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I nostri tempi 1921 - 2021
I NOSTRI TEMPI 1991-2021
Sono anni in cui si procede di corsa, anche per poter far fronte alle tante aspettative dei soci diventati sempre più numerosi. E si guarda sempre di più al di là delle Alpi. Sulla scia dei patti di amicizia che la città ha stretto con altre realtà straniere, decidiamo di gemellarci con la Sezione del DAV di Biberach: saranno anni bellissimi di scambi culturali, di manifestazioni e di gite organizzate in comune, da cui si svilupperanno amicizie che perdurano ancora oggi. Ormai la montagna non è più solo alpinismo o sci. Tanti nuovi sport ad essa collegati esplodono e si diffondono specie tra i più giovani: in particolare l’arrampicata sportiva raccoglie decine di adesioni da tanti ragazzi tra cui brillerà per molti anni la stella di Severino Scassa, che diventerà in seguito campione europeo di questa disciplina. Ci mostriamo pure pionieri nella nuova attività di arrampicata su cascate di ghiaccio, in cui i nostri istruttori si rivelano precursori a livello nazionale. E poi l’arrivo dell’alpinismo giovanile, della mountain bike, delle ciaspolate di gruppo, lo sci da fondo, cui si aggiungono i trekking organizzati sulle montagne di tutta Europa. Ormai non si contano più le salite estreme, le “performances” su roccia, ghiaccio, o anche sugli sci grazie a imprese sportive di assoluto valore compiute dai nostri giovani soci che rappresentano la continuazione ideale delle imprese compiute pochi anni prima da Gene Novara e Mario Menegaldo. Gli aspetti organizzativi diventano sempre più indispensabili per offrire ai soci, diventati ormai più di 700, ogni genere di opportunità, sempre all’insegna della massima sicurezza e del rispetto dei principi di fondo del CAI. E anche l’informazione, con la rivista Asti Montagna, contribuirà a diffondere e a far crescere l’immagine della nostra Sezione. Il degno coronamento di questo lungo cammino sarà la costruzione della nuova Sede, in Corso Palestro, con annessa la bellissima palestra di arrampicata, due gioielli che ci vengono ammirati e forse anche un po’ invidiati da molti e che rappresentano il giusto riconoscimento per tutti quei soci che si sono mobilitati e impegnati di persona per sostenere l’immenso sforzo economico e organizzativo che il progetto ha richiesto. E, dopo cent’anni, si può proprio dire che “ne valeva la pena!”.
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Rocciamelone
di Carlo Ventura
In un articolo del 1990 della nostra rivista, dal titolo “Rocciamelone montagna nostra”, si leggeva: “Nella Cattedrale di Susa si conserva un famoso “Trittico”, una pregevole opera d’arte del XIV secolo, di autore ignoto, inciso in bronzo1. Si compone di tre tavole. Rappresenta in centro una Madonna con Bambino, a destra un cavaliere (S. Secondo?) che trafigge un drago, a sinistra un cavaliere protetto da un santo. Questo cavaliere è Bonifacio Rotario d’Asti, l’autore di un’impresa insieme storica e leggendaria che proprio il trittico testimonia. Bonifacio Rotario salì nel 1358 sulla montagna più alta allora conosciuta quando non c’erano, non solo ne’ carte ne’ relazioni, ma neppure sentieri e tanto meno rifugi. C’erano in compenso, e non aiutavano certo, le convinzioni che sui monti, oltre ai pericoli naturali, si trovassero streghe, orchi e spiriti del male. La tradizione popolare racconta che il nostro eroe, rimasto prigioniero dei turchi, avesse fatto voto alla Madonna di portare una sua immagine sulla vetta più alta del Piemonte una volta libero.”… Riprendevo poi l’argomento anch’io a dicembre del 2008 a proposito del nostro modo di andare in montagna socializzando ad ogni occasione e così mi esprimevo:… “In particolare voglio qui soffermarmi brevemente su un’altra singolare esperienza fatta recentemente da tre di noi, Jacqueline, Mario e il sottoscritto, aderendo all’invito degli amici del CAI di Susa e del loro Presidente Nino Allemano per la ricorrenza dei 650 anni della prima salita al Rocciamelone, avvenuta nel lontano 1358. Oltre tutto questa impresa, compiuta dall’allora Vescovo di Asti Bonifacio Rotario, viene annoverata in tutti i testi di storia dell’alpinismo quale prima scalata assoluta e documentata. Così lo scorso 31 agosto e 1º settembre, graditi ospiti accolti con tutti gli onori, abbiamo

partecipato alla commemorazione ufficiale con una messa solenne celebrata nell’antico duomo dal Vescovo di Susa, a cui sono intervenute alcune autorità pubbliche anche del circondario. Quindi siamo saliti al Rifugio Cà d’Asti per il pernottamento, non prima di una bella cantata con alcuni componenti di due cori locali: erano anni che non partecipavo a un’esecuzione de La Montanara così suggestiva, giusta conclusione di una amichevole e piacevole serata. Tanto che l’indomani abbiamo deciso di rinunciare di buon grado alla programmata scalata della cresta est, preferendo rimanere uniti alla numerosa comitiva per collaborare al trasporto della copia del sacro trittico che fu allora deposto in vetta, quale ex-voto, dal già citato Rotario. L’evento si è coronato in punta con un’ultima funzione religiosa di due sacerdoti e un Vescovo di recente nomina, proveniente per l’occasione direttamente da Roma, con tanto di cartoline commemorative, francobolli e relativo annullo della Città del Vaticano dedicato all’anniversario. I festeggiamenti si sono conclusi con una tradizionale e abbondante “merenda sinoira” al Rifugio La Riposa con oltre un centinaio di partecipanti, compresa una numerosa delegazione francese, al termine della quale non è mancato un coro collettivo di tradizionali canti montanari. Quale esempio più significativo di cosa intendiamo noi per andare in montagna insieme, fare nuove amicizie, arricchire il nostro bagaglio di esperienze umane con persone sempre diverse, ma con le quali ci accomuna la grande passione per la montagna”.
1 Nella realizzazione della copia, si è poi constatato che il metallo è ottone.

Monte Bianco
di Daniela Gonella e Luigi Bersano
Quando nel calendario delle escursioni estive, per celebrare i 70 anni della nostra Sezione, progettammo la salita al Bianco c’erano fermento, emozione, entusiasmo ma anche apprensione ed il timore di essere un po’ presuntuosi (gita sociale al Bianco? Ma è mica lo Chaberton!). E non basta, per metterci del pepe, anche un paio di cordate in contemporanea da una via più impegnativa. A giochi fatti è stato chiesto qualche commento a due protagonisti: Daniela Gonella, salita per la via francese e Luigi Bersano per quella italiana.
La via francese
16.8.1991 ore 7.46, in cima al Monte Bianco il vento e il freddo sono quasi insopportabili, ma la gioia della conquista ed il panorama così unico ed imponente sulle Alpi d’Europa ci fanno dimenticare anche i rigori della quota. Per festeggiare i 70 anni della nostra Sezione è stata organizzata una “gita sociale” al Monte Bianco per la via normale: finalmente l’occasione per salire sul tetto d’Europa, un’occasione unica per chi ama la montagna e ad essa ha dedicato gran parte della propria vita. Siamo partiti in 24: 11 più fortunati mercoledì 14 agosto, gli altri il giorno di Ferragosto, destinazione: il Rifugio dell’Aiguille du Goûter, elegante alberghetto a quota 3.817 m; noi siamo alloggiati in una specie di dependance nuovissima e molto accogliente, l’unico problema è la ressa di alpinisti di tutte le nazioni che, come noi, ha scelto il rifugio come base di partenza per salire al Monte Bianco. Il 16 agosto alle 2.00 del mattino suona la sveglia ed alle 2.45 siamo pronti per partire; la salita in notturna ha un fascino invidiabile, la vista di Chamonix, 3.000 m più in basso, tutta illuminata e l’alba che piano piano si fa strada nel cielo, ci accompagnano in questa impresa. Le cordate salgono in perfetta fila indiana e il bagliore delle lampade frontali disegna chiaramente la via di salita. È uno spettacolo veramente

affascinante fino a quando la luce del giorno ha il sopravvento; via via si spengono le pile ed il tragitto è in piena luce: prima la Capanna Vallot, ardita costruzione dei tempi dei pionieri dell’alpinismo, di proprietà del Club Alpino Francese a quota 4.362 m, in stato di abbandono, ma pronta ad accogliere chi è in difficoltà; poi la cresta della Grande Bosse, ripida, ma spaventosamente aerea, infine la salita ai Rochers de la Tournette per raggiungere la cresta poco ripida, ma affilata, che conduce alla cima del Monte Bianco. Tra i baci, gli abbracci ed i complimenti per la riuscita ascensione, prende il sopravvento una gran commozione: siamo finalmente in cima al tetto d’Europa, il sogno di tutti gli alpinisti. Lo sguardo scorre da un versante all’altro riconoscendo le cime più famose; il tempo di scattare qualche fotografia ed è ora di ridiscendere: 2.500 m per arrivare al trenino a cremagliera che dal Nid d’Aigle ci riporterà alle macchine. Durante il tragitto ci scambiamo qualche impressione, ma osservando il verde rilassante che ci circonda siamo tutti intenti a fermare le immagini di questa giornata così lunga ed intensa. Grazie 70° compleanno del CAI, ci hai fatto vivere una bellissima avventura.
La via italiana
Monte Bianco, che passione (in tutti i sensi)! L’idea ci era maturata, forse per il forte sole, mentre pedalavamo su e giù per monti e coste della Corsica all’inizio di luglio. Mettere quindi il cappello a quella bella avventura ciclistica andando sul Bianco tutti e quattro insieme: Mario, Giorgio, Paolo ed io a Ferragosto contemporaneamente alla gita sociale per una via alternativa alla normale secondo le intenzioni del programma. Visti i titoli, l’incarico organizzativo veniva dato a Mario che, tanto per rendere la cosa più piccante, sceglieva di salire dallo sperone della Brenva. Il giorno precedente, a causa di un problema tecnicologistico, abbiamo spostato il nostro itinerario lungo la più classica via di salita italiana dal Rifugio Gonella. Quindi il giorno sedici agosto, mentre sulla cima si avvicendavano le cordate della gita sociale, noi, con Simona al seguito, ci incamminavamo nel primo pomeriggio lungo la tribolata ed interminabile morena del Miage per raggiungere il Rifugio Gonella a quota 3.072 m su un contrafforte delle Aiguilles Grises. Il mattino successivo alle ore 0.30, indolenziti e un po’ intirizziti, passando nei pressi del Colle di Bionnassay, lungo la cresta che lo congiunge con il Dôme du Goûter, siamo giunti in punta al Bianco con grande soddisfazione di tutti. Alle 20.30 Simona ed io raggiungevamo l’auto presso il Lago Combal, mentre i nostri amici con più tempo a disposizione si erano fermati ancora per una notte al Rifugio Gonella. Al Combal mi sono tolto gli scarponi con soddisfazione dei miei poveri piedi che vi erano stati incapsulati dentro per 20 ore consecutive coprendo quasi 1800 metri di dislivello a salire e 2800 a scendere. La prossima volta probabilmente, prima di rifarlo, chiederò un parere anche a loro.

Dalle falde del Kilimanjaro…
Diario di viaggio. La scalata alla cima più alta del continente africano… ad un soffio dalla vetta di quel vulcano quotato 5.895 metri
di Luciano Oldano
Quando appresi che la nostra Sezione intendeva organizzare un trekking sul Kilimanjaro, mi resi conto che l’occasione per visitare una delle più belle ed incontaminate zone del continente africano, dove la natura è ancora la regina del territorio, era arrivata. Le spettacolari diapositive proiettate nella Sede del CAI dall’amico Sergio Ardissone, il puntuale commento della salita, la voglia di conoscere in diretta nuovi mondi, di provare le emozioni descritte, di raggiungere la vetta a quota 5.895 percorrendo la solitaria e spettacolare via Machame, mi hanno convinto ad accettare la sfida in compagnia degli amici Gianni e Grazia, straordinari compagni di viaggio. Nonostante le difficoltà organizzative, la non facile logistica, il tutto dovuto al fatto che il gruppo era composto solo da tre persone, il 10 ottobre 1998 prendiamo l’aereo per Nairobi. Giunti al Campo Base di Moschi, mi sono reso conto che l’Africa vera, quella descritta con passione da tanti scrittori era lì, pronta a regalarci emozioni nuove. Purtroppo, nel mese di ottobre, corrispondente all’inizio della stagione delle piccole piogge, per vedere la “montagna di luce” occorre salire sulle sue pendici e solo all’alba ed al tramonto si è gratificati dalla visione della vetta coperta di neve, per il resto della giornata ci si deve accontentare del paesaggio lunare circostante, avvolto in una sottile foschia che rende l’ambiente ancora più affascinante.

Finalmente, riordinato il bagaglio, fatte le provviste di rito e organizzata la squadra di portatori, partiamo con la nostra affidabile guida locale in testa, a quota 1.500 metri, avvolti dalla foresta equatoriale. La prima sosta è a 3.000 metri di quota al “Machame Camp”, dove sperimentiamo la cucina dei nostri amici tanzaniani, il calore di un crepitante fuoco e l’ebbrezza intensa e profonda che si prova osservando il cielo africano stracolmo di stelle, in assenza di qualsiasi inquinamento luminoso ed acustico. Il secondo giorno, attraversando un paesaggio lunare creato dalle innumerevoli eruzioni vulcaniche che si sono susseguite nelle trascorse ere geologiche, raggiungiamo “Schira Camp” a quota 3.840 dove una piccola grotta abbastanza accogliente, a parte il fumo, ci ripara da un tremendo acquazzone. L’alba mi regala il primo incontro con la nostra meta, ancora molto lontana. Ci rimettiamo in cammino, senza fretta, ed incontrando un paesaggio difficile da descrivere per un profano della materia come il sottoscritto, disseminato di seneci ed altre piante e fiori che si sono adattati a vivere tra la lava, raggiungiamo il terzo Campo detto “Barranco Camp” a 3.950 metri. Qui il freddo si fa sentire e, dopo la solita gradevole cena, la breve conversazione in pseudo inglese con la nostra guida attorno al coloratissimo fuoco, un doveroso sguardo al cielo, mi rannicchio nel sacco a pelo, stanco ma sereno. La quarta tappa, difficile, faticosa, lunga ed interminabile ma bellissima per la vastità del paesaggio e la sensazione di essere quasi arrivati alla meta, che si fa vedere in tutta la sua bellezza, tra una nuvola e l’altra, ci conduce a quota 4.600 alla capanna “Barafu”, dove il sole, scendendo all’orizzonte, ci regala un tramonto straordinario, che cerco di catturare con una serie infinita di diapositive. L’altitudine si fa sentire, ma stiamo bene, siamo pronti per l’ultimo balzo, da 4.600 m alla vetta: Uhuru Peak a 5.895 metri. Altro che balzo! Sono state 8 ore di sofferenza. La quota mi ha giocato un brutto scherzo e ho dovuto lottare con tutte le forze e con tutte le energie residue per raggiungere quella che pensavo fosse la meta, ma che in realtà era il bordo della caldera vulcanica a quota 5.685: Gilman’s Point. Avevo dato fondo a tutte le mie energie, ho tentato di seguire Gianni che con tenacia ha raggiunto la tanto sospirata vetta, “Uhuru Peak” a 5.895 m, ma le gambe non rispondevano più, era impossibile proseguire. La salita per me finiva lì, con un pizzico di rammarico per la mancata cima, ad un soffio, ma irraggiungibile: le forze residue non mi consentivano di realizzare il mio sogno! Anche Grazia ha desistito, appagata di essere arrivata vicinissima alla vetta. Eravamo, comunque, sul tetto d’Africa, sulla sua più bella e famosa montagna: il Kilimanjaro.

Oman verticale
di Alex Ruscior
Nel 2014 ho incontrato al Petzl Roc Trip, in Romania, Read Macadam, un ragazzo canadese che si è trasferito e vive in Oman da sei anni. È nata una bella amicizia e, invitandomi per una visita, mi ha raccontato di un Oman affascinante ed attraente. Non avevo mai considerato l’Oman come una meta di arrampicata e così, nel febbraio del 2015, decisi di partire… Con Read, venuto in Italia, ripartimmo per l’Oman nel gennaio 2016; a noi si unì la leggenda dell’alpinismo Arnaud Petit, un ex campione del mondo di Arrampicata Lead… l’avventura stava per iniziare. Il Sultanato dell’Oman è situato nel sud della penisola arabica; è un paese molto bello e culturalmente ricco, con temperature elevate d’estate, ma gradevoli d’inverno. È costituito per l’80% da deserto e per il 20% da montagne di calcare, con una altitudine massima di 2.980 metri, la punta Jebel Shams della catena montuosa Al Hajar. Giunti in Oman, come primo Campo Base, Read ci propose una zona che aveva già esplorato per il boulder, situata nelle parte alta di Wadi Tiwi, da lui battezzata Valley of Giants. È un luogo caratterizzato da un vasto piano calcareo disseminato di giganteschi massi alti 15 metri, levigati dall’acqua, sembra un angolo di un paradiso; vi si incontrano le rovine di un paese antico tutt’ora utilizzato dai beduini che scendono con gli asini dal plateau posto in cima alla valle, per coltivare datteri. Uno dei nostri obiettivi principali era aprire una via sulla parete nord; avevamo stimato che avesse un’altezza di 300/400 metri e guardando col binocolo ci parve una roccia molto compatta, con vie di ogni difficoltà. Ci siamo attrezzati con trapani, chiodi, spit, friend, dadi e, dopo due ore di cammino con uno zaino da 30 kg in spalla, siamo finalmente arrivati alla parete. I sorrisi sui nostri volti sono scomparsi, sostituiti dalla delusione per la qualità della roccia, molto instabile. Il sogno della “Dream Line” fu demolito in un istante, l’avremmo aperta ugualmente, ma l’impiego di risorse e di tempo era diverso da quello che potevamo sostenere in quel momento.
Non ci siamo lasciati scoraggiare e abbiamo deciso di sviluppare maggiormente l’area del fondo valle. Siamo così tornati tra le palme e i sassi dove i ragazzini giocavano in mezzo alla nostre corde e ci osservavano mentre aprivamo 6 vie su uno dei massi più alti con la roccia più compatta, tiri dal 7a+ all’8c. In quell’occasione ho chiodato per la prima volta e liberato dei tiri grazie alle istruzioni ed ai consigli di Arnaud e Read. Al ritorno, dopo 5 ore di sterrato, Arnaud ha proposto di fermarsi in un luogo dalle pareti vergini. Spostandoci più a sud con un paio d’ore di autostrada, siamo entrati nella valle denominata Wadi Bani Khalid. È una piccola gola (wadi in arabo) con un torrente termale che crea piscine naturali scavate nel fondo calcareo con acqua limpida come il cristallo, un luogo molto turistico, ma nello stesso tempo vergine per il mondo dell’arrampicata. Dopo le grandi piscine, abbiamo trovato una parete strapiombante con potenziale per la chiodatura, Read ha proseguito lungo il torrente ormai scomparso sotto terra; sentendo un urlo di esaltazione, ci siamo avvicinati ed eccola lì, una parete perfetta alta 40 m con uno strapiombo di 20° e lunga 100 m, costituita da una roccia bellissima lavorata con le prese giuste al posto giusto. Tornati all’auto, abbiamo improvvisato un campeggio, praticamente dormivamo per strada nel sacco a pelo. Abbiamo aperto tre vie con passaggi di 7b+, 7c e un 8a, ed è per noi motivo di orgoglio sapere che sono state aggiunte altre vie, dopo le nostre, dalla squadra di alpinisti cechi di Ondra Benes e che il sito è già molto frequentato dalla comunità di scalatori presente in Oman. Qui, nel periodo invernale, è possibile scalare tutto il giorno per poi rinfrescarsi con un bagno ristoratore in acque calde e limpidissime. Nei due giorni di pausa trascorsi a Muscat, Read ha organizzato un raduno con la comunità locale di scalatori, invitando anche Ondra Benes e la sua squadra che erano appena scesi dopo l’apertura di una via nuova di 7c+ su Misht. Questo incontro si è tenuto alla falesia Hadash in Wadi Mistal, dove Read aveva chiodato la maggior parte dei tiri e che è divisa in più settori, con tiri dal 5° al 8b+/c, molto famosa e frequentata… Un altro obiettivo per noi importante, era quello di salire Jebel Misht, una delle pareti di calcare più alte al mondo, 1000 metri verticali. Avevamo scelto una via già esistente, non troppo difficile, in quanto eravamo una cordata di 3 persone, la via Shucran con massimo 6b+ aperta da Trenkwalder e Gargitter nel febbraio 2006, ma interamente da proteggere tranne le soste che avevano uno spit e un chiodo. Al mattino, alle 5, siamo partiti per affrontare l’avvicinamento di due ore fino alla base della parete. Dopo qualche difficoltà nel trovare l’attacco della via abbiamo iniziato a scalare alle 8. Ci sembrava un po’ tardi, eravamo in tre, tutto da proteggere e non avevamo mai scalato tutti insieme. Siamo partiti con un po’ di acqua e qualche barretta, eppure nell’aria c’era un’energia positiva e, tra buon umore, canzoncine, un friend di qua e uno a 10 m, alle 12 eravamo a metà e alle 17.10 eravamo in punta al Jebel Misht. Servizio fotografico, una merendina, pronti per la discesa, ma, giunti al sentiero per scendere… il solito silenzio che accomunava i nostri pensieri, davanti a noi c’era l’inferno: 1600 metri di dislivello di pietraia ripidissima con pareti verticali da aggirare e sentiero poco tracciato che, con l’incalzare della notte, abbiamo perso. Dopo 3 ore siamo arrivati alle tende dove ci attendeva il nostro supporto tecnico, Larry Michienzi con sua moglie Kelly. Non sentivo più le gambe, ero a pezzi, però sui nostri visi si leggeva la soddisfazione per l’impresa compiuta. Dopo un giorno di riposo, siamo tornati ad Hadash per portare a termine uno dei miei progetti, la terza ripetizione di “Fearless Leader”, 8a. Un’esperienza unica, un luogo magnifico, ma soprattutto una bellissima compagnia che ha fatto di noi una squadra vincente. Un grazie di cuore a Read Macadam e a Arnaud Petit per aver vissuto insieme questa avventura.


di Vincenzo Calvo
Si dice che vi siano i cosiddetti corsi e ricorsi storici; a volte sono un po’ frasi fatte, altre il tentativo di trovare nel passato l’eterna giovinezza. Forse per il Coro Amici della Montagna, parafrasando il titolo di un film, è un “Ritorno al futuro” o meglio, un ritorno al passato pensando al futuro. Questo Coro nacque nel 1951 come Coro Amici della Montagna CAI Asti. Il forte legame tra l’attività corale e quella di montagna, fu sancito dal primo presidente Fulvio Ercole, contestualmente presidente del Coro e personalità di spicco in ambito CAI. Poi il destino e gli eventi hanno separato, solo formalmente, le strade del CAI e degli Amici della Montagna; di fatto si è continuato a mantenere quel cordone ombelicale tra i due sodalizi, dato dai soci della Sezione CAI che cantavano nel Coro e da una comune finalità: l’amore per la montagna, celebrato, gli uni con l’attività tipica del CAI, gli altri con il canto. Legame mantenuto anche quando, in varie occasioni, il Coro Amici della Montagna, ha rappresentato il CAI astigiano a manifestazioni canore. Il Coro ha compiuto, nel 2011, 60 anni d’ininterrotta attività, raro esempio di longevità non solo in Provincia ma anche sul territorio nazionale. C’è da dire però che il canto di montagna e popolare, nelle nostre zone, è divenuto un ambito di nicchia per soli appassionati di età adulta, mentre i giovani, sempre più, vengono attratti da altri generi musicali. C’era il rischio che il 60° di fondazione diventasse la celebrazione della quiescenza del Coro. Bisognava intervenire con scelte che portassero nuovi entusiasmi nel rispetto della tradizione. Cosa fare? Qualcuno si è ricordato di alcuni coristi che non cantavano più, ma che frequentavano il CAI; qualcun altro ha rammentato che nelle escursioni con il CAI, si canta volentieri; i più anziani si sono ricordati delle origini del Coro stesso; altri che sarebbe desiderio di molti avere un Coro CAI nella Sezione di Asti.

Cominciarono ad esserci i primi contatti tra le due dirigenze, ricordandoci che Amici della Montagna vuol dire non solo cantare, ma celebrare l’amicizia e l’amore per la montagna anche in modi diversi. La svolta è arrivata con la Castagnata del CAI dell’ottobre scorso (2011 - ndr), quando il Coro fu invitato a rallegrare i partecipanti durante il pranzo e la Castagnata e a tenere un concerto nelle bella pieve alle pendici dei monti cuneesi. Una giornata a stretto contatto con la montagna, con il canto, con l’amicizia, ovvero la “materializzazione” dei più importanti scopi dei due sodalizi. È stata la scintilla che ha riacceso la voglia di condivisione. I due Consigli Direttivi hanno deliberato che la Sezione CAI di Asti si sarebbe arricchita di un nuovo elemento: il Coro Amici della Montagna CAI Asti. L’ufficializzazione è avvenuta durante la serata clou delle celebrazioni del 60° di fondazione: alla presenza del Coro ANA Milano, l’allora Vice Presidente del CAI Silvio Lungo Vaschetto e il Presidente del Coro Vincenzo Calvo hanno annunciato, in un Duomo stracolmo di gente, che il Coro Amici della Montagna tornava alle origini! È di marzo la stesura della Convenzione che regola i rapporti tra il CAI Sezione di Asti e il Coro Amici della Montagna, ora CAI Asti. Questa convenzione, frutto del lavoro pragmatico e meticoloso dei due direttivi, si è avvalsa del contributo fondamentale dell’allora Presidente CAI Franco Gherlone, del suo Vice Silvio Lungo Vaschetto, del Presidente del Coro Vincenzo Calvo e del Vice Edoardo Carotta. Su tutto vi è stata l’attenta e precisa vigilanza dell’Avv. Mauro Bolla socio attivo del CAI. Ora è realtà: i coristi saranno a tutti gli effetti soci CAI; si volta pagina, o meglio, si riprendono le pagine lasciate bianche, sicuri del reciproco accrescimento delle due realtà in prestigio e blasone. L’aquila ad ali spiegate dello stemma del CAI comparirà a fianco dello stambecco del Coro Amici della Montagna e le note del Coro saranno a disposizione delle iniziative della grande famiglia CAI. Questa svolta ha già dato i primi frutti: alcuni soci CAI sono entrati a far parte del Coro e l’invito è rivolto a tutti coloro che intendono completare la propria dedizione alla Montagna attraverso il canto. Dopo gli “allori” del 60° di fondazione non si “dorme”: in questo periodo si stanno predisponendo a repertorio nuovi brani e si procede all’inserimento dei nuovi coristi. Ad inizio aprile, nell’Assemblea annuale del Coro, sono state presentate proposte di modifica allo Statuto atte a recepire il nuovo “status” di Coro CAI. È stata inoltre rinnovata l’iscrizione all’Associazione Cori Piemontesi... L’entusiasmo non manca per le numerose iniziative da condividere innanzitutto con i nuovi… pardon vecchi... amici del CAI.
Fra i diversi Maestri-Direttori ricordiamo il Maestro Armodio Cabiati che ha armonizzato molti brani per il Coro. Dal 2001 il complesso canoro è stato affidato al Maestro Flavio Duretto che ha saputo portare entusiasmo e nuove motivazioni. *** Nell’anno 2006, in occasione del 55° anniversario di fondazione, il Comune di Asti ha conferito al Coro l’Ordine di San Secondo.

Gemellaggi Asti - Biberach
Gemellaggio estivo
Gli escursionisti del CAI di Asti e del DAV di Biberach si sono incontrati, dal 20 al 23 agosto 2015, ai piedi del Monviso, presso la Locanda Pian della Regina, per il consueto gemellaggio estivo. Scrivono Andrea Accornero e Davide Bollano: “In questo bollente 2015 un weekend in montagna è perfetto, quindi perché non partecipare all’ormai classico gemellaggio italo-tedesco che quest’anno si svolge al Pian della Regina? Per due esordienti può essere un’esperienza interessante. Si può conoscere gente nuova, parlare e confrontarsi su cose diverse. Insieme abbiamo salito due cime nel gruppo del Monviso: il Viso Mozzo e Cima Meidassa, due escursioni di grande soddisfazione sia per noi che per gli amici tedeschi, guastate un po’ dalla nebbia che non ci ha permesso di godere appieno della vista sul Re di Pietra, ma almeno ha impedito all’“incavolatissimo” sole di farci arrosto! Pensiamo che questo tipo di incontri meriterebbe, da parte nostra, qualche presenza in più (solo 9 italiani e ben 19 tedeschi), ma possiamo ritenerci soddisfatti del fine settimana trascorso in amicizia, tra montagna, cene e un paio di merende che ci stanno sempre bene e ringraziamo i nostri amici per la loro partecipazione al gemellaggio 2015”. Heinz Switek ricorda: “Dopo il tradizionale Brotzeit (merenda) con specialità tedesche ed italiane, nel pomeriggio del giorno di arrivo, 27 entusiasti escursionisti hanno compiuto, tra le nuvole, una breve gita intorno alla Locanda. Solo in serata, il Monviso, colorato dagli ultimi raggi di sole, si è mostrato in tutta la sua bellezza. Il giorno dopo siamo saliti al Viso Mozzo (m 3.010). Anche in questo caso, le nuvole ci hanno rovinato il panorama ma, per la gioia dei fotografi, l’imponente vetta del Monviso si è mostrata, anche se solo per un attimo. Dopo una lunga discesa, la buona cena piemontese ha completato una giornata di successo. Sabato è iniziato con una sorpresa. Prima di partire per Cima Meidassa (m 3.187), dieci amici ci hanno raggiunto da Asti per compiere la gita con noi. Siamo quindi giunti ad una caserma in dismissione nei
cui pressi un gruppo di volontari stava rimuovendo il filo spinato della II Guerra Mondiale. Un significativo incontro tra diversi approcci alla convivenza pacifica degli europei: l’eliminazione di tracce di una guerra disastrosa e lo svolgimento di positivi gemellaggi internazionali. La cresta di Cima Meidassa ci ha offerto una visione grandiosa su tutte le montagne dell’arco alpino francese. Poi un’emozione speciale: il Buco di Viso, primo traforo delle Alpi, scavato nel XV secolo, che rese possibile il trasporto invernale del sale dalla Valle del Rodano al Piemonte. È stato impressionante osservare dall’uscita ovest le Alpi francesi. Una splendida giornata!”. La domenica il gruppo si è sciolto con la promessa di ritrovarsi il prossimo anno a Obernberg, in Austria, dal 18 al 21 agosto.
30° Gemellaggio invernale
Le riflessioni di Giorgio Pavesio: “3 - 6 marzo 2016: ce l’abbiamo fatta, sono passati trent’anni da quel 25 aprile 1987, quando un piccolo gruppo di soci della nostra Sezione saliva la cima dell’Adamello con un altrettanto piccolo gruppo di soci del DAV di Biberach, per celebrare in un luogo simbolo della storia e dell’odio fra nazioni il primo gemellaggio di sci alpinismo fra le due Sezioni. Abbiamo fatto tanta strada (e tanti metri di dislivello) insieme ed abbiamo cementato quel sentimento di amicizia che è l’anima dei nostri incontri; alcuni amici della prima ora non ci sono più, ma coloro che tengono vivo lo spirito del gemellaggio continuando sulla strada tracciata, li ricordano come fossero ancora presenti. Ho partecipato al primo gemellaggio per la curiosità di stare qualche giorno con un gruppo di “tedeschi” e scoprire così le diversità che marcavano la differenza fra i due popoli. Trent’anni di frequentazione, prima esclusivamente durante il gemellaggio, poi combinando insieme qualche giorno di ferie in montagna, partecipando alle feste tipiche delle due città, ritrovandoci, quando possibile, fuori dalle occasioni ufficiali, hanno cementato una splendida e profonda amicizia fra persone che abitano in luoghi lontani e che, nonostante le poche possibilità di incontro, mantengono durante l’anno i contatti con i semplici gesti che abitualmente ci si scambia fra amici: la cartolina dalle ferie, la mail per avere notizie, la telefonata per la nascita del nipotino… Trent’anni sono tanti: chi nel 1987 mi dava conforto nella salita aspettandomi e spronandomi, ora accusa la fatica e ha qualche difficoltà a mantenere il passo, mentre io continuo ad avere sempre la stessa “facilità” di progressione di allora (agile e scattante come un gatto di marmo). Questo mi porta a fare una riflessione sul ricambio generazionale che in questi anni non c’è stato: continuando così, inevitabilmente si giungerà alla fine del gemellaggio per “raggiunti limiti d’età” dei partecipanti. I nostri amici di Biberach stanno facendo delle considerazioni sulle modalità di organizzare e di vivere il gemellaggio e si stanno interrogando sulla validità della formula attuale e su possibili diverse forme di incontro per mantenere viva questa splendida tradizione che tanto ha dato a chi ha partecipato; forse
sarebbe giusto che anche noi ci ponessimo delle domande e ipotizzassimo delle risposte per cercare di mantenere vivo lo spirito di questi trent’anni. Il trentennale è stato bellissimo: in una valle meravigliosa, nei pressi di Innsbruck, a Praxmar, nelle Alpi dello Stubai, in uno splendido rifugio/albergo posizionato all’inizio di innumerevoli possibilità di escursione, con tempo buono giovedì e venerdì, decoroso sabato, brutto per l’addio; il CAI ha donato una targa commemorativa e offerto magnum di Barbaresco, il DAV ci ha regalato una rivista sul trentennale che raccoglie foto e impressioni delle gite del passato... Che emozione! L’anno prossimo saremo noi a dover organizzare e, come sempre, sarà un successo di pubblico e di critica”.


La Castagnata sociale
di Cristina Rolla
Castagnata, intesa quale gita conclusiva dell’attività sociale estiva, così chiamata perché sempre effettuata ad inizio autunno
È grazie ai ricordi di Franco e di Elio, i due storici “castagnari”, che riusciamo a risalire alle origini di questa giornata sociale, tradizione consolidata della nostra Sezione. Negli anni 1973-1974 si decise, su proposta di Franco Gentile, di organizzare, alla conclusione del Corso di Alpinismo, una piccola festa con distribuzione di castagne per gli appassionati accompagnatori di tutte le uscite, presso la Palestra degli Astigiani in Val Maudagna. Pochi anni dopo, Vincenzo Brosio, vista la numerosa partecipazione e l’interesse suscitato, propose di programmare più accuratamente la giornata di “festa” aggiungendo la polenta. Questa decisione comportò un’organizzazione molto più complessa. Un nutrito gruppo di soci si assunse quindi il compito di procurare pentoloni per la cottura della polenta normale e di quella concia, bruciatori, bombole di gas, ingredienti vari, senza tralasciare la predisposizione dei trasporti e la scelta della località idonea allo scopo, cui seguivano la richiesta dei permessi necessari e gli accordi con le Autorità preposte. Il giorno della Castagnata tutto il necessario veniva portato con mezzi propri sul luogo prescelto o in prossimità ed eventualmente caricato in spalla fino al punto di lavoro! Naturalmente, come si suol dire, l’appetito vien mangiando… fu pertanto aggiunto un accompagnamento per la polenta: peperonata e salsiccia. Ancora non soddisfatti si pensò ed attuò la distribuzione della colazione consistente in pane fresco e salumi, pane con gorgonzola e uva senza dimenticare




la “soma d’aj”; è sottinteso che il tutto veniva accompagnato da ottimo vino ed acqua. I commensali, sempre numerosi, giunti in loco con gli autobus o le proprie vetture, partecipavano con un contributo non più richiesto a partire dall’anno 2005. Prima di accodarsi per il piatto di polenta, erano liberi di fare le passeggiate consigliate nella zona. Non sempre il meteo fu favorevole, si trovarono giornate con tempo anche decisamente brutto, ma si riusciva ugualmente a completare la festa. Inizialmente, solo per pochi anni, alcuni giovani organizzavano giochi per i partecipanti più piccoli. A fi ne anni ’90 subentrarono normative sanitarie, relative alla preparazione e distribuzione dei cibi, troppo stringenti per le nostre possibilità; si decise quindi di appoggiarsi a Pro Loco che avrebbero pensato a tutto, tranne alle castagne ed al vin brulè. Così avvenne nel ’98 e nel ’99, ma i costi elevati, l’organizzazione sempre più articolata con tempi lunghi e le diverse esigenze dei partecipanti, imposero soluzioni di altro tipo. Nel 2000, uno staff rinnovato, coadiuvato dai “mitici castagnari” ha quindi deciso di modifi care l’off erta proposta, optando per la scelta di località con strutture ricettive (rifugi, trattorie, Pro Loco) in grado di accoglierci ed ospitare un certo numero di commensali, e con una zona, anche coperta in caso di maltempo, ove gli organizzatori potessero preparare le tradizionali caldarroste accompagnate dall’ottimo vin brulè. La nuova formula è tutt’ora gradita dai numerosi partecipanti, pertanto in questi ultimi due decenni l’appuntamento si ripete, come da tradizione, la seconda domenica di ottobre quando soci, famigliari e amici dell’Associazione si ritrovano a trascorrere questa giornata in allegria, a conclusione delle molteplici attività annuali. Nella mattinata sono proposte escursioni di diversa durata e diffi coltà, sempre con l’ausilio degli accompagnatori sezionali; il pranzo è al sacco o, per chi lo preferisce, presso i locali della struttura prescelta; al pomeriggio la festa è allietata dalle immancabili caldarroste, dall’inebriante “vin brulè” e dalle deliziose leccornie dolci e salate off erte dai partecipanti. Dal 2004 si uniscono a noi gli amici del C.R.A.S.L. (Circolo Ricreativo dei dipendenti A.S.L. di Asti). Sempre di maggior rilievo è inoltre la presenza dell’Alpinismo giovanile. Cristina, Sergio, Franco, Elio, Bruno, Emilio, Gianni, unitamente allo staff , confortati dalle 200-250 presenze annuali, cercano di individuare località sempre nuove per far conoscere ed apprezzare angoli diversi delle nostre amate montagne piemontesi. Tra i luoghi proposti in questi cinquant’anni, ricordiamo Balme, Val Chiusella, Croce Fieschi, il Santuario di Valmala, Bousson, San Bernolfo, Chiapili di Sotto, Montebracco, Celle di Macra, Becetto di Sampeyre, Roccabruna, Montemale, Valloriate, Caprauna, Merana, Montoso…









L’Ordine di San Secondo
Giovedì 26 settembre 2013, nell’ambito di una manifestazione pubblica alla presenza delle Autorità cittadine, è stato consegnato alla nostra Sezione l’Ordine di San Secondo. Lo speciale riconoscimento, tradizionalmente attribuito a persone o enti che si sono particolarmente messi in luce con attività, azioni e iniziative a favore della comunità astigiana, era stato assegnato il 7 maggio 2013 nella ricorrenza di San Secondo; consiste in una spilla in metallo prezioso del Santo Patrono di Asti e in una pergamena riportante l’immagine del Santo, lo stemma del Comune, il nome dell’insignito e la motivazione.

L’archivio storico
Nel 2004 abbiamo aderito al progetto pilota nazionale per censire, recuperare e conservare, secondo criteri tecnici e scientifi ci uniformi, gli archivi storici sparsi sul nostro territorio, fi nanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e coordinato dal Dott. Gino Bogliolo della Provincia di Asti. La nostra socia Wanda Gallo, archivista professionista, su mandato del Consiglio Direttivo, ha proceduto al riordino e alla schedatura sia del materiale cartaceo, dal 1921 al 2003, sia del consistente repertorio fotografi co, con l’elaborazione di un inventario informatico. Questa operazione si è conclusa con il sopralluogo e la certifi cazione da parte del funzionario preposto della Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta in data 24.01.2006. Tale attestazione formale conferma l’interesse storico e il rilievo pubblico di questo nostro patrimonio per cui ci vincola a non alienarlo né smembrarlo, a conservarlo in un luogo idoneo e renderlo accessibile e consultabile. Sempre nel 2006 si è proceduto alla digitalizzazione delle nostre 1.400 fotografi e storiche, per migliorarne la fruibilità. Tutto ciò ci colloca tra i soggetti che hanno a cuore la tutela, la gestione e la valorizzazione del patrimonio culturale locale e queste prerogative, unitamente al requisito di oltre 80 anni di fondazione, ci hanno consentito di venire annoverati nell’Albo Regionale delle Associazioni Sportive e Storiche Piemontesi.

Luca, 17 marzo 2021
di Andrea Bormida
Abbiamo chiesto ad Andrea Bormida, Istruttore Nazionale di Sci alpinismo, uno dei nostri giovani più promettenti, capace di scendere pareti estreme e compiere arrampicate di grande difficoltà, di narrarci alcune delle sue imprese. Andrea ha invece preferito scrivere, anziché delle sue indubbie capacità, di un’amicizia, di sentimenti e forti legami… Questa scelta, dopo un attimo di sconcerto, ci ha riportato alle parole scritte circa 50 anni fa, da un altro grande alpinista, Gene Novara, in ricordo del suo amico Enzo Faletti. Inevitabile per noi una riflessione, la nostra Sezione annovera sì tra le sue fila sportivi dalle memorabili imprese, ma soprattutto “grandi” uomini che celano una profondità d’animo non comune. Sarà forse questo il più importante obiettivo raggiunto nei nostri 100 anni di storia sezionale?
Non nascondo che la richiesta di alcuni componenti della Redazione di Asti Montagna di parlare della mia attività in montagna, iniziata proprio al CAI di Asti, mi abbia lusingato. Ho cominciato a frequentare la Sezione verso la fine degli anni ’90, ancora liceale. Il CAI mi ha offerto l’occasione di conoscere persone e di fare esperienze dando sfogo ad una passione che fin da ragazzino ho coltivato. Ho sempre cercato di frequentare la montagna in tutte le stagioni con una predilezione per l’alpinismo e lo sci alpinismo. Quest’ultima sbocciata con prepotenza nella primavera del 2001. Dopo una certa riflessione, qui però decido di declinare questo invito a parlare della mia attività. Il 17 marzo 2021, Valle del Gran San Bernardo, in un incidente in valanga ci ha lasciato Luca.

Luca Pandolfi è anche lui Astigiano, non penso abbia mai fatto parte del Sodalizio del CAI con una tessera o altro, anzi, dissacratore come era, facilmente ha sempre un po’ schernito il prototipo del “caino” in giubba rossa, patacca ben in vista e tono di voce “da farsi riconoscere” durante le tappe ai rifugi. Luca era uno snowboarder, certamente uno dei primi in Italia che ha cercato di vivere della sua passione, una passione per la neve e la tavola da snowboard. Luca non era un alpinista nel senso stretto del termine, era un viaggiatore e uno sciatore. Un avventuriero romantico. Eclettico e naif. Luca l’ho conosciuto nel modo più strano che si possa immaginare. Al CAI di Asti. Agli inizi degli anni 2000, appena approdato all’università, ero solito passare il venerdì sera in Sezione per capire se c’era qualcuno con cui combinare le uscite del week end. In quei mesi avevo trovato in Diego Margiotta un socio abituale ed affidabile (ancora adesso ci leghiamo o sciamo assieme seppur con meno frequenza), anche lui forse un po’ fuori dai canoni del Sodalizio. Stavamo parlando del più e del meno quando sulla bacheca della Sede di Viale alla Vittoria rimango colpito da un post che definire atipico per quel luogo forse è riduttivo: “Cerco soci per sciare il Marinelli”… Luca e il numero di cellulare. In quegli anni sciare il Canalone Marinelli sulla parete Est del Monte Rosa ci appariva una cosa grandiosa e ancora ben al di fuori delle nostre possibilità. Rimasi così interdetto e incuriosito che mi segnai quel numero, non certo per organizzare quella discesa (che avvenne per me quasi quindici anni dopo) ma perché avevo capito che avrei trovato a rispondermi un personaggio fuori dagli schemi, malato di neve, una persona che meritava conoscere. Con Luca divenimmo amici, abbiamo condiviso per lo più giorni in fuori pista dopo le grosse nevicate invernali sul Rosa intorno al 2003-2004 quando la corsa alla polvere stava appena iniziando e gli ski bum del Nord Europa erano i primi a fare sfoggio di alcuni sci larghi. Passavamo a prendere Luca sulla strada che porta a Gressoney, dove si era stabilito. Sapeva di fuliggine quando saliva in macchina perché il suo appartamento era riscaldato solo con una piccola stufa a legna. Ridemmo quando ci raccontò che la ragazza dell’epoca era parecchio adirata perché a stare in quel sottotetto umido si era ammalata. Lui era venuto a sciare con noi. Poi Luca si spostò a Chamonix e credo di non aver più sciato con lui. Ci sentivamo regolarmente, ci insultavamo regolarmente, ci canzonavamo regolarmente. Gli dicevo che non aveva gamba. Intanto lui aveva sciato il Gran Couloir della Sentinella Rossa sul versante Brenva del Bianco. Avventura psichedelica per modi e concezione. Pando l’aveva sciata, così come era stato in una miriade di posti con quel suo fare scanzonato e la sua tavola sotto ai piedi. Questo Sodalizio mi ha dato tanto specie in termini umani. Mi ha dato l’occasione anche di conoscere un altro Astigiano. Il Pando. Ciao Luca.

Diretta al Centenario - Punta Venezia
di Diego Gherlone
Come sempre le idee migliori arrivano così, un po’ a caso… Dopo un’uscita del Corso di Alpinismo si stava discutendo su cosa poter fare per festeggiare il Centenario della nostra Sezione. Si volava con il pensiero a spedizioni ed avventure del passato, ma purtroppo il tempo libero per poter organizzare quel tipo di “viaggi” è sempre meno. Ad un certo punto Elio ci riporta all’attenzione con il suo tipico “Di, banda ad lőfii, alura… apriamo una via su Punta Venezia?”. Wow... che splendida idea! Elio ci spiega di aver avvistato, proprio durante una giornata del Corso una bella linea, che parte dalla base della parete e dovrebbe sbucare direttamente al bivacco situato proprio sotto la Croce. Così quel giorno tra una battuta e l’altra si discute più o meno seriamente su come organizzare il tutto e si torna a casa. Dopo qualche tempo… taaacc sul mio cellulare compare un gruppo whatsapp “Diretta al Centenario Punta Venezia”. Ah… allora qui si fa sul serio! Iniziano i preparativi; come prima cosa si decide che la via deve essere “aperta” dal basso e che deve mantenere una difficoltà media in modo tale da poter essere percorsa anche dai futuri corsi CAI. La parete verrà allestita con spit dove necessario, ma lasciando la possibilità di integrare con protezioni veloci. Arriva finalmente anche una bella fotografia di Punta Venezia dove viene tracciata l’ipotetica linea individuata. La nuova via dovrebbe salire tra due vie già esistenti, Erika e La via dei Torrioni. Nei mesi successivi prosegue l’organizzazione pratica dell’avventura, si acquista il materiale, si preparano i trapani e si affilano le punte. Per fortuna la parete si trova a cinque minuti dal Rifugio Vitale Giacoletti, appoggio perfetto per i lavori. Questa è un’ottima soluzione anche perché, essendo la parete di 400 m,
stimiamo che saranno necessari due interi week end per concludere l’allestimento e probabilmente ci saranno 10/12 tiri di corda. Il 20 settembre 2019 si parte! Carichi come muli, dal Pian del Re ci avviamo verso il Giacoletti. Naturalmente a noi piace trovare lungo, nonostante il comodissimo rifugio, decidiamo di dormire in tenda quindi, oltre al molto materiale per l’ascensione, aggiungiamo anche sacchi a pelo e tende! Non so perché andarci a creare quest’ulteriore disagio, ma forse è stato naturale allestire un vero e proprio campo base per entrare maggiormente nell’ottica dei “primi apritori”. Montato il campo si iniziano i lavori in parete. Tre cordate composte da tre persone si dividono il lavoro dell’apertura. C’è chi va da primo di cordata con friend e chiodi, chi fora per gli spit, chi li avvita, chi pulisce la via, chi passa e si segna la descrizione per la relazione. Trovare la via corretta non è così facile e spesso improvvisiamo riunioni in parete per decidere la direzione più logica aiutati da alcuni membri della squadra rimasti a terra con le radioline. Il secondo giorno inizia all’alba perché il meteo sembra peggiorare nel pomeriggio. Scaliamo i primi tiri già fatti e proseguiamo nella realizzazione di altri tre, prima di doverci ritirare per la pioggia ed il freddo. Sul sentiero di ritorno ragioniamo su quanto fatto fino ad ora; la via è bella! Ottima roccia compatta e della difficoltà che cercavamo. Abbiamo esagerato un po’ sulla partenza del secondo tiro che così com’è, sarebbe gradata 6b; la prossima volta che si tornerà, cercheremo una variante più “umana”. L’idea è quella di concludere la via in tarda primavera in modo tale da renderla di dominio pubblico durante l’estate. Purtroppo a causa delle restrizioni imposte a seguito della pandemia di Covid-19 non sarà possibile, così ci ritroviamo di nuovo al nostro campo base vicino al Giacoletti ad agosto 2020. Metà via è fatta, e noi siamo carichi come non mai. Le prime cordate raggiungono velocemente l’ultima sosta attrezzata l’anno precedente, mentre le cordate dietro verificano che soste e spit siano tutti in ordine. Quest’anno siamo già rodati nei meccanismi e siamo molto veloci, la seconda parte della via è leggermente più appoggiata, ma bisogna fare attenzione alla roccia che non sempre è di ottima qualità. In più dobbiamo cercare di salire più dritti possibile per evitare di incrociare le vie a fianco. Metro dopo metro, con molta goliardia arriviamo a quella che sembrerebbe l’ultima sosta e, proseguendo su facili balze rocciose, ad un certo punto vediamo davanti a noi il Bivacco di Punta Venezia! È fatta… “Diretta al Centenario” sbuca esattamente dove ci eravamo prefissati! È un momento di grande gioia e soddisfazione. Ci abbracciamo tutti e dopo le foto di rito scendiamo verso il rifugio che ci aspettava già con la pasta nel piatto, ma soprattutto buon vino per i festeggiamenti. È stata una gran bella avventura che ci ha permesso sia di crescere in esperienza che di legare ancor più il rapporto del gruppo. Il pensiero che il nostro lavoro permetterà ad altre persone di scalare divertendosi come facciamo noi tutte le domeniche è molto appagante, ma quello che rende ancor più speciale ed un po’ mistica questa avventura, è sapere di essere i primi esseri umani ad aver toccato quella roccia da quando è stata creata. Impagabile.


La palestra di arrampicata indoor
di Alberto Pautasso
Tutto ha inizio nel 2006, quando Pietro Scassa, padre del grande arrampicatore astigiano Severino Scassa (primo 8c+ italiano, primo europeo a salire un 8c in giornata, oltre a svariate partecipazioni a competizioni internazionali), inizia i lavori per la palestra di arrampicata del CAI di Asti. Come un moderno Efesto, forgia nella sua bottega tutte le staffe e i supporti per i pannelli e, grazie agli sforzi non solo fisici (dato che molte giornate in falesia sono state sacrificate) dei volontari e Istruttori del CAI, la palestra vede la luce. Da quel momento la palestra diventa il luogo di riferimento degli arrampicatori astigiani, una specie rara in quegli anni, che tra un fine settimana e l’altro combattono la nostalgia da roccia con lunghe sessioni di allenamento o con giocose serate all’insegna di boulder e circuiti tracciati sul momento, birra calda e magnesite. Nel 2011, Marco Giampietri, Istruttore Nazionale di Arrampicata, e Alberto Pavese, giovane e appassionato arrampicatore con importanti realizzazioni a curriculum, fondano la ASD Asti Climbing. Da quell’anno l’ambiente dell’arrampicata astigiana aumenta notevolmente il numero di seguaci e tra la migliorata gestione, la qualità della tracciatura e l’annuale pulizia e rimontaggio delle prese, la palestra propone un ambiente funzionale a divertimento, allenamento e condivisione. Oltre ad offrire un approdo sicuro per i fanatici astigiani della resina, l’Asti Climbing inizia la collaborazione con le scuole astigiane e i centri estivi per lezioni e allenamenti, propone inoltre corsi per bambini dai 5 ai 13 anni che vogliano avvicinarsi al mondo dell’arrampicata. Nella primavera del 2020 il muro ha goduto di un nuovo e importante restauro con un’intera sezione

integralmente ricostruita con pannelli di altissima qualità da Explore Climbing, società gestita da Alex Ruscior e Read Macadam, canadese residente ora in Italia, che ormai da anni costruiscono palestre e muri da arrampicata di invidiabile livello. Il nuovo muro, costellato dalle modernissime (e costosissime) prese in poliuretano, promette emozioni e dita spelate a tutti i climber della provincia. Dopo le chiusure dovute alla pandemia (da febbraio a maggio 2020 ed ancora nell’ottobre 2020), dal 24 maggio 2021 la palestra è nuovamente operativa con nuovi boulder, circuiti, trave, pan Gűllich e un assortimento di strumenti per l’allenamento a secco a disposizione di chiunque voglia esercitarsi per salire la via che lo ossessiona, per risolvere blocchi sempre nuovi di tutte le difficoltà o anche solo per passare una serata in compagnia tra magnesite e resina al grido di: Alè! La prima scalata
di Lucio Rinetti
L’entusiasmo di un bambino, Lucio, che oggi è una delle nostre punte di diamante, Istruttore Nazionale di Alpinismo, membro della Scuola di Alpinismo LPV
Mi chiamo Lucio, ho nove anni: anch’io sono venuto con la mia famiglia all’Accantonamento estivo del CAI di Asti. Il Rifugio Galassi è una vecchia caserma ora restaurata; di fianco c’è un campo da bocce dove trascorro momenti divertenti. Siamo circondati da alti monti, tra cui spicca l’Antelao. Oggi cinque agosto (1993 - ndr) sono stato invitato a partecipare ad una gita impegnativa. Ieri abbiamo fatto i preparativi per questa arrampicata su roccia: mi sento molto eccitato perchè so di dover affrontare la mia prima via ferrata. Nello zaino papà e mamma hanno la corda, i moschettoni, le fettucce e i baudriers o imbragature. Il sentiero che porta alla via ferrata passa nel mezzo di un ghiaione scosceso: finalmente eccoci sotto la parete! Sono in cordata in mezzo alla mamma e al papà che mi aiutano a salire e mi assicurano alla corda fissa. Io mi sento sicuro e tranquillo, anche se la salita è molto aerea. Quando arrivo in cima sono stanchissimo, ma tanto contento perchè sono arrivato bene e tutti gli amici si congratulano con me. Questa sera in rifugio ci sarà grande festa in mio onore, come facciamo sempre per tutti quelli che hanno terminato con successo una scalata.
