.

È perfetta per l’alimentazione di soggetti particolari come i bambini in crescita e le donne in gravidanza, ma è anche consigliata per tutte le età per le sue caratteristiche e l’elevato valore nutrizionale.

Sono notevoli i tagli di carne magra come quelli di coscia, punta di petto, fesa di spalla, così come la fesa francese, il girello, la noce e la fesa lunga, che si prestano anche a preparazioni crude, come il carpaccio e la battuta al coltello; mentre tutte le parti ricche di tessuti connettivi si prestano alla realizzazione di stracotti, polpette e ragù. Ciò significa che praticamente si ottengono tagli analoghi a quelli di bovino, per fare le stesse preparazioni tranne che per il bollito: la carne di cavallo non va cotta troppo, altrimenti diventa stopposa e dura. L’unica cosa che va osservata è che per queste sue caratteristiche di magrezza e per il fatto che ha una forte componente di glicogeno (la carne al palato si presenta leggermente dolciastra), la carne di cavallo è facilmente deperibile e non si presta ad una frollatura spinta come le carni bovine. In passato, considerando l’impiego degli animali da lavoro nei campi, se ne macellavano di più a fine carriera. Oggi invece il consumo è prevalentemente orientato ai puledri (che hanno le carni migliori) e agli animali adulti fino ai tre anni. Nel nostro Paese la carne di cavallo viene distribuita in canali separati rispetto alle altri carni: viene infatti proposta da macellerie specializzate. Si stima che ogni anno vengano macellati tra i 20mila e i 30/35mila capi (i dati sono approssimativi perché c’è discordanza tra i dati forniti dal Ministero della Salute e altri Enti, per lo più rappresentati da coloro che vorrebbero vietare la vendita delle carni di cavallo perché lo ritengono un animale da affezione). Di questi, una piccola parte proviene da allevamenti nostrani, il resto degli animali viene importato da Polonia, Ungheria, Romania, Spagna e Belgio (mentre da paesi extra-UE come l’Argentina arrivano tagli anatomici congelati).

Il trasporto deve avvenire secondo i criteri di rispetto del benessere animale, regolamentati dagli specifici dispositivi legislativi europei, e la macellazione deve essere eseguita nel rispetto di procedure che riducano al minimo la sofferenza degli animali. Tutte le operazioni sono soggette al controllo dei nostri servizi veterinari. La carne di cavallo si presta a molte ricette di cucina ma può essere usata anche per fare prodotti di salumeria: dalla fesa o punta d’anca si ottiene la bresaola, che ha una procedura di produzione analoga a quella di bovino. Altra preparazione tipica sono gli sfilacci: una volta si ottenevano da carni abbastanza fibrose come il diaframma, ma oggi sono prodotti per necessità (di volume prodotto) con altri tagli derivanti da petto e coscia, che vengono marinati con spezie e sale, cucinati leggermente e spesso affumicati prima di essere sfilacciati. Con i triti di carne ricca di connettivo si preparano degli ottimi hamburger, mentre è del tutto o quasi decaduto l’impiego di triti di minore qualità da usare nella realizzazione dei würstel a carni miste, dato che ormai queste specialità sono quasi tutte di puro suino (considerando che il costo di produzione di un würstel di media/bassa qualità è oggi molto contenuto).

Infine tra le particolarità non possiamo non ricordare il salame di asino, un salame tipico di una certa tradizione culinaria italiana, molto pregiato e raro, che si ottiene insaccando la carne magra dell’asino, insaporita con spezie e aromi naturali.

In effetti tracciabilità e rintracciabilità alimentare non sono la stessa cosa. Anche se i termini paiono equivalersi, non sono nemmeno esattamente sinonimi perché il tipo di approccio è proprio differente e la procedura che li riguarda implica un punto di partenza diverso per visione e applicazione.

La tracciabilità alimentare si riferisce al monitoraggio dei prodotti alimentari e alla descrizione del percorso di ogni materia prima (ingredienti, additivi, anche l’imballaggio) per lotto di produzione, a partire dal punto di origine fino al prodotto finito. Descrive i passaggi che intercorrono da un fornitore all’altro, all’interno dell’intera filiera di produzione: quindi dall’approvvigionamento all’impiego nelle fasi di produzione, dalla trasformazione all’interno dell’azienda produttrice fino alla distribuzione. In pratica delinea il flusso merci e questo deve essere accompagnato in ogni sua fase da un flusso di informazioni che vengono necessariamente registrate e conservate ad ogni passaggio (meglio su supporto informatico che è più facile da gestire rispetto a quello cartaceo, che può perdersi o non essere leggibile e quindi inaffidabile).

La rintracciabilità alimentare si riferisce invece alla possibilità di identificare rapidamente le persone o le organizzazioni che hanno trasferito i prodotti durante le fasi della loro realizzazione, trasformazione e commercializzazione, ricostruendo a ritroso l’intero percorso, dal suo stato finale fino alle materie prime utilizzate in partenza.

In Europa la legislazione impone ai produttori alimentari di applicare entrambe le pratiche perché sono elementi imprescindibili per la gestione della sicurezza e delle emergenze sanitarie che richiedono anche il ritiro del prodotto dal mercato.

La legge europea sulla tracciabilità alimentare è nota come Regolamento (CE) 178/2002 ed è applicata a tutti i prodotti che entrano nella catena alimentare europea. Il regolamento impone alle aziende di mantenere registrazioni dettagliate della produzione, trasformazione, trasporto e commercializzazione delle loro specialità.

Inoltre, il regolamento prevede che le aziende siano in grado di rintracciare rapidamente i loro prodotti, se necessario. Questo significa che devono essere nella condizione di fornire informazioni dettagliate su ogni punto della catena alimentare al fine di identificare la fonte e garantire tempestivamente il ritiro dal mercato del proprio prodotto (per lotto di produzione) nel caso di evidenti problemi relativi alla qualità o sicurezza che possano comportare un rischio per il consumatore o la salute pubblica.

Così, grazie all’accurato sistema di documentazione che ogni azienda deve mettere in atto, si può risalire a tutti i controlli eseguiti sui processi e sui prodotti in ogni fase della catena di produzione.

Anche gli Stati Uniti hanno una legislazione analoga che richiede alle aziende di applicare tracciabilità e rintracciabilità alimentare. La legislazione, nota come Food Safety Modernization Act, è stata introdotta nel 2011 ed è stata deliberata per aumentare la sicurezza alimentare e ridurre i rischi di intossicazione. Come la legislazione europea, questo atto richiede di mantenere registrazioni dettagliate della produzione, trasformazione, trasporto e commercializzazione delle varie referenze. Inoltre, le aziende devono essere in grado di rintracciare rapidamente le loro merci in caso di problemi di salute pubblica o di sicurezza. 