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Ruolo strutturale e progetto della trasformazione

loro sospensione dalla modernizzazione del Paese. Il sistema della mobilità, la dimensione residenziale e del social housing, il sistema della produzione manifatturiera, l’articolazione degli spazi dei servizi sono stati interessati da violente dinamiche di separazione, di interruzioni di continuità, di distanziamento. Alla dinamica di riduzione vista sopra si affianca una forma di specializzazione, in un quadro di complessiva volontà di salvaguardia dei centri storici promossa dalla maggior parte degli strumenti urbanistici, che si riflette nel trasferimento di alcune attività ritenute via via incompatibili con il valore testimoniale del centro storico, misurato attraverso la sopravvivenza di alcune qualità formali. La densità di edifici, persone e funzioni che caratterizzava le comunità intra moenia – fattore storicamente critico nei momenti di forte espansione demografica delle città murate (Cesaretti et al. 2016) – sono stati anche motivo di efficienza ambientale, capacità di innovare, oltre che causa della straordinaria varietà ed articolazione delle forme di socialità e di economie ospitate nelle appropriate strutture fisiche. L’integrazione di tutti questi aspetti ha esaltato la resilienza degli organismi urbani tradizionali, che solo in pochi casi hanno subito delle soluzioni di continuità irreparabili nella loro lunga storia. La semplificazione per iper-specializzazione turistica ha interessato i centri storici di valore patrimoniale (Carta, Tarsi 2020) con la compartimentazione delle aree urbane metropolitane, sempre meno integrate sia dal punto di vista funzionale che sociale (De Luca, Moccia 2017). Con un graduale rallentamento della dinamicità interna ai centri, con la riduzione di abitanti e di offerta di servizi, con la graduale specializzazione, con la perdita generale di efficienza, si è assistito alla diminuzione di vitalità, che si è tradotta in un deperimento di attrattività e in latente abbandono. I centri hanno subito fenomeni di shrinking (Salone, Amato 2017) non adeguatamente gestiti. Intere porzioni povere del centro storico sono deperite per sopravvenuta inadeguatezza funzionale, con demolizioni, non più nell’ottica del diradamento frutto di un progetto di esaltazione di alcune qualità sceniche (Giovannoni 1931) ma dell’abbandono. L’importanza del fenomeno – nel drammatico quadro demografico italiano – è tale che ci pone di fronte a delle scelte difficili, come decidere se sia più opportuno tentare, per alcuni contesti, di governare la rovinizzazione o progettare la continuazione della storia (Mecca et al. 2020).

Ruolo strutturale e progetto della trasformazione Le forme dell’urbanizzazione contemporanea in Italia sono indissolubilmente legate alle parti più antiche dell’insediamento, da esse sono come scaturite (Raitano 2020): la tra-

sformazione di queste ultime continua, in un dialogo con le parti più recenti, nonostante la volontà di separazione certificata da una zonazione obbligata dal piano. La modernità non ha sostituito un sistema funzionale o percettivo alternativo a quello storico; semmai si sono realizzate porzioni e componenti di un sistema ad esso subordinato e spesso con esso non integrato, che ha articolato territori e paesaggi laterali alla città storica, con i propri elementi funzionali e simbolici che indebolisce il sistema storico (Mantziaras, Viganò 2019). I centri storici, nelle differenti situazioni territoriali nazionali, articolano strutture che hanno fortemente variato i loro equilibri nell’insieme del paesaggio italiano: questo è possibile leggerlo nelle rassegne di paesaggi contemporanei emergenti (Boeri, Lanzani, Marini 1993; Lanzani 2003; Lanzani, Pasqui 2011; Toppetti 2011) che connotano il nostro territorio, con le tante specificità regionali e locali (Ghirri 1989). Landmark, downtown metropolitane, grandi strutture commerciali, autostrade, ponti, porti, aeroporti, stazioni ferroviarie dell’alta velocità, dighe, impianti eolici e fotovoltaici, compongono una serie di nuovi riferimenti territoriali e paesaggistici che concorrono a significare in modo differente le componenti storiche, che mostrano lo sfasamento crescente tra destinazioni di uso tradizionali ed emergenti (Lynch 1960). Questi paesaggi sono prodotti necessariamente da un dialogo con la storia insediativa che consente di misurarne la rispondenza ad alcuni principi di razionalità insediativa, o di farne emergere di nuovi. Quello di evidenziare paesaggi di lunga durata nel mutato panorama nazionale (cfr. i capitoli Il progetto di paesaggio e Il progetto patrimoniale, in questo volume) è così un modo di rappresentare il territorio italiano tentando di rintracciare strutture che sono variate poco o affatto (invarianti). Si tratta di un cospicuo filone di ricerca e di operatività (Magnaghi 2001) che esprime dei giudizi di valore sulla permanenza e persistenza e tenta di rintracciare delle regole per riprodurre alcune qualità. È un modo selettivo di descrivere l’inspessimento del territorio italiano, che intanto ha fortemente rallentato il tasso di urbanizzazione (Munafò 2020): i centri storici (variamente declinati) rivestono ancora un ruolo importante. Sebbene la contrazione demografica potrebbe portare in alcuni casi ad inasprire i segni dell’abbandono e al conseguente shrinking di molte aree urbane piccole e medie (Volpi 2021a, 2021b), alcuni esempi di pianificazione territoriale e paesaggistica di nuova generazione (seguiti alla Convenzione Europea del Paesaggio e al Codice Urbani) paiono assegnare ai centri storici un ruolo preponderante come componenti importanti dei paesaggi di lunga durata. L’esempio del PPR della Sardegna – il primo a sperimentare le potenzialità del Codice Urbani – ha imposto la necessità di considerare i centri storici come beni identitari, indicandoli come centri matrice, ad evidenziarne il ruolo generatore di insediamento (Carta 2007). Anche nelle descrizioni strutturali del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale della Puglia, i cen-

tri storici articolano con evidenza la rete policentrica strutturale regionale (Magnaghi 2011), fin nelle sue declinazioni sub-regionali in ambiti e figure territoriali (Carta 2011a, 2011b). In maniera simile, il Piano Paesaggistico della Regione Toscana si affida alla medesima logica di raffigurazione di elementi strutturali che tendono a fare emergere i centri maggiormente consolidati e di lunga durata (Marson 2016), riprendendo pienamente una tradizione toscana attenta alla relazione tra centri e territorio (Detti, Fanelli 1968) e subordinando ad essi la lettura dei territori della contemporaneità.

Raccomandazioni per il progetto della trasformazione

È rilevante delineare delle prospettive: (i) ponendo attenzione alla conservazione della consistenza fisica del patrimonio edilizio che forma i centri storici, pur ampliando le possibilità di intervento; (ii) indagando la relazione dei centri storici con i tessuti urbani che nel tempo vi si sono aggiunti, a formare organismi urbani inediti; (iii) rafforzando le relazioni e i legami molteplici di questi nuovi organismi urbani con il territorio di riferimento, pure molto cambiato; (iv) non perdendo mai di vista infine il ruolo che la società insediata e i city users di tutti i tipi possono giocare in queste prospettive. In questo quadro, il ruolo indiscutibile dei centri storici nella riconsiderazione delle differenti componenti insediative attuali mostra come ci si debba accostare al progetto della loro trasformazione e alle politiche per la loro rigenerazione (alle varie scale) ponendo estrema attenzione a differenti aspetti. Un primo aspetto è riferito alla consistenza fisica dei tessuti storici e alla qualità dello spazio pubblico. Le trasformazioni sul corpo dei tessuti edilizi che compongono i centri storici sono non solo inevitabili ma irrinunciabili: le manutenzioni straordinarie comportano spesso adeguamenti funzionali, di efficientamento energetico, per la sicurezza statica, e si configurano a volte come adeguamenti formali dell’edificio e dei suoi spazi di pertinenza, che si riverberano inevitabilmente sullo spazio pubblico. Lo spazio domestico richiede, nei centri storici, un intervento verso una più grande flessibilità d’uso: maggiori dotazioni di spazi di filtro tra interno ed esterno e di spazi per servizi comuni nei condomini, rapporto più stretto con lo spazio pubblico in via di riconfigurazione (nell’uso delle strade e delle piazze liberate dalla mobilità individuale e ripensate per modi di mobilità collettiva); presenza diffusa di spazi verdi nei tessuti urbani; strutture di prossimità che significano a livello edilizio interventi radicali per l’abbattimento di barriere architettoniche e ridisegno del suolo (cfr. il capitolo Il progetto di suolo, in questo volume). Consentire entro i centri storici adattamenti sostanziali degli elementi edilizi significa incoraggiare innovazione attraverso l’uso sapiente delle modificazioni architettoniche.

In numerose città italiane numerosi interventi di urban design mostrano una strada percorribile per innovare, come molti progetti presentati in occasione del convegno annuale “Identità dell’architettura italiana” (Cresci 2019). L’architettura lavora sul frammento tenendo a mente l’importanza di ogni singola opera per ricomporre un organismo complesso, o per re-inventarlo nel suo rapporto con lo spazio pubblico. Quest’ultimo rimane un indicatore della qualità dei centri storici: integrazione, accoglienza, giustizia, accessibilità, mixité, sicurezza, presidio. Ed è spesso attraverso lo spazio pubblico che avviene il raccordo tra differenti parti dell’urbanizzazione contemporanea, entro la quale i centri storici sono spesse volte inglobati. Un secondo aspetto è riferito alla necessità di riconsiderare le relazioni con l’intorno prossimo e territoriale. L’inerzia e la resistenza della consistenza fisica delle forme urbane dei centri storici non impedisce una alta dinamicità delle relazioni territoriali: nella maggior parte dei casi è chiaro come i centri storici siano profondamente interrelati con ciò che li circonda, sia esso ormai completamente urbanizzato, o sia ancora – in buona parte o del tutto – non urbanizzato. Sia che si tratti di reagire alle dinamiche di abbandono dei piccoli borghi delle aree interne, sia di contrastare i fenomeni di eccessiva specializzazione, sia di riconfigurare significati e percezioni, solo attraverso progettualità intelligenti8 (Meloni 2015; Barbera, De Rossi 2018) è possibile forse riannodare i fili della solidarietà e delle culture territoriali locali, aprendo vecchie e nuove connessioni (De Cunto, Pasta 2020). Alcune ipotesi (come i tentativi di ripopolare i borghi un tempo presidio di aree interne attraverso usi turistici o modalità di smart working o south working9 sospinte dall’emergenza pandemica, cfr. Banai 2020) paiono insufficienti a risolvere il problema del diffuso latente abbandono, dell’inadeguatezza funzionale, della non attrattività per le giovani generazioni. Un ritorno ai borghi duraturo, specialmente ai borghi delle aree interne e marginali, ha bisogno di molti ingredienti e può essere realizzato a partire da investimenti ingenti di risorse, ad esempio sul mantenimento dei servizi ecosistemici diffusi che presuppone una ricalibrazione della PAC (Munafò 2020); investimenti che dovrebbero essere orientati, questa volta nei quartieri storici delle aree metropolitane, alla creazione di housing sociale in proporzione tale da fare ripartire un presidio stabile (Capelli, Ottim 2015). Un terzo aspetto, avendo ben chiare le caratteristiche peculiari e comuni alle strutture fisico-spaziali dei centri storici e osservandole anche secondo sensibilità acuite dai recenti eventi pandemici, è il valore della prossimità e della densità. È sulla lunga tradizione delle unità

8 Come ad esempio la Strategia Nazionale per le Aree Interne, Cfr. https://www.agenziacoesione.gov.it/strategianazionale-aree-interne/documentazione/. 9 Cfr. https://www.southworking.org/.

di vicinato o sulle realizzazioni di Giancarlo De Carlo nel corpo di alcune città storiche italiane (Piccardo 2019) che si possono innestare funzioni sociali ben distribuite, secondo attenti criteri di densità abitativa e accessibilità pedonale, che possono rivitalizzare gli spazi pubblici, aumentandone il controllo sociale. È possibile incoraggiare la formazione di quelle reti sociali, familiari, comunitarie che sono l’anima dell’insediamento mediterraneo, e cluster in cui la proporzione degli usi può essere ben temperata, evitando fenomeni di concentrazione eccessiva, ad esempio di residenza temporanea per turisti, con conseguenti banalizzazioni. È auspicabile distribuire le funzioni con la logica dei fermenti urbani, permettendo una certa autonomia di espressione a pratiche di tactical urbanism per ovviare alle rigidità normative e procedurali (Alberti, Berni 2020). La “città dei 15 minuti”, trasposta sulla estrema varietà dei tipi dei centri storici italiani, deve essere attentamente considerata, non solo a partire dalle maggiori aree metropolitane, ma dalla galassia di centri medio piccoli (Balletto 1998). Due direzioni paiono obbligate. Da un lato, lavorare all’innalzamento della mixitè di usi, anche con forme di fiscalità differenziate, contrastando specializzazioni, decentramenti e rarefazioni dei servizi alla persona, continuando ad investire, oltre che in infrastrutture digitali, in infrastrutture sociali come la scuola, ma anche nel commercio di prossimità, nella piccola produzione manifatturiera (sostegno alle botteghe artigiane) e di trasformazione alimentare (botteghe di panificazione). Dall’altro lato, occorre nutrire la città “popolare” invogliando ad abitare stabilmente in centro10 : costruire socialità, accogliere, integrare e sostenere popolazioni avventizie nei tessuti storici di lunga durata, è in qualche modo un contributo all’innovazione della tradizione, anche da un punto di vista delle soluzioni architettoniche e urbanistiche da sperimentare.

10 Cfr. ad esempio il dibattito aperto nella città di Firenze nell’ambito delle azioni di risposte alla emergenza pandemica: https://www.comune.fi.it/rinascefirenze.

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