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Burzio
Fratello di cammino, solido nella fede
Siamo approdati a Magliano Alfieri, frazione S. Antonio, nel novembre del 1973. Don Guido lo abbiamo conosciuto quando don Marengo ha lasciato perché trasferito ad Alba. Non è stato difficile instaurare un rapporto diretto con il nuovo parroco. In realtà, era già passato da casa nostra per eseguire un elettrocardiogramma a mio suocero, ma abbiamo scoperto dopo che quel signore silenzioso, cordiale, sorridente e con i sandali era il “padre”, come lo indicavano a S. Andrea. Ogni tanto lo incontravamo o andavamo a trovarlo per discutere di vari argomenti, dal catechismo a qualche altro contributo che potesse essere portato dai laici nelle due parrocchie in sostegno del parroco. Per farla breve, un giorno ci telefona e ci suggerisce di andare a S. Valeriano di Cumiana a conoscere don Arturo Giacone, priore della fraternità monastica di Montecroce. Era il 1995. È iniziato allora un percorso entusiasmante, che ci ha dato, e continua a darci, serenità. Per un anno intero, don Guido, ogni quindici giorni, ci ha accompagnato agli incontri di lectio divina a Cumiana, dalla fraternità monastica. Tra i monaci e il don è nato un rapporto molto intenso, grazie al quale anche i monaci sono scesi spesso a Magliano. Colpiva tutti “il don Guido”, come lo chiamava padre Arturo, il parroco che sedeva con i partecipanti laici, con il suo piccolo registratore, invisibile sino al momento della condivisione delle meditazioni, e allora sentivi la voce della fede. Sempre un fratello di cammino, sempre sorridente e cordiale, sempre solido nella sua fede. All'epoca si raccontavano delle storielle sul suo conto. Si diceva che la sua auto la guidasse personalmente lo Spirito Santo sia perché, nonostante la velocità, i trasferimenti andavano sempre lisci come
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l'olio, sia perché i tempi che segnava sul percorso, tutto per vie secondarie, non li ha mai ripetuti nessuno... È un rapporto che è continuato un anno dopo l'altro qui a Magliano sino a pochi mesi prima della sua nascita al cielo. Con la vita, ci ha spiegato cosa è la fedeltà al Signore e la disponibilità verso i fratelli. Sono certo che oggi, là dove è, ha calzato nuovamente i sandali che lo hanno accompagnato nel primo tratto della sua vita cristiana.
Piergiorgio Cavallero
Simile a san Giuseppe
Abbiamo conosciuto Don Guido nel gennaio 2006, quando la mia mamma Antonia e la sorella Tecla Marengo sono entrate a far parte della bella famiglia del "Soggiorno Alfieri". Ricordo con molta nostalgia i racconti che gli ospiti mi facevano del loro amato Arciprete, soffermandosi su ogni particolare che lo riguardasse. Ogni frase da lui pronunciata diventava insegnamento anche perché Don Guido sapeva rivolgersi a chiunque con rispetto e ascolto. In quindici anni le situazioni vissute insieme sono state molteplici, ma in ogni occasione ha sempre agito con equilibrio e fermezza dando prova di un'amorevole autorevolezza. Schivo, cordiale ed essenziale, ha saputo infondere serenità anche in occasioni dolorose, non facendo mai mancare la sua presenza rassicurante. E' stato un fulgido esempio di coerenza e amore per il prossimo. Papa Francesco ha deciso di dedicare il 2021 al culto di san Giuseppe. Mi piace associare questo grande Santo alla figura di Don Guido per la mitezza, l'umiltà e la sottomissione che li hanno contraddistinti.
Con infinita riconoscenza.
Silvana Cavallotto
L'amico di tutti
Il nostro parroco Don Guido è stato soprattutto un uomo di grande fede, manifestata intensamente nella sua lunga esistenza, un sacerdote umile, di poche parole, riservato, che tanto bene ha seminato nella comunità Maglianese. Don Guido era l'amico di tutti, apprezzato per il suo modo di essere.
Costa Somano Margherita
Mi faceva sempre gli auguri
Ho conosciuto Don Guido nel 1980 dopo essermi stabilito a Magliano Alfieri. A quel tempo lo chiamavamo ancora padre Lorenzo; sapevo che era stato missionario in America Latina e questo aumentava ancora ai miei occhi l'immagine ascetica che il suo volto rivelava. Mi colpirono subito la sua semplicità e umiltà. Dopo che fu nominato Parroco, ebbi molte occasioni di apprezzarne la determinazione nel portare avanti progetti pastorali e organizzativi. Facendo parte da tanti anni del Consiglio di amministrazione del Soggiorno Alfieri, i miei contatti con don Guido erano regolari per affrontare le tante problematiche che tale struttura richiede. Lo ricordo ascoltare in silenzio i pareri dei consiglieri e alla fine decidere, in quanto Presidente, il da farsi. Una nota personale mi commuove: ogni anno, il giorno di San Bartolomeo, non mancava mai la sua telefonata di auguri. Ancora adesso, quando da lontano vedo profilarsi all'orizzonte il campanile di Magliano Alfieri, non posso fare a meno di mandare un saluto a don Guido con la richiesta di pregare per me.
Bartolomeo Costamagna
Umiltà e semplicità
Quando, il 10 ottobre 1976, venni parroco in Sant'Antonio, incontrai per la prima volta padre Guido, sacerdote francescano coadiutore del parroco di Sant'Andrea, don Ettore Drocco. E' stato subito facile diventare amici per la sua evidente umiltà e semplicità unite a un sorriso fiducioso e aperto alla disponibilità. Diventare parroco non era nelle sue aspirazioni, per questo rivelava anche un po' di timidezza. Era venuto nella parrocchia di S. Andrea dalla Comunità francescana di Canale, dove era arrivato dalla Bolivia per motivi di salute. Don Ettore, che era suo cugino, lo accolse nel Soggiorno Alfieri perché si riposasse, curasse la salute e collaborasse in parrocchia. Pensandoci oggi, viene da dire che era scritto nei progetti di Dio. Padre Guido iniziò a dedicarsi agli ospiti del Soggiorno rivelando amorevoli attenzioni e anche capacità come infermiere (facendo iniezioni, misurando la pressione, ecc.). Alla morte improvvisa di don Ettore, nel 1982, il vescovo di Alba, mons. Fausto Vallainc, propose a padre Guido di succedergli come parroco e diventare sacerdote diocesano. Questa promozione fu motivo di grande esultanza per tutti i parrocchiani e segno prezioso per mantenere viva la memoria di don Ettore. Don Guido non partiva da zero perché aveva già avuto il tempo e l'occasione per fare esperienza pastorale. Manifestò attitudine al suo nuovo ruolo, entusiasmo nel tentare nuove iniziative e capacità organizzative; dedicò particolare impegno a rinnovare l'organo, abbellire la chiesa, ampliare il Soggiorno Alfieri. Dimostrò grande coraggio e preveggenza nel donare al Comune il maestoso Castello Alfieri. Sostenne la costruzione, accanto alla chiesetta di Santa Maria, della piccola Cappella ortodossa di Sant'Anastasia, che ricordasse i nostri giovani morti o dispersi nella guerra in Russia e fosse luogo di riferimento per i fratelli cristiani ortodossi.
Essendo diventato parroco diocesano, padre Guido dovette lasciare l'Ordine francescano. Tra i parrocchiani sorse il dilemma se continuare a chiamarlo padre Guido oppure don Guido, ma lui, col suo sorriso naturale e disarmante, rispose che andavano bene l'uno e l'altro. Don Guido seguì speditamente il suo cammino sull'impronta di don Ettore, sulle novità pastorali che i nuovo tempi postconciliari proponevano e sulle indicazioni diocesane. Apartire dal '96 l'intenso lavoro di parroco di due parrocchie sembrò ringiovanirlo e lo mantenne in buona salute per molti altri anni. Rimangono a sua testimonianza alcune belle iniziative quali la “Nuova Immagine di Parrocchia”, l'istituzione dei “Messaggeri”, la “Lectio divina” (lettura della Bibbia come meditazione della Parola di Dio presso la Comunità monastica di San Valeriano), il bollettino interparrocchiale, e anche l'iniziativa di una giornata chiamata “Maglianoinsieme” con una gita e pranzo comunitario in un luogo “fuori porta”, possibilmente in montagna: fu un momento dei tanti in cui ci si sentiva “un solo paese”, come dice bene il periodico culturale locale.
Don Gian Franco Marengo
La figura di don Guido mi ricorda gli anni di gioventù, quando, appassionato di fotografia, frequentavo Magliano Alto e il Belvedere per immortalare lo splendido panorama che domina la piana del Tanaro. Succedeva frequentemente che incontrassi don Guido nei pressi della canonica, anche lui appassionato di fotografia, e insieme passeggiavamo per lunghi tratti e così mi confrontavo con lui su parecchi temi che mi stavano a cuore. Lui ascoltava con attenzione, disponibilità e mi dispensava consigli sempre molto illuminati che mi aiutavano a fugare i miei dubbi, con calma e dolcezza che scaturivano dall’animo buono e sereno di un uomo di chiesa pienamente realizzato. Negli anni ottanta io collaboravo nel negozio di macelleria del papà e ogni tanto succedeva che don Guido accompagnasse la signora Gemma, cuoca della Casa di riposo, a fare rifornimento di provviste. Ricordo un giorno in cui papà, indaffarato nel preparare la salciccia, si imbatté in don Guido e col suo modo spiccio e disarmante si rivolse a lui esclamando: "Mi scusi, don Guido, se mi vede raramente in parrocchia, ma sa, questo lavoro mi impegna completamente la giornata e non riesco a ritagliarmi tempo per poter frequentare le celebrazioni liturgiche". Don Guido, con uno sguardo bonario, lo scrutò a lungo, poi con la sua voce rassicurante lo rincuorò scandendo: "Stai tranquillo, Mario, chi lavora prega, io so che sei un buon cristiano!". Papà rimase favorevolmente colpito da tale affermazione, che serbò nel cuore per moltissimo tempo. Don Guido era veramente una brava persona, degna di essere ricordata da tutta la nostra comunità, arricchita dal suo esempio e dalla sua figura di buon pastore di anime.
Cesare Mozzone
“Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato
forza” (2Tm 4, 17)
Desidero ringraziare coloro che hanno pensato e realizzato questa pubblicazione sulla figura di don Guido; e vorrei ringraziarli anche perché hanno chiesto il mio contributo. “Ha telefonato Marcella che don Guido è appena arrivato da Maria e poi farà tutta la via fino a qui”: queste le parole di mia madre che aprivano il consueto giro annuale delle benedizioni che don Guido faceva anche a San Giacomo, l'ultima via prima di arrivare a Canove, la frazione di Govone dove ho frequentato le scuole elementari e la parrocchia SS. Annunziata. Credo che questo sia il mio primo ricordo di un uomo magro, pallido, vestito di scuro, di poche e trascinate parole, che trasmetteva rispetto e sacralità nelle “cose di Dio”. Non essendo ancora abituale la mia partecipazione alla messa domenicale alla cappella di Maria Ausiliatrice del Cornale, vedevo don Guido come una figura lontana, quasi leggendaria, che arrivava solo una volta all'anno fino alle ultime case di Magliano Alfieri. Anno dopo anno la persona di don Guido è diventata vicina, amica, familiare; ho conosciuto il suo carattere riservato ma gioviale: era capace di lunghi momenti di silenzio accompagnati da un sorriso accogliente. Sapeva ascoltare e misurarsi con le nuove prospettive del pensiero teologico, mantenendo però sempre una certa fermezza nei suoi convincimenti. Ha incarnato il ruolo del parroco con diligenza e senso del dovere: a tratti trasmetteva un vero e proprio zelo pastorale. Era difficile da seguire nella predicazione, però, quando c'erano dei bambini a messa, si trasfigurava. La sua formazione era stata nel mondo dei religiosi, però ha imparato negli anni che cosa vuol dire essere guida di una comunità. Credo che la sua permanenza nei frati minori lo abbia formato a stare insieme con
altri fratelli e a dimostrare di essere fatto per la vita comune. Ricordo che insieme a lui hanno vissuto diversi sacerdoti che avevano lasciato il ruolo di parroco per raggiunti limiti di età, e che insieme a lui hanno trascorso gli ultimi anni di una vita spesa per la Chiesa: don Antonio Morone, don Giovanni Tezzo e don Alessandro Falletto sono quelli che ricordo. Quello spirito di accoglienza, sincero nella forma e solido nella sostanza, è lo spirito con cui mi ha aperto le porte il 4 gennaio del 2011. Da lì a pochi mesi sarei stato ordinato al ministero diaconale, e a settembre a quello presbiterale. Don Guido mi ha sempre trasmesso grande affetto, nonostante la sua timidezza, fin da subito. Insieme abbiamo passato molte giornate liete: è stato piacevole e molto arricchente incontrare i suoi fratelli Felice e Fiorenzo e le sue sorelle Maddalena e Anna, insieme alle loro famiglie. Sono particolarmente grato di aver conosciuto Maddalena Davico, che ha vissuto alcuni anni con noi nella casa canonica: la ricordo per la bontà, l'intelligenza, il carattere solare e la fede sincera. Don Guido è stato bravo a fidarsi di quelle proposte e di quei cammini che hanno cercato di ravvivare il cammino dei credenti: dalla nuova immagine di comunità, ai cenacoli della Parola; dalla scuola della nuova evangelizzazione, all'itinerario di tipo catecumenale. Dietro a queste proposte lui ha saputo riconoscere persone convinte di fare il bene della Chiesa, persone amanti di Gesù Cristo, come è stato lui. La mia presenza come vice parroco credo abbia permesso a don Guido di portare avanti l'ufficio di parroco per altri due anni, nonostante avesse già rassegnato le dimissioni al compimento del settantacinquesimo anno di età, come prevede il diritto canonico. L'entusiasmo e l'impazienza che caratterizzavano l'inizio del mio ministero si scontravano a volte con il suo essere un pastore prudente nelle cose di dottrina e un ragioniere meticoloso nelle cose di economia, ma il condividere quotidianamente i pasti e la preghiera ci davano sempre
l'opportunità di riflettere insieme e di capirci. Non era brillante nelle omelie, però appassionava quando raccontava. Ricordo in particolare il suo racconto della cattura di Ernesto “Che” Guevara, avvenuta nel 1967 quando lui era in missione in Bolivia con i francescani. Don Guido ha avuto tanti e seri problemi di salute, ma alla fine si è dimostrato di tempra molto robusta: è andato a volte vicino alla fine, ma è sempre riuscito a riprendersi. Un giorno arrivò a pranzo molto divertito dall'incontro avuto con un ragazzino in un negozio del paese; già da tempo non prendeva la macchina per i suoi problemi alle gambe, e quel giorno, scendendo in paese, alla sua vista quel bambino esclamò: «Ma non sei morto?». Memorabili le nostre uscite a Viozene e ad Imperia. All'inizio lui era l'autista ed io il passeggero, poi forse si è accorto di quanto soffrissi di come lui prendesse le curve a tutta velocità, con marce lunghe e frizione schiacciata, e ha lasciato che guidassi io. Alle volte già scendere a Magliano basso era “divertente”. Con il cambio di ruolo, però, ho sperimentato come l'ufficio di parroco ti metta nelle mani il potere del governo su una parte della Chiesa, e come questo incarico sia nello stesso tempo promettente e massacrante. Gli anni trascorsi insieme a don Gianluca Zurra nell'unità pastorale di Magliano e Castagnito sono stati caratterizzati da esperienze comunitarie belle e coinvolgenti per molti, da una formazione che ci ha arricchiti tutti, da scelte impegnative, forse anche scomode, per alcuni. Il compito di guida della comunità ti mette di fronte nero su bianco ciò che è stato e come si è operato, e fa emergere le diverse sensibilità e la diversa formazione ricevuta. Si tende così ad avere molta attenzione alle zone d'ombra e a dimenticare la luce che c'era e che ha accompagnato per anni. Molte volte nella predicazione io ricordo che la verità si dà sempre
per interpretazione, perché la realtà, per quanto possa presentarsi nella sua oggettività, è letta da coscienze credenti e non da macchine: ciò che pare a prima vista chiaro e incontrovertibile è comunque visto e capito da un soggetto. Quello che voglio dire è che se i numeri non ingannano, ciò che sta dietro i numeri è un mondo che alla fine non si riesce a conoscere fino in fondo, e quindi in ultimo il giudizio sarà sempre parziale. Inizio a comprendere i passi della Sacra Scrittura che ci ricordano che il giudizio appartiene solo a Dio. Credo non si sia capito il passaggio di don Guido al “Soggiorno Alfieri”, una realtà a lui familiare e da lui presieduta per anni, che ha potuto dargli quei servizi alla persona che in canonica non eravamo in grado di garantire. È stata una scelta difficile, che forse aveva bisogno di più riflessione. Qualunque scelta ha le sue motivazioni più o meno approfondite, ma il dovere della fraternità non può mai mettersi “a riposo”. La nostra amicizia non è mai venuta meno, e la mia stima nei suoi confronti è cresciuta: in fondo, insieme a don Tezzo, è sempre stato “il mio parroco”, quello che un giorno mi ha fatto sapere che in seminario proponevano alcuni incontri vocazionali e che magari potevano interessarmi; che mi ha anche aiutato economicamente a pagare la retta al seminario negli anni della teologia; che ha avuto la pazienza di condividere di nuovo il ministero molti anni dopo la morte di don Ettore Drocco; che nei miei confronti ha sempre e solo avuto fiducia… E alla fine è solo grazie alla fiducia che possiamo vivere.
Don Emiliano Rabellino
Il mio amico don Guido
Ci sono biblioteche intere per tradurre la parola “amico” ma, quando la pronunci per una persona, ti incontri con un volto e un cuore che è solo suo, di una novità assoluta come è ogni figlio di Dio. Dire “amico di don Guido” è pensare a una relazione nata da incontri sacerdotali di formazione e di collaborazione alla comune missione e di scambi pastorali nella disponibilità gioiosa e reciproca. “Dicci un ricordo di lui che ti è rimasto!”: è bello che altri scrivano la storia perché il suo dono ispiri altre generosità, altra carità nel senso pieno, come lui l'ha interpretata. Mi limito a tre flash che mi hanno detto chi era e chi è questo amico. Erano frequenti i motivi per incontrarlo di persona e sapevo della sua disponibilità. Dovevo cercarlo alla casa di riposo, il suo amore preferito. “In ufficio non c'è, nelle corsie dei reparti neppure… vedi un po' in cappella, se è a dire il breviario…”. Mi è capitata più di una volta questa accoglienza (“vedi in cappella…”). Un prete da cercare dove? In chiesa. Che bella predica! L'amicizia con don Guido ha generato frequenti incontri a tavola. Se la mia indifferenza lasciava intervalli lunghi, arrivava una telefonata: “E' un po' che non ci vediamo!”. E quando arrivo, trovo un tavolo a quattro posti, in compagnia di due anziani ricoverati - serviti quasi ultimi perché in fondo al refettorio, e nello stesso carrello dei cibi destinati a tutti - e lui è in ritardo, perché non si attraversa il corridoio senza salutare. Poi si può dialogare, che è una cosa più “buona” del cibo. “Ma non hai di più interessante da raccontare?”. No, perché nulla è più bello dell'umiltà, dell'umanità, di un prete che non ama il privilegio… e dire che è il “direttore” della casa! Altre volte mi è capitato di fargli visita nella casa canonica: è la casa della comunità e per la comunità. I “don” la abitano, non la
possiedono. Ha una sua privacy. In tempi più fecondi coabitava il “curato”, il collaboratore. Per diversi anni don Guido non è restato solo. Ha avuto amici sacerdoti, già a riposo per salute o età. La “sua” casa ha offerto gli spazi. Molte case canoniche hanno spazi. In don Guido hanno trovato gli spazi del cuore. Neppure gli spazi - pure accoglienti - adiacenti della casa di riposo, ma la “sua” casa, in ambienti anche più accessibili alle visite nel suo studio. Tutti noi sacerdoti predichiamo l'accoglienza. Non so dire se lui la predicava: non ne aveva bisogno. Questi miei ricordi sono una piccola storia, insignificante. Questa storia ha fatto la sua attività pastorale. Ma questi ricordi dicono uno stile, un cuore, toccato dall'amore di Dio; disponibile a persone toccate da una debolezza del vivere, capace di una solidarietà con chi ha vissuto la stessa vocazione.
Don Antonio Tarabra
Don Guido o padre Lorenzo?
Ce lo eravamo chiesti quando era appena arrivato in parrocchia. Allora ci seguiva per la catechesi, specialmente noi del gruppo dei cresimandi. Ci trovavamo nei locali dell'ex asilo. Lui comprendeva la nostra vivacità e assecondava la nostre curiosità e domande, docile a noi come docile alla Parola, conduceva e riconduceva perché quell'importante completamento della nostra formazione ci aiutasse a crescere ancora. Da allora è sempre stato così: in canonica per stampare i libretti dei canti per la messa da animare, all'asilo per le domeniche pomeriggio di oratorio, sul pulmino per andare a Canove, a Priocca o al Mango per l'Azione Cattolica. C'era sempre, disponibile e generoso. Le uscite al convento francescano della Mellea. Attività e spiritualità, un'arte che aveva imparato e praticato non solo per dipingere! E mi fermo qui. Troppo ci sarebbe! Grazie don Guido
Don Valerio Pennasso
Amante della musica
Don Guido amava la Banda di Magliano Alfieri, lo si capiva dagli occhi quando si suonava in sua presenza. Per me, Direttore della Banda, era una grande soddisfazione, un ritorno di apprezzamento: se una persona intelligente dimostra di amare quello che fai, che sia lavoro o, come in questo caso, attività amatoriale, in fondo hai tutto quello che cerchi. La Banda l'ha aiutata sempre e in molti modi: in particolare con la vicinanza e l'affetto, ma anche con la disponibilità a collaborare e, non ultimo, con partecipazioni economiche di sostegno. Ho avuto a che fare con lui anche per lavoro, quando ricopriva l'incarico di Presidente della Casa di riposo “Soggiorno Alfieri”: ci sono stati diversi incontri tra noi (io in veste di dipendente del Comune), alcuni in Municipio e altri camminando lentamente intorno al Parco Alfieri. Era una persona rapida nelle decisioni e, sebbene avanti con l'età, moderna, intuitiva e collaborativa. Rimarrà nei miei ricordi insieme ad altri "zii" di altre generazioni, come mi piace chiamarli, esempi di vita, onestà e dedizione.
Fabrizio Massarone
Uomo delle beatitudini
Ora che Don Guido ci ha lasciato, quando il suo ricordo si sofferma sulla persona e sul Sacerdote che è stato, subito viene alla mente il Discorso della Montagna che troviamo in Luca 5, 1-10. In Don Guido si sono compenetrate la beatitudine dei miti, dei misericordiosi, dei puri di cuore e, nella parte finale della sua lunga ed operosa vita, la beatitudine di coloro che hanno fame e sete di giustizia. Nella sua vita ogni giorno ha incarnato tali beatitudini, ed ora le promesse che alle beatitudini conseguono hanno avuto per Lui piena attuazione. E poiché quanto su di lui qui scrivo non abbia ad apparire formale applicazione della regola che dei morti solo il bene bisogna ricordare, confesso che quando Don Guido è subentrato a Don Gianfranco nella guida della parrocchia di Sant'Antonio mi sembrò che il vuoto lasciato dal predecessore non fosse stato colmato, che quel Don che aggiungeva alla sua parrocchia di Magliano Capoluogo quella di Sant'Antonio costituisse un passo verso il passato, un Don in qualche modo fuori moda e fuori tempo, un prete all'antica ma anche di obsoleta maniera. Mi sbagliavo, quanto mi sbagliavo! Sono contento, nello scrivere di lui queste righe, di poter fare ammenda del mio errore e di quel primo infondato giudizio. Peccato di presunzione che sono sicuro che Don Guido mi abbia subito perdonato senza bisogno di parole ma con il suo sorriso accennato e lieve, come lieve era tutta la sua persona. Ho avuto l'onore di essere stato sindaco di Magliano Alfieri dal 2004 al 2019 e in questo lungo tempo ho avuto modo di conoscere da vicino il suo essere Sacerdote e Uomo. Gli sono grato di avermi onorato della sua affettuosa amicizia e di aver potuto contare sulla sua presenza e sulle sue preghiere al Signore sempre, ed in particolare nel momento più difficile e terribile della mia vita e della
mia famiglia. Come ho detto, Don Guido è stato capace di incarnare le Beatitudini, sforzandosi sempre di non fare emergere le sue doti non comuni di intelligenza, di studioso, capace di comprendere i segni del tempo e della storia. Una fede granitica la sua, una vita scandita dalla preghiera per il suo gregge, buon pastore che ha avuto per faro la povertà francescana, la castità e l'obbedienza. Ha scelto di non mettersi mai in prima fila, mai al centro dell'attenzione, tuttavia era sempre presente nella vita della comunità maglianese, vicino alle Associazioni, partecipe sempre delle gioie e dei dolori di ogni parrocchiano. Desidero però anche ricordare che Don Guido ha gestito per lungo tempo come Presidente e Cappellano la casa di riposo Soggiorno Alfieri ONLUS, rendendola una struttura eccellente sotto ogni profilo a servizio degli anziani ospiti, casa in cui si respirava aria di famiglia, vi era estrema cura del cibo, venivano prestate cure attente e gentili. Don Guido tanto poco teneva ai beni materiali della vita quanto, all'opposto, si impegnava e non badava a sacrifici perché le Chiese, Cappelle e Piloni affidati alle sue cure fossero tenuti con proprietà, restaurati con ogni attenzione, perché fossero luoghi atti a richiamare la gloria del Signore. In silenzio è sempre stato vicino alle necessità anche materiali di bisognosi a volte anche importuni, ma mai l'ho visto perdere la pazienza, alzare la voce o aspettarsi gratitudine per quanto donato. Sono certo che quando la sua anima è ascesa al Cielo l'hanno amorevolmente acclamato i Martiri e gli Angeli, l'hanno accompagnato accanto al mite e povero Lazzaro, nella Gloria e nell'Amore del Cristo Risorto. E sono altresì certo che continua ad essere vicino ai suoi parrocchiani e a tutti i suoi cari, ponendoci la mano sul capo per accompagnarci nel cammino che ci conduca dove ci attende in affettuosa attesa.
Luigi Carosso
A don Guido e don Renzo: grazie!
Tratto da “Il Tralcio” – Dicembre 2020
“Ma sei già arrivato anche tu? Sono felice di vederti, ma non ti
aspettavo così presto! Io sapevo che stavo per partire per il grande
viaggio, ma tu… Ma hai visto qui che meraviglia?”, deve aver detto
don Guido nella sua nuova dimensione quando si è profilata di fronte a
lui la sagoma massiccia e inconfondibile di don Renzo.
******************* Don Guido e don Renzo, rispettivamente parroci a Magliano e Castagnito negli anni in cui il secondo millennio dell'era cristiana ha lasciato spazio al terzo. Due uomini di Dio molto diversi tra loro, ma entrambi - ed è quel che più conta - testimoni credibili del Vangelo di Gesù Cristo. Chi incontrava don Guido si accorgeva subito di avere di fronte un uomo buono, mite, sereno perché in pace con se stesso e con quel Dio che era la sua ragione di vita, il suo tutto, per dirla con san Paolo VI, e col quale aveva un rapporto costante nella preghiera. La sua pace manifestava l'intima convinzione di avere vissuto con coerenza la propria vocazione, di avere risposto seriamente alla chiamata del Signore, anche se lui confessava spesso la propria inadeguatezza e riteneva di essere ancora lontano dal possesso di quella fede che invece chi lo conosceva vedeva trasparire da ogni sua parola, da ogni suo gesto. L'umiltà e la semplicità sono state da sempre componenti costitutive della sua persona, inducendolo prima a indossare l'abito francescano e accompagnandolo poi durante le varie tappe del suo servizio sacerdotale. Don Guido aveva una parola buona e dolce per tutti. Nella sua ultima enciclica, “Fratelli tutti", papa Francesco scrive che “ogni tanto si
presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, regalare un sorriso, dire una parola di stimolo, rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza”. Noi che abbiamo avuto la grazia di conoscere don Guido, non facciamo fatica a riferire a lui questo modo di offrirsi agli altri. L'insieme delle sue virtù morali e spirituali potrebbe addirittura farlo paragonare a fuoriclasse della fede quali il Curato d'Ars o, per rimanere più vicini a noi, il beato fratel Luigi Bordino. Se don Guido era piuttosto riservato, don Renzo era estroverso, dinamico, pieno di brio. Cordiale, dalla battuta pronta, ispirava simpatia a prima vista. Se nelle sue omelie don Guido volava alto, don Renzo era concreto e accattivante, sapeva tenere costantemente desta l'attenzione dei fedeli, e lo stesso accadeva in occasione di visite a luoghi di culto o, comunque, di interesse storico e artistico, allorché aveva modo di comunicare la sua vasta cultura in modo semplice e diretto. Amante dello sport, in particolare del calcio, come tanti suoi confratelli mostrava una spiccata predilezione per il Torino, scelta che si doveva con ogni probabilità alla preferenza accordata, da buon cristiano, agli ultimi… E veramente, gli ultimi, i poveri furono sempre oggetto delle sue premure, della sua innata generosità, che a molti appariva addirittura eccessiva, come se ci fosse un eccesso nella carità! Ancora negli ultimi tempi, a chi andava a trovarlo nella canonica del Duomo di Alba mostrava con soddisfazione il salone dove ogni giorno, insieme a un gruppo di volontari, distribuiva ai poveri pane, pizza e brioche forniti da varie panetterie della città. Aveva definito questa iniziativa “il Pane di san Teobaldo”, richiamando una delle opere più rilevanti del secondo patrono di Alba, vissuto 900 anni fa. Se il primo passo evangelico che viene spontaneo accostare a don
Guido è quello delle beatitudini (“Beati i poveri in spirito… i miti… i misericordiosi… i puri di cuore… gli operatori di pace…”, Mt, cap. 5), le parole di Gesù che forse più si avvicinano allo stile pastorale di don Renzo compaiono nel capitolo 25 dello stesso Vangelo di Matteo: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato. […] ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”. Il Signore è stato generoso con noi mettendo per molto tempo questi due pastori alla guida delle nostre comunità. Siamogliene grati! *********************
“A essere sincero, non pensavo nemmeno io di ritrovarti così presto:
avevo ancora tante attività in corso, tanti progetti da realizzare… Ma
è vero: che meraviglia qui!”, deve aver risposto don Renzo a don
Guido nell'abbracciarlo calorosamente.
Mauro Aimassi
Biografia di don Guido, brevi cenni
1. La famiglia e l’habitat
Due giovani sposini l'11 novembre 1920, nella chiesa di Rodello d'Alba, consacrano il loro amore. Sono Giuseppe Davico (Gepin di Bosch) e Margherita Drocco (Ghitina di Fré). Giuseppe è figlio unico, proprietario di una cascina in frazione Boschi a due km. circa dal capoluogo, posta in una posizione da cui si scorge il paese, con le sue due torri campanarie e un panorama che si apre sulle Langhe, la piana di Alba, fino alla catena delle Alpi innevate: un paesaggio incantevole e suggestivo che, durante le notti serene e di luna piena, assume aspetti fiabeschi. Il piccolo borgo è composto da più fabbricati, un agglomerato di case coloniche, con stalle, fienili, cantine, granai e ospita tre nuclei famigliari autonomi ma uniti fortemente da un senso di appartenenza e condivisione:

Drocco Lorenzo (Vanin) con Eirale Giuseppina dalla cui unione nacquero: Giuseppe, Maria, Vittoria, Natalina e Domenica; Drocco Luigi (Vigin) con Pozzetti Delfina i cui figli furono:
Pasquale, Lorenzo, Rosina, Giuseppina e Palmina, assistiti anche da Gepin in seguito alla morte prematura del loro papà Davico
Giuseppe (Gepin) con Drocco Margherita (Ghitina) e i figli che verranno menzionati nella presente storia.
Foto: La famiglia Davico con la nonna e don Guido, il primo da sinistra, dodicenne.
Ghitina, novella sposa di Gepin di Bosch, arriva dalla frazione Ferreri ed è la sorella di Pietro (Pietrin) Drocco, papà di Don Ettore, futuro parroco di Magliano Alfieri. Nella cascina della borgata Boschi, loro nido, i due sposini condurranno una vita di lavoro e preghiera, assumendosi come particolare impegno la ricerca della concordia e della pace con tutti. Infatti, nei tre grandi nuclei familiari che vivono la borgata, la vita si svolge in armonia, grazie ai solidi rapporti di amicizia e di solidarietà nutriti anche dal carisma di Gepin di Bosch. Sono famiglie di agricoltori, umili ma dignitose, che hanno un rapporto con la Natura aperto e riconoscente, in quanto consapevoli della Sua genesi Divina. Alla sera, gli abitanti della borgata, si riuniscono nel periodo invernale, per la veglia (ra viä) dove si recita il rosario e poi si raccontano aneddoti di vita, storie del passato, condividendo preoccupazioni e problemi quotidiani. L'amicizia tra queste famiglie si perpetua nel tempo, cosicché, pur non essendovi relazioni di consanguineità, ancor oggi i componenti delle generazioni successive continuano a sentirsi affratellati da un legame parentale.

Foto: Ai Boschi in occasione della festa di San Rocco con don Ettore Don Guido in basso il primo a destra Don Ettore in alto il terzo da destra. Don Ettore quindicenne.
In tal contesto, il 24 ottobre 1929, la nascita del piccolo Guido viene accolta con gioia e amore. Il piccolo Guido è anche circondato dall'affetto dei fratellini Maddalena (1921), Felice (1924) e Fiorenzo (1926). Tre giorni dopo, il 27 ottobre sarà battezzato dal parroco Canonico don Boarino, nella chiesa di Rodello, intitolata a San Lorenzo Martire.

In casa Davico non mancavano strumenti musicali. Papà Gepin suonava l'armonium.
(Lasciato alle suore di Rodello quando la famiglia, nel febbraio
1952, dovette trasferirsi in Liguria spinta dalla necessità di
portare mamma Ghitina a vivere in un clima più propizio per la
sua salute. I medici, infatti, nel suo ultimo ricovero all'ospedale
di Alba avevano pronosticato che sarebbe morta a breve. Grazie
al trasferimento a Pontedassio (IM) mamma Ghitina vivrà
ancora per 29 anni, fino al 22 luglio 1981).
Poi c'erano alcuni strumenti a corde pizzicate e a fiato, tra cui un quartino che veniva suonato da Felice.
2. Aneddoti dei primi anni di vita
Il canto era una grande passione in famiglia. Papà Gepin insegnava ai suoi figli canti anche a più voci, mostrando il suo orgoglio quando li invitava a cantare, sia in occasione di visite degli amici che durante le viä. Maddalena, Felice, Fiorenzo e Guido rispondevano all'invito e cantavano, ma nascondendosi sotto il tavolo per farsi più coraggio. La famiglia era solita ricevere la visita del parroco. In una di quelle occasioni il sacerdote chiese al piccolo Guido: “Cosa vuoi fare da grande?” ed egli, che cominciava a balbettare le prime parole, rispose: “Vicu” (il vescovo), espressione forse di una vocazione innata. Vocazione che si è poi pienamente realizzata servendo il Signore nei fratelli. Guido era un bimbo vivace che non mancava, anche se involontariamente, di preoccupare i suoi genitori. Infatti, all'età di sette anni, venne colpito dalla difterite, una malattia molto grave in quei tempi, che colpiva i bambini e spesso non lasciava scampo. L'epidemia imperversò i primi trent'anni del '900, mietendo ogni anno in Italia circa 30.000 vittime tra i bambini; nel 1939, grazie alla diffusione del relativo vaccino, la difterite fu finalmente debellata. Anni prima i genitori avevano già perso la figlia Rita, una bimba di 18 mesi, annegata in una fossa di raccolta delle acque piovane per irrigazione dell'orto di famiglia (tampa). Ora si trovavano ad affidare la salute del loro figlioletto Guido al Signore con incessanti preghiere.
Foto: Ai Boschi con la famiglia Davico don Guido da chierico (in alto), in basso a destra don Guido piccolino sulle ginocchia di suo papà Gepin, in basso a sinistra don Guido in cascina con i buoi.



Papà Gepin fece anche un voto alla Madonna del Deserto, santuario che si trova in Millesimo (Savona), perché venisse risparmiata la vita al suo bimbo e la Vergine esaudì le sue preghiere, quelle della mamma Ghitina, dei fratellini e dei vicini. Il voto, che compì dopo la guarigione, consisteva nel recarsi a piedi al Santuario, come ringraziamento (percorso di oltre 80 chilometri). Successivamente, ogni anno, la famiglia ha continuato lo stesso pellegrinaggio nella prima settimana di settembre. Poco tempo dopo la guarigione dalla difterite, per la sua briosità infantile, il piccolo Guido, già amante della natura, si divertiva a salire sugli alberi. Un giorno cadde da un ciliegio e si ruppe entrambe le braccia. Alla borgata “Boschi” faceva visita un frate francescano, amico di famiglia di Lorenzo Drocco (Vanin). Il religioso si chiamava padre Pierpaolo. Non stupiva il fatto che, come già spiegato, essendo molto legate le famiglie, tutti i bambini della borgata seguissero chi arrivava e si fermassero ad ascoltare i racconti dell'ospite. Lo sguardo meravigliato di Guido deve aver incuriosito e intenerito il frate che gli rivolse scherzosamente la domanda: “Vuoi venire con me?”. Non si sa se quella domanda, nel cuore del bambino già molto devoto e spiritualmente rivolto al Signore, non lo abbia lasciato indifferente.
3. Don Guido giovinetto
Per poter rispondere alla chiamata del Signore e quindi accedere al ginnasio e intraprendere gli studi in seminario, essendo presenti in quel periodo a Rodello le scuole elementari solo fino alla classe 4a, la nonna paterna Maddalena (Madlinin) con Guido e Fiorenzo si trasferisce ad Alba, in Via Macrino, in un locale in affitto; lì poté così frequentare la 5a elementare. Nel 1941 nacque Anna, la sorellina, molto coccolata dai fratelli, ormai grandi. Era per loro una bambolina, che si passavano in braccio da uno all'altro. Il desiderio di accondiscendere alla vocazione sacerdotale portò il giovane Guido nel Convento di San Bernardino a Saluzzo; correva l'anno 1945. L'anno successivo venne trasferito a Intra, dove proseguì gli studi, frequentando i primi anni del ginnasio (le nostre attuali medie). Ecco un episodio particolare che si presentò alla fine di novembre, primi di dicembre del 1946, quando ricevette la visita del fratello Felice con la sua sposa Maria, in viaggio di nozze. In quell' occasione Guido, giovane seminarista, decise di accompagnare i novelli sposi al San Carlone, sul monte Mottarone prospiciente il lago d'Orta, percorrendo il primo tratto del cammino più volte transitato dal cardinale Borromeo. Nei giorni precedenti, Guido aveva subito una distorsione al piede durante una partita di calcio con i suoi confratelli. Nonostante ciò si incamminò, ma nel tragitto il dolore si fece più acuto e allora Felice lo prese in spalla e lo portò fino alla meta. Niente ha potuto fermare i tre pellegrini!
Ritorniamo un momento al 1944, anno in cui il cugino Ettore Drocco venne consacrato sacerdote. A quella solenne cerimonia erano presenti tutti i componenti delle grandi famiglie Drocco e Davico. Durante la solenne liturgia, Guido, allora quindicenne, che già indossava il saio francescano, commosse i partecipanti cantando il Panis Angelicus di Cesar Frank. Nel 1947 Guido entrò, come novizio francescano, nel convento Santuario di Belmonte (Valperga Canavese), dove, l'anno seguente, prese i voti. Dal 1948 al 1951 frequentò il Liceo presso il convento di S. Antonio abate a Casale Monferrato. Durante il periodo della vendemmia del 1949 Guido, allora chierico, insieme ad alcuni suoi confratelli fece visita alla sua famiglia ai Boschi. Furono giorni gioiosi, in perfetta letizia, dove lui e i confratelli accettarono, come fosse un gioco, di dormire nel fienile su coperte appoggiate direttamente sul morbido fieno. Al mattino i familiari sentirono strani “chicchirichi” . I giovani fraticelli, scherzosamente, diedero man forte al gallo, mimandone il verso, per dare un buongiorno certamente insolito ma che faceva intendere la purezza e la spensieratezza di quei giovani. Successe che il saio di Guido ebbe bisogno di essere riparato e l'occasione la colse Maria, la giovane sposa del fratello Felice, che provvide subito a rinnovare l'abito, rivoltandolo perché molto liso. Maria si trovò sorpresa dalla presenza di numerose tasche sia sotto la pettorina che lungo i fianchi e la riparazione si fece più laboriosa del previsto. Un episodio singolare per oggi, ma non certo per quei tempi, sempre legato alle sue visite alla famiglia fu quando papà Gepin gli chiese di accompagnare la sorella Maddalena dai “Boschi” ai “Quiri”, la cascina dove viveva con il marito Giovanni. Durante il tragitto di circa 1,5 km, percorrendo la strada che in quel tempo era frequentata

molto raramente da automobili, scorgendone una in arrivo, Guido , giovane chierico vestito con il saio francescano, si nasconde in un fossato per prudenza, pudore e per non offendere la morale di allora. La stessa cosa avvenne andando a Messa a Rodello, in compagnia della sorella Maddalena e di Domenica, loro vicina di casa. Aquel tempo era sconveniente per un religioso essere visto da solo in compagnia di una donna, figuriamoci con due!
Foto: Don Guido da chierico.
4. Don Guido - Padre Lorenzo Maria
Negli anni 1951 e '52 frequentò il 1° anno di Teologia nel convento di Varallo e successivamente completò gli studi presso il convento di S. Antonio da Padova a Torino, ove venne ordinato sacerdote il 26 giugno 1955 dal vescovo S.E. Mons. Stefano Tinivella. In onore del patrono di Rodello il novello sacerdote assunse il nome di padre Lorenzo Maria Davico. Domenica 3 luglio 1955 celebrò la sua prima Messa nella chiesa parrocchiale di Rodello. Fino al dicembre del 1959 fu viceparroco nella parrocchia della Madonna degli Angeli in Torino. Il suo desiderio di donarsi agli altri e di essere uno strumento di operatività a favore dei più bisognosi lo spinse a scegliere la via delle missioni in Bolivia, dove l'Ordine dei Francescani era presente con la propria opera di apostolato religioso e di impegno sociale.




Foto: Don Guido viene ordinato sacerdote.


Foto: Don Guido viene ordinato sacerdote (in alto). In basso don Guido alla consegna della croce prima della partenza per la Bolivia.
5. Don Guido - Missionario francescano e presbitero
Padre Lorenzo Davico partì da Genova nell'ottobre1959, accompagnato dai suoi fratelli. I familiari erano molto tristi per il distacco. Li faceva soffrire sia la paura del lungo viaggio che saperlo così lontano, chissà per quanto tempo. Ma c'è un particolare che riesce ad alleviare questi sentimenti e a rafforzare la speranza che tutto andrà bene. La nave si chiama San Rocco. Una coincidenza provvidenziale? La famiglia Davico, da sempre e fino alla partenza per la Liguria, aveva in affidamento dal parroco la cura della cappella adiacente il cimitero di Rodello, dedicata appunto a S. Rocco; oltre alla manutenzione della chiesetta, ogni anno organizzava la festa il 16 agosto. Il fratello Felice fa subito notare la coincidenza e unanimemente fiorisce il pensiero: San Rocco lo proteggerà!
In quell'occasione la sorella Maddalena scrisse questa poesia:
Amio fratello Guido
Guidato dal Signore un di partisti per la Bolivia terra per te sconosciuta e portasti fede e amore a quei fratelli che non conoscevano il Signore.

Foto: Don Guido in partenza per la Bolivia dal porto di Genova.
Con il cuore triste ci salutasti e con la nave S. Rocco t'imbarcasti. Mari e monti attraversasti per raggiungere la tua meta, ma con entusiasmo e ardor quel lungo viaggio tu affrontasti. Noi con il pensiero ti seguivamo e per te il Signore noi pregavamo. Padre e maestro tu fosti a quelle genti e ti donasti con amore per conquistare le loro anime ed il loro cuore. Gli ammalati li confortasti e come un dottore tu li curasti, i bambini in povertà ti fecero molta pietà con un sorriso li accarezzasti e un po' di cibo a lor donasti. Quante privazioni quanta sofferenza durante quella tua permanenza ma la gioia del Signore era sempre nel tuo cuore. Ma dopo lunghi anni di lavoro e di fatica la tua missione era ormai finita la tua salute stava per declinare e a casa tua dovesti tornare ove fosti curato con amor dai tuoi cari genitor.

Foto: Don Guido sull’alberoo della nave San Rocco.


Foto: La nave San Rocco in un bel dipinto del nipote Elio Corino, eseguito nel 1959.
In Bolivia don Guido, allora Padre Lorenzo, era molto amato dai suoi parrocchiani che erano sparsi in una vasta area geografica e andava a visitarli periodicamente, molte volte a cavallo. Essi lo ricevevano con gioia e grande ospitalità, organizzando feste. Da uomo del “fare” , quale lo abbiamo conosciuto, si occupò di realizzare strutture di accoglienza per i giovani e scuole; costruì anche una chiesa in un villaggio poco distante da Sacaba, dove aveva la sua residenza. Insegnò a lavorare la terra ai contadini locali (campesinos), utilizzando attrezzature e macchinari agricoli (un trattore), acquistati anche con il contributo dei suoi famigliari. Inoltre, con cadenza mensile, la famiglia gli inviava dall'Italia denaro per consentirgli di destinarlo ai suoi numerosi parrocchiani in difficoltà. Durante il suo ministero tra gli indios, precisamente dal 1967, la sua salute venne meno e, molto provato nel fisico, rientrò suo malgrado in Italia nel 1968. Ha continuato a mantenere per anni contatti con famiglie bisognose della Bolivia a cui mandava aiuti economici. Tornato in Italia fu destinato al Convento di S. Sebastiano in Biella. Ma per recuperare le energie venne accolto in famiglia e vi sostò alcuni mesi per essere curato. Durante tale permanenza i nipoti pendevano dalla sue labbra quando lui raccontava episodi della vita in Bolivia e delle tradizioni locali un po' insolite. Un giorno raccontò che, vedendo un marito picchiare la moglie, si avvicinò per cercare di porre pace fra loro e rimase stupito dalla risposta della donna che gli disse: “Mio marito mi picchia perché mi vuole bene!” (Strano modo di voler bene!). Un'altra volta raccontò che, essendovi comunità molto distanti fra loro, doveva raggiungerle a cavallo; quando i bambini lo vedevano arrivare, gli correvano incontro per chiedergli “Padrecito.... un'estampita” (Padrecito – vezzeggiativo molto dolce ….un'immaginetta) poiché lui portava sempre qualcosa che li aiutasse a pregare.





Foto: A Sacaba, in alto la scuola; nel centro grande festa per il trattore arrivato dall’Italia; in basso la costruzione della chiesa.

Riguardo alla fede cercava di conciliare le loro tradizioni spirituali con l'ortodossia della fede cristiana invitandoli con amore a tralasciare le loro superstizioni a favore del messaggio evangelico autentico. Raccontava dell'uso delle foglie di coca che venivano masticate e trattenute in un lato della bocca per combattere la fame e per avere la forza di sopportare il lavoro ad alte quote. Ancora un'usanza che gli risultò molto difficile da condividere con gli indios era bere la “chica”, una bevanda con qualche grado alcolico, ottenuta dalla masticazione di mais da parte di donne anziane, espulso in grandi contenitori e lasciato fermentare. Era considerata l'elisir degli incas e della valle di Cochabamba. Teneva altresì qualche esemplare di lama e diceva del loro carattere particolare per cui, quando si sentivano minacciati o infastiditi, sputavano per difendersi. Tante notizie, corredate da fotografie, giungevano con la fitta corrispondenza che intercorreva tra lui e la famiglia. Era sempre
Foto: Don Guido in partenza per le missioni nei villaggi vicini a Sacaba.

motivo di sorpresa e gioia quando arrivava la classica busta bordata in azzurro e rosso (posta per via aerea). Con le foto si potevano seguire i lavori della chiesetta che stava costruendo. In alcune fotografie era circondato da giovani che ospitava in oratorio per dar loro la possibilità di socializzare in modo divertente e sano oltre a frequentare la scuola.

Foto: In alto i lama; in basso don Guido con gioventù boliviana in oratorio.
Sempre con l'intenzione di andare incontro il più possibile agli indios aveva imparato anche il quechua, la lingua madre più utilizzata nel Sud America. Ai suoi nipoti recitò il Padre Nostro. La curiosità verso quella lingua fu tale che il povero zio dovette ripeterlo tante volte finché i nipoti, affascinati da quei suoni strani e assolutamente incomprensibili, riuscirono a impararlo a memoria e che tutt'ora ricordano:
YAYAYKU HANAQ-PACHAKUNAPI KAQ SUTIYKY MUCH'ASQA
Padre nostro che sei nel cielo santificato sia il nome
KACHUN; QHAPAQ KAYNIYKI NOQAYKUMAN HAMUCHUN; MUNAYNIYKIRURASQA tuo venga a noi il tuo regno sia fatta la volontà
KACHUN IMAYNAN HANAQ PACHAPI HINALLATAQ KAYPACHAPIPIS tua sulla nostra terra come in
cielo
Una caratteristica dello zio Guido era il suo modo giocoso di rapportarsi con i nipoti e, sempre durante la sua convalescenza, capitò molte volte di intrattenerli con giochi scherzosi. In special modo meravigliava la nuova arrivata in quella famiglia, la nipotina che allora aveva 4 anni e che, in seguito, consacrò la sua vita al Signore in un Istituto Secolare.
Foto: La nipotina Tiziana Davico.
Una sera, zio Guido, servendosi del saio, si mise faccia al muro e la nipotina lo vide allungarsi sulla parete, con movimenti lenti e ondeggianti, fino a raggiungere un'altezza tale che era impossibile da capire come facesse. Lui si voltava e sorrideva del suo stupore. Avrebbe voluto conservare il segreto di quel gioco ma, all'insistenza della nipotina, cedette. Infatti, girandosi verso il muro metteva, senza farsene accorgere, le mani nel cappuccio e poi alzava piano piano le braccia, simulando l'allungamento della sua figura; e il gioco era fatto!
Nel 1969 il cugino don Ettore gli parlò della necessità di aiuto nell'assistenza agli anziani del Soggiorno Alfieri di Magliano; motivo in più per realizzare il desiderio di frequentare il corso di infermiere che aveva progettato per poter stare vicino alle persone sofferenti. Corso che frequentò a Biella conseguendo il relativo diploma. Nel 1971 don Ettore, di intesa con i suoi superiori, lo chiese come suo
collaboratore collegandolo alla comunità dei frati di Canale. La
richiesta era motivata dalla necessità per don Guido di un po' di
riposo e di sostegno alla salute. (dalla biografia di don Antonio
Marchisio).
La sua permanenza a Magliano era divisa fra la cura degli anziani e il servizio in parrocchia. Fu proprio in quel periodo che dipinse scene francescane sul muro che sostiene il “bricco”. Opera che destò curiosità e meraviglia. Il 23 novembre 1980 accadde il terremoto in Irpinia. Don Ettore, nella sua proverbiale e grande generosità, si recò sul posto a portare aiuti e, dovendo trattenersi, si fece più pressante e indispensabile l'impegno di don Guido in parrocchia. Pertanto, dopo averne parlato con il cugino parroco, chiese al superiore provinciale dell'ordine francescano di autorizzare il suo passaggio da frate (clero regolare) a presbitero (clero secolare). Quindi, a seguito di ciò, l'allora vescovo di Alba lo incardinò in diocesi e, da allora, da Padre Lorenzo divenne don Guido.
Alla morte di Don Drocco, avvenuta il 28 giugno 1982, gli fu
richiesto di sostituirlo alla guida della comunità di S. Andrea.
Missione che intraprese dal primo settembre dell’'82.
Dal primo agosto del 1996 in seguito al trasferimento di don
Marengo Gianfranco ad Alba nella parrocchia di S. Cassiano, è
stato nominato anche parroco di Magliano S. Antonio. Nel periodo
in cui ha servito le due comunità ha avuto la gioia di veder maturare
due vocazioni sacerdotali, di don Valerio e don Emiliano, oltre a
quelle del diacono Adriano e di una religiosa, suor Maria Andreina.
Le due comunità parrocchiali sono state amate e servite fino al
momento in cui per età e motivi di salute si ritirò a vita privata
collaborando ancora con i suoi successori. (dalla biografia di don
Antonio Marchisio)
Durante il suo ministero di parroco a Magliano ospitò periodicamente papà Gepin, dedicandogli amorevoli attenzioni. Papà Gepin morirà proprio a Magliano il 23 giugno 1988. Il legame con la sua famiglia è stato sempre molto profondo e appena gli impegni pastorali lo permettevano si recava a turno dai suoi fratelli Felice, Fiorenzo e da sua sorella Anna che si “contendevano” il piacere di ospitarlo. La sua presenza era sempre occasione di gioia. Con la sorella Maddalena invece godette di un lungo periodo trascorso in compagnia negli ultimi anni della sua vita, proprio a Magliano, fino al giorno della morte della sorella alla quale “chiuse gli occhi” sollevandola spiritualmente con i sacramenti. Da quando venne ordinato sacerdote fu sempre presente ai matrimoni, battesimi, prime comunioni dei familiari, orgogliosi di partecipare a lui e con lui la gioia delle feste vissute alla presenza del Signore.
Foto: Don Guido con Anna, una nipotina di quarta generazione.

Apartire dal 2011 la salute di don Guido divenne più fragile e lo costrinse a ricoveri ospedalieri sia a Imperia che ad Alba. Nell'ultimo periodo della sua vita, ospite del Soggiorno Alfieri, venne amorevolmente assistito e curato dal personale della struttura al quale la famiglia è pienamente riconoscente. I familiari gli stettero vicino attraverso la sorella Anna, che molto spesso, con il marito Vittorio, si recò a fargli visita, portandogli il conforto e l'affetto di tutti. Si prese cura di lui, con orgoglio, la pronipote medico, che lo assistette, standogli accanto fino al suo passaggio nelle braccia del Signore. Dai numerosi appunti rinvenuti nei cassetti della sua scrivania, dopo la sua morte, tra cui anche alcuni risalenti agli ultimi due anni di vita, emerge la sua dedizione alla missione pastorale che mai venne meno nonostante la malattia e il peso degli anni. Il 13 marzo 2019 così scriveva: “Tutte le letture del Vangelo hanno come sfondo la
presenza di Cristo, buon Pastore, inviato dal Padre a radunare il
gregge. Il pastore è definito nel Vangelo anche come “la porta” che
introduce nell'ovile. E' colui che fa entrare nell'intimità e nella
comunione di vita con il Padre. Questo è l'orientamento di tutta la
vita degli uomini; tornare a casa nel seno del Padre da dove Cristo è
venuto e dove ha fatto ritorno dopo aver compiuto la sua missione a
nostra salvezza. Il tempo presente è tempo di cammino, di ritorno, di
ricerca. Ebbene il disegno di Dio si presenta proprio come un
andare a cercare gli uomini dispersi per condurli alla salvezza e alla
vita. E Gesù è la porta attraverso la quale è necessario entrare: la
porta della salvezza, della vita e della speranza. Egli è tutto questo
e, anzi, molto di più.
Tutta la nostra vita si gioca sulla nostra decisione di ascoltare,
seguire, entrare in Gesù”.

E poi.....questa frase annotata nell'ultima pagina da lui scritta: “Questa
malattia non è per la morte ma per la gloria di Dio perché per essa il
Figlio di Dio venga glorificato. Gesù risponde a Marta: non ti ho detto
che se credi vedrai la gloria di Dio? Solo chi crede in Dio può lodarlo
ed essere felice”.
Acura di Margherita Davico,
in collaborazione con Flavia e Tiziana Davico
INDICE DELLE FOTO
Don Guido, gioioso e giocoso Don Guido
Parrocchiale di S. Andrea 20
32
57
Don Ettore con don Guido e i suoi genitori Don Ettore accoglie il vescovo in parrocchia 60
63
Don Guido, appena consacrato francescano 66 Don Guido in compagnia dell’amico Ceare Aliberti 69 Don Guido immerso nella natura del Sudamerica 70 Altare della Cappella di San Bernardo 78 Cappella di San Bernardo, Magliano Alfieri 81 «Lactatio» di San Bernardo da parte della Vergine 82 San Bernardo con i simboli della passione 86 Don Guido con i suoi confratelli, in escursione 94 Don Guido sulle Alpi Marittime con i famigliari 103 1992 Magliano S.Andrea: festa al pilone di San Rocco 104 1994 Messa per la festa di S. Giacomo 118 Crocifisso con S. Francesco e Santa Chiara d’Assisi 123 Soggiorno Alfieri, Magliano Alfieri 124 Santuario di Fatima 128 Don Guido a Fatima con Maria, nipote di suor Lucia Dos Antos 131 La presentazione delle icone dedicate a S. Anastasia 132 Don Guido presenta a Papa Giovanni Paolo II le due icone 134 Modellino della chiesetta di S. Anastasia 138 La deferenza di don Guido verso l’Arcivescovo Ortodosso 141 Consegna del modellino della chiesetta di S. Anastasia 142 Don Guido in Russia per la consegna del modellino 144 Inaugurazione della cappella di S. Anastasia 147 A Medjugorie don Guido distribuisce la Comunione 148 Don Guido celebra la messa a Medjugorie 153 «Magliano Insieme» a Sampeyre: don Guido e don Marengo 156
Da rassegna stampa «Le due Torri» 159 Don Guido e il papà, il primo giorno parroco a Magliano 163 Da rassegna stampa, articolo di Vittorio G. Cardinali 165 2002 Prima Comunione a S. Antonio: la processione 167 Da rassegna stampa «Il Paese», cronache di Magliano Alfieri 168 «Magliano Insieme» a Sampeyre 170 2007 gita del volontariato a S. Alberto di Butrio 172 A S. Giacomo: un momento della Messa 172 I bambini della Prima Comunione con don Guido 173 Natale 2001 e Natale 2007 173 2004 Via Crucis con i giovani 177 2002 i ragazzi della Cresima con don Guido 177 2005 il sindaco di Magliano consegna una targa a don Guido 179 Pres. del quadro dedicato al beato Piergiorgio Frassati 180 Chiesa di Cornale: Festa dell’Epifania 180 Il vescovo Dho e don Guido durante la Messa Solenne 181 Don Guido con la sorella Maddalena e la cognata Maria 185 Don Guido nel suo studio 194 Don Guido 240 La famiglia Davico con la nonna e don Guido 241 Ai Boschi in occasione della festa di San Rocco 242 Ai Boschi con la famiglia Davico don Guido da chierico 245 Don Guido piccolino sulle ginocchia di suo papà Gepin 245 Don Guido in cascina con i buoi 245 Don Guido da chierico 249 Don Guido viene ordinato sacerdote 252 Don Guido viene ordinato sacerdote 253 Don Guido alla consegna della croce 253 Don Guido in partenza per la Bolivia dal porto di Genova 254 Don Guido sull’albero della nave San Rocco 255
La nave San Rocco in un bel dipinto del nipote Elio Corino 256 A Sacaba, la scuola 259 A Sacaba grande festa per il trattore arrivato dall’Italia 259 A Sacaba la costruzione della chiesa 259 Don Guido in partenza per le missioni vicino a Sacaba 260 I lama 261 Don Guido con gioventù boliviana in oratorio 261 La nipotina Tiziana Davico 262 Don Guido con Anna, una nipotina di quarta generazione 265
INDICE DEGLIAUTORI
Aimassi Antonio
Appendino Orsola Arockisamy don Giuseppe Brunetti Mons. Marco
Burzio Maria Pia 33, 191, 235 129
200
15, 196 215
Cardinali G. Vittorio 164, 174
Carosso Luigi Cavallero Pierluigi 233
217
Cavallotto Silvana 219 Comunità Parrocchiale S.Anotnio e S.Andrea 202 Costa Somano Margherita 220 Costamagna Bartolomeo 221 Davico Flavia 95, 201, 241 Davico Giuseppe 21, 95, 105, 119, 125, 201, 206
Davico don Guido 157, 161, 189
Davico Luca 13, 67, 71, 79, 83, 87
Davico Margherita 21, 95, 125, 201, 241
Davico Tiziana 21, 95, 125, 201, 241
De Finis Diego De Luca Massimo 178
203
Dho Mons. Sebastiano 181
Farinasso Silvia e Ugo 149 Fraternità Monastica di Montecroce 212 Gazzetta D’Alba 160, 195 Giudice Cesare 133
Marengo don Gianfranco 166, 222
Fraternità Monastica di Montecroce 212 Gazzetta d’Alba 160, 195 Giudice Cesare 133
Marengo don Gianfranco Massarone Fabrizio 166, 222 232
Mozzone Cesare 224 Parrocchiano di Magliano Alfieri 186 Penna Renato 169 Pennasso don Valerio 231 Rava Giuliana 209 Rabellino don Emiliano 225 Reitano Loredana 214 Serrato don Giampiero 199 Tarrabra don Antonio 229 Yechakhotine Pierre 139 Veglio Ferrando 162