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Segnali dal clima | La sfida del tè

Temperature in aumento e piogge irregolari minacciano le migliori qualità di tè, imponendo radicali cambiamenti nei metodi di coltivazione

Agli italiani, fondamentalmente bevitori di caffè, può sembrare strano, ma la bevanda analcolica più consumata al mondo è il tè, che accompagna la vita quotidiana di oltre metà dell’umanità pervadendo la cultura e le abitudini di moltissimi popoli. Dagli onnipresenti banchi fumanti nei mercati e nelle strade dell’India e della Cina rurale ai samovar luccicanti della tradizione russa, dai salotti inglesi alla cerimonia del tè giapponese, le foglie della Camellia sinensis hanno conosciuto una straordinaria diffusione, che in molti Paesi si traduce anche in una consolidata realtà economica in forte crescita. La produzione globale è più che raddoppiata negli ultimi vent’anni per assecondare la richiesta dei consumatori, particolarmente vivace in Cina che è anche il principale produttore: assieme a India, Kenya e Sri Lanka il gigante asiatico produce quasi l’80% del totale mondiale. La pianta del tè è originaria delle regioni di media montagna del sud-est asiatico e, con la sottospecie assamica, dell’India nord orientale; è una pianta molto resistente che può essere coltivata in regioni con climi differenti, ma le produzioni migliori si ottengono fra i 600 e i 2500 metri, in presenza di un’alta piovosità e con temperature variabili fra i 14 e i 30 C°. In molte regioni queste condizioni ottimali stanno rapidamente cambiando: temperature in aumento e precipitazioni intense alternate a periodi di siccità stanno già influenzando la crescita delle piantagioni di tè e le stagioni del raccolto, modificando le qualità del prodotto soprattutto nelle sue caratteristiche organolettiche e nella concentrazione dei diversi componenti chimici, in particolare i composti antiossidanti (fenoli) e la teina (nome alternativo della caffeina), che conferiscono alla bevanda la caratteristica fragranza e gli effetti benefici. In breve, i tè più pregiati, gradevoli al palato e ricchi di sostanze attive, crescono a quote medio-alte e con temperature più fresche. Con queste premesse è facile capire come il cambiamento climatico rappresenti una vera sfida per il futuro del tè di alta qualità, con una sensibile riduzione delle superfici idonee. Dove è possibile – come nello Yunnan, la principale zona di produzione cinese – probabilmente si assisterà a un graduale spostamento verso nord delle piantagioni, mentre altrove lo slittamento sarà in senso altitudinale, il che comporterà una diminuzione delle superfici idonee. Sarà, comunque, un processo graduale e che richiederà notevoli finanziamenti, anche in considerazione della lunga vita produttiva delle piante, che può arrivare a circa un secolo, e a essere maggiormente penalizzati saranno inevitabilmente i coltivatori di piccoli appezzamenti. Una soluzione interessante sembra essere l’agroforestazione, la pratica cioè di piantumare con alberi adatti le coltivazioni già esistenti, fornendo così una sorta di rada copertura che ha positive ricadute colturali ma anche ambientali: in tal modo si mitigano le temperature diminuendo l’insolazione diretta, si riducono la perdita di umidità nel suolo e l’erosione e si favorisce la biodiversità, il che significa meno parassiti e minore necessità di pesticidi rispetto alle monocolture; e la semina di legumi fra i filari di Camellia può arricchire il terreno limitando l’uso di fertilizzanti e fornendo inoltre una produzione aggiuntiva. Queste modalità colturali sono già state sperimentate con successo nella regione di Darjeeling, da dove provengono i più pregiati tè indiani, e nello Sri Lanka.

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