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LeSiciliane n. 73

RITA ATRIA:

il SOGNO DI UNA RAGAZZAQUALSIASI

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Quando non sarò più in nessun dove e in nessun quando, dove sarò, e in che quando? Giorgio Caproni dove sarò, e in che quando?

Giorgio Caproni

Belén Hernández - Universidad de Murcia

l’instancabile volontà di sondare gli angoli adombri tralasciati dalle inchieste poliziesche, ma in tono pacato e rigorosamente obbiettivo, senza emettere giudizi sulle attuazioni compiute, lasciando che gli atti e i fatti parlino da sé. Nella prefazione, Franca Imbergamo (Sostituta Procuratrice Nazionale Antimafia), adduce due forti motivazioni per affrontare la storia di Rita tanti anni dopo; una storia che è ancora attuale, da una parte perché mostra “un percorso dentro la vita di una famiglia mafiosa e di un’intera società” (p. 13) che sussiste tutt’oggi; e dall’altra è una lettura doverosa perché riscatta la memoria di una donna vittima di una strage, la cui generosità deve essere messa in valore, come riferimento per altre donne che lottano contro la mafia in Sicilia e altrove.

l’instancabile volontà di sondare gli angoli adombri tralasciati dalle inchieste poliziesche, ma in tono pacato e rigorosamente obbiettivo, senza emettere giudizi sulle attuazioni compiute, lasciando che gli atti e i fatti parlino da sé. Nella prefazione, Franca Imbergamo (Sostituta Procuratrice Nazionale Antimafia), adduce due forti motivazioni per affrontare la storia di Rita tanti anni dopo; una storia che è ancora attuale, da una parte perché mostra “un percorso dentro la vita di una famiglia mafiosa e di un’intera società” (p. 13) che sussiste tutt’oggi; e dall’altra è una lettura doverosa perché riscatta la memoria di una donna vittima di una strage, la cui generosità deve essere messa in valore, come riferimento per altre donne che lottano contro la mafia in Sicilia e altrove.

Dopo le premesse, il racconto inizia con il corpo della ragazza scaraventato sull’asfalto del Viale Amelia di Roma, il 26 luglio 1992; dal fatto si compiono oggi esattamente trent’anni. Nella prima parte, ogni capitolo riferisce i dati e i ricordi testimoniali di quanto accaduto quel pomeriggio, ogni particolare sulle difficoltà per riconoscere l’identità della donna, il ricovero in ospedale, la gravità del suo stato e l’anonimo trattamento del suo corpo, lontano dai suoi cari e dimenticato dai suoi stessi protettori. Nella seconda parte - intitolata I Personaggi, lo scenario-, guidate da un sincero impegno nell’esattezza degli avvenimenti, le autrici non dimenticano i particolari; rivelano con nome e cognome chi erano i delinquenti, quali erano le loro relazioni all’interno dei clan di Partanna - località dell’entroterra trapanese-; e come era il modo di agire e di pensare dei mafiosi, con quel disprezzo verso le figure femminili che vengono tradite, ignorate, sacrificate o messe a tacere per interesse dei capi famiglia o dei loro compagni, siano essi boss oppure ancora soldatini. Per Rita quella era la vita comune, abituata a che le compagne di scuola non avessero il permesso di frequentarla per la sua appartenenza ad uno dei clan. Abituata sin da bambina anche a decifrare i segni che presagivano gli agguati e le estorsioni. Si descrive anche la zona della Valle del Belice, afflitta de un terremoto nel 1968, disastro che ha impoverito ancora di più il territorio, ma che è stata una manna per lo sviluppo mafioso, pronto a deviare i fondi statali nel traffico di droga. Il grosso giro d’affari presto farà inevitabile lo scontro tra le famiglie mafiose e la morte prima di Vito e poi di Nicola Atria, padre e fratello di Rita. Lei, assieme alla cognata Piera Aiello reclamano giustizia e vanno a testimoniare. La narrazione prosegue nella Parte Terza con l’esame storico delle prime lotte antimafia della regione, grazie all’impegno civile di Danilo Dolci e Lorenzo Barbera, e i primi gruppi di donne per la non violenza. In seguito, nella Quarta parte leggiamo senza tregua delle guerre tra i due principali clan mafiosi di Partanna, in parallelo al progressivo declino socioculturale del territorio.

Nel libro impariamo a non criticare dall’esterno l’omertà, la sofferenza muta tanto dei vicini come dei famigliari di Rita, dinanzi ai meccanismi che i mafiosi attivano a tappeto per infondere paura. Impariamo a capire le prospettive della realtà delle famiglie mafiose, e la povertà delle loro vite, incapaci -come dice Rita- di vedere la bellezza delle cose. Lei scrive in un compito dell’istituto alberghiero di Erice: “[…] al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore”. (p.53) Rita ha intravisto il viso della bellezza appena è uscita da casa, da quando ha parlato in procura, sottratta dall’influsso di una madre che la obbliga a perpetuare gli schemi patriarcali di sottomissione. Una madre dura e irosa, che però lei sa capire e compatire, quando il solo modo di amare la piccola figlia è comandarle il silenzio con la forza. Anche la sorella maggiore svanisce dalla sua vita. La decisione di collaborare con la Giustizia ha delle conseguenze durissime per una minorenne, che la faranno maturare in fretta. Intanto, attraverso i magistrati comincia a rendersi conto del lungo elenco di crimini del padre, assieme a quello dell’amatissimo fratello Nicola; una presa di coscienza che dovette terremotare i principali riferimenti affettivi. In proposito lei appunta nel diario: “Per combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi” (pp. 52-53). Un’altra conseguenza, non meno angosciante dovette essere rassegnarsi a vivere sotto minaccia, in quella rinuncia perenne alla spensieratezza della gioventù che essa seppe accettare. Nello stesso compito menzionato, Rita lascia traccia, seppur in modo breve e netto, di come si sentiva sotto protezione: “Se domandi protezione, te la danno, ma ti accorgi che non hanno mezzi per assicurare la tua incolumità, manca personale, mancano macchine blindate, mancano le leggi che ti assicurino che nessuno scoprirà dove sei. Non possono darti un’altra identità, scappi dalla mafia che ha tutto ciò che vuole, per rifugiarti nella giustizia che non ha le armi per lottare.” (pp. 240-241). Alla luce dei fatti, Rita compie un’analisi troppo lucida sull’onnipotente potere di Cosa Nostra, gigante contro al quale si scagliano istituzioni giudiziarie indifese; ma si esprime anche con determinazione e si manterrà unita a quella squadra di ragazzi creata da Paolo Borsellino, finché dura. La sua esperienza potrebbe essere stata quella di tanti adolescenti siciliani, perciò il libro e le testimonianze che esso contiene dovrebbe a mio avviso essere una lettura consigliata nei licei, un documento didattico e umano d’eccezione che ci consenta di tralasciare la storia della nostra gente. La vita di Rita Atria, ci insegna questo libro, non è stata quella di una ragazza qualsiasi, nemmeno rappresenta quella parabola verso il vuoto che il suo piccolo corpo ha compiuto nel salto suicida del 26 luglio 1992, perché il suo coraggio continua a sfidarci. Per lei la sola paura era lasciar vincere lo Stato mafioso, scrive infine: “Tutti hanno paura ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi.” (p231). Ma le autrici di questo libro elencano una lunga lista d’imputati condannati in seguito alle dichiarazioni -tra le altre- di due donne indifese che hanno avuto la volontà di difendere la verità. Rita ha dato l’esempio di una scelta forte contro la mafia e nello stesso tempo la prova di una donna decisa a cambiare il proprio destino e la speranza di chi non si arrende e sogna un mondo più onesto. Le sue non sono parole da lasciare al vento, sono gli emblemi della nostra libertà.

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