4 minute read

Ambiente - Doganaccia | A proposito di sostenibilità

Alla luce di un ennesimo progetto di ampliamento di un’area destinata allo sci invernale, ragioniamo sulle necessità dell’Appennino e dei suoi abitanti e di cosa sia auspicabile per il loro futuro

di Raffaele Marini, Presidente Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano

Advertisement

Ed eccoci ancora a ragionare, analizzare e scrivere su di un ennesimo progetto di ampliamento di un’area sciabile e connessi impianti tecnici di funzionalizzazione. Non è nelle nostre intenzioni e consuetudini ragionare per schemi aprioristici, bensì cercando di avvicinarci alla questione con uno sguardo il più possibile obiettivo e disincantato. Partiamo quindi dalla considerazione generale che l’industria sciistica ha senza dubbio rappresentato negli scorsi decenni un importante fattore di crescita economica delle aree di montagna. Ancora oggi, la redditività economica delle imprese che gestiscono gli impianti sciistici non sembra, per la maggior parte dei casi, ancora minacciata, anche se un certo numero di esse beneficia di sovvenzioni pubbliche, malgrado si conoscano numerose stazioni in difficoltà o abbandonate. Per quanto riguarda la redditività delle società di gestione degli impianti, le dimensioni dei comprensori sembrano giocare un ruolo fondamentale non disgiunte dalle mutate condizioni meteo climatiche che, di fatto, riducono la quantità complessiva dell’innevamento naturale sia in termini quantitativi sia di periodo.

il Lago Scaffaiolo visto dal Rifugio Duca degli Abruzzi

il Lago Scaffaiolo visto dal Rifugio Duca degli Abruzzi

INNEVAMENTO ARTIFICIALE

Questa situazione ha spinto la quasi totalità delle stazioni sciistiche a dotarsi di impianti di innevamento artificiale per assicurare una durata economicamente accettabile alla stagione sciistica. Tali impianti implicano notevoli investimenti finanziari per la costruzione della rete idrica e dei bacini di raccolta, oltre a un grande consumo di energia e di acqua, che viene sottratta agli ecosistemi o ad altri usi. Le più quotate Società di produzione e costruzione di impianti di innevamento “tecnico” (così lo definiscono), affermano che il 90% delle stazioni sciistiche alpine e il 70% di queste stazioni sull’Appennino sono dotate appunto di questo tipo di impianti. In Appennino le conseguenze del riscaldamento globale e dei cosiddetti cambiamenti climatici sono ormai evidenti. Un altro elemento determinante riguarda le considerazioni che i più quotati analisti di settore compiono, fra i quali spicca Laurent Vanat con il suo annuale report, iniziando a definire il cosiddetto mercato dello sci quale un mercato maturo almeno a livello italiano e in parte europeo. La prova di ciò lo si ha nella sempre maggiore spinta sia alla destagionalizzazione proponendo gli impianti di risalita non solo come funzionali alla pratica dello sci di pista, ma quali mezzi di trasporto pubblico (naturalmente ecosostenibile), sia alla realizzazione dei cosiddetti collegamenti intervallivi per ampliare l’offerta dei vari comprensori. Sono segnali di forza e di intraprendenza industriale o di debolezza del sistema ?

la valle di origine glaciale sul versante emiliano, tra il Monte Corno alle Scale e il crinale Monte Cupolino - Monte Spigolino (foto Mauro Chessa)

la valle di origine glaciale sul versante emiliano, tra il Monte Corno alle Scale e il crinale Monte Cupolino - Monte Spigolino (foto Mauro Chessa)

COSA SERVE ALL’APPENNINO?

Inoltre si assiste a una massiccia immissione di fondi pubblici sia per realizzare questi nuovi impianti sia per finanziare le cosiddette razionalizzazioni e funzionalizzazioni di quelli esistenti. Ma l’Appennino Tosco-Emiliano ha proprio bisogno di tutto ciò in prospettiva futura? Vero è che l’amministratore locale può farsi identificare come colui “che ha portato ingenti risorse sul territorio”, senza però verificare la sostenibilità economica dell’investimento, a maggior ragione se sostenuto da fondi pubblici e quindi dalla collettività. Sembra che non vi siano alternative. Probabilmente allargando lo sguardo e la riflessione a orizzonti un po’ più di medio termine potremmo convenire sul fatto che in questa situazione di stagnazione duratura del mercato sciistico, forte concorrenza internazionale, cambiamenti climatici in corso e conflitti con la protezione della biodiversità, è necessario profilare un tipo di sviluppo delle aree montane che proponga una riflessione profonda sull’economia dello sci da discesa e, nel contempo, offra delle valide alternative alle comunità di montagna, ovunque risiedano e indipendentemente dalla presenza di impianti di risalita. Le comunità appenniniche hanno in sé tutte le risorse ambientali, culturali e valoriali per sperimentare quel che comunemente viene definita economia territoriale diffusa, dove il territorio e le popolazioni che lo abitano e lo mantengono si mettono in gioco per essere attori primi del loro presente, ma soprattutto del futuro che consegneranno ai loro figli, senza farsi dettare agende e modelli di vita da terzi. Ciò, per ora in linea teorica, viene definita sostenibilità.