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copertine in laterizio

Sono usuali in molte aree archeologiche sia nel caso di murature in mattoni sia di quelle in pietrame anche se più di rado. Si utilizzano laterizi antichi di recupero e soprattutto laterizi nuovi (talvolta realizzati con le correnti misure antiche) apparecchiati in maniera più o meno regolare ma anche tegole. In alcuni casi una superficie regolare copre tutta la cresta1, altre volte i laterizi vengono alloggiati su piani posa diversificati in maniera da rispettare le differenze esistenti nelle varie parti della muratura. Altre volte ancora i laterizi, spesso frammentati, sono apparecchiati a suggerire le volumetrie movimentate che caratterizzano la maggior parte dei ruderi. Differenze di trattamento sono riservate alle creste di murature in laterizio a tutto spessore rispetto a quelle che invece sono in laterizio i due paramenti esterni con un sacco cementizio all’interno. In non rari casi le parti superiori dei muri sono protette da uno strato di integrazione di 3-5 filari di laterizi apparecchiati in maniera riconoscibile rispetto alla cortina sottostante2. Tali interventi comportano l’attivazione di procedure di scuci e cuci più o meno ampie. Le copertine realizzate in laterizio presentano il vantaggio di una relativa facilità di esecuzione e di manutenzione, smaltimento delle acque ma presentano, di contro, lo svantaggio di rendere indifferenziate le superfici. In caso di protezioni temporanee risulta vantaggioso l’impiego di una copertina realizzata con un doppio strato di laterizi sfalsati e intervallati da una guaina impermeabile anticondensa.

1 Superfici in laterizio solitamente frammentati sono utilizzate anche a indicare elementi particolari, interruzione di murature oppure varchi di porte.

2 Con cornici, laterizi in filari sottosquadro o scalpellati, a “spigoli a vista”, con “scuretti di demarcazione”. Sebbene non direttamente riferibili a creste di muri archeologici si segnala la ricca campionatura di soluzioni di copertine protettive raccolte in uno studio sui muri di Foligno (L. Radi, L.Radi, 1997).

La presenza di un elemento architettonico scomparso è suggerita da filari sporgenti di mattoni.

I mattoni sono impiegati come integrazione di volume con funzione di contenimento.

I mattoni sono utilizzati per delimitare i bordi delle strutture e integrare parti di cortina.

Muratura con una forte presenza di frammenti fittili di reimpiego a forte vulnerabilità.

I resti dei pilastri sono inglobati in nuove strutture in laterizio, arretrate rispetto a quelle antiche. La copertina in laterizio nasconde il nucleo cementizio originale.

Ricomposizione del colonnato e dello stilobate con materiali riconoscibili.

Pietrame di pezzatura e tipo litologico variabili in relazione alle superfici da proteggere può essere impiegato a formare uno strato protettivo in piano (si impiegano sassi e scaglie tendenzialmente piatte) oppure un bauletto a falde (con pietre da spacco di taglia adeguata1). Nel primo caso i lapidei sono legati da una malta spalmata mentre nell’altro risultano affogati in una malta più abbondante. Spesso il pietrame viene posto su uno strato di lastre di piombo, cartone catramato, guaine o, più raramente, su uno strato di sabbia o terra. Avviene spesso che il bauletto sia in realtà formato dalla protezione di malta del sacco interno superstite rispetto alla più frequente perdita di qualche centimetro delle cortine esterne. Forse meno impattanti dal punto di vista estetico risultano però vulnerabili quando si impiega pietrame tondeggiante. Un rischio da non sottovalutare è costituito dal fatto che il personale addetto alla formazione della copertina non tenga conto delle caratteristiche dei resti della muratura e tenda a realizzarne una del tutto estranea alla originale che confonde le specificità delle diverse murature e complica la interpretazione delle relazioni stratigrafiche tra le parti che pure erano state oggetto di accorte analisi. Una soluzione non frequente prevede l’impiego di elementi di pietre artificiali2, una miscela di malte -anche sintetiche- con aggiunta di polveri di tipi litoidi simili a quelli dei muri su cui devono essere collocati, formati in appositi stampi o modellati direttamente sulle murature in opera in maniera da riempire tutti gli interstizi e coprire nel miglior modo tutte le superfici.

1 La Guida Aver annota: “… si è positivamente sperimentato su alcuni ruderi di area valdostana (castelli di Cly, Ussel, Morgex) l’uso di pietra locale o di crollo frammentata decisamente più piccolo dell’originale, così da rendere facilmente identificabile il limite fra muratura protetta e muratura di protezione, sottolineato da un leggero ‘sottolivello’”

2 Non di rado sono state utilizzate pietre artificiali (talvolta addirittura rocce artificiali) anche se allo stato attuale sono di non facile identificazione. Diversi manuali ne fanno testimonianza suggerendo una ricca casistica di soluzioni con funzioni non soltanto decorative. A mo’ d’esempio si riportano le indicazioni per il finto granito (L.Gaspari, 1947) “Si prepara una malta così composta; per granito rosa tipo Baveno:Cemento Portland di colore chiaro parti 10, Cemento Bianco scelto parti 10, granito polverizzato parti 12, marmo rosso polverizzato parti 6, mica in frammenti parti 2”. Per la realizzazione di un finto alabastro “Si mescola ad idrato di magnesia in povere, un uguale volume di marmo bianchissimo polverizzato misto ad un po’ di talco. Il tutto s’impasta con silicato di sodio a 32 Bè, e si getta rapidamente. Avvenuto l’indurimento (che succede dopo breve tempo) si può levigare e lucidare il pezzo”.

La copertina è costituita da una malta cementizia e grossi inerti adattata alla morfologia della cresta.

La cresta del muro è protetta da lastame su pilastrini fittili.

Elementi lapidei sagomati proteggono le strutture murarie sottostanti suggerendo la geometria dei singoli elementi molto degradati.

Le protezioni alle creste possono essere realizzate con lastame lapideo, elementi fittili di taglia adeguata (pianelle, tavelloni), lastre prefabbricate, pannelli di polistirolo, policarbonato e stiferite1 ma anche assi di legno, eternit, lamiere, tubi di plastica di sezione adeguata segati a metà con funzione di tutela stabile o prevalentemente temporanea. Tali elementi possono avere una forma indifferenziata tale da coprire contemporaneamente una vasta superficie di cresta oppure può essere opportunamente sagomata in conformità della forma della muratura sottostante. L’utilizzo di lamierini e più frequenti fogli di piombo consente una copertura che bene aderisce alla muratura seguendone tutte le asperità2. Gli elementi di copertura devono essere posti in opera con una opportuna inclinazione o essere dotati di un sistema di gocciolatoio per evitare fenomeni di ristagno o percolazioni. Nel caso di protezioni provvisorie, in particolare se realizzate con elementi3 che facilitano fenomeni di condensa, è opportuno interporre tra esse e la cresta del muro degli elementi (laterizi, pezzi di legno) che facciano una camera necessaria per la circolazione d’aria e impedisca fenomeni di condensa ed effetto serra. L’eventuale umidità può essere assorbita da tele di sacco o coperte di lana poste al di sotto delle protezioni di plastica4

Una soluzione che sembra avere buone qualità protettive è costituita dalla schiuma di poliuretano. Può essere impiegata per il riempimento di cavità e preparare un buon piano di attesa per gli elementi del bauletto; ha una buona capacità di isolamento dall’acqua e resistenza e consente una perfetta reversibilità. La schiuma dopo l’espansione e l’indurimento può essere lavorata, segata, limata, intonacata e verniciata.

1 Pannelli di poliuretano espanso rigido. Ovviamente questi pannelli, ottimi per la protezione termica e idraulica, devono essere protetti a loro volta.

2 I fogli (solitamente nastri) di piombo sono utilizzati efficacemente anche come separatore tra cresta e copertine ma diventano molto vulnerabili nel caso di correnti vaganti.

3 In particolare teli di plastica (solitamente trasparenti ma anche neri). Questi teli di plastica possono essere molto utili contro le acque di infiltrazione ma rivelarsi deleteri quando per un uso scorretto possono favorire fenomeni di umidità di condensa e di sviluppo di piante, muffe, funghi soprattutto a seguito di una esposizione al sole.

4 Teli di plastica a diretto contatto con i muri possono rivelarsi utili quando si voglia mantenere un forte tasso d’umidità come nel caso di murature di mattoni crudi o in presenza di reperti che potrebbero essere danneggiati da una asciugatura violenta.

In un cantiere complesso va tenuto conto delle dinamiche delle diverse lavorazioni e delle frequenti necessità di trovare nuove condizioni di appoggio dei ponteggi.

La Protezione Con Tettoie

In molti casi a fine campagna di scavo l’area viene protetta in maniera inefficace che talvolta può diventare controproducente se le soluzioni adottate saranno in grado di provocare nuovi e subdoli meccanismi degenerativi. La situazione è peggiorata dal fatto che non di rado le coperture stagionali vengono posizionate prevalentemente a difesa di possibili clandestini con abuso di materiali di ricarico (terra e brecciolino soprattutto). Questi possono provocare anomalie nei carichi, vie di ruscellamento incontrollate di acque e di erosione concentrata, ma soprattutto zone di ristagno e marcescenza i cui effetti saranno ben evidenti quando le coperture saranno eliminate. Non di meno, va osservato come molto spesso le operazioni di copertura vengano eseguite in condizioni di ristrettezza di mezzi da personale non adatto. Alcune protezioni localizzate (tettoiette, serre, contenitori vari), pur efficaci per il breve periodo, spesso vengono lasciate in situ senza alcun controllo e manutenzione. Il loro degrado o asportazione (talvolta basta un colpo di vento) innesca un processo degenerativo del reperto che avrebbero dovuto proteggere. Mentre quasi sempre sono gli archeologi a gestire le operazioni di riapertura di un cantiere di scavo quelle di “sigillatura” stagionale sono lasciate ai manovali di una impresa di costruzione. Una classe di danneggiamento frequente è costituito dalla consuetudine di poggiare le coperture provvisionali su elementi collocati sul bordo dei fronti di scavo. Questi, sotto l’azione alternata dell’acqua di infiltrazione e/o ruscellante e della brusca asciugatura (anche a causa della ventilazione che proprio sul bordo fa sentire maggiormente i suoi effetti) rischia di fratturarsi e cadere provocando, oltre tutto, il trascinamento di parti della copertura che diventano un ulteriore carico sulle superfici scavate.

In molti casi per la protezione stagionale si ricorre a casse, solitamente di legno che coprono i ruderi su tutti i lati. Possono essere allestite fuori cantiere e collocate sulle murature oppure possono essere costruite in situ in conseguenza della volumetria dei diversi resti da coprire. Di grande efficacia se usate per tempi brevi possono diventare controproducenti se, lasciate per tempi più lunghi, non si permette all’interno una adeguata circolazione d’aria, facilitando ristagni di acqua e proliferazione di vegetazione infestante.

Protezione di aree archeologiche al riparo: tettoie definitive e provvisorie. La progettazione dei ripari deve tener conto della singolarità delle condizioni che si incontrano (termoigrometriche, circolazione d’aria, dinamiche di utilizzo, movimentazioni, fruibilità per visitatori…).

Soluzioni protettive definitive (musealizzazione in situ) e provvisorie (cassoni, passerelle sopraelevate).

Sono guaine-membrane flessibili protettive e impermeabilizzanti (confezionate in rotoli) o realizzate tramite pennellature liquide di asfalti1, poliuretaniche o acriliche, sostanze gommose e similari2. Possono essere poste in opera, previo una buona pulizia delle superfici ed eliminate agevolmente se il prodotto impiegato forma un film che non si lega alla muratura. In alcuni casi possono risultare utili le soluzioni, soprattutto in casi di emergenza, che si basano sull’impiego di bende gessate poste a formare una base di appoggio oppure uno scudo protettivo che, però, deve essere a sua volta riparato dall’azione delle acque meteoriche.

La protezione stagionale è spesso demandata a geotessili che, se usati in maniera errata, possono diventare essi stessi veicolo di degrado.

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