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I limiti e le prospettive
spazi e relazioni tra spazi inedite (Lanchester 2017), tanto più in situazioni nuove come quelle pandemiche e auspicabilmente post-pandemiche.
I limiti e le prospettive La realizzazione della città pubblica in Italia (e in parte, abbiamo visto, anche della stessa forma e concezione dello spazio pubblico) – sebbene rimangano esperienze positive del ruolo protagonista dello Stato nel tentativo di unire all’azione urbanistica una dimensione di giustizia sociale che si è andata progressivamente perdendo con l’avanzare del neoliberismo economico – ha sofferto di molti problemi. Occorre innanzitutto citare la distanza tra completezza e complessità dei piani e dei progetti elaborati, e limiti nella loro realizzazione, spesso parziale: questo è un aspetto che la disciplina tende a sottostimare, e che aumenta la distanza tra l’elaborazione teorica e l’incidenza di questa sull’assetto urbano (Campos Venuti 1967; Campos Venuti, Oliva 1993; Palermo 2019). Anche gli aspetti legati alla gestione delle realizzazioni hanno segnato in parte il futuro di queste, con problemi di assegnazione e occupazione degli edifici spesso non ancora terminati da parte di popolazione con evidenti problemi di accesso alla casa (i terremotati che occuparono tanta parte delle Vele di Scampia, le popolazioni che occuparono abusivamente intere parti del Corviale, cfr. Bellisario 2015). Le contingenze spesso non favorevoli e le complesse vicissitudini realizzative e gestionali (che pure sono da tenere in conto) non debbono tuttavia impedire di cogliere i limiti di progetto che, osservati a distanza temporale, ci appaiono più chiari. Uno dei fattori problematici più evidenti è la mancata mixitè sociale (oltre che funzionale) che rendeva molti di questi insediamenti dei ghetti di fatto, con una non voluta amplificazione dei problemi sociali e con l’innesco di dinamiche solo sporadicamente virtuose (il forte senso di appartenenza dei nuovi abitanti, ad esempio, a Firenze, cfr. Poli 2004). Un altro fattore che ne ha in parte pregiudicato la qualità e funzionalità è stato lo scarso investimento in infrastrutture di trasporto pubblico, che collegassero queste aree spesso molto estese con i centri urbani più vicini, ove si potevano trovare i servizi non previsti o non ancora realizzati nella città pubblica. La peculiarità e frequente eccezionalità delle realizzazioni non ha tuttavia avuto la capacità di essere in qualche modo di riferimento per lo sviluppo della città all’intorno, intendiamo della città di iniziativa privata, che spesso è stata edificata in apposizione alla città pubblica e a volte, come si è visto, parassitariamente. Questa mutua mancanza di dialogo ha determinato una sorta di isolamento delle realizzazioni pubbliche rispetto ai tessuti della città edificati in regime di libero mercato.
Un altro carattere che emerge, forse il più gravido di conseguenze sia per il successo stesso degli insediamenti pubblici, ma anche per il ruolo che avrebbero potuto avere nella costruzione della città in forte espansione, è la loro natura episodica, eccezionale, che ha risposto sovente a logiche urbanistiche specialistiche ed emergenziali (ovvero la necessità dell’aumento della dotazione di case popolari), non integrate in un disegno generale delle aree urbane. A parte alcune note eccezioni o i rari interventi interni ai tessuti urbani esistenti (ad esempio il Piano per il centro storico di Bologna di Campos Venuti, Benevolo e Quaroni, completato da Cervellati, cfr. Cervellati, Scannavini, De Angelis 1977), le scelte localizzative sono state spesso addizioni, aggiunte, episodi slegati, numerosi e distanti, che non hanno inciso sulla generale efficacia del piano. Se la miriade di interventi pubblici non ha contribuito a generare dispersione e diffusione, non ha neanche interagito adeguatamente attraverso i piani regolatori con la crescita generale delle città, entro disegni più organici di organizzazione del territorio. Episodicità, specializzazione, isolamento possono sembrare le caratteristiche dell’insediamento della città pubblica italiana, dal suo affermarsi nel secondo dopoguerra al suo progressivo ritirarsi odierno nel frammento urbano, passando per il fallimento – per vizi di impostazione ma anche per mancanza di risorse e di cura – di alcune sperimentazioni radicali a partire dagli anni ‘70 del Novecento. Pensiamo tuttavia che questi caratteri siano emersi in negativo per il progressivo disinvestimento dell’attore pubblico nella città, con l’affidamento del problema dell’housing ai meccanismi di mercato e con il progressivo indebolirsi della capacità dei piani di contribuire a delineare un orizzonte di senso condiviso per l’evoluzione urbana. “Oggi, dopo un secolo di edilizia pubblica, dopo le esperienze, forse discutibili, dei grandi quartieri dei decenni passati, il fenomeno della frammentazione della città pubblica è reso sempre più evidente dal venir meno di un’idea compiuta di quartiere che recenti interventi di edilizia economica e popolare mostrano. All’idea di una città che cresce per parti, è stata sostituita quella di una città che si modifica attraverso strategie urbane di completamento e di ricucitura degli insediamenti esistenti, con interventi puntuali e minuti” (Di Biagi 2001, p. 10). Un insegnamento che si può trarre dall’esperienza della città pubblica per come l’abbiamo restituita, e specialmente da quei casi che hanno maturato nel tempo una loro qualità urbana e formale (come molti quartieri INA-Casa) occorre sia sottolineato: solo l’attore pubblico può mobilitare la quantità di risorse e di competenze per poter sviluppare un disegno generale e complessivo della città pubblica, in grado di costruire elementi urbani che incidano positivamente sulle aree metropolitane e urbane e nelle direzioni che questo volume tenta complessivamente di delineare.
Questa consapevolezza dopo i primi vent’anni del XXI secolo inizia a farsi solida. Il diffondersi della generale impressione di inadeguatezza del liberismo economico e di una forma-stato leggera per risolvere problemi strutturali riemerge in differenti campi: la necessità di intervenire globalmente sull’emergenza climatica, o su pandemie causate da squilibri ambientali e insediativi, implica il protagonismo dell’attore pubblico, anche nelle sue emanazioni internazionali (l’UE), inteso come unico capace di proiettarsi in orizzonti non contingenti e di tessere politiche e azioni di ampio respiro (cfr. il capitolo Il progetto della bioregione urbana). Nel nostro paese non è sostituibile il ruolo fondamentale dell’attore pubblico per la messa in sicurezza, il recupero e la rigenerazione di vaste porzioni del patrimonio edilizio urbano abbandonate o sottoutilizzate (cfr. il capitolo Un progetto per i centri storici). Lavorare sulla città esistente, sulle aree già urbanizzate, implica un’azione pubblica forte in termini di regolazione, investimento, progettualità, specialmente considerando la contrazione demografica italiana. L’ampiezza delle casistiche del necessario intervento pubblico in materia di alloggi e servizi è tale che pare poco utile tentare di generalizzarle in famiglie. Facciamo solo tre esempi molto diversi tra loro, tra i tanti possibili. Il primo esempio riguarda l’azione necessaria su alcune componenti urbane che sono inscindibilmente percepite come afferenti alla sfera pubblica e che necessitano sia di una radicale ristrutturazione e implementazione, sia di essere messe in risonanza con gli spazi pubblici di prossimità. Ci riferiamo all’edilizia scolastica e universitaria e all’edilizia dei servizi sanitari (Arbizzani 2015; Campioli 2020). In questi comparti, l’intervento pubblico consente di includere residenzialità temporanee e ben modulate sulle esigenze delle popolazioni insediate e sui potenziali users (popolazioni studentesche, persone bisognose di cura). Il secondo esempio si applica al patrimonio immobiliare nella disponibilità dello stato e delle regioni al di fuori delle due categorie (istruzione e salute) sopra citate. Nonostante la continua tendenza all’alienazione a vantaggio di privati per varie cartolarizzazioni, questo patrimonio è ancora ingente, e anzi in potenziale crescita. In Italia è impressionante la disponibilità di immobili dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc)4, istituita nel 2010 (Gianfrotta 2020). È questa una direzione verso la quale lo Stato può investire fortemente, risarcendo così i territori e fortificando il suo stesso ruolo.
4 https://www.benisequestraticonfiscati.it/.
L’ultimo esempio è più diffuso e reticolare, letteralmente: riguarda gli spazi urbani dedicati alla mobilità, con tutti i loro accessori. Lo spazio stradale, nelle sue sezioni molto varie, con le aree pubbliche e di uso comune che collega, è matrice fondante dell’impianto urbano, e sarà in futuro interessato nelle aree metropolitane, ma non solo, da radicali modifiche. Il cambiamento delle forme della mobilità, che prevede un maggiore ruolo del trasporto pubblico e una maggiore promiscuità e integrazione delle differenti modalità di spostamento nelle aree urbane (sino ad arrivare agli shared spaces dei centri o dei quartieri, cfr. Baima et al., 2015) si unirà al necessario ripensamento in chiave sociale di questi spazi modificati, tra i più trascurati nel periodo di febbrile crescita urbana del XX secolo. Già diffuse azioni di urbanismo tattico (Hillson 2018) interessano lo spazio pubblico della strada, indirizzandosi verso una richiesta di nuova qualità urbana diffusa che solo un’azione pubblica consapevole e decisa può garantire.