Lo spazio del muro. Dalla massa allo spazio abitabile: il tema dello spessore murario

LO SPAZIO DEL MURO Dalla massa allo spazio abitabile: il tema dello spessore murario

Diletta Casolari

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LO SPAZIO DEL MURO Dalla massa allo spazio abitabile: il tema dello spessore murario

Politecnico di Milano Polo Territoriale di Mantova Scuola di Architettura, Urbanistica, Ingegneria delle Costruzioni Progettazione dell’Architettura A.A. 2019/2020 25 Settembre 2020 Candidato: Casolari Diletta 900856 Relatore: Prof. Bogoni Barbara 3

The thickness of the walls has always accompanied the history of humanity and architecture, with a very strong symbolic meaning.

It can be said that architecture itself exists by virtue of the existence of the wall that generated it.

The work is presented as an analytical research organized through three fundamental moments for the development of the theme.

The first moment aims to provide a solid basis for the knowledge of the thick wall. Starting from the dual mode of construction of the wall, therefore the tectonic and stereotomic construction that will relate during the study, the first forms of realization were analyzed and, later, how they have evolved over time.

The second moment sees a longitudinal study of the void, space and light, defined as the elements that affect and influence the thick wall.

Finally, through a transversal study, five possible actions that the wall is able to perform to give the perception of thickness are analyzed.

Through a comparison with the elements we will then try to understand how it is possible to use the space of the wall and how far we can talk about wall thickness.

We will then try to understand the benefits and suggest strategies that can be efficient for a future design practice.

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ABSTRACT

Lo spessore murario accompagna da sempre la storia dell’umanità e dell’architettura connotandosi di un significato simbolico molto forte.

Si può dire che l’architettura stessa esiste in virtù dell’esistenza del muro che l’ha generata.

L’elaborato si presenta come una ricerca analitica organizzata attraverso tre momenti fondamentali per lo sviluppo del tema.

Il primo momento ha lo scopo di fornire una base solida per la conoscenza del muro a spessore. Partendo dalla duplice modalità di costruzione del muro, dunque la costruzione tettonica e stereotomica che si rapporteranno nel corso dello studio, sono state analizzate le prime forme di realizzazione e, a seguire, come si sono evolute nel corso del tempo.

Il secondo momento vede uno studio longitudinale del vuoto, dello spazio e della luce definiti come gli elementi che incidono e influiscono nel muro a spessore.

Infine, attraverso uno studio trasversale, vengono analizzate cinque possibili azioni che il muro è in grado di compiere per conferire la percezione di spessore.

Mediante un confronto con gli elementi si cercherà poi, di capire in che modo è possibile utilizzare lo spazio del muro e fino a che momento si può parlare di spessore murario. Si cercherà quindi, di capire i benefici e di suggerire strategie che possano risultare efficienti per una pratica progettuale futura.

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INDICE

Introduzione Le possibilità del Limite

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Muro

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1.1 Costruire il Muro: Tettonica e Stereotomia 1.2 Archetipi della costruzione “a spessore” 1.3 Evoluzione della costruzione “a spessore” Parete continua Elemento puntuale

p. 15 p. 23 p. 35

Elementi 2.1 Vuoto 2.2 Spazio 2.3 Luce

p. 57 p. 65 p. 71

Azioni

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3.1 Muro Perforato 3.2 Muro Diaframma 3.3 Muro Cavo 3.4 Muro Abitato 3.5 Muro Ripiegato

p. 79 p. 95 p. 109 p. 119 p. 129

Conclusioni Percepire lo spessore

p. 137

Bibliografia

p. 143

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INTRODUZIONE

Le possibilità del Limite

Che cos’è il muro?

Più volte ho avuto il piacere di riflettere su questa domanda e più volte il mio ragionamento ha preso tangenti differenti.

Ogni volta che la mia conoscenza si arricchiva, mi soffermavo su un aspetto differente del muro.

Il muro non è semplicemente un muro.

Il muro può separare, connettere, proteggere, contenere.

Raccontare. Tramandare.

Ma i muri passano inosservati nella nostra quotidianità. Li diamo per scontati, sono lì, non si muovono e la maggior parte delle occasioni non li riteniamo degni della nostra attenzione. In realtà hanno molto da raccontarci e da trasmetterci.

Il muro accompagna da sempre la storia dell’umanità e dell’architettura; comunica una tradizione costruttiva.

Dall’uso di precisi materiali, dalle dimensioni, dalle tecniche costruttive si possono determinare i caratteri del luogo, del tempo e dell’uomo che lo ha costruito. È la separazione decisa ma intangibile tra le persone, la divisione tra interno ed esterno, tra pubblico e privato.

Eppure pare essere un controsenso.

Il muro, che è l’elemento di maggiore visibilità viste le sue dimensioni, ha la capacità di passare inosservato, di non essere ascoltato, di non essere percepito.

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Il muro, un elemento così quotidiano, difronte a questa domanda pare metterci con le mani alzate. Non appena si inizia a rifletterci sopra, una cosa che sembrava scontata, si inizia a pensare che così scontata non lo sia.

Per chi e che cosa costruiamo muri?

La storia costantemente ha affidato al muro un ruolo discriminante, di elemento finalizzato all’identificazione precisa di un limite riconoscibile e misurabile.

Instancabilmente l’uomo ha costruito muri per organizzare, dividere lo spazio e i territori da lui occupati, un impiego di risorse economiche e di vite senza eguali, si pensi al Vallo di Adriano, alla Grande Muraglia, all’Atlantikwall, al muro di Berlino e molti altri.

Il muro come sappiamo trae origine dal problema del controllo. Si pensi dunque, alla prima architettura mai compiuta, a quel primo tracciamento dello spazio.

L’architetto costruttore infligge quattro pali di legno nel terreno a disegnare un quadrilatero. Si tratta di un’azione primigenia, elementare, un atto portatore però di un elevato valore simbolico.

L’azione di tracciamento sottende una condizione di consapevolezza profonda, un’esplorazione dell’appartenenza e della relazione dell’individuo con lo spazio intorno a lui.

Si tratta dell’invenzione del confine, dell’individuazione di un dentro e fuori il limite. “Momento di rottura che sposta il rapporto tra la grandezza della natura selvaggia indefinita e la concezione di un ambito, di un luogo strappato al vuoto”1.

Si è parlato del muro come elemento in grado di tracciare e definire un confine.

Il confine è l’istante in cui esso si espone al pericolo di toccare e di essere toccato.

“Confine non è allora ciò che divide, ma all’opposto ciò che di noi è sempre necessariamente con l’altro”2.

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Il muro, quindi, è lo spazio del conflitto, ovvero la scena dove si svolge la dinamica della tensione socio-culturale. È il luogo in cui è forte la necessità di fissare un perimetro di sicurezza nello spazio, di fondare un limite ma simultaneamente il vitale impulso di infrangere il recinto.

“Volere una protezione dove stare al sicuro mentre si è pronti ad assecondare il desiderio di muovere verso altro, in esplorazione all’esterno”3.

Così il limite, il confine tra l’essere una cosa e l’essere un’altra, non è il punto in cui una cosa finisce ma, come sapevano i greci, ciò da cui una cosa inizia la sua essenza.

Il muro si costruisce non come un terminale, ma come uno strato intermedio, uno spessore che contiene la fine di un luogo e contemporaneamente l’inizio di un altro.

Ed è proprio questa linea sottile, ricca di tensioni, che viene indagata in questo studio.

Può un elemento “limite” contenere? Si può abitare il limite? Quanto può contenere? Come?

Gobbo, Simone, L’innocenza del muro, Quodlibet Studio, Macerata 2020, p. 23 Ivi, p. 56 3 Ivi, p. 57 1 2

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Muro

Muro

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1.1 Costruire il Muro: Tettonica e Stereotomia 1.2 Archetipi della costruzione “a spessore” 1.3 Evoluzione della costruzione “a spessore” Parete continua Elemento puntuale

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Elementi

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Azioni

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1.1 Costruire il muro: Tettonica e Stereotomia

“Intendo con architettura stereometrica quella in cui la forza di gravità è trasmessa continuamente, in un sistema strutturale continuo, in cui la continuità costruttiva è completa. È architettura in pietra, massiccia, e pesante. È architettura che cerca la luce, che perfora i propri muri in modo tale da farvela entrare. (…) È architettura della grotta.

Con il termine tettonico intendo definire una architettura nella quale la forza di gravità è trasmessa in modo sincopato, con il sistema strutturale di nodi e giunture in cui essa è articolata. È architettura di scheletro, legnosa, leggera.

Che si posa sulla terra come se fosse in punta di piedi. È architettura che difende se stessa dalla luce, che deve nascondere le proprie aperture per poter controllare la luce che la inonda… è architettura della capanna”.

Alberto Campo Baeza4

Nell’analizzare la tematica riguardante lo spessore murario e la sua cavità, nell’intenzione di approfondire gli elementi che interagiscono con esso e le possibili “azioni di contenimento”, un passaggio obbligato risulta essere quello riguardo al concetto di architettura di carattere tettonico e architettura di carattere stereotomico.

La distinzione fra tettonico e stereotomico, individuata da Semper, rimanda sostanzialmente a due differenti approcci progettuali e di costruzione dell’architettura.

Il primo, decisamente più dinamico, procede secondo un principio di addizione e giustapposizione di elementi. Il termine, di origine greca, deriva dalla parola tekton, e significa carpentiere, falegname o costruttore.

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Blanco, Manuel, Campo Baeza. El arbol de la creacion, Maxxi, AC/E, Roma, 2011, p. 66 15

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Frontespizio dell’Essai sur l’Architecture di Laugier, Marc-Antoine.

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Il secondo, più statico, procede secondo un principio di scavo e sottrazione delle parti. Il termine, anch’esso di origine greca, deriva da stereos, solido, e tomia, taglio.

“Volendo individuare due archetipi fondamentali della costruzione dell’architettura è possibile affermare che la prima si manifesta attraverso l’intelaiatura leggera, sottile, lineare giuntata nei nodi di connessione e sollecitata principalmente a tensione”5, individuata dalla capanna primitiva di Laugier; la seconda si manifesta attraverso una struttura muraria fatta di terra, di pietra dotata di massa e di continuità materica e sollecitata prevalentemente a forze di compressione, individuata dalla grotta.

Nello stesso modo in cui la capanna rustica di Laugier, con le sue colonne di tronco ed i suoi archi di rami intrecciati, definisce una chiara discendenza dell’architettura dalla natura, così anche la grotta sancisce questo legame di per sé naturale essendo un luogo di protezione scavato all’interno di elementi naturali.

Entrambi i termini, nel corso dei secoli, hanno subito delle evoluzioni interpretative del loro significato originale.

Nel V secolo a.C. la parola tekton, che disegnava qualcosa di specifico e di fisico quale la carpenteria, “passa ad un concetto più generico del fare e comporta l’idea di poiesis”6.

Anche Borbein, citato da Frampton, nel 1982 afferma che “la tettonica diventa l’arte della connessione. Arte deve essere intesa come teknè del racchiudere e, di conseguenza, indica la tettonica come assemblaggio non soltanto di parti edilizie, ma anche di oggetti”7.

Si rimanda, quindi, sostanzialmente ad un’idea di costruzione concepita come un assemblaggio di singoli elementi che pur mantenendo il loro carattere di elementi distinti, contribuiscono alla definizione dell’insieme.

Blanco, Manuel, Campo Baeza. El arbol de la creacion, Maxxi, AC/E, Roma 2011, p. 66 Kenneth, Frampton, Tettonica e architettura. Poetica della forma architettonica nel XIX e XX secolo, Skira, Milano 1999, p. 22 7 Ibidem, p. 22 5 6

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Chiesa di San Giorgio, Lalibela, Etiopia.

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Anche la parola stereotomia ha subito un’evoluzione nel tempo. “Dall’iniziale stereos (solido) e tomé (taglio), inteso come insieme dei procedimenti e regole suggerite dalla geometria per il taglio dei conci, si è giunti ad un concetto più generico di sottrazione di massa e materia da un dato volume”8.

La costruzione, intesa in termini stereotomici, appare come un blocco unico a cui sono sottratte delle parti per ricavarne dello spazio. Gli spazi interni appaiono dunque, come ricavati da un’operazione di scavo, una sorta di forma dello spazio in negativo.

Nell’esperienza antica dell’architettura è già presente questa sottile dicotomia: da un lato vi era l’archetipo della grotta, dello spazio cavo, ipogeo, del tholos, fino ad arrivare al Pantheon, ovvero un’architettura che si può definire come architettura-ventre; dall’altro lato l’archetipo del recinto, del temenos, del cerchio megalitico di Stonehenge, fino alla capanna di Laugier, al rifugio architettonico fondato sulla costruzione trilitica appoggiata al suolo. Questa dicotomia richiama in maniera esplicita l’opposizione e la differenza fra tettonico e stereotomico citata da Frampton con riferimento agli archetipi, sopra nominati, della grotta e della capanna.

La ciclicità della storia ha dimostrato il susseguirsi, pur con differenze sostanziali a seconda dell’ambito geografico di appartenenza, dei due sistemi nel corso del tempo. È di conseguenza impossibile stabilire in modo inequivocabile quale tipo di approccio sia comparso per primo poiché questo ragionamento affonda le radici nei primordi dell’umanità e anticipa in modo netto qualsiasi possibile testimonianza scritta.

Questo significa che, anche se per lungo tempo i diversi approcci hanno dominato rispettivamente l’uno sull’altro, “in termini generali si è sempre conservata una situazione di equilibrio, quasi si trattasse di elementi complementari”9.

Iodice, Francesco, Cavità e limite, LetteraVentidue, Siracusa 2015, p. 23 Pretolani, Alessandro, Il rapporto architettura-suolo nell’opera di Aldo Rossi, Tesi di Laurea, Alma Mater Studiorum, 2013, p. 20 8 9

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Rappresentazione grafica di Stonehenge come archetipo del recinto.

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Rappresentazione grafica della Tomba di Agamennone come archetipo della grotta.

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Se però si prende come riferimento le abitazioni primitive, queste erano costituite dalle capanne, coperture semplici che si elevavano direttamente dal terreno. Solamente più tardi viene introdotto il muro in quanto era presente la necessità di proteggere e soprattutto di proteggersi, dando inizio sostanzialmente al concetto di casa così come oggi lo conosciamo.

All’interno dell’esperienza della nascita dell’abitazione, è possibile distinguere due modi diversi di intendere lo spazio. La capanna, in cui elementi sottili vengono conficcati direttamente nel suolo e reggono la copertura che diventa l’elemento predominante e, la casa con i suoi muri perimetrali spessi.

Il tipo originario della capanna, dunque che fa riferimento alla costruzione tettonica, troverà il suo pieno compimento nell’architettura del tempio greco. All’opposto, il tipo originario della casa fatta di muri, introversa, stereotomica, troverà il suo compimento nell’architettura egizia e successivamente in quella romana.

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1.2 Archetipi della costruzione a “spessore”

“Una volta, a lezione, spiegando che la struttura è la generatrice della luce, ho introdotto l’idea della bellezza delle colonne greche in rapporto l’una all’altra e dissi: le colonne non erano luce, lo spazio era luce. Ma la colonna non si sente forte dentro – la colonna stessa – ma fuori di essa. E più la colonna vuole sentire la sua forza verso l’esterno, più lascia un vuoto all’interno, che diventa sempre più grande finché essa diventa cosciente di essere cava. E se si “ingrandisce” questo pensiero, la colonna diventa sempre più grande e l’esterno sempre più piccolo e dentro è […] una corte”.

Louis I. Kahn10

Nel VI libro dell’opera Storie, Erodoto da Alicarnasso, tra le numerose definizioni di architettura, parla di “un’azione progettuale intesa a costruire tramite il togliere e lo scavare, il cavare e l’estrarre, l’erodere e il sottrarre materia, un diminuire il volume per asporto, (…) sintetizzabile con il segno aritmetico meno”11. È proprio l’azione dello scavare a livello progettuale, del sottrare materia al muro, che viene interrogata nel corso di questo studio.

Il principio di abitare gli spazi interstiziali, la cavità dell’apparato murario, può essere rintracciata in una serie di esempi appartenenti ad epoche differenti.

In ordine cronologico è possibile individuare tre stadi di sviluppo fondamentale.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p.12 11 Polano, Sergio, L’architettura della sottrazione, “Casabella”, n.659, 1998, p.2 10

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Tempio di Horus, Edfu, Egitto, 3000 a.C. - Pianta Ridisegno.

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La prima architettura muraria che ha portato avanti il principio dello spazio interstiziale è quella Egizia la quale, da questo punto di vista, si potrebbe dire che rivesta un ruolo di archetipo.

“Questo risulta evidente non tanto per la presenza e l’importanza che richiede il muro nella sua costituzione, ma soprattutto perchè nel muro egizio risiede tutta una maniera di intendere l’essenza del fare architettura e quindi del costruire”12.

Il vero punto di partenza nel processo di manifestazione e rappresentazione di questa architettura risiede non tanto nella dimensione puramente geometrica e costruttiva del muro quanto nella sua essenza, nella sua materia. La pietra, la roccia al suo stato naturale.

Il tipo di lavoro che richiede e che mette in luce le caratteristiche intrinseche della materia lapidea è legato all’attività necessaria per la sua “trasformazione”, ovvero l’intaglio strettamente connesso al concetto di scavo.

“Si potrebbe dire che quello che l’architettura egizia cerca di costruire, è proprio uno scavo”13. È interessante notare come, nell’architettura egizia, nel momento in cui i muri superavano un certo spessore che permetteva di realizzarli interamente in pietra, questi si “sdoppiavano” con la formazione di due pareti lapidee esterne e parallele che facevano da contenimento ad un ripieno di scarsa consistenza, il più delle volte costituito da sabbia. Altre volte invece, quando lo spazio interstiziale non veniva riempito, si realizzavano veri e propri corridoi per il passaggio di persone.

Richiamando l’idea di costruzione tettonica e stereotomica, la piramide egizia, è ottenuta mediante una sorta di “ammucchiamento di materiale”, è uno spazio costruito, ma metaforicamente ricavato per sottrazione. Quest’ultimo è enfatizzato dalla perfetta esecuzione dei giunti tra i conci che risultano impercettibili all’interno dell’insieme del muro.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p.19 13 Ivi, p.21 12

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Al Deir, Petra, Giordania - Fronte ingresso.

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Gli elementi cavi, carattere peculiare delle architetture stereotomiche, non derivano da uno scavo reale sulla materia, come invece accade ad esempio nella facciata del celebre edificio funebre Al Deir a Petra in Giordania, ma, come vedremo più avanti in tutte le architetture che saranno analizzate, da uno scavo simulato, ovvero metaforicamente ricavato ma realizzato attraverso precisi sistemi costruttivi.

Il risultato che ne deriva non è di tipo processuale, la cavità proposta quindi non proviene da uno scavo ma da una “ricercata composizione” architettonica.

Il secondo stadio di sviluppo, è individuato dall’architettura Romana, la quale sviluppa un’idea di parete che risulta il frutto della sovrapposizione di un sistema tettonico, a cui affida la “trasmissione di valori esclusivamente rappresentativi, su un sistema stereometrico, con funzione puramente costruttiva e portante”14.

L’architettura del muro romano mantiene un’ambiguità nei due sistemi precedentemente descritti: si può definire, infatti, come una sovrapposizione dei due sistemi architettonici di ordine e muro, attraverso la compresenza di un tema tettonico espresso dalla colonna e dalla trabeazione; e di un tema stereotomico espresso dall’arco. In questa simbiosi di ordine e muro, l’architettura userà le forme degli ordini con l’obiettivo di compensare le limitazioni espressive del muro relegando quest’ultimo al tema della costruzione in senso stretto.

Il muro a notevole spessore risulta possibile, infatti, grazie all’introduzione delle strutture voltate. L’esempio più emblematico è certamente rappresentato dal Pantheon.

La massa muraria qui, è articolata verso lo spazio interno, attraverso una serie di nicchie ricavate nello spessore del muro.

Date le gigantesche proporzioni dello spazio centrale e delle strutture necessarie per sostenerlo, si può parlare in questo caso di “vere e proprie stanze abitabili completamente “annegate” oltre il filo della parete”15.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p.25 15 Ivi, p.33 14

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Pantheon di Adriano, Roma, II Secolo - Pianta Ridisegno.

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Questa soluzione presuppone una peculiare organizzazione di carattere spaziale che vede uno spazio centrale, gerarchicamente predominante, delimitato da una serie di spazi di ordine minore direttamente dipendenti dal primo e rivolti esclusivamente verso l’interno, “secondo un modello che è possibile definire a sviluppo centrale o di carattere “centripeto”16.

“I romani (…) procurano di differenziare la consistenza delle murature e delle volte, sia impiegando materiali diversi via via più leggeri dal basso in alto, sia intelaiando la massa muraria con i ricorsi, nervature o archi di scarico, ma non immettono queste ricerche compositivo generale, considerando in sostanza tutte le parti piene, al di là del pelo della parete, come un blocco omogeneo, quasi che l’ambiente sia ricavato come uno stampo da una pasta informe”17.

Così Leonardo Benevolo in “Introduzione all’Architettura” descrive ed esplicita le modalità costruttive adottate dai romani confermando l’uso e il trattamento dello spessore murario.

Il terzo stadio di sviluppo è individuato dall’architettura Sveva dieci secoli più tardi rispetto a quello romano, sviluppatosi in particolare con l’attività edilizia militare difensiva, incredibilmente ricca, promossa da Federico II nel corso del XII e del XIII secolo nel Regno delle due Sicilie. È possibile contare, infatti, più di duecento fortezze, castelli e roccaforti frutto della pianificazione da parte dell’Imperatore del sistema difensivo militare sia sulla costa orientale adriatica e siciliana sia nell’entroterra, dove vennero demoliti alcuni castelli già esistenti che a seconda delle circostanze dovevano essere completati o trasformati coerentemente con le esigenze strutturali di difesa.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p.33 17 Ivi, p.31 16

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Castello Maniace, Siracusa, XII Secolo - Pianta Ridisegno.

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6.dwg, Fri

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Torre di Federico II, Enna, XIII Secolo - Pianta Ridisegno.

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Allo stesso tempo però, sorsero anche nuove costruzioni nelle quali è possibile chiaramente notare la propensione verso le forme stereometriche tipiche di alcune costruzioni dell’epoca perso-achemenidica a Persepoli, per quanto riguarda l’impianto generale; mentre per la soluzione tipica dell’articolazione della massa muraria e della sua possibile attitudine a generare una forma di spazio interstiziale pare essere un diretto riferimento alle soluzioni egiziane di “spazio risultante” all’interno dello spessore.

“La parete, pertanto, si può intendere come un vero e proprio contenitore di spazi interstiziali”18.

Al ritorno dell’Imperatore dalla Crociata (1228-1229), sorse un gruppo di importanti costruzioni di cui fanno parte tre castelli della costa orientale siciliana iniziati attorno al 1230-1240 e portati a termine da Federico da Lentini entro il 1250, anno della morte di Federico II. Il primo e certamente il più straordinario dei tre edifici è il Castello di Miniace a Siracusa, che domina la punta estrema dell’isola di Ortigia.

Richiamando l’organizzazione spaziale del Pantheon romano, la grande sala centrale di 50x50 metri, costituisce lo spazio gerarchicamente dominante. In questo caso però, gli spazi interstiziali, ricavati all’interno dello spessore dei massicci muri perimetrali, non assumono il carattere di apertura verso l’aula interna tipico del modello romano precedentemente citato, ma possiedono una natura piuttosto chiusa e introversa, tipica invece del modello egizio.

Il secondo castello, anch’esso di notevole importanza, consente di intravedere lo sviluppo successivo di questa tendenza nell’utilizzo dello spessore murario come contenitore di spazio. Si tratta della splendida torre ottagonale di Enna, l’antico Castro Giovanni.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p.35 18

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Torre Normanna, Paternò, XI Secolo - Pianta Ridisegno.

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Vista di una delle stanze ricavate nel vano della finestra.

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Qui le straordinarie stanze con finestra che si aprono nello spessore del muro intorno alla sala ottagonale centrale, situata al secondo piano della torre, manifestano la precisa volontà dello spazio interstiziale di rivelarsi verso l’esterno.

Questo motivo del vano della finestra come stanza, del principio di ricavarci un luogo dello stare, dell’abitare lo spessore murario, saranno soluzioni spaziali ricorrenti nella storia dell’architettura e in particolare in questo studio.

Nella Torre Normanna di Paternò, il terzo castello, si nota infatti come venga approfondito e migliorato il tema del vano della finestra, utilizzato come stanza privata che si apre verso l’esterno.

“Il vano di una finestra può essere una stanza privata entro una stanza”19.

Queste sono le parole di Luis Kahn, il quale utilizzerà lo spessore murario come direzione privilegiata per la trasmissione dei valori costruttivi ed espressivi della costruzione.

A partire da Kahn, il muro, non svolgerà più la sola funzione passiva di chiusura e di limite degli edifici, di definire un luogo privilegiato, ma il momento più denso e caratteristico dell’esperienza spaziale.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p.35 19

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1.3 Evoluzione della costruzione a “spessore” Parete continua “La tradizione è ciò che da i poteri dell’anticipazione (…)”

Louis I. Kahn20

Con queste parole, Kahn evidenzia il potere e l’importanza che possiede la tradizione, dunque la conoscenza di ciò che esiste per l’evoluzione di ciò che ci sarà.

Interessante è considerare la storia come una sfida. Una sfida in grado di raccogliere l’eredità dell’antica tradizione costruttiva “a spessore”, rivalutandola e rendendola disponibile come campo di sperimentazione nel mondo architettonico contemporaneo.

Tale approccio può essere definito “strabico”, cioè contemporaneamente rivolto con un occhio alla tradizione, al passato, a quelli che precedentemente sono stati definiti gli archetipi, e con l’altro all’innovazione, alla possibilità e alle modalità di reinterpretare il passato secondo un punto di vista più avanzato.

Questo processo di evoluzione è possibile osservarlo già a partire dall’architettura romana, precedentemente definita come uno degli archetipi della costruzione a spessore.

Vengono infatti sperimentati numerosi tipi di edifici pubblici quali terme, basiliche, mercati, con esigenze più funzionali che monumentali, con sempre più necessità di chiudere vasti spazi, facilitando l’apparizione di grandi strutture costruite attraverso l’uso di massivi muri di chiusura.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p.9 20

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Vista del muro di Pecile nella Villa Adriana a Tivoli.

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Si pensi al possente muro di Pecile nella Villa Adriana a Tivoli, a Roma, opera dell’Imperatore Adriano che trasformò la sua residenza in un’officina di sperimentazione artistica e architettonica unica.

Al valore liminare che esso riveste. Al valore estetico.

Materico.

Il progetto adrianeo della Villa non ha precedenti nell’antichità, è un’opera rimasta senza eguali nella quale si fondono elementi innovativi e della tradizione.

Una tradizione espressa mediante l’uso di precisi materiali, dalle dimensioni e dalle tecniche costruttive che fanno emergere i caratteri del luogo, del tempo e dell’uomo che lo ha costruito.

“Villa Adriana è un capolavoro che riunisce in maniera unica le forme più alte di espressione delle culture materiali dell’antico mondo mediterraneo. Lo studio dei monumenti che compongono la Villa Adriana ha svolto un ruolo decisivo nella scoperta degli elementi dell’architettura classica da parte degli architetti del Rinascimento e del Barocco. Essa ha, inoltre, profondamente influenzato un gran numero di architetti e disegnatori del XIX e del XX secolo.”21 Tali avanzamenti si sono riflessi nell’architettura paleocristiana, periodo caratterizzato dall’imponente presenza di basiliche, riportando due differenti soluzioni per risolvere l’alternanza di pieni e vuoti nella parete: la “colonna architravata” e “l’arcata colonnata”.

Se nei primi esempi di impianto basilicale sacro si rintraccia prevalentemente la soluzione “pagana” della colonna con architrave, molto presto il tema dominante diviene quello dell’arcata che poggia sulle colonne.

I vantaggi di questa soluzione sono sia funzionali, in quanto permette un aumento della trasparenza tra le diverse navate, e dunque della luce tra una colonna e l’altra, sia strutturali poiché consente una migliore ripartizione del peso del muro sulle colonne.

21

Romano Impero, Villa Adriana (Tivoli-Lazio), https://www.romanoimpero.com/2012/05/villa-adriana.html 37

Sperimentazione Tradizione Passato

Presente

Futuro

Storia Schema di analisi.

Linea del tempo che mostra l’importanza che possiede la tradizione, si nota infatti che accompagna il passato, il presente e il futuro.

Nel momento in cui il futuro si unisce alla tradizione si genera la sperimentazione.

Si raccoglie dunque, l’eredità dell’antica tradizione costruttiva a spessore, rivalutandola e rendendola disponibile come campo di sperimentazione nel mondo architettonico contemporaneo.

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Questo processo, che Francesco Cacciatore in “Il muro come contenitori di luoghi” definisce di integrazione, porterà alla progressiva dissoluzione dello spessore del muro e di conseguenza, della logica stereometrica del muro stesso.

L’integrazione tra ordine e muro viene portata a compimento da Leon Battista Alberti durante il Rinascimento il quale, ristabilendo il caratteristico binomio classico di architravecolonna e di arco-muro, conferisce un’innovativa e rivitalizzante lettura del sistema di sovrapposizione romana di ordine architettonico e parete muraria.

Manuel Iñiguez in “La columna y el muro. Fragmentos de un diàlogo” spiega che il celebre architetto rinascimentale, considerava l’organismo architettonico romano come una totalità, in cui si integrano forma e funzione costruttiva per mezzo della firmitas del muro portante.

Alberti riconduce così, l’origine dell’architettura al muro, in quanto in grado di risolvere la dicotomia di significati tra la struttura architravata con supporti isolati proprio dell’ordine greco e la struttura fondata sugli sforzi sviluppati dall’arco di scarico propri ambedue dell’ordine della sovrapposizione romana.

Questo processo si sviluppa in due tappe: “la prima consiste in uno scavo del muro e conduce al pilastro passando inizialmente per la lesena, e la seconda suppone un salto qualitativo che darà come risultato la colonna”22.

Il concetto di scavo a cui fa riferimento l’Alberti richiama un processo di lavoro per sottrazione che ancora una volta fa riferimento ad una tecnica costruttiva “archetipa” stereotomica, tipica dell’architettura egizia.

E’ nel Palazzo Ruccellai a Firenze che Alberti rappresenta il motivo di accordo e di sintesi di tutta la tradizione precedente in fatto di uso della sovrapposizione del sistema costruttivo tettonico e di quello stereotomico.

Iñiguez, Manuel, La columna y el muro. Fragmentos de un dialogo, Edicion Fundacion Caja de Arquitectos, Barcellona 2001, Siracusa 2018, p.44 22

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Tempio Malatestiano, Rimini, XV Secolo - Pianta Ridisegno.

E’ evidenziata l’intercapedine tra i muri.

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Gli elementi degli ordini architettonici appaiono quindi, come il risultato del prodotto di un processo scultoreo. Uno scavo dunque, sulla superficie muraria.

Alberti però, sperimenta un altro tipo di soluzione appartenente alla tecnica stereotomica e ancora una volta discendente dalla costruzione Egizia. Si tratta della facciata del Tempio Malatestiano, a Rimini. Qui, l’architetto, opera un ispessimento della misura del tempio precedente attraverso l’avvolgimento delle pareti originarie perimetrali.

Si tratta dunque, della realizzazione di un’intercapedine, di una cassa muraria dovuta ad un fatto meccanicamente determinato dal progressivo ispessimento della parete che, al di là di un certo limite, doveva necessariamente parzializzarsi in un doppio muro parallelo, che già a partire dagli Egizi poi nell’epoca romana, sarà soggetta ad azioni di “dilatazioni” per consentire prima un passaggio, e poi l’abitabilità di questo spazio-diaframma, come si può osservare in alcune delle architetture degli ultimi secoli, tra cui quelle dei fratelli Mateus.

Le ricerche e le sperimentazioni condotte da Alberti relative allo scavo del muro innescano a loro volta un processo di modificazione ed alterazione della parete evidente nel periodo manierista, in cui l’azione dello scavare diviene sempre più invasivo fino a conquistare la profondità del muro.

La conquista di questo spazio limite si registra nell’architettura michelangiolesca, dove, in particolare, nelle pareti absidali della Basilica di San Pietro, allo scopo di sottrarre importanza ai muri di riempimento, si ottiene un effetto di carattere stereotomico in grado di svelare i differenti livelli di lettura corrispondenti alle varie profondità ottenute.

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Yale University Art Gallery, New Haven, 1951-1953.

Disegno di Luis Kahn che mostra l’integrazione dei sistemi strutturali del solaio e dei sistemi degli impianti.

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42

“Se scavando possiamo trovare diversi elementi architettonici corrispondenti a differenti livelli organizzativi, questo vuole dire che nello spessore del muro esiste la possibilità di scoprire uno spazio”23.

In questo passaggio, Manuel Iñiguez esprime la possibilità di generare spazi interstiziali significativi, che non hanno solo una natura meramente strutturale o funzionale ma sono il frutto di un’azione compositiva ed espressiva. È stato ampiamente dimostrato come anche i grandi maestri moderni si siano riferiti ad esempi del passato come guida che potesse ispirarli e sorreggerli nella sfida verso il nuovo.

Uno tra questi, per quanto riguarda l’architettura a “spessore” è senz’altro Luis Kahn.

L’interesse dell’architetto nella ricerca delle forme cave nasce durante la collaborazione con l’ingegnere Anne Griwold Tyng nello studio delle strutture reticolari. Questi vuoti positivi, così come li denominava l’architetto, erano oggetto di studio come soluzioni per nascondere condutture, fili e tubazioni installati a seguito delle nuove trasformazioni. Da questi si sviluppa in modo sempre più crescente la ricerca di gerarchizzazione degli spazi, distinti in spazi serventi e spazi serviti, che segnerà l’organizzazione e la gestione dello spazio per tutta la carriera dell’architetto.

Un altro legame con queste forme cave, con gli spazi a “tasca”, è senz’altro dovuto alla formazione universitaria in Pennsylvania dove veniva insegnato il metodo Beaux-Arts.

Qui la relazione tra vuoto e pieno, tra massa e spazio sottratto era rappresentata attraverso il poché, una tecnica proveniente dalla cultura di tale insegnamento che consiste nell’annerimento delle sezioni murarie. “Dal poché, ho imparato la differenza tra parete cava e piena (…). Ho semplicemente tolto l’interno del muro (…). Ho fatto del muro un contenitore invece di un solido”24.

Iñiguez, Manuel, La columna y el muro. Fragmentos de un dialogo, Edicion Fundacion Caja de Arquitectos, Barcellona 2001, Siracusa 2018, p.145 24 Spirito, Gianpaola, Dal muro cavo al volume cavo: abitare lo spazio sottratto, in Terranova A. e Toppetti F., Teorie figure architetti del moderno contemporaneo, Gangemi Editore, Roma 2011, p. 257 23

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Schema di analisi.

Sopra: Rappresentazione attraverso il pochè della sezione muraria.

Sotto: Rappresentazione della sezione muraria secondo Kahn. Si nota che l’architetto ha tolto l’interno del muro in modo tale che diventi un contenitore e non un solido.

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Il richiamo alla tradizione che attua Kahn è evidente nelle grandi architetture romane e nei castelli federiciani e scozzesi. L’architetto infatti, ne ripropone la monumentalità, gli effetti chiaroscurali, le grandi cavità centrali e, utilizzando le tecniche moderne costruttive che gli permettono di svuotare la parte interna delle strutture murarie25, genera cavità al loro interno.

A seguito del breve periodo, di soli circa tre mesi, trascorso a Roma, Kahn scrive ai colleghi dello studio di Philadelphia: “Ho capito che l’architettura italiana continuerà ad essere fonte d’ispirazione per il futuro. (...). L’esito dei nostri lavori sembra insignificante comparato a questa città dove sono state sperimentate tutte le possibili combinazioni di forme pure”26.

L’architetto americano applica all’architettura romana il medesimo processo di decostruzione e risignificazione che gli architetti moderno-contemporanei hanno messo in atto nel ‘900.

Egli trasforma “gli elementi classici romani a tal punto da farli diventare nient’altro che sottili membrane in tensione (ossature vuote dalle loro origini); dispositivi che potrebbero essere utilizzati per simulare la presenza di una massa assente”27, “una cavità abitabile all’interno del muro perimetrale simile alla concatenatio romana”28.

La Prima Chiesa Unitaria a Rochester e la Biblioteca a Exeter sono, ad esempio, entrambe caratterizzate da impianti centrali in grado di definire una gerarchia, non solo delle dimensioni ma anche dei ruoli, degli spazi cavi.

Nota: Luis Kahn sostiene la capacità di poter costruire con pietre cave enfatizzando la differenza della costruzione gotica che avveniva con pietre solide. Gli spazi che ne determinano, definiti dagli elementi stessi, vanno, come dimensione, dai vuoti di un pannello di isolamento, ai vuoti per la circolazione dell’aria, per l’illuminazione e il riscaldamento, a spazi sufficientemente grandi per essere attraversati. L’idea di costruire con pietre cave nasce, dunque, dalla necessità pratica di far fronte ai problemi posti dalla sempre crescente quantità di impianti a rete che vengono installati a partire dalla seconda metà del XX secolo in America all’interno degli edifici.

26 Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p.59 27 Frampton, Kenneth, Louis I. Kahn e la tradizione francese, in Alessandra Latour (a cura di), Louis I. Kahn, l’uomo, il maestro, Edizione Kappa, Roma 1986, p.242 e p. 246 28 Spirito, Gianpaola, Dal muro cavo al volume cavo: abitare lo spazio sottratto, in Terranova A. e Toppetti F., Teorie figure architetti del moderno contemporaneo, Gangemi Editore, Roma 2011, p. 256 25

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Luis Kahn, Biblioteca dell’Accademia Philip Exeter, Stati Uniti, 1967-1972.

Schema di analisi dei vuoti.

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Luis Kahn, Prima Chiesa Unitaria, Rochester.

Schema di analisi dei vuoti.

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È possibile osservare una grande cavità centrale che scolpisce l’edificio, illuminata dall’alto e circondata da un anello di spazi di distribuzione e di servizio contenuto a sua volta da una serie di cavità di dimensioni minori scavate nello spessore del muro perimetrale.

Un’altra “azione” interessante che viene svolta in questi progetti è la progressiva frammentazione del muro perimetrale, nel caso della Prima Chiesa Unitaria, e la progressiva dilatazione e conseguente svuotamento dei pilastri, nella Biblioteca a Exeter.

Questo tipo di composizione, definito a volumi cavi, non sarà particolarmente trattato nel corso di questo studio, in quanto, come già accennato, si tratta di un percorso molto ampio. Ciò nonostante, è importante sottolineare il fatto che si tratta di una conseguenza dell’evoluzione della costruzione “a spessore” e che lo stesso Kahn approfondisce nel corso dei suoi studi, come si può osservare nella Trenton Bath House o nel progetto della sinagoga di Hurva.

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Elemento puntuale “Le colonne, essendo volumi, delimitano gli spazi della luce. Ora ribaltiamo i termini della questione e immaginiamo che le colonne siano cave e molto più grandi, e che le loro superfici possano a loro volta dare luce: allora i vuoti diventano stanze, la colonna diventa l’elemento portatore di luce, può assumere forme compresse, essere il supporto degli spazi e dare luce agli spazi”.

Louis I. Kahn29

“Una volta, a lezione, spiegando che la struttura è la generatrice della luce, ho introdotto l’idea della bellezza delle colonne greche in rapporto l’una all’altra e dissi: le colonne non erano luce, lo spazio era luce. Ma la colonna non si sente forte dentro – la colonna stessa – ma fuori di essa. E più la colonna vuole sentire la sua forza verso l’esterno, più diventa cosciente di essere cava.

E se si “ingrandisce” questo pensiero, la colonna diventa sempre più grande e l’esterno sempre più piccolo e dentro è (…) una corte.”.

Louis I. Kahn30

Kahn, Luis, Remarks, in Perspecta, n. 9-10, 1965, pp. 303-335 Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p.12 29 30

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Planimetria della Terme di Vals di Peter Zumthor.

Viene evidenziato il vuoto presente nelle unità che contengono le funzioni.

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Schema di analisi.

Assonometria delle Terme di Vals.

Rapporto pieno-vuoto.

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Una particolare declinazione di questo processo di evoluzione della costruzione “a spessore” è determinata dal volume cavo.

Tale processo compositivo, promosso senza dubbio da Leon Battista Alberti attraverso le fasi di escavazione del muro che danno come risultato prima la lesena e successivamente, mediante un salto qualitativo, la colonna, viene indagato da numerosi architetti moderno-contemporanei attraverso reinterpretazioni e operazioni di decostruzione e di alterazione dei significati originari.

Il risultato che questi architetti mirano ad ottenere certamente non si tratta della colonna, ma piuttosto un volume assimilabile a quello del pilastro, la cui massa portante viene sostituita da un vuoto, da uno spazio abitabile, continuo, simile ad un sistema geometrico di caverne.

Si tratta di uno spazio il cui limite esterno non è più un muro tridimensionale abitato, ma una massa informe e residuale.

Questo tipo di spazio caratterizza molte opere di Peter Zumthor tra cui le Terme di Vals. Esse sono ricavate come “scalpellate” all’interno di un volume regolare incastrato nel pendio della montagna, dove una grande cavità principale organizza contiene una serie di pilastri cavi che assumono dimensioni, ruoli e usi differenti e offrono ai fruitori una molteplicità di atmosfere che mutano in base all’interazione tra luce e materia e coloro che vi interagiscono.

“Zumthor intensifica e modifica in questa costruzione la distinzione proposta da Kahn tra spazi serviti e spazi serventi, assegnando ai grandi pilastri funzioni particolari, trasformandoli in grotte, in vasche d’acqua fredda, calda e tiepida, in docce, spazi per bere, per le saune, per la musica, per i bagni turchi, per il riposo”31.

L’opera architettonica è il risultato, dunque, di un processo metaforico scultoreo, di sottrazione.

Il fruitore è in grado di percorrere questi volumi sia sul perimetro esterno che all’interno, non determinando un percorso predefinito e vincolante.

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Achleitner, Friedrich, Elementare profondità, in Casabella, n. 648, 1997, p. 61 51

Jewish Community Center Bath House, Trenton, 1955.

Pianta. Sono evidenziati i “pilastri” scavati al loro interno.

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Fotografia del Jewish Community Center Bath House, Trenton, 1955.

Si noti la spazialità dei pilastri cavi.

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Lo scavare la massa per generare uno spazio vuoto diviene una strategia compositiva teorizzata da Rem Koolhaas.

Tale strategia nominata “del vuoto” permette di “articolare la parte più importante della costruzione come assenza della costruzione, come una specie di rifiuto di costruire.

Si potevano concepire questi spazi come scavi in ciò che altrimenti sarebbe stata una massa solida”32.

L’architetto olandese la applica nel progetto per la Biblioteca di Francia a Parigi del 1989. In questa soluzione compositiva gli spazi di servizio formano la massa mentre gli spazi serviti sono ricavati dalle cavità sottratte. Quest’ultime sono i luoghi di relazione, di incontro tra i cittadini e per tale motivo sono definiti pubblici.

Molteplici sono dunque le architetture che si sono avviate e che si stanno avviando verso questa logica compositiva per così dire innovativa. Ma pare che più questa ricerchi l’evoluzione, più tenda ad avvicinarsi all’essenziale, a concetti insiti negli archetipi.

Un approccio “strabico” appunto, contemporaneamente rivolto con un occhio alla tradizione e con l’altro alla contemporaneità, in una costante sfida.

Koolhaas, Rem, Conferenza, in Sanford Kwinter e Marco Rainò (a cura di), Rem Koolhaas. Verso un’architettura estrema, Postmedia, Milano 2002, p. 14 32

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2 1 2 3

Elementi

Muro

Elementi 2.1 Vuoto 2.2 Spazio 2.3 Luce

Azioni

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2.1 Vuoto

“L’architettura non deriva da una somma di larghezze e altezze degli elementi costruttivi che racchiudono lo spazio, ma proprio dal vuoto, dallo spazio racchiuso, dallo spazio interno in cui gli uomini camminano e vivono”.

Bruno Zevi33

Nel capitolo precedente si è cercato di stabilire una base solida per la conoscenza del muro a spessore. Partendo dalla duplice modalità di costruzione del muro, sono state analizzate le prime forme di realizzazione e, a seguire, come si sono evolute nel corso del tempo.

Interessante però, è osservare che cosa incide, che cosa influisce e come altera la percezione degli elementi quando si ha a che fare con un muro di notevole spessore.

Primo elemento fra tutti, il Vuoto.

Presenza di un’assenza.

Assenza di materia ma non per questo assenza di significato architettonico.

Il concetto di vuoto comprende in se stesso molte accettazioni e da luogo a infinite riflessioni. È un concetto profondo molto trattato nei vari campi culturali e scientifici in cui trova diverse implicazioni e significati.

Ad esempio, il vuoto in filosofia e in fisica vuole esprimere uno stato di assenza. Nella psicologia umana, il vuoto è una grave mancanza in ambito mentale e affettivo.

Zevi, Bruno, Saper vedere l’architettura. Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura, Piccole Biblioteca Einaudi, Torino 2009, p. 22 33

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Discesa al Limbo, Anish Kapoor, 2018, Museo di Serralves, Porto.

Quadrato nero su fondo bianco, Kazimir Malevic, 1915, Galleria Tret’jakov, Russia.

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Nella cultura orientale è caratterizzato da una percezione positiva: è considerato come un’infinita fonte di ispirazione.

Lo spazio vuoto, infatti, per i giapponesi, è lo spazio della possibilità, di attesa degli accadimenti della vita e una manifestazione divina.

Il vuoto è stato ampliamente studiato ed espresso anche in arte. Alla base del lavoro dell’artista contemporaneo Anish Kapoor, è evidente il gioco di relazioni tra vuoto e pieno, spazio e materia, concavo e convesso. Un vuoto reso tangibile dal gioco scultoreo sul solido in cui pare che le cavità si riempiono e la materia si svuota. Come Kapoor anche altri artisti, ad esempio Kazimir Malevic, Vladimir Kandinskij, Yves Klein hanno espresso il vuoto, considerandolo come un elemento positivo, lasciandosi alle spalle la paura e l’incertezza di tale elemento.

Tutti questi studi sul vuoto sono in qualche modo utili all’intendimento di esso come spazio da vivere al fine di poterlo costruire.

In architettura infatti, non si tratta di vuoto assoluto ma al contrario, di vuoto concreto.

Riprendendo le parole di Fabrizio Pusateri nella sua Ricerca del Vuoto: “Per vivere con la massima possibilità occorre innanzitutto creare il vuoto”34, è proprio il vuoto che permette all’uomo di vivere, di muoversi all’interno delle architetture.

Il vuoto è dunque, tutto ciò che permette il movimento.

Il concetto di vuoto inteso come spazio cavo ha in sé implicita un’azione preventiva: l’azione del cavare, o dello scavare.

Questa azione da luogo ad un risultato di spazio concavo, delimitato da qualcosa di convesso che lo involucri.

Si pensi idealmente alla semplificazione di un’architettura in un cubo, nel momento in cui estraggo, o meglio dire sottraggo materia, il solido presenta una cavità che viene abitata, in cui si svolgono relazioni tra il soggetto e ciò che lo circonda; tra i diversi soggetti che lo abitano; tra l’oggetto e il suo contesto.

Sudravskaya, Elizaveta, Il Vuoto, https://issuu.com/sudravskaya/docs/il_vuoto_sudravskaya_book_issuu_ ed103744a2bb1f, p. 17 34

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Pianta del Nolli, 1936, Roma.

Si nota il rapporto pieno (nero) e vuoto (bianco).

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È uno “spazio” ricco di tensioni in quanto caratterizzato da forti relazioni tra vuoto e pieno, spazio e materia, esterno ed interno, concavo-convesso, presenza-assenza, buio e luce.

La sottrazione diviene quindi, una strategia compositiva che permette “di modificare l’esistente, lavorare per togliere, predicare l’assenza, progettare il vuoto”35.

La massima espressione del vuoto, è possibile esporla attraverso il pieno.

La relazione tra vuoto e pieno, tra massa e spazio sottratto è tradizionalmente rappresentata attraverso il poché, una tecnica precedentemente citata che deriva dalla cultura della Beaux-Arts che consiste nell’annerimento delle sezioni murarie. Questa tecnica, seppur tradizionale, viene usata in modo innovativo invertendo il suo uso canonico. È quello che fa il Nolli nella pianta di Roma a partire dal 1736, il quale annerisce tutti i tessuti residenziali rappresentandoli come una continua massa solida. Invece i vuoti scavati, sottratti alla massa, sono rappresentati in bianco.

Anche Robert Venturi, Denise Scott Brown nei disegni di Las Vegas in Learning from Las Vegas, e a seguire Bruno Zevi in Saper vedere l’architettura, utilizzano questa modalità di rappresentazione.

Il valore del vuoto come processo compositivo si può ben notare nel progetto, già citato nei capitoli precedenti, di Rem Koolhaas per la Biblioteca Nazionale di Francia, dove tali vuoti vengono ritagliati in un volume stereotomico quasi in maniera casuale e organica, e gli ambienti principali si formano come buchi erosi nella massa della forma pura.

L’importanza di tale elemento lo si può osservare nei due plastici realizzati per la presentazione del progetto, utilizzati per far capire la logica di aggregazione, dove nel primo viene mostrato il volume dell’edificio come pieno e nel secondo, sono invece i vuoti presentati come volumi pieni.

Spirito, Gianpaola, Forme del vuoto: Cavità, concavità e fori nell’architettura contemporanea, Gangemi Editore, Roma 2011, p. 14 35

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Modello di studio del pieno per la Biblioteca Nazionale di Francia di Rem Koolhaas.

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Modello di studio del vuoto per la Biblioteca Nazionale di Francia di Rem Koolhaas.

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2.2 Spazio “Lo spazio è un vuoto, una manciata d’aria racchiusa da materia che ne definisce il limite. Disegnare spazi è disegnare le possibilità della vita, materializzandone i limiti. Definito per la sua forma, trama, colore, temperatura, odore, luce, lo spazio si costruisce come un vuoto, una sottrazione.

Si tratta di un processo mentale di controllo della costruzione dove lo spazio è il nucleo centrale, aggiungendo una sottrazione, costruendo uno scavo il centro dell’esperienza si sposta dalla forma alla vita. Protagonista è lo spazio”.

Manuel & Francisco Aires Mateus36 “Che lo spazio, (…), sia il protagonista dell’architettura, a pensarci bene, è in fondo anche naturale: perchè l’architettura non è solo arte, non è solo immagine di vita storica o di vita vissuta da noi e da altri; è anche e soprattutto l’ambiente, la scena ove la nostra vita si svolge”.

Bruno Zevi37 “E’ immediato pensare che il vuoto e lo spazio coincidano, e nel discorso corrente tale identificazione è del tutto lecita. Secondo Martin Heidegger lo spazio è “fare spazio”, vale a dire “creare radure”, interpretazione largamente sovrapponibile a quella suggerita etimologicamente dalla lingua latina, che vede lo spazio come un essere aperto, ciò che rinvia di nuovo a un’azione capace di liberare un’area manipolando così il campo visuale. In realtà, una volta che si approfondisce la questione, emerge con una certa chiarezza che i due termini non sono del tutto equivalenti. In qualche modo la parola vuoto è più complessiva di quella di spazio, comportando un incremento semantico relativo al fatto che il vuoto è l’esito di un’operazione effettuata sullo spazio, è la sua derivata prima. Si potrebbe dire, piuttosto semplicemente, che il vuoto è uno spazio svuotato, vale a dire che una cavità è stata sottoposta a una compressione che ne ha messo in tensione la configurazione e il senso introducendo in essa, nello stesso tempo, valori nuovi” Franco Purini38 Aires Mateus, Manuel & Francisco, Vuoti, in People meet in architetcture, catalogo della XII Biennale di Architettura, Marsilio, Venezia, 20120, p. 48 37 Zevi, Bruno, Saper vedere l’architettura. Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura, Piccole Biblioteca Einaudi, Torino 2009, p. 31 38 Purini, Franco, Il vuoto contro il pieno, in Topos e Progetto, il Vuoto, Gangemi Editore, Roma 2008, pp. 48-49 36

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Volumi degli spazi interni della chiesa di S. Filippo Neri. Modello costruito sul progetto.

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Se ognuno di noi dovesse pensare di dare una definizione personale di vuoto subito ci renderemmo conto che questo, nell’immediato, richiama alla nostra mente un altro elemento fondamentale, lo Spazio.

Occorre quindi specificare le differenze tra i due termini.

Con “vuoto” si intende la cavità generata dal processo compositivo, ovvero l’azione del sottrarre materia che inevitabilmente definisce lo spazio. Tale spazio è il risultato di un processo qualitativo. Si tratta dunque, di un vuoto pensato, progettato. Non si limita solamente all’estrazione di volumi ma è caratterizzato qualitativamente dall’uomo che vi vive.

Si può dire che lo spazio prende forma attraverso la composizione elementare del vuoto e del pieno.

L’architettura dunque, si svuota della sua materialità e si configura come sistema di relazioni spaziali, o per dirla con le parole di Luigi Moretti, “architettura come struttura di spazi”39.

Lo stesso Moretti, a partire dal 1950, fonda, dirige e impagina la rivista Spazio, con l’obiettivo di trattare trasversalmente tutte le discipline artistiche, proponendo collegamenti interdisciplinari, dall’architettura alla scultura, dalla pittura al cinema e al teatro.

All’inizio del ‘900 lo spazio viene identificato come fattore distintivo dell’architettura in alternativa alla massa, alla plastica, alla decorazione che fino ad allora erano stati considerati gli elementi primari. Lo spazio è dunque, un volume negativo, un vuoto interno che Moretti rappresenta attraverso i suoi modelli di studio, volumi spaziali privi delle superfici che li delimitano, rendendo manifesti gli elementi essenziali di questo spazio: “la forma geometrica, semplice e complessa che sia; la dimensione, intesa come quantità di volume assoluto; la densità, in dipendenza della quantità e distribuzione di luce che li permea; la “pressione” o “carica energetica”, secondo la prossimità più o meno incombente, in ciascun punto dello spazio, delle masse costruttive liminari, delle energie ideali che da esse sprigionano”40.

39 40

Zucchi, Giovanni, La dendità del vuoto. Dispositivi progettuali dello spazio aperto, Clean Edizioni, Napoli 2018, p. 56 Moretti, Luigi, Strutture e sequenze di spazi, in Spazio, n.7, Dicembre 1952, p. 10 67

La pianta di San Pietro a Roma e la sua negativa grafica.

29

Lo spazio interno e lo spazio esterno.

30

La pianta di San Pietro con la proiezione delle strutture e una sua interpretazione spaziale.

31

Due altre interpretazioni spaziali della pianta di San Pietro di Michelangelo.

32

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Lo spazio architettonico per Moretti è dunque, per “natura”, uno spazio “tra o entro”, e anziché considerarlo e studiarlo in negativo, come assenza, solidifica questo “vuoto tra o entro” allo scopo di analizzarne la forma.

I calchi rendono visibile lo spazio interno che diviene volume.

Il vuoto così, assume una qualità compositiva in quanto campo di forze, che “l’architetto modula attraverso l’uso della luce, la compressione e la dilatazione dello spazio e la messa in sequenza di diverse spazialità”41.

Anche Bruno Zevi indaga lo spazio. L’architetto, storico e critico, nel celebre volume Saper vedere l’architettura, indaga l’essenza spaziale dell’architettura e per fare ciò, occorre innanzitutto comprendere quale sia la sua specificità, vale a dire in che cosa si differenzi rispetto a tutte le altre arti. È proprio lo spazio, lo spazio interno, ad essere il protagonista del fatto architettonico. Uno spazio che non può essere appreso e vissuto se non per esperienza diretta. A differenza delle arti, della pittura, della musica, della scultura della poesia, lo spazio architettonico non si esaurisce nelle quattro dimensioni; è l’uomo che muovendosi al suo interno, studiandolo dai successivi punti di vista, abitandolo, dona allo spazio la sua realtà integrale. La quarta dimensione, il tempo, introdotta grazie all’esperienza cubista, permette la definizione del volume architettonico, cioè la scatola muraria che racchiude lo spazio.

Riprendendo le parole di Bruno Zevi sopra citate, lo spazio è anche soprattutto la scena dove la nostra vita si svolge, l’ambiente in cui spendiamo parte della nostra esistenza. È lo spazio che permette di farci esprimere un giudizio, che ci attrae, ci eleva, ci soggioga spiritualmente, ci infastidisce o ci repelle.

41

Zucchi, Giovanni, La dendità del vuoto. Dispositivi progettuali dello spazio aperto, Clean Edizioni, Napoli 2018, p. 41 69

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2.3 Luce

“L’architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi sotto la luce” Le Corbusier42

“La luce è il materiale più bello, più ricco e più lussuoso utilizzato dagli architetti. L’unico problema è che è gratuito, è alla portata di tutti e per questo non lo si avvalora a sufficienza”.

Alberto Campo Baeza43

Il terzo e ultimo elemento che viene indagato e che interagisce con il muro a spessore è la Luce.

Invisibile e impalpabile. Eppure da forma al mondo.

Nel corso della storia dell’architettura la luce ha sempre avuto un ruolo prevalente sia a livello progettuale e funzionale, si pensi alla scelta dell’orientamento di un edificio per consentirne un uso ottimale degli spazi, sia a livello espressivo, si pensi alle numerose opere architettoniche dove la luce ricopriva un ruolo simbolico, sacro.

La caratteristica principale che in questo studio viene sottolineata è la capacità di generare e mostrare lo spazio architettonico rivelandone l’essenza.

Norberg-Schulz, Christian, Genius Loci, Electa, Firenze 1997, p. 77 Peroni, Elia, Jorge Oteiza e Nieto Sobejano Arquitectos: Proposito sperimentale sullo spazio tra scultura ed architettura, https://issuu.com/eliaperoni/docs/tesi_di_laurea_elia_peroni_web, p. 3 42 43

71

33

La luce che provenie dall’oculo del Pantheon.

Alberto Campo Baeza, modello di progetto per il concorso “La porta di Milano”, 2009 34

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Sono i Romani che, per la prima volta, realizzano spazi architettonici definiti dalla luce. Ad esempio nel Pantheon, il fiotto di luce che penetra nell’oculo della cupola, o nel compluvium di una domus o, ancora, nelle aperture di un ambiente termale o di un mercato coperto, svela proporzioni, armonie, materiali, tessiture. Si può dire che la luce modella l’architettura. Esprime l’architettura. Attiva la vista, senso fondamentale per l’esperienza architettonica dello spazio. È dunque, generatrice di esso.

L’architetto spagnolo, Alberto Campo Baeza, maestro nell’uso della luce, con le parole sopra citate, intende la luce nel suo stretto rapporto con l’ombra, le cui combinazioni sono in grado di suscitare emozioni al fine di commuovere.

“Lo spazio tra luce ed ombra si attiva dunque di un’energia intrinseca capace di evocare”44.

Nelle sue lezioni, l’architetto, molte volte ha paragonato la luce al sale. Quando la luce si dosa con precisione, l’architettura raggiunge il suo punto massimo. Troppa luce dissolve la tensione e troppa poca la rende muta ed inespressiva. Allo stesso modo, l’assenza di sale in cucina rende gli alimenti insipidi e l’eccesso li rovina.

Anche per Kahn il tema del controllo e della modulazione della luce dall’esterno verso l’interno, diviene un punto cardine nelle sue opere. L’architetto infatti, più studiava la luce più la parete diventava spessa, lavorava in profondità e generava spazi interstiziali adeguati ad essere organizzati per essere abitati.

Questa sorta di circolo virtuoso che si instaura tra i dispositivi di controllo della luce e lo spessore della parete viene individuato e riconosciuto dallo stesso Kahn agli inizi del 1961, dove, completati i disegni dei prospetti della Chiesa Unitaria, e riferendosi alla differenza esistente tra le prime versioni del progetto e quella finale, afferma: “prima (nel secondo schema) la finestra è a filo dei muri.

Peroni, Elia, Jorge Oteiza e Nieto Sobejano Arquitectos: Proposito sperimentale sullo spazio tra scultura ed architettura, https://issuu.com/eliaperoni/docs/tesi_di_laurea_elia_peroni_web, p. 3 44

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35

First Unitarian Church, Rochester, 1957-1964 - Schizzi

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Percepivo ancora la durezza della luce, imparando ad essere ogni volta consapevole del riverbero (…). Questo (schema finale) rappresenta l’inizio di una comprensione della necessità dell’uso di spessori murari tra il piano del vetro e quello del muro esterno.

Questo problema venne sollecitato anche dal desiderio di avere sedili sotto alle finestre. (…)”45.

Il muro definisce e racchiude lo spazio vuoto che nel progetto architettonico costituisce l’obiettivo finale, lo spazio che verrà abitato e vissuto dall’uomo; è il vuoto dunque, che detta le relazioni spaziali e funzionali, che controlla i tracciati visivi, che genera possibili emozioni, attese, interpretazioni. Tutto ciò però non può prescindere dalla luce: non esiste spazio senza luce.

Nell’opera di architettura la luce genera lo spazio.

La luce naturale da corpo alle forme plastiche, modella le superfici dei materiali, controlla ed equilibra i tracciati geometrici.

Il vuoto è dunque oggetto di un procedimento di vera e propria costruzione, e nel momento in cui viene svuotato, lascia il posto allo spazio e alla luce, diventando luogo dell’architettura.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p. 87 45

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3

Azioni

1

Muro

2

Elementi

Azioni

3

3.1 Muro Perforato 3.2 Muro Diaframma 3.3 Muro Cavo 3.4 Muro Abitato 3.5 Muro Ripiegato

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3.1 Muro Perforato

La prima azione che viene individuata riguarda il Muro Perforato.

Tale azione che propone uno scavo, una sottrazione di massa dal muro; un vero e proprio traforo; consente di rendere visibile la consistenza dello spessore di tale elemento.

Oltre a rappresentare un’azione sulla massa, è inoltre un mezzo di apertura per la comunicazione tra due ambiti. Il gesto di perforare la materia da un estremo all’altro permette l’attivazione dell’oggetto tramite lo sguardo dell’osservatore che passa attraverso il foro generando nuove relazioni tra i due estremi.

Un esempio nella storia dell’architettura che mostra questa azione, è l’imponente muro a Sud della Cappella Notre Dame du Haut, a Ronchamp, in Francia, progettato da Le Corbusier nel 1955 sotto la commissione di Padre Marie-Alain Couturier per la ricostruzione della cappella di pellegrinaggio dedicata alla Vergine Maria distrutta a seguito dei bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale.

In realtà, questo spessore, che viene messo in evidenza mediante le strombature delle aperture, altro non è che un muro fatto di pietre poste l’una sull’altra e di volumi plasticamente configurati nel getto di calcestruzzo armato.

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Il muro a Sud della Cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp in costruzione.

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Pianta di Can Lis. Si nota lo spessore murario conferito dalle pareti inclinate.

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Una parete dunque, con uno scheletro di setti e travi in calcestruzzo e tamponamento in mattoni che risulta scavata e corrosa da piccole e grandi aperture strombate.

Per quanto è dato di cogliere questa parete potrebbe essere un blocco monolitico in cui la mano dell’architetto ha operato un sapiente traforo. Infatti, l’intima e celata natura tettonica del muro è contraddetta dalla nuova espressività che la sottrazione dei volumi delle finestre gli ha conferito.

Tale parete a Sud risulta un elemento a sé stante. Un muro arcaico, primitivo. Una massa concreta deformata, il cui carattere monolitico e pesante viene negato dal fatto che l’architetto non gli conferisce una funzione portante ma, al contrario, il muro avvolge, nasconde, ingloba i pilastri che sostengono la copertura sollevata rispetto allo stesso.

Questo, dunque, non è più un supporto ma un involucro.

Invece di progettare un muro di cemento regolare, di 50 cm di spessore come è la cima, Le Corbusier, ha trascorso mesi cercando di perfezionare la parete esterna che risulta raggiungere una larghezza di base di 3.70 metri verso Ovest, decrescendo fino a 1.40 metri verso Est. Due direzioni plasmano la parete muraria: la curvatura concava in pianta verso Sud e l’inclinazione verticale come fosse un contrafforte.

La stessa percezione si ha all’interno della casa Can Lis, di Jorn Utzon a Mallorca, in Spagna.

Anche se in questo caso la presenza del giunto di malta che sottolinea la tecnica costruttiva tettonica, dunque dell’addizione, è ben visibile, osservando il muro dall’interno verso l’esterno, si possono notare delle aperture il cui “spessore” murario direziona l’occhio dell’osservatore verso il paesaggio marittimo. È facilmente intuibile, osservando la planimetria della casa che, anche in questo caso, non si tratta di un vero e proprio spessore ma di uno spessore fittizio consentito dall’aumento di lunghezza e dalla progressiva inclinazione del setto murario. All’esterno tutto questo risulta negato dal fatto che l’architetto non chiude gli angoli formati dalle diverse inclinazioni della parete delle aperture ma li lascia visibili palesando il vero spessore del muro.

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Vista interna del Muro a Sud della Cappella di Notre Dame du Haut.

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Vista interna del Muro di Can Lis a Mallorca.

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Schema di analisi dei vuoti.

Progressiva sottrazione.

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Vuoto È già stato sottolineato il fatto che il muro, da sempre, sia un simbolo di protezione, una struttura che garantisce sicurezza e tranquillità a chi si rifugia dietro di esso. Basti pensare alle mura delle antiche città che proteggevano gli abitanti dagli assalti di briganti ed eserciti invasori.

Ma il muro è sempre stato anche un potente simbolo di divisione che amplifica le differenze tra quelli che stanno “di qua” e coloro che “stanno di là” del muro. Divide un “fuori” da un “dentro” o meglio recinge: genera uno spazio interno separandolo da quello esterno. La presenza di un muro costituisce una barriera, un elemento di separazione.

Il muro è quindi un limite fisico.

Ma cosa succede se a questi muri, intesi come limiti fisici, viene sottratta materia? Ovvero se questi muri progressivamente si svuotano lasciando entrare luce?

Il principio murario è il dispositivo che determina il rapporto poetico tra “luce” e “silenzio.”46 Luce è ciò che sta all’esterno della barriera. Silenzio è ciò che sta all’interno.

Ma nel momento in cui un taglio, una sottrazione, viene apportata al muro, si stabilisce un ponte, una connessione tra i due ambienti.

Ecco che il muro comunica con l’esterno, con il paesaggio.

Ciò è reso possibile mediante l’azione dello scavare, del cavare la massa dal muro. Del perforare la materia.

Tale azione da come esito una cavità, un vuoto. In questo senso il valore di quest’ultimo è duplice: come vuoto ma, allo stesso tempo, come volume, nel suo essere parte integrante di ciò che lo definisce e lo contiene.

Il vuoto dunque, come elemento della composizione, come metrica di controllo dello spazio.

46

Zanni, Fabrizio, Kahn e i suoi archetipi, “Territorio”, n.60, Marzo 2012, p.117 85

Schema di analisi.

Rapporto pieno e vuoto della facciata esterna del muro Sud. 41

Schema di analisi.

Rapporto pieno e vuoto della facciata interna del muro Sud. 42

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“L’eliminazione e perforazione per mezzo di tagli sull’oggetto permette allo spazio circostante di trapassare e rompere il volume massiccio creando flussi di energia attraverso di esso.”47 Nel muro meridionale della Cappella di Notre Dame du Haut questa operazione di sottrazione volumetrica è resa ben evidente. Attraverso lo scavo è infatti visibile la maestosa profondità.

Tale percezione è enfatizzata all’interno della Cappella.

L’architetto infatti, gioca con volumi, inclinazioni e dimensioni differenti in modo tale da generare suggestioni particolari. La facciata esterna risulta più statica e schermante, le bucature presentano dimensioni ridotte se paragonata a quella interna che invece, attraverso le strombature si apre verso coloro che credono.

Le profonde bucature appaiono come essere il risultato di un’escavazione di un sapiente scultore che lavora finemente la materia. Tale suggestione è enfatizzata dalla mancanza di cornici o infissi che demarchino la presenza di aperture.

Lo scavo appare dunque grezzo, come appena estratto, dove è ben visibile l’essenzialità del gesto architettonico-plastico dell’architetto.

La parete si presenta quindi come un’opera scultorea di dimensioni architettoniche.

La medesima tecnica scultorea può essere rintracciata nelle opere dello scultore Eduardo Chillida.

Esso infatti viene nominato lo scultore del vuoto, in quanto il suo processo creativo lavora molto spesso per estrazione di materia, per via di levare, secondo la tradizione plastica scultorea. Chillida svuota la materia per definire con il vuoto stesso l’opera.

Lo scultore parla di “spazio vuoto”, un vuoto che tende a presentarsi come presenza di una pura assenza, anche se per definirlo è necessario osservarlo in opposizione al pieno, Peroni, Elia, Jorge Oteiza e Nieto Sobejano Arquitectos: Proposito sperimentale sullo spazio tra scultura ed architettura, https://issuu.com/eliaperoni/docs/tesi_di_laurea_elia_peroni_web, p. 50 47

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Schema di analisi.

Rapporto dello spazio delle aperture rappresentato come denso.

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Schema di analisi.

Analisi dello spazio accessibile al piano terreno.

Si nota in particolare lo spazio presente nelle aperture.

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quindi la materia percepibile con i nostri sensi, visibile, tangibile.

Spazio Precedentemente si è sottolineata la differenza tra vuoto e spazio. Vuoto è la cavità generata dal processo di sottrazione, Spazio è invece un vuoto progettato, caratterizzato dall’uomo che lo vive, che lo percepisce qualitativamente.

Per tale motivo, lo spazio, è inevitabilmente una cavità dove è reso possibile il movimento; ma è principalmente un luogo ricco di tensioni, di carica energetica.

Lo spazio viene quindi, espresso come denso, un solido negativo, in modo tale da mettere in risalto la forma, la composizione e la sequenza di questi spazi modulati attraverso la luce.

La parete a Sud della Cappella di Notre Dame du Haut si fa avvicinare, non respingere. Un lato obliquo è un segmento che dà spinta, che inizia un ritmo. Lo spazio si allarga e si restringe, in un moto di contrazione-espansione che porta energia. Vita. È un muro dinamico che chiede l’attenzione inconscia delle persone. Questo fatto è sottolineato dalla posizione delle sedute che non vengono poste al centro dell’aula ma di lato, a fianco al muro a spessore.

Al livello più basso la parete permette di essere penetrata nel suo spessore offrendo la sensazione di protezione e di luogo sicuro, privato, in quanto le strombature presentano dimensioni umane, di piccoli luoghi dello stare, in cui è reso possibile osservare il paesaggio che si trova dinnanzi il massivo muro.

Un foro dunque, che accoglie, che invita a diventare presenza attiva “nel gioco sapiente dei volumi sotto la luce”.

Uno spazio che chiede di partecipare e non semplicemente di contemplare; sembra quasi che si innalzi in una condizione di atemporalità, in forte contrasto con la pesantezza che invece il muro conferisce.

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45

Gioco di colori conferiti dai vetri nel momento in cui vengono illuminati dal sole.

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Luce Oltre al vuoto e allo spazio, un elemento che nell’opera di Le Corbusier riveste un ruolo fondamentale è la luce.

Qui la luce penetra, avvolge e dilata le fessure, sfiora le profonde strombature delle finestre e scivola lungo i muri dall’intonaco increspato rivelandone la matericità.

Trasfigura lo spazio generando forme.

La parete a Sud non è più parete “ma velo che traspare, che palpita, che rende tutto Luce”.48 La luce cambia. Cambiano i riflessi all’interno, le intensità, i colori, le rifrazioni.

Le inclinazioni delle strombature non sono casuali. Ogni apertura traccia un asse nella parete di fronte e la trasforma.

Dunque, non si tratta soltanto di un elemento che interagisce con il muro a spessore ma, l’architetto, lo rende un vero e proprio materiale da costruzione.

Attraverso la luce, Le Corbusier, scolpisce le forme, modella la materia.

Tali aperture sono realizzate “a manica d’aria” per poter raccogliere la luce dall’esterno ed indirizzarla verso l’interno.

La luce non permea il muro come un raggio indirizzato in un unico punto, ma si espande tra la rugosità dell’intonaco, generando un chiarore puntuale e soffuso.

L’architetto ha scelto di creare degli effetti raffinati lasciando giocare i raggi luminosi attraverso vetri colorati. Questi si riflettono, attenuati, sulle strombature degli alveoli, formando sulle rugosità dell’intonaco delle ombre colorate dalle sfumature delicate: dei rosa, dei verdi e dei blu pallidi, tinte che variano a seconda dell’intensità della luce e della posizione del sole.

L’atmosfera è dunque mutevole. Dinamica.

Signorini, Maurizio, Ronchamp: l’ascolto dell’infinito, https://www.labiolca.it/rubriche/bioedilizia/ronchamplascolto-dellinfinito/ 48

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Schema di analisi.

Studio della luce che modella le forme.

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Schema di analisi.

Studio della luce che si espande nel momento in cui entra nella Cappella grazie alla forma “a manica” delle aperture.

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3.2 Muro Diaframma

La seconda azione che viene individuata riguarda il Muro Diaframma.

Tale azione incarna la tecnica costruttiva egizia ovvero, nel momento in cui i muri superavano il ragionevole spessore che permetteva di realizzarli interamente di pietra, questi si costruivano attraverso due pareti lapidee esterne e parallele che facevano da contenimento ad un ripieno di scarsa consistenza, o come avveniva il più delle volte, lo spessore eccessivo favoriva la realizzazione di veri e proprio spazi interstiziali di risulta tra i due muri.

Si tratta dunque, di un raddoppiamento del muro. Di uno sdoppiamento.

Nel Muro Diaframma l’intercapedine, sperimentata dagli Egizi, si dilata a tal punto da permettere il passaggio delle persone diventando un vero e proprio spazio progettato, non più di risulta, ma integrato con l’intero edificio.

Nel Collegio di Maria Montessori a Mazatlan, Marciad Peredo e EPArcquitectos, fanno degli spazi di transizione un elemento distintivo: solo mediante questo vuoto ricavato nello spessore murario è possibile accedere alle aule e ai diversi piani.

Un medesimo uso degli spazi interstiziali del muro è possibile analizzarlo nella Poli House, in Chile, progettata da Pezo von Ellrichshausen.

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Vista dalla strada del Collegio.

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Vista da una corte interna del Collegio.

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Vista di scorcio della Poli House.

Schema di analisi.

Piano Primo della Poli House.

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Vista dello spazio di distribuzione ricavato nell’intercapedine del muro del Collegio di Maria Montessori.

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Vista dello spazio di distribuzione ricavato nell’intercapedine del muro della Poli House.

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Schema di analisi dei vuoti.

Progressiva sottrazione.

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Qui, il cuore del muro, oltre a contenere i servizi distributivi, contiene anche servizi quali cucina e bagno.

“Poiché un muro ha la faccia interna diversa dall’esterna… siamo giunti al punto in cui questa consapevolezza può consentire la divisione di un muro interno da un muro esterno (…) e generare uno spazio cavo al loro interno, non realizzabile con un massiccio muro in pietra” 49.

Vuoto Se si considera il muro come il dispositivo che traccia il confine e che delimita un esterno da un interno è possibile considerare come tale l’intero apparato murario, dunque lo spessore totale che divide i due ambienti.

Viste le imponenti dimensioni, il muro viene svuotato al suo interno rendendo l’intercapedine percorribile. Si tratta quindi, di un muro diaframma e come tale si caratterizza da due muri: un muro che separa l’esterno da uno spazio di “mitigazione”, e l’altro che separa lo spazio di “mitigazione” dall’interno.

A differenza del muro meridionale di Le Corbusier a Ronchamp, la sottrazione che viene effettuata non si limita a una perforazione orizzontale, ma, nel Collegio di Maria Montessori, si ha una estrazione verticale di materia al fine di rende cavo il cuore del muro per garantire un passaggio.

Questo vuoto di transizione permette di generare spazi esterni loggiati sprovvisti di particolari usi a causa delle ridotte dimensioni che si limitano alla pura funzione distributiva, ad un rapido attraversamento, dove non c’è vita.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p. 92 49

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Schema di analisi.

Studio dello spazio rappresentato come denso.

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È possibile dunque, parlare di vuoti marginali: spazi interstiziali che si configurano come semplici spazi cavi privi di carattere e “che trovano nel vuoto la dimensione più concreta dell’idea di architettura”50.

Spazio È facilmente intuibile che il Muro Diaframma genera un’architettura nell’architettura. Il muro esterno fa da “pelle” del nucleo centrale mentre l’intercapedine costituisce una soglia che segna la fine dell’ambiente esterno e l’inizio di quello interno. Un vero e proprio spazio di transizione.

Lo spazio all’interno del muro di ogni unità esagonale, che risulta autonoma, avvolge completamente lo spazio interno ed è collegato con le altre unità mediante passaggi in modo da attribuire valore di presenza architettonica al deambulatorio.

La planimetria esagonale delle aule, in richiamo alle molecole, ha lo scopo di facilitare le dinamiche in cui i bambini possono sperimentare e risvegliare i propri sensi, quindi si tratta di uno spazio centrifugo anziché lineare.

Dunque, ogni aula si presenta autonoma ma connessa mediante l’intercapedine del muro diaframma.

Le forme elementari che circondano l’aula centrale, come le aperture prive di vetro nei muri esterni, sottolineano la tendenza a realizzare spazi di transizione contenuti in un doppio muro.

L’organizzazione spaziale del sistema distributivo posto all’interno dell’intercapedine, quindi sul confine, consente di lasciare libero lo spazio all’interno delle aule, richiamando la differenza tra gli spazi serviti e gli spazi serventi di Kahn.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p. 97 50

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Schema di analisi.

Studio dello spazio dell’intercapedine percorribile. Piano Terra.

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Schema di analisi.

Studio dello spazio dell’intercapedine percorribile. Piano Primo.

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Schema di analisi.

Studio della luce. Si nota che non è diretta ma viene schermata dalle partizioni murarie.

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Vista dallo spazio presente nell’intercapedine. Si nota l’apertura che non è diretta sull’esterno ma coglie la luce presente tra i due muri.

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La medesima organizzazione spaziale è evidente nella Poli House, precedentemente citata. Qui il sistema distributivo e i locali quali bagni e cucina, si addensano sul perimetro, nello spessore murario, che mostra comunque dimensioni contenute come quelle di un vano scala; lasciando liberi gli ambienti come ad esempio stanze private e corti.

Luce Il guscio esterno rigido ha lo scopo di mitigare il clima e il rumore. Il corridoio infatti, come una vera e propria intercapedine d’aria, favorisce l’isolamento termico e pressurizza l’aria.

Questa idea di avvolgere l’aula centrale nasce sicuramente da esigenze di carattere funzionale legate al controllo degli aspetti climatici e di illuminazione. Mazatlan è una città sulla costa del Pacifico che ha un clima ad alta temperatura e umidità.

La doppia parete manifesta un’idea di semplice ma efficace dispositivo di controllo e modulazione della luce, della luminosità e quindi del calore in eccesso dall’esterno verso l’interno. Consente inoltre, di generare ombra e ventilazione naturale a tutti i livelli.

Le aperture a forma di triangolo consentono di veicolare la luce nell’aula centrale smorzandola e modulandola correttamente all’interno di questa.

Tale forma permette di non far entrare i raggi di luce direttamente in quanto vengono bloccati attraverso la forma stessa che si restringe nella parte alta consentendo comunque di illuminare lo spazio interno.

A differenza della Cappella di Notre Dame du Haut di Le Corbusier, più che giochi e suggestioni luminose qui si ricerca una protezione e una schermatura da essa a causa delle condizioni avverse del clima tropicale.

Le sovrapposizioni di muri e spazi diaframma hanno dunque, lo scopo di regolare la durezza della luce e la trasportano dall’esterno verso l’interno.

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3.3 Muro Cavo

La terza azione che viene individuata riguarda il Muro Cavo.

Tale azione si propone come un prosieguo del Muro Diaframma.

Se in quest’ultimo lo spazio del muro permetteva di inglobare sistemi distributivi, nel Muro Cavo tale cavità contiene spazi serventi quali servizi igienici o semplicemente armadiature.

La Poli House, precedentemente citata, si colloca sulla linea tra il Muro Diaframma e il Muro Cavo in quanto anticipa la soluzione del contenimento di spazi di servizio, oltre che a quelli distributivi, all’interno dello spessore murario.

La percezione del raddoppiamento murario si perde progressivamente a favore della percezione di piccoli luoghi racchiusi all’interno del muro.

Se nel Collegio Maria Montessori l’intercapedine è fruibile solo come spazio di distribuzione, nel Muro Cavo è consentita una sosta. Non si tratta più di uno spazio di rapido attraversamento, ma al contrario di un luogo in cui è possibile entrare e servirsene.

Nella Stone House a Càceres, di Emilio Tunon, le partizioni interne che scandiscono un ritmo ben preciso, altro non sono che armadiature o locali quali bagni. Spazi serventi ricavati in uno spessore murario fittizio. Dunque, un Muro Cavo.

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Vista dalla stanza da letto.

Si nota la presenza di armadiature nei muri.

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Vista dalla cucina.

Si nota la presenza di armadiature nei muri.

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Pianta di Casa ad Alvalade. In alto viene rappresentato lo spessore dei muri, in basso il reale spessore di questi e la presenza di arredo all’interno.

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Gli spazi si organizzano in due gruppi: quelli ausiliari – ripostigli, bagni e corridoi – e quelli principali – saloni, cucina, camere da letto e patii esterni, questi ultimi trattati come vere e proprie stanze della casa.

Gli spazi ausiliari, o spazi serventi, sono concepiti come uno spesso muro abitato.

Effettivamente si possono notare alcune somiglianze tra la Poli House e la Stone House: condensare i servizi all’interno dello spessore del muro permette di liberare le stanze garantendo quindi spazi flessibili.

Un procedimento compositivo simile è possibile osservarlo nel progetto dei fratelli Mateus, Casa ad Alvalade, dove anche in questo caso sono differenziati mediante lo spessore murario, gli spazi principali e gli spazi ausiliari.

Vuoto Nella Stone House, il muro che viene indagato non è più quello che divide un fuori da un dentro, che definisce un confine tra esterno ed interno, ma quello che determina la fine di un ambiente e l’inizio di un altro. Si tratta dunque di muri interni.

Al posto di accostare i servizi al muro, come ad esempio bagni e armadi, tale metodo progettuale vede il progressivo aumento di spessore e la conseguente dilatazione del vuoto interstiziale in modo tale da inglobare completamente i servizi all’interno di esso.

Il progressivo aumento di spessore murario si riferisce all’ingombro che occupa. Infatti, come nei casi precedenti, non si tratta di un vero e proprio spessore, in quanto il muro si sdoppia e mostra dimensioni pressochè comuni.

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Schema di analisi dei vuoti.

Progressiva sottrazione.

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In questo progetto, il vuoto è possibile studiarlo mediante due modalità.

Considerando l’intero edificio come un volume regolare pieno, la prima modalità vede l’estrazione di 9 cubi di 4,20 metri l’uno, che permette di definire ogni singola stanza: si nota quella dedicata alla consumazione del cibo, quella del riposo e di aggregazione, le stanze private e quella dedicata interamente alla distribuzione.

Tale sottrazione definisce una griglia, anch’essa regolare, di 1.55 metri di larghezza e che definisce il muro.

La seconda azione, dunque, vede un’ulteriore sottrazione all’interno della griglia, dando come risultato il Muro Cavo.

Tale azione consente l’uso di questi vuoti interstiziali: all’interno di essi è possibile porre delle armadiature o persino servizi igienici, garantendo un alto livello di privacy.

Spazio Analizzare lo spazio in questo edificio è sicuramente uno degli elementi più interessanti.

Il fatto di rendere il muro un contenitore di luoghi e dunque lo spazio interstiziale utilizzabile, conseguono a un modo di percepire lo spazio differente.

Per quanto ogni singola stanza misuri 4,20 x 4,20 metri la sensazione di uno spazio “limitato” non è percepibile.

Questo perchè ad ogni ambiente è affidato una precisa funzione e in particolare poichè si attua un ordine spaziale garantito dall’arredamento fisso, contenuto appunto nello muro. Le stanze risultano quindi, “libere”: nella camera da letto è possibile osservare al centro solamente il blocco del letto, lo stesso nello studio in cui è possibile osservare il tavolo per la lettura e qualche sedia.

Armadi, vani, strutture per la cucina, impianti di

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Schema di analisi.

Studio dello spazio rappresentato come denso.

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Schema di analisi.

Studio della luce. Si nota la differenze degli ambienti ben illuminati e quelli meno illuminati.

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riscaldamento e ventilazione sono tutti inseriti perfettamente all’interno dei muri. È possibile osservare che anche i locali igienici, quali bagni, sono contenuti nello spessore murario. Questi sono posti in corrispondenza dell’incrocio della griglia formata appunto dai muri, in modo tale da garantire dimensioni vivibili.

La particolarità di questo sistema sta nel fatto che nel momento in cui tutte le porte degli ambienti contenuti nei muri risultano chiuse, si ha una alta sensazione di privacy garantita anche dal fatto che gli ambienti interstiziali fanno da isolante per il rumore tra una stanza e l’altra; mentre nel momento in cui le porte vengono aperte, si possono notare due, tre ma anche quattro aperture che permettono l’accesso in base alle differenti posizioni di coloro che vivono questi spazi.

Uno spazio dunque, dinamico.

Uno spazio labirintico, come quello della Casa ad Alvalade dei fratelli Mateus, in quanto una porta permette l’accesso a un ambiente mentre un’altra permette l’accesso ad armadi.

Luce Dodici finestre illuminano gli otto volumi corrispondenti alle stanze. Solo il vano scala risulta privo di aperture.

Ogni stanza dunque, tranne quest’ultima appena citata, è caratterizzata da almeno un’ampia apertura che permette di godere del panorama del luogo. Le stanze poste in angolo sono caratterizzate da due aperture.

Questo sistema di illuminazione consente di fornire un’elevata luce naturale durante il giorno.

Al contrario gli ambienti posti nello spessore murario risultano scarsamente illuminati se non mediante tre piccoli lucernari in copertura. Questo fatto sottolinea la distinzione degli ambienti, quelli serventi e quelli serviti.

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3.4 Muro Abitato

La quarta azione che viene individuata riguarda il Muro Abitato.

Anche in questo caso tale azione si propone come un progresso del Muro Cavo; e quindi anche del Muro Diaframma.

Precedentemente si è analizzata la cavità come spazio di passaggio, successivamente come luogo che contiene spazi di servizio, in cui si è potuto osservare cosa comporta la progressiva dilatazione dell’intercapedine muraria.

Come punto terminale, nel Muro Abitato, è possibile osservare la quasi totale perdita di percezione del raddoppiamento murario a favore dello spazio all’interno che tende sempre di più a ottenere maggiore importanza.

Si può parlare quindi, di una sorta di progressione dello spazio nel muro che vede una semplice intercapedine, in cui solo il passaggio è consentito, dilatarsi talmente tanto da contenere veri e proprio luoghi abitabili. È ciò che accade nel Building In Lagoa das Furnas, in Portogallo, realizzato dai fratelli Mateus. Qui nello spazio del muro, che ormai non ha più nulla a che vedere con quello relativo all’intercapedine; è possibile muoversi, circolare all’interno. Abitare lo spazio.

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Vista dal lago della residenza temporanea per i ricercatori.

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Vista dell’ingresso nonchè unica apertura.

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Pianta di Casa nella Serra de Mira de Aire dei fratelli Mateus.

In nero sono evidenziate le unità che vengono abitate al loro interno.

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Schema di analisi dei vuoti. /Users/Diletta/Desktop/UNI/Tesi dile/testi/SCHEMI/Cec Progressiva sottrazione.

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In questo caso si può notare in modo chiaro come il muro faccia da involucro degli ambienti che vengono posti al suo interno, perdendo dunque la percezione del raddoppiamento del muro.

Lo spessore murario è percepibile mediante unità distinte che ritmicamente organizzano lo spazio interno.

Si tratta dunque, del Muro Abitato, ancora una volta ben studiato dai fratelli Mateus nel progetto Casa nella Serra de Mira de Aire.

Vuoto Nel Building In Lagoa das Furnas progettato dai fratelli Aires Matues, il muro che viene indagato torna ad essere quello perimetrale determinando il confine, il limite tra l’esterno e l’interno.

In particolare, viene studiato l’edificio dedicato all’alloggio temporaneo per i ricercatori del centro monitoraggio e investigazione.

Qui il vuoto occupa gran parte del progetto. In particolare, è possibile notare il vuoto contenuto nei muri perimetrali.

Se si confronta la Stone House del Muro Cavo con questo progetto è possibile vedere una differenza sostanziale.

Come già annunciato, in questi luoghi è possibile circolare e per l’appunto abitare; sono presenti oltre ai servizi igienici, vere e proprie stanze che presentano dimensioni vivibili.

La percezione del vuoto interstiziale tende a perdersi a favore dell’idea di ripiegamento e di contenitore del muro.

Tale muro infatti, può essere analizzato come una notevole massa scavata che separa appunto interno ed esterno, ma inizia a sorgere anche la percezione che il muro perimetrale compie un ripiegamento verso i locali interni, inglobando alcuni di essi.

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Schema di analisi.

Studio dello spazio rappresentato come denso.

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/Users/Diletta/Desktop/UNI/Tesi dile/testi/SCHEMI PRODUCED BY AN AUTODESK STUDENT VERSION

Schema di analisi.

Studio dello spazio di circolazione che non avviene più nell’intercapedine ma al di fuori delle unità.

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Spazio

Man mano che il vuoto si dilata anche lo spazio, di conseguenza si evolve.

Se nel Muro Cavo le partizioni interne venivano liberate dalla massa interna a favore del vuoto, nella costruzione dei Matues pare che gli ambienti tendano ad addensarsi in volumi posti sul confine lasciando liberi gli spazi di circolazione.

Questi ultimi fungono da zona-filtro, da spazio di mitigazione tra un esterno e un interno. Si può dunque dire che il vero interno della casa è contenuto in questi volumi posti sul confine dove si svolge la vita; dove si abita.

Questo fatto è possibile ben notarlo in un altro progetto dei fratelli Mateus, Casa nella Serra de Mira de Aire a Fatima, in Portogallo.

Gli architetti ribaltano sapientemente il tradizionale rapporto tra gli spazi fondamentali e quelli ausiliari tanto che gli ambienti principali della casa risultano concepiti come una sorta di gigantesco e pervasivo spazio servente che percorre, al suo interno, il volume.

Qui la parzializzazione in unità distinte si fa più evidente: ogni singolo volume rappresenta una funzione.

Lo spazio nel muro tende a prendere sempre più importanza, inglobando veri e propri ambienti tanto che lo spazio “di risulta”, di circolazione, diventa non più quello tra lo spessore murario ma quello esterno ad esso.

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Schema di analisi.

Studio della luce che entra solo dalla porta di ingresso. Gli spazi ricavati all’interno dei muri risultano completamente privi di illuminazione naturale.

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Vista dall’interno dell’abitazione temporanea. Si nota lo spazio interno ricavato nello spessore murario.

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Schema di analisi.

Studio della luce che entra solo dalle finestre e porte. Gli spazi ricavati nei blocchi risultano privi di illuminazione naturale.

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Luce Nel Building In Lagoa das Furnas non sono presenti aperture. L’unico mezzo che consente alla luce di entrare nell’edificio è l’apertura di ingresso.

All’esterno, questo, si presenta piuttosto introverso, solo i tagli che definiscono l’ingresso invitano ad accedervi.

Così come nella Stone House, in cui i locali compresi nello spessore murario risultavano poco illuminati, nell’edificio dei fratelli Mateus sono privi di illuminazione naturale se non per via di riflessione mediante l’ingresso.

Questa ricerca di chiusura è possibile notarla anche in Casa nella Serra de Mira de Aire sempre dei fratelli Mateus dove i volumi, che contengono gli ambienti, risultano piuttosto chiusi e solo gli ingressi consento alla luce di penetrare.

Nella Casa a Bozzolo, progettata da Paola Marini a Mantova, le aperture sono poste nello spazio lasciato vuoto, destinato alla circolazione. Dunque, anche in questo caso i volumi ricevono luce solo mediante riflessione - in modo indiretto - generando un’atmosfera piuttosto soffusa adatta a luoghi in cui si cerca intimità.

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3.5 Muro Ripiegato

La quinta azione riguarda il Muro Ripiegato.

Nel Muro Ripiegato la progressiva dilatazione dello spazio interstiziale, già a partire dal Muro Cavo poi successivamente con il Muro Abitato, tende a perdersi definitivamente.

Dunque, per mantenere comunque la percezione dello spessore, il muro subisce un ripiegamento.

Questa azione è ben studiato da Luis Kahn a partire dagli anni cinquanta con la Casa Esherick, la Unitarian Church e l’Erdman Hall Dormitory.

Il Muro Ripiegato, come anche il Muro Perforato, produce uno spazio interstiziale con caratteri notevolmente differenti rispetto alla condizione di transitorietà, marginalità e abitabilità del Muro Diaframma, Cavo e Abitabile che lavorano sulla progressiva dilatazione dello spazio interstiziale.

Infatti, questa possibilità di rigirare la parete esterna di 90° rivolgendola in profondità verso l’interno, produce da un lato una efficace sensazione di spessore apparente e, dall’altro, rende possibile lo sfruttamento di uno spazio concavo interno, che ha la possibilità di essere attrezzato per una sosta confortevole.

Uno degli edifici che realizza questa possibilità spaziale è la piccola casa progettata da Kahn per Mr. E Mrs. Norman Fisher ad Hatboro, a Nord di Philadelphia.

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Vista dall’interno della Fisher House.

Si nota la parete attrezzata in cui nel vuoto è ricavata la scrivania.

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Schema di analisi.

Studio della luce che entra solo dalla porta di ingresso. Gli spazi ricavati all’interno dei muri risultano completamente privi di illuminazione naturale.

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Vista esterna della First Unitarian Church. Si nota l’effetto generato dal ripiegamento del muro perimetrale.

Vista dall’interno della First Unitarian Church.

Si nota la nicchia ricavata dal ripiegamento del muro.

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80 Schema di analisi. /Users/ Diletta /Desktop/UNI/Tesi dile/testi/SCHEMI/Ceco.NET-Architecture-Tm-176.dw g, PRODUCED BY AN AUTODESK STUDENT VERSION

Studio dell’azione di ripiegamento.

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Schema di analisi. /User s/Dil etta/Desktop/UNI/Tesi dile/testi/SCHEMI/Ceco.NET-A Progressiva sottrazione 81

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Qui, la sistemazione dell’infisso di chiusura nella parte interna conferisce la sensazione che il muro perimetrale sviluppi un tale spessore da potervi scavare profonde nicchie che scandiscono il filo esterno delle pareti evidenziando, contemporaneamente, l’apparente filo interno attraverso lo scarto in profondità.

Vuoto Come nei casi precedenti, anche nella Fisher House, progettata da Kahn, il vuoto che viene indagato si trova in corrispondenza del perimetro dell’abitazione stessa.

In questo edificio la percezione del vuoto interstiziale tende a perdersi definitivamente a favore dell’idea di ripiegamento del muro.

Tale fatto evidenzia l’azione di “avvolgere intorno” che richiama per certi versi l’idea di recinto; un recinto intorno ad un vuoto.

Se però si osserva l’abitazione dall’interno, la percezione che il muro conferisce è quella di essere un possente muro perimetrale dotato di spessore dove in determinati punti viene sottratta materia dando vita a una serie di nicchie.

Questo fatto è ben evidente nella Unitarian Church, progettata sempre dallo stesso Kahn, in cui si conferisce un’apparente massività alla scatola.

Spazio Gli spazi interstiziali prodotti verso l’interno, grazie a questo gioco continuo di allineamenti e rientranze rispetto al filo esterno della parete, non sono veri e propri spazi chiusi, esattamente circoscrivibili, ma postazioni che si intuiscono soltanto grazie al posizionamento di una serie di oggetti utili.

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Schema di analisi. Deskt /Users/Dil etta/ op/UNI/Tesi dile/testi/SCHEMI/Ceco.NET-Archit Studio dello spazio rappresentato come denso.

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Schizzo di Luis Kahn relativo allo studio degli effetti della luce e ombra all’aumetare dello spessore.

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Pianta della Fisher House.

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In questo modo essi assumono il carattere di veri e propri luoghi, “spazi che si rendono disponibili per gesti di vita minimi, quotidiani, ma carichi di un profondo senso di umanità”51.

Questi luoghi ricavati nel muro sottolineano l’esigenza di riporre e conservare gli oggetti necessari alla vita di ogni giorno senza invadere e ingombrare lo spazio della stanza; la semplice possibilità di sedersi o l’idea di potersi servire di una postazione privilegiata da cui osservare il paesaggio esterno circostante.

Questi luoghi del limite non sono per nulla accessori ma, piuttosto, secondo una definizione dello stesso Kahn, “profondamente necessari”52.

Luce La Luce nelle opere di Kahn è un elemento molto caro.

Più volte l’architetto ha sottolineato che più studiava la luce più le pareti diventavano spesse, lavoravano in profondità e generavano spazi interstiziali adeguati ad essere organizzati per essere abitati.

Il muro ha il compito di riparare, di filtrare, di modulare la luce e mediare il rapporto tra l’esterno e l’interno, tra natura e architettura. Il muro dunque è incaricato di instaurare relazioni con la luce.

In particolare, mediante il ripiegamento del muro e la conseguente generazione di nicchie, Kahn è in grado di controllare le profonde ombre delle finestre incassate nello spessore del muro che si alternano con ritmo incessante alle ombre dei setti, proiettate sul muro delle nicchie.

Più il muro si fa spesso più la luce può essere modulata, resa meno dura e più delicata, soffusa; e l’ombra più profonda.

Cacciatore, Francesco, Il muro come contenitore di luoghi. Forme strutturali cave nell’opera di Luis Kahn, LetteraVentidue, Siracusa 2018, p. 111 52 Ibidem, p. 111 51

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CONCLUSIONI

Percepire lo spessore Si è analizzato il carattere tettonico e stereotomico dell’architettura esplicitati in maniera chiara attraverso i due archetipi quello della capanna (tettonica) e quello della grotta (stereotomico) e definendo come il primo faccia riferimento ad una tipologia trilitica che si appoggia al suolo; mentre il secondo risulta fortemente legato allo scavo, alla terra e al concetto di sottrazione di massa ovvero di cavità.

Sono state definite le prime forme della costruzione a spessore, gli archetipi, e le loro relative evoluzioni nelle architetture moderno-contemporanee sottolineando l’importanza e il potere che possiede la storia e dunque la tradizione.

Si è parlato di vuoto, di spazio e di luce definendoli gli elementi che incidono, influiscono e alterano la percezione dello spazio nel muro sottolineando che nel concetto di spazio cavo è implicita una preventiva azione del cavare o dello scavare per fare posto allo spazio e alla luce, diventando quindi il luogo dell’architettura.

Tale spazio “negativo” è il luogo in cui si svolge la vita, in cui avvengono le relazioni, i movimenti. È possibile affermare dunque, che l’utilizzazione del manufatto architettonico avviene in ciò che non c’è.

Ma questo spessore è frutto di percezioni. Si tratta di simulare lo spessore murario. Infatti, difficilmente le architetture vengono realizzate mediante un’azione di scavo, a meno che non si trattino di architetture legate agli archetipi della grotta o ad architetture ipogee, come ad esempio avviene nel celebre edificio funebre Al Deir a Petra in Giordania, 137

precedentemente citato, o nel palazzo della Gurfa in Sicilia, i Sassi di Matera e le architetture del sottosuolo di Napoli, e così via.

Si pensi all’enorme consumo di forze e di risorse per realizzare intere costruzioni scavate, e alla necessità di materiale.

Ciò che invece si mantiene di questa azione di “cavare” è un concetto. Una metafora. Un metodo progettuale; una modalità costruttiva. Un modo di concepire gli spazi e di ragionare per sottrazione.

Si tratta dunque, di uno scavo simulato, ovvero metaforicamente ricavato ma realizzato attraverso precisi sistemi costruttivi. “Un’architettura in cui gesti e procedimenti sono riportati a una loro essenzialità intesa come tentativo del recupero di un vissuto, di una memoria ancestrale di un tempo originario”.53 Una costruzione prettamente tettonica che da come risultato architetture apparentemente stereotomiche. La tecnica dello scavo, dunque, è opposta e complementare alla tecnica dell’accumulazione. È ciò che accade in ciascuna delle cinque azioni presentate.

Nessuna di queste è caratterizzata da un reale spessore di massa ma semplicemente da una percezione.

In virtù di quanto annunciato fino a questo punto è possibile dare una risposta alle domande poste all’inizio dello studio: Può un elemento “limite” contenere? Si può abitare il limite? Quanto può contenere? Come?

Se si osservano i progetti sino a qui analizzati, la risposta alla prima domanda risulta immediata ed evidente in quanto tutte le opere proposte lavorano sul tema dello spessore murario, seppur fittizio, che inevitabilmente determina un confine tra ambienti di carattere differente.

Ad esempio, tra le opere proposte, l’unico muro a spessore che non determina il confine tra esterno e interno è l’abitazione progettata da Emilio Tunon, Stone House, che invece, definisce un limite tra le singole stanze all’interno della casa.

Di Benedetto, Giuseppe, Per via di levare: scavare e sottrarre in architettura, P+C proyecto y ciudad, n. 05, 2014, p. 20 53

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A questo punto, se il limite può contenere diviene interessante analizzare che cosa può contenere.

Nel caso del Muro Perforato, non viene attribuita una funzione specifica alle cavità presenti, anche se nelle strombature, al livello della pavimentazione, è possibile accedervi e osservare il paesaggio.

Questo possente muro pare infatti richiamare un’opera scultorea appena incisa dove è forte la presenza della mano dello scultore e i giochi di luce e ombra ma anche materici, che l’artista opera.

Nel Muro Diaframma, invece, l’intercapedine generata dal raddoppiamento murario fornisce lo spazio di circolazione.

Dunque, il limite contiene la distribuzione.

Così, in modo progressivo, più l’intercapedine tende a dilatarsi più è in grado di contenere funzioni che variano in base alle sue dimensioni.

Il Muro Cavo dunque, è in grado di contenere spazi di servizio come ad esempio armadiature e bagni; mentre nel Muro Abitato lo spazio interno si dilata talmente tanto da inglobare completamente intere stanze, ovvero spazi privati.

L’azione del Ripiegamento del Muro, invece, permette di contenere piccole nicchie adatte ad una sosta confortevole in quanto possono essere attrezzate con sedute privilegiate per godere di una particolare vista sul paesaggio senza invadere ed ingombrare lo spazio della stanza. È presente però, un momento che interrompe questo progressivo meccanismo di dilatazione.

Pare che più la cavità presente all’interno dello spessore murario aumenti, più questa tenda a inghiottire spazi fino al totale contenimento di intere stanze.

Nel Muro Diaframma e nel Muro Cavo, lo spazio vivibile si trova all’esterno della parete.

Nel Muro Abitato invece, si nota un’inversione di questi spazi, una progressiva parzializzazione in unità che contengono un determinato ambiente, dove lo spazio di circolazione risulta essere quello esterno.

La ricerca di maggiore spazio all’interno di queste unità causa la perdita della percezione di contenimento e di 139

raddoppiamento murario a favore dell’idea di recinto intorno a questi spazi.

Per tale motivo, si ricorre all’azione del Muro Ripiegato in grado di conferire un’apparente percezione di spessore.

E’ possibile sostenere dunque, che il muro è in grado di contenere fino al singolo ambiente in quanto lo spazio interno allargandosi, cessa di essere percepibile come intercapedine abitabile.

Personalmente ritengo che il più delle volte non si considerino le possibilità e le capacità del muro. Molto spesso viene sottovalutato.

Si tratta di una presenza architettonica inevitabile e perciò scontata.

L’architetto però è chiamato molto spesso a relazionarzi con il muro, sia per delimitare un dentro da un fuori, sia per gestire percorsi e flussi di persone, sia come sostegno per gli arredi.

La ricerca svolta ha dunque lo scopo di evidenziare le sue molteplici funzioni che riveste e in particolare analizza lo spazio sul limite, lo spazio del muro.

L’elaborato vuole sostenere il fatto che tale spazio può essere risolutivo sia per questioni legate al conferimento di atmosfere emotive e spirituali ma anche per risolvere problematiche legate al clima come ad esempio avviene nel Collegio Maria Montessori a Mazatlan.

In particolare ritengo che sfruttare lo spazio del muro conferisce chiarezza spaziale in quanto possono essere inseriti all’interno arredi che diventano fissi, molto utile nel caso di ambienti limitati dal punto di vista dimensionale; conferisce inoltre, organizzazione e gerarchia degli spazi differenziando gli ambienti collettivi da quelli privati.

Penso dunque, che sia una soluzione interessante, che non si limita alla sola ricerca ma che spero sia l’inizio di un percorso che mi accompagni alla formazione di un metodo progettuale personale.

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Laugier Marc-Antoine, disegno Puccini Luisa Werner Berthold www.paternoartestoria.wordpress.com www.villaadriana.beniculturali.it Kahn Louis, disegno Anonimo De Rubempè Lucien Kazimir Malevic, opera Observations & Reflections Office for Metropolitan Architecture (OMA) Office for Metropolitan Architecture (OMA) Moretti Luigi, disegno Zevi Bruno, illustrazioni Zevi Bruno, illustrazioni Zevi Bruno, illustrazioni Zevi Bruno, illustrazioni Broadbent Philip Campo Baeza Alberto Kahn Louis, disegno Buoncore Gianluca Forlano Alessio Torben Eskerod Inexhibit Luque Onnis Luque Onnis AnonimoArchdaily Luque Onnis Anonimo-Archdaily Luque Onnis Tunòn Arquitectos Tunòn Arquitectos Aires Mateus

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Guerra Fernando Guerra Fernando Aires Mateus Guerra Fernando Guerra Fernando Roversi Paolo Roversi Paolo Scarsellini Riccardo Scarsellini Riccardo Kahn Louis, disegno

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Vorrei spendere le ultime parole al termine del mio lavoro per ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo elaborato con consigli, suggerimenti, critiche e osservazioni.

Prima di tutto, voglio ringraziare la professoressa Barbara Bogoni, relatrice dell’elaborato finale, per l’interesse verso l’architettura e la voglia di conoscere e di cercare che ha saputo trasmettermi in questo ultimo anno. La ringrazio per avermi accompagnata non solo in questo percorso affatto semplice viste le problematiche a cui siamo stati tutti noi sottoposti, ma anche all’interno di laboratori e seminari.

Grazie anche a tutti coloro che mi sono stati vicini in questi tre anni e che mi hanno spronata e motivata a raggiungere l’inizio di un piccolo ma grande sogno, in particolare ai lavori di squadra intrapresi con Andrea, Stella, Serena, Raffaele, Marco, Yana, Federica, Elena che hanno alleviato la distanza forzata.

Un ringraziamento speciale va alla mia famiglia, senza il cui sostegno affettivo ed economico non avrei mai potuto affrontare questo percorso formativo.

Infine, grazie allo staff del Polo Territoriale di Mantova e la città stessa che fin dal primo momento mi han fatto sentire a casa.

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