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Cinque Terre
Dante e la Vernaccia, alias lo Sciacchetrà
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Si dice Cinque Terre e si pensa subito “Vino”. Dante celebra il vino in Pur XXV 77-78:
[…] guarda il calor del Sol che si fa vino giunto a l’omor che de la vite cola.
Tuttavia l’unico vino che menziona in tutta la sua opera è la Vernaccia. Lo aveva fatto un solo canto prima, in Pur XXIV 23-24: […] e quella faccia di là da lui più che l’altre trapunta ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: dal Torso fu, e purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la Vernaccia”
Il Poeta fa qui riferimento a papa Martino IV, spirito assai goloso, il quale pare si facesse preparare le pregiate anguille del Lago di Bolsena dopo che le loro carni, una volta pulite, erano state fatte impregnare a lungo in quel nettare tutto particolare. L’intera critica attribuisce il passo all’ottimo bianco delle Cinque Terre. In quel tempo, infatti,

quel vitigno era una esclusività di quella zona del Levante ligure: soltanto in seguito sarebbe stato portato in Toscana, dove troviamo oggi famosa la Vernaccia di San Gimignano. Ma già il cronista Salimbene de Adam, da Parma – che nasceva nel 1221, anno in cui in Lunigiana Corrado l’Antico operava la divisione del casato malaspiniano nei due rami dinastici dello Spino Secco (di estrazione ghibellina) e dello Spino Fiorito (di estrazione guelfa) – aveva reso omaggio, nella sua Chronica, al prodotto principe delle Cinque Terre con questi due semplici versi in latino: «Et ibi prope vinum de Vernaccia habetur, et vinum terrae illius optimum est». La referenza è segnalata anche in Enciclopedia Dantesca (voce “Vernaccia”), dove si insegna pure, citando sempre Salimbene, che «vinum de Vernacia [..] nascitur in quadam conrata quae Vernatia appellatur». Qui non si scappa: il nome del vino è dato con certezza dal borgo di Vernazza. È il Boccaccio, nel Decamerone, e precisamente nella celebre novella dell’Abate di Cluny (la II della X Giornata), a fare una citazione decisiva: il Certaldese fa ristorare il povero presule, assalito dai briganti, con un gran bicchiere di «Vernacia da Corniglia». Ma ancor prima (nella III Novella della VIII Giornata), evidentemente affascinato da questo vino tanto prezioso, il Certaldese ne aveva immaginato addirittura “un fiumicel” nel molto indicativo “Paese di Bengodi”. Orbene, dato che Salimbene, come s’è visto, esaltava i vini della costiera del Levante Ligure distinguendone con precisione il “vinum de Vernaccia” dal “vinum terrae”, pensiamo decisamente che il primo debba corrispondere al divino Sciacchetrà, mentre il secondo altro non sia che il classico Bianco delle Cinque Terre. Non si comprende, infatti, come l’Abate di Cluny avrebbe potuto essere sollevato da un semplice bicchiere di vino bianco, peraltro ben diffuso in ogni contrada d’Italia, quando l’idea d’un rosolio, d’un

vero toccasana, d’una bevanda, cioè, capace “di risvegliare anche i morti”, come si usa dire nella tradizione popolare, era invece garantita dall’eccezionalità d’un Passito come quello tipico delle Cinque Terre. Non a caso, secoli dopo, un Eugenio Montale avrebbe detto dello Sciacchetrà che «bevuto sul posto, autentico al cento per cento, supera di gran lunga quel farmaceutico vino di Porto». Quando i poeti scelgono le parole non lo fanno a caso: la loro è una sensibilità fatidica, proprio come quella dei Vati del Và pensiero. Ma la conferma definitiva dell’identità Vernaccia/Sciacchetrà ci viene fornita dal Petrarca, il quale, mosso sulle orme di Dante lungo quell’itinerario che metteva «da Lerice a Turbia» (-›Lerici) – che per lui principiava precisamente da Capo Corvo, dove sta il celebre monastero di cui alla cruciale Epistola di frate Ilaro (-›Bocca di Magra) – ci testimonia con chiarezza, nei versi latini dell’Africa, che «[…] i vigneti […] si affacciano su Monte Rosso e sui gioghi di Corniglia, ovunque celebrati per il dolce vino».

Da segnalare che nessuno dei quattro grandi (Salimbene, Dante, Petrarca e il Boccaccio) parla di “Sciacchetrà”: vuol dire che tale denominazione è una creazione più recente, da ascrivere a quel periodo preciso (dal ‘600 fino alla metà dell’800) in cui le 5 Terre sprofondarono in un vero e proprio isolamento. In quel tempo gli unici frequentatori dell’estrema costiera ligure di Levante erano i mercanti genovesi, che con i loro barconi venivano a fare incetta di uve, vini e certo anche delle celebri Acciughe di Monterosso, tanto che quando nella prima metà del sec. XIX il pittore macchiaiolo Telemaco Signorini vi capitò, non ebbe alcuna esitazione a parlare di un ambiente quasi primitivo. Ebbene, il termine “Sciacchetrà” potrebbe essere di origine genovese, perché in quel dialetto il prefisso “scià” corrisponde precisamente a ‘signora’ e sappiamo (è ampiamente documentato a proposito delle Vie dell’Acciuga) che erano soprattutto le donne ad essere deputate alla vendita dei prodotti. È dunque una suggestione plausibile pensare che la denominazione del vino si sia originata nel corso dal rapporto confidenziale sviluppato in sede di contrattazione tra i mercanti genovesi e le donne dei borghi: “Scià, che trae?”, cioè ‘signora, che sottrae, che toglie alla vista’? Nel senso preciso di: ‘che c’è di tanto prezioso in quella botticella che sta nascondendo là dietro e che non vuole vendermi?’. Il celebre passito era tanto prezioso che malvolentieri i vignaioli se ne volevano privare. Storie belle di vita secolare. Storie di incontri e confronti tra civiltà contadina e civiltà mercantile. Storie di lavoro immane, di fiorenti e di rurali economie e di grande letteratura.
BIBLIOGRAFIA
M. MANUGUERRA, A Tavola con Dante nella Lunigiana dei Malaspina, Artingenio, Firenze, 2018. N ella sua sede di Groppo di Riomaggiore, costruita nel 1982 con gli stessi materiali impiegati per il terrazzamento delle vigne, la Cantina della 67Cooperativa Agricoltura delle Cinque Terre è l’unica, importante realtà produttiva della zona che assicura un elevato livello di investimenti nelle più moderne tecnologie di vinificazione. E ciò con un solo, costante proposito: far sprigionare dalla produzione limitatissima di questi vigneti tutto il sapore e tutta la suggestione delle Cinque Terre.



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