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Quel che negli atti del Convegno del Paesaggio non c’è A cura dell’Associazione di varia umanità

Scoprii il volume degli Atti del Convegno del Paesaggio, pubblicato da Edwin Cerio agli inizi del 1923, mentre vedevo trasformarsi il territorio dove avevo vissuto la mia fanciullezza (nel pieno della Seconda Guerra Mondiale), la mia adolescenza, la mia prima gioventù, e dove avevo scelto di continuare a vivere.

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La costruzione di una strada rotabile, in un luogo dedicato completamente all’agricoltura, aveva portato all’abbattimento di alberi, allo squarciar campi, all’allargamento e cementificazione di stradine pedonali, ed alla costruzione, qui e là, di case e di villette Lo stesso stava per accadere con la costruzione di un’altra strada, in uno dei luoghi più incantevoli del territorio

Il Convegno, svoltosi il 9 e 10 luglio 1922, era nato per illustrare il contenuto della Legge dell’11 giugno 1922 “per la tutela delle Bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”, e la sua applicazione Ma aveva allargato lo sguardo all’intero paesaggio, considerandolo “nel multiplo senso di ambiente storico, civile, culturale, di circostanze naturali, paesistiche”.

Subito fece riferimento a valori assoluti e fondamentali come la bellezza, la poesia, l’humanitas, l’armonizzazione tra pathos e ethos. Tutti i partecipanti erano consapevoli che si fosse in un momento nel quale i prodotti industriali che venivano dalle scoperte della scienza e dalle applicazioni della tecnica stavano apportando grandi cambiamenti nell’ambiente nel quale si viveva da sempre.

A soffermarsi sul “mondo antico” furo- no Edwin Cerio, Gilbert Clavel, Luigi Parpagliolo, ed anche Italo Tavolato e Giovanni Porzio. A soffermarsi ed a sostenere il nuovo furono Filippo Tommaso Marinetti e Virgilio Marchi. Non ci fu scontro fra loro. Specialmente i primi credettero (o immaginarono di credere) che ci potesse essere armonia ed equilibrio tra l’antico ed il nuovo, ed, in particolare, che la bellezza “fulcro della nostra tradizione antica e suscitatrice di humanitas” potesse essere difesa da “gli insulti di una modernità materialistica, meccanica e industriale”

Leggendo e rileggendo gli Atti, sentivo che in essi mancasse qualcosa Quel che mancava me lo rivelò la lettura di Lettere dal Lago di Como di Romano Guardini Contiene gli otto articoli che, con il titolo di Lettere dall’Italia, aveva pubblicato nella rivista del Movimento giovanile tedesco proprio nel 1923, e che, insieme con l’articolo pubblicato nella stessa rivista nell’autunno del 1925, aveva raccolto in volume nel 1927.

Negli Atti mancava quel che sente nell’animo chi vede disintegrare un mondo di armonia tra il naturale e l’artificiale, al quale appartiene, e che ha ritenuto dovesse essere per sempre come lo era stato da millenni.

Era quello che solo Amedeo Maiuri avrebbe osato scrivere nell’Epifania del 1943, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, nel suo “taccuino di notazioni personali”, pubblicato nel 1956 da Max Vajro

In una pagina struggente riecheggia ciò che Virgilio aveva scritto nella prima Bucolica Ma qui Melibeo, espropiato del suo “povero tugurio elevato con zolle d’erba” e dei suoi “dolci campi”, è costretto ad andare per sempre lontano da essi, e non costretto, impotente, a vederli disintegrare sentendo, per dirla con parole dello stesso Maiuri, spezzare ed uccidere per sempre “le vene più intime e profonde della propria vita”.

Di fronte ad un frenetico, incessante costruire ovunque, legalmente o illegalmente, l’equilibrio prospettato dal Convegno del Paesaggio si era rivelato un’illusione

La disintegrazione del territorio avveniva, senza addii, nella convinzione che fosse un progresso, mentre in articoli, libri, depliant, l’artificioso mito attribuito all’Isola proclamava sempre esistente e da ammirare quello che era già scomparso e quello che scompariva a mano a mano

Raffaele Vacca