La mia routine

Daniè, ti va di fare una web serie? Così cominciò tutto. E Daniele Ciniglio si mise di santa pazienza a scrivere e a girare, senza alcuna preparazione, 15 episodi da 10 minuti, con 60 ragazzi coinvolti. In breve, divenne un «fenomeno da social».

Dopo aver conquistato il web con la “sua routine”, Daniele Ciniglio approda in libreria. Questo volume raccoglie i testi dei suoi monologhi più amati, alcuni episodi della sua famosa sit-com e infiniti aneddoti e retroscena raccontati in prima persona, divertenti e profondi allo stesso tempo.

Prefazione di Paolo Caiazzo ISBN: 979-12-80772-06-0

burno.it EURO 19,90

la mia routine

Questo non è un romanzo, non è una biografia, non è un saggio documentaristico e non parla di sensazionali scoperte. Insomma, vi starete domandando «e allora cosa c’è di interessante in questo libro?». Questa domanda l’abbiamo fatta all’autore e non ci ha saputo dare una risposta. «In queste pagine ci sono storie,» ha detto, «alcune reali e altre meno, ma sono tutte vere. Ecco, se dovessi dirvi cosa c’è in questo libro vi direi: la verità».

daniele ciniglio

«LA MIA ROUTINE È FATTA DI SCELTE. E LE SCELTE FARANNO SPAZIO ALLE EMOZIONI. QUELLE TROPPO BRUTTE DA VIVERE O QUELLE COSÌ BELLE DA MORIRE.»

DANIELE CINIGLIO

LA MIA ROUTINE

PREFAZIONE Tempo fa, ma non molto a dire il vero, in una chiacchiera informale mi comunicò il desiderio di pubblicare un libro come realizzazione di un ennesimo sogno. Quando fa così Daniele m’intenerisce!

Poi aggiunse: «Se dovessi riuscirci mi piacerebbe avere una tua prefazione».

Quando fa così… mi scioglie!

E poi concluse, dopo una pausa teatralmente perfetta: «Per me sarebbe un onore!»… m’ha fatto!

Una prefazione a un esordio letterario è comunque una responsabilità. Metti che il lettore ignaro apra la prima pagina per capire di cosa si tratti e legga la mia apertura?

Se non fossi convincente? Se si scocciasse e rimettesse il libro nello scaffale? Se invece decidesse di comprarlo ma avessi alzato troppo le aspettative?

Mentre la mia mente combatteva con questi interrogativi la mia voce partì d’istinto: «Ma certo Daniè… sarà mio l’onore».

A questo punta la mente, indispettita dal tradimento frettoloso delle corde vocali cominciò ad analizzare la situazione: «Vabbè… mentre scrive sto libro, avrò un po’ di tempo… poi, come tutti i giovani, può darsi che cambia idea!». La settimana successiva mi arrivò la mail con la copia digitale. Allora lo tenevi già pronto… piccolo bastardo!

Naturalmente è un simpatico antefatto, una prefazione della prefazione (caso più unico che raro) per far comprendere la grande complicità che ci lega, nonostante la differenza di età.

Daniele per me è una piacevole conseguenza del Covid!

Proprio in quel periodo di reclusione massima mi segnalarono il video di un ragazzo. Lo guardai e mi colpì subito per la sua particolare forza interpretativa, per l’intensità del suo testo o… per un momento di personale debolezza emotiva dovuta al lockdown? Questo non lo dirò mai!

Lo contattai sui social per fargli i complimenti e dopo un breve scambio di messaggi ci promettemmo di incontrarci appena possibile.

5

Sono un po’ quelle cose che si dicono ma poi non si ha l’assoluta certezza di rispettare. E invece ci vedemmo per un caffè all’aperto e senza mascherina!

Da quel giorno condivido con lui diverse esperienze lavorative e artistiche e mi ha insegnato molte cose sulle nuove piattaforme d’intrattenimento. Recitando con lui spesso mi chiedono che grado di parentela ci sia tra noi. Nessuno!

Questo per dire cosa? Che probabilmente il pubblico, che vede sempre lungo, legge qualcosa che ci accomuna. La verità è che mi ha subito conquistato perché noto nei suoi occhi la stessa fiammella che avevo io anni fa, e allora ogni suo traguardo, come questo, mi rende felice!

Penso che avere tra le mani un libro con il tuo nome e la tua foto, per un autore sia una piccola consacrazione.

Non a caso ho usato il termine «autore» che è alla base delle sue performance.

In lui, già dai primi video che guardai, notai l’accuratezza nella scelta delle parole. Non potevano essere interpretazioni improvvisate di un grande oratore, ma il frutto di un intenso e scrupoloso lavoro di scrittura. In questo libro si alternano descrizioni e curiosità dei suoi monologhi visibili sul web, e i suoi «copioni». Un termine nobile questo ma anche riduttivo rispetto alla natura dei suoi pensieri. Li ho visti e li ho letti tutti e posso lanciarmi in una definizione, che potrebbe sembrare di parte (in effetti lo è… ma chi se ne frega). Per me è una raccolta di poesie perché, come quelle ben fatte, possono far vibrare le corde dell’anima!

Un po’ too much come considerazione? Sì, lo penso anch’io, ma ve l’ho detto che ci sono affezionato!

Leggendo però, questa volta, ho apprezzato meglio la sua penna. Carta e inchiostro sono gli unici elementi a sua disposizione ora. Non c’è luce, inquadratura, audio o smorfia a suo sostegno. Tutto è in forma cruda, è la sua versione «sushi», ed è risaputo che il prodotto allo stato naturale metta in risalto la qualità della materia prima!

Nell’affrontare questo viaggio vi consiglio di immergervi nei suoi pensieri e di catapultarvi nella sua stanzetta dalle pareti trasparenti, per comprendere a pieno la forza di alcuni concetti, l’impertinenza dei suoi punti di vista e le analisi satiriche dalla disarmante leggerezza.

6

Daniele mette cuore, passione e determinazione in tutto quello che fa e ha anche un grande coraggio nell’affrontare tematiche difficili o così ingombranti che facilmente potrebbero far cadere nella retorica, nello scontato o nella banalità. Lui non lo è mai.

Tra le tante cose che gli riconosco mi ha sempre colpito, in molti dei suoi video in solitaria, la voglia di raccontarsi e di portare al pubblico i suoi stati d’animo più intimi senza il timore di spogliarsi e di restare nudo davanti ai suoi follower. Possiamo definire questo libro il primo esempio di Onlyfans letterario!

Ho voluto concludere con una battuta con il gusto che abbiamo entrambi di alleggerire sempre non prendendosi troppo sul serio. Le cose toste vanno dette con il sorriso, e passano molto di più. Troverete allora tanti spunti di riflessione ma anche tante battute divertenti, sia nella parte narrativa che nei monologhi più seriosi in modo che, leggendo leggendo… vi farete certamente anche qualche sana risata!

Buona lettura e buon divertimento.

Paolo Caiazzo

7

1

LAVORARE SOGNANDO

9

1.1 LA MIA ROUTINE La mia routine è stata la mia prima macchina. Quella con cui ho fatto le mie prime guide. Senza patente. Facendola spegnere e ripartire, e rompendo tutti i paraurti. Mi ricordo quando è nato tutto.

C’era un mio amico, Antonio. «C’era» non perché è morto. C’è ancora. In queste storie c’è sempre un amico. Uno che viene nominato sempre, perché magari una volta ha detto ad un suo amico «oh ma perché non ci facciamo una partita di tennis?» e quell’altro poi magari era Nadal. E allora per il resto della sua carriera Nadal dirà che tutto è iniziato grazie a quell’amico. Che magari quel giorno gli ha chiesto di giocare a tennis ma così, tanto per cambiare dal solito caffè, e ha creato uno dei più grandi di sempre. Il vero genio non è Nadal, è l’amico di Nadal!

Sia chiaro: io non vorrei mai essere quell’amico. Perché ora a Nadal la carriera è andata com’è andata. Ma se fosse andata male? Voi avete capito che responsabilità teneva ’sto amico! Avrebbe passato tutta la vita a dirsi «ma nun era meglio nu cafè?».

Ecco, io non sono Nadal certamente ma ho anche io il mio amico. Antonio, vi dicevo. La cosa andò più o meno così.

Antonio: «Daniè ti va di fare una web-serie?».

Io: «Antò ma che ne so come si fa una web-serie!».

E lui: «Vabbè ma tu ti vedi un sacco di film!».

Che è un po’ come chiedere alla cuginetta che sta colorando i disegni prestampati «uè tengo da fare la facciata del palazzo, te lo vedi tu?».

Ma io quella volta risposi «okay!» e aggiunsi «però il caffè lo paghi tu!».

Ora se io quella volta avessi pagato il caffè probabilmente adesso non starei scrivendo questo libro e Antonio non pregherebbe ogni giorno che io continui a fare questo mestiere perché mo tene ’a responsabilità.

La mia routine, questo il titolo della serie, fu un esperimento pazzesco. Due stagioni, quindici episodi da dieci minuti.

11

Sessanta ragazzi coinvolti. Costo? Zero! Quando il Governo ha creato il bonus del centodieci percento ha preso spunto da La mia routine, ne sono certo.

Gli unici soldi che avevo a disposizione erano quelli che negli anni avevo messo da parte dai gelati dei nonni ed una piccola quantità avuta da alcuni sponsor locali che mi diedero i soldi non tanto perché credevano nel progetto, ma per la mia insistenza. Secondo me qualcuno era convinto che fossi un camorrista che andava a riscattare il pizzo.

Comunque, a costo sotto zero girammo tutto in un’estate e, a settembre, di ritorno dalla vacanze, sarebbe spettato al montatore l’arduo compito di mettere tutto insieme. Ovviamente, per ragioni economiche, il montatore ero io. E al ritorno dal mare l’hard disk che custodiva tutti file, sorpresa, si ruppe. Fossi stato nei panni di Antonio avrei pensato che avevo distrutto tutto io per evitare il montaggio, e forse l’ha pensato. In ogni caso, in quel momento di fronte a me si prospettò la fine del mio sogno, prima ancora di cominciare.

Quando si dice «a ciorta». Ecco, io non l’ho mai tenuta. E non la tenni. Dovevo decidere se abbandonare tutto oppure rifare tutto da capo, girare tre mesi, convocare gratis altre persone perché quelle di prima «ma chist è scemo, ha perso i video!» e imparare, per la prima volta, che significasse la parola perseveranza.

Scelsi la seconda strada e oltre alla parola perseveranza imparai pure la parola back-up perché da quel momento, dei miei video, me faccio sempre ’a copia!

12

LA MIA ROUTINE È FATTA DI SCELTE Tratto dalla web-serie La mia routine 27.09.2016

La mia routine è fatta di scelte.

Suona la sveglia: che faccio? Rimando o mi alzo?! Prima scelta.

E così via per tutta la giornata.

Sceglierò se fare colazione a casa o se prendere un caffè al volo. Se per andare all’università farò la solita strada o se passerò per il tabaccaio sperando di trovare la Clipper che tanto manca alla mia collezione. E poi magari sceglierò se saltare il primo corso della giornata o se seguire comunque con gli occhi attaccati allo schermo del cellulare. Sceglierò se fumare o no. Fumo attivo, intendo, perché quello passivo lo aspiri uguale. Sceglierò se dormire in classe o recuperare un po’ di sonno a casa, o se fare entrambe le cose. Sceglierò se guardare i Simpson dopo pranzo.

Scherzo, i Simpson non si rifiutano mai. Sceglierò se studiare il pomeriggio o se scendere con i ragazzi. Se andare alla solita festa di Nick o rimanere a casa con Ulderico per uno Scarabeo.

Sceglierò che faccia indossare, tutti i giorni.

La mia routine, dicevo, è fatta di scelte. E già mi vedo scegliere tra un mese o dieci anni.

Scelte del tipo: che cravatta indosserò oggi?

Uno o due cucchiaini di zucchero nel caffè?!

E poi mi guardo attorno e vedo la gente scegliere. Occhi di vetro. Sguardi eternamente indecisi alla ricerca ininterrotta della scelta giusta. E più ci pensi e più te ne allontani.

Come con la ragazza dei tuoi sogni. E poi arriva puntuale il momento in cui il pensiero diventa così forte da annebbiarti la mente. E tutte quelle scelte che vedevi davanti a te così nitide si perdono nel nulla. E allora agisci. D’istinto.

E la tua routine diventa il tuo attimo.

E le scelte faranno spazio alle emozioni.

Quelle troppo brutte da vivere o quelle così belle da morire.

13

23.09.2015 – Foto dal set de La Mia Routine 2

1.2 IL PRIMO AMORE NON SI SCORDA MAI Il teatro è stato il mio primo amore. Quello che ti rapisce e poi ti abbandona. E tu poi te ne fai pure una ragione. E da quando ho iniziato a fare il web si era sempre di più allontanata l’idea di performare dal vivo. La telecamera e la cameretta, ad un certo punto, diventano dei posti così rassicuranti che ti dici «ma chi me lo fa fare!». Ma poi i primi amori tornano e quella fiamma si può riaccendere.

A me è successo sei anni fa. All’alba dei miei ventuno anni, nonostante stessi frequentando un’accademia di recitazione cinematografica a Roma, decisi di iniziare a frequentare un corso di teatro dalle mie parti, così, giusto per tenermi in allenamento dopo gli studi accademici. Lì conobbi un capoanimatore di villaggi che mi disse «Daniè ma perché non vieni a farti la stagione con me? Secondo me ti diverti!».

Ora, dovete sapere che c’è un motivo per il quale, ad un certo punto, avevo scelto il cinema al teatro e le telecamere ai palchi: io della gente che mi guarda recitare un poco mi caco sotto. È come quello che sa cucinare bene ma se lo guardi gli viene tutto salato.

Ero titubante ad andare in animazione. Già solo a stare tre mesi lontano da casa senza conoscere nessuno, un poco, mi faceva andare in palpitazione. Avevo paura che da animazione a rianimazione il passo fosse veramente breve. Ma mi bastò il saggio di fine anno col corso di teatro per risvegliare quella fiamma da palcoscenico che sembrava essersi sopita. Accettai, quindi, di partire. Ma invece di tre mesi scelsi di farne uno e mezzo, che generalmente non si può fare, ma siccome il capoanimatore era amico mio mi disse di sì. Pure in animazione le cose funzionano all’italiana.

Il tempo in animazione funziona come la camera dello spirito e del tempo di Dragon Ball. Ogni giorno nel mondo reale equivalgono a due settimane in villaggio. Io arrivai dopo due mesi di lavoro iniziato da una squadra già bella che pronta. Vi racconto il mio arrivo. Immaginate di essere nei panni del resto della equipe, dove l’ultimo arrivato in squadra era lì già da almeno venti giorni, che nel tempo da villaggio significa un anno almeno. Dicevo, immaginate di essere nei loro panni: la sentite la puzza?

15

No?! Dovreste. Perché sicuramente quei panni puzzavano di sudore. Ora vedete arrivare di fronte a voi un ragazzino di ventun’anni, fresco fresco, che vuole farsi la metà del vostro lavoro. Il primo pensiero sarà stato «e mo chist che vò? È arrivato il principe!».

E il secondo «io a questo non lo voglio proprio vedere!».

Ecco, magari tutte queste cose non le avrà pensate nessuno ma io, così come ve lo sto raccontando a voi, e pensavo proprio in quel momento. Pensavo di essere nei loro panni, di schifarmi e di puzzare. Forse a puzzare puzzavo veramente… ma era sempre perché mi stavo cacando sotto. Insomma, tremavo dalla paura.

Ve lo confesso, la prima settimana fu bruttissima. Non scambiavo nemmeno una parola con i miei compagni di stanza. L’unica che ho detto è stata quando il primo giorno, abituato ai miei ritmi casalinghi, mi svegliai alle otto e mezza per essere in spiaggia alle nove e dieci, convinto del fatto di avere tempo a sufficienza per farmi la doccia. Alla domanda di un collega «sicuro di farcela?» risposi convintamente «si!». Dopo venti minuti, uscito dalla doccia, sentii in lontananza la sigla provenire dalla spiaggia e realizzai che l’appuntamento non era alle nove e dieci ma alle nove meno dieci. Immaginate me, il primo giorno, a correre in giro per il villaggio coi capelli bagnati e mezzo nudo per non fare tardi. Non mi cacciarono solo perché il capoanimatore era mio amico: viva l’Italia.

Dopo quella figuraccia mi chiusi ancora di più a riccio, tant’è che una ragazza dello staff a tavola una volta mi chiese «ma non parli?» e il capo animatore, sempre l’amico mio, rispose «dagli tempo, ti sorprenderà!». Ma secondo me pure lui iniziava a pensare «secondo me aggio fatt ’na strunzata!».

Sembrava tutto finito prima ancora di cominciare e io ero lì lì per gettare la spugna.

Ma la sera prima di quello che probabilmente sarebbe stato il mio addio, il capo animatore mi chiamò per fargli da spalla in uno degli sketch. «Faccio questo e saluto» mi dissi. Quella sera andò una bomba e lì tutti i colleghi si congratularono. Mi ero sciolto, grazie a una sola performance. Iniziavo ad essere sicuro di me. Il giorno dopo scesi in spiaggia con un altro mordente… anche gli ospiti ora mi volevano bene. Ero finalmente a mio agio. Così a mio agio che quella stagione riuscii a ritagliarmi ogni giovedì uno spazio tutto mio di dieci minuti, dove portavo in scena un monologo su quello che era avvenuto durante la settimana nel villaggio.

16

Quella piccola fiamma era diventata fuoco e quell’estate addirittura vinsi anche il premio come «miglior animatore» di tutta la mia agenzia, nonostante avessi fatto mezza stagione e la prima settimana senza nemmeno parlare: chissà quante bestemmie mi avranno lanciato i miei colleghi.

Alcuni di loro li sento ancora, altri non più. Ma porto un bellissimo ricordo degli anni di animazione (sì, perché poi ne sono seguiti altri).

Perché, come ogni cosa che è successa nella mia vita, anche questa ha contribuito in maniera incisiva a farmi diventare ciò che sono.

Perché, se ho scritto il mio spettacolo e sono uscito fuori dal web, è anche tanto merito di quella volta che ho sconfitto, di nuovo, la mia timidezza.

E quando oggi si apre il sipario e dico «sono davvero emozionato. Perché siete bellissimi ma, ’a verità, mi mettete un poco di angoscia!» non sto recitando un copione, ma dicendo la verità. Ma quanto è bello ogni volta sconfiggerla, quell’angoscia!

17

CARO TEATRO 11.03.2022

Caro teatro. Qualche tempo fa ti ho sognato.

Eri lì che sussurravi il mio nome.

«Daniè» «Daniè». Ma che vuoi? ho pensato.

Lasciami stare! Io sul web sto troppo bene.

Ma tu mi chiamavi a te. E io lo ammetto, tenevo paura…

Il fatto è che, caro teatro, tu sei un giudice troppo severo.

Difficilmente dai una seconda occasione e poi tutte quelle luci addosso, lo sai, a me non è che mi mettono proprio a mio agio.

Io c’ho paura di sbagliare quando mi asciugo i capelli e sto solo io davanti allo specchio figuriamoci davanti alla gente. Ooooh ma tu sei pazzo! No, no… Meglio sul web. Qui i video me li giro, me li monto, e se non mi piacciono non li pubblico!

Ma tu mi chiamavi. Mannaggia a te.

Ma che tenive sule’ o nummero mio?!

E allora io ti ho risposto e ti ho detto «sisi» come si dice a quelli della Folletto quando vengono a casa e ti fanno la presentazione e tu vuoi tagliare a corto.

E alla fine ci sono cascato come con la scopa elettrica: me l’agg accattata con tutti gli accessori. E per te, caro teatro, ho iniziato non solo a scrivere uno spettacolo ma a togliere pure tempo al web.

Che ormai quando leggo su Facebook «ciao Daniele è da un po’ che non pubblichi qualcosa» mi immagino Zuckenberg che mi aggiunge pure «omm e nient!».

Insomma, caro teatro, dopo otto anni di video ho scelto di fare il mio passo più importante: fare uno spettacolo con te.

E l’ho chiamato fuori dal web.

18

Perché, caro teatro, te lo confesso, io ho sempre saputo di non essere un fenomeno da web.

Non ho mai voluto esserlo e con tutta probabilità mai lo sarò.

I social hanno delle regole non scritte che io proprio non riesco a seguire.

Devi essere bravo a creare format, ad andare dietro ai numeri, a seguire la nuova piattaforma e ad adattarti al cambiamento. Con tutto il bene, io non riesco a seguire la scheda degli addominali figuriamoci quella degli algoritmi.

Caro teatro, io non so farlo. L’unica cosa che so fare è raccontare storie.

Per questo otto anni fa ho scelto il web. Ed è per questo che ora ho scelto te.

Non volevo il successo. Volevo raccontare storie.

E il web era l’unico modo per poterlo fare.

Non mi è mai interessato di accontentare quel pubblico o quell’altro.

Non ho mai creduto alla comicità divisiva. Quella che o fa ridere i boomer o fa ridere i millennial.

Preferisco non far ridere nessuno, a questo punto.

Perché io ho sempre creduto alla risata universale. Quella di chi, ancora oggi, se guarda Totò ride a prescindere da quanti anni abbia.

Ho sempre creduto che questo mestiere sia fatto per unire.

E negli anni ho avuto la fortuna di unire sul web.

Di avere follo-veri di quattordici e settant’anni. Di unirli con le mie storie.

E ai miei spettacoli vorrei i genitori e i loro figli.

Vorrei vederli ridere e piangere insieme.

Unire, anziché dividere. Che ’e stu periodo di divisioni già ne tenimme parecchie.

Caro teatro, lo so, che unire è il modo più difficile per avere successo.

Ma io non voglio avere successo.

Voglio raccontare storie.

Dentro il web e da oggi anche… fuori dal web.

19

01.09.2021 – Il debutto di Fuori dal web nella mia Ottaviano

Altri volumi pubblicati da Burno I Nobili Piaceri del Gentiluomo, di Douglas Mortimer – isbn: 979-12-80772-00-8 Mille Pugili, di Marco Nicolini – isbn: 979-12-80772-01-5 Limiti, di VkLabe – isbn: 979-12-80772-02-2 I fiori del bene, di Nicola Pesce – isbn: 979-12-80772-04-6 Il giro del mondo in ottant’anni, di Bud Spencer con Lorenzo De Luca – isbn: 979-12-80772-03-9

Daniè, ti va di fare una web serie? Così cominciò tutto. E Daniele Ciniglio si mise di santa pazienza a scrivere e a girare, senza alcuna preparazione, 15 episodi da 10 minuti, con 60 ragazzi coinvolti. In breve, divenne un «fenomeno da social».

Dopo aver conquistato il web con la “sua routine”, Daniele Ciniglio approda in libreria. Questo volume raccoglie i testi dei suoi monologhi più amati, alcuni episodi della sua famosa sit-com e infiniti aneddoti e retroscena raccontati in prima persona, divertenti e profondi allo stesso tempo.

Prefazione di Paolo Caiazzo ISBN: 979-12-80772-06-0

burno.it EURO 19,90

la mia routine

Questo non è un romanzo, non è una biografia, non è un saggio documentaristico e non parla di sensazionali scoperte. Insomma, vi starete domandando «e allora cosa c’è di interessante in questo libro?». Questa domanda l’abbiamo fatta all’autore e non ci ha saputo dare una risposta. «In queste pagine ci sono storie,» ha detto, «alcune reali e altre meno, ma sono tutte vere. Ecco, se dovessi dirvi cosa c’è in questo libro vi direi: la verità».

daniele ciniglio

«LA MIA ROUTINE È FATTA DI SCELTE. E LE SCELTE FARANNO SPAZIO ALLE EMOZIONI. QUELLE TROPPO BRUTTE DA VIVERE O QUELLE COSÌ BELLE DA MORIRE.»