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Editoriale Non facciamoci spaventare

Non facciamoci spaventare

Stefano Cagelli

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Il referendum sulla legalizzazione della cannabis non si farà. Come noto ormai all’universo mondo la decisione della Corte Costituzionale è stata questa. Molto ci sarebbe da dire sulle motivazioni che hanno spinto la Consulta a prendere questa strada e molto lo leggerete anche nelle prossime pagine della nostra rivista. Giusta o sbagliata che sia però - e noi riteniamo che ci siano fondati motivi per ritenerla quantomeno contestabile - questa scelta segna un passaggio determinante.

Abbiamo sostenuto la campagna referendaria e le iniziative del comitato promotore, quindi siamo i primi a prendere atto con estremo rammarico dell’esito di questa vicenda, ma adesso è già tempo di guardare oltre. Chi opera in questo settore, chi lotta per queste battaglie, sa benissimo che non ci si può mai fermare a contemplare quello che potrebbe essere stato e che, purtroppo - lo diciamo in questo caso più che mai - non ci sarà.

Con una decisione sommaria e ben poco circostanziata (anche leggendo le motivazioni) la Corte ha deciso di scavare un solco ulteriore tra il Palazzo, inteso in senso lato, e i cittadini. Basti pensare che i due quesiti che sono stati bocciati - cannabis ed eutanasia - avevano raccolto nel Paese quasi due milioni di firme e in un pomeriggio sono stati cassati. Lo Consulta e il presidente Giuliano Amato saranno stati anche in estrema buona fede, non avranno neppure voluto “cercare il pelo nell’uovo”, ma il risultato è stato questo. Ed è stato un disastro, non solo per chi in questo referendum aveva riposto enormi speranze.

Ma tant’è. Cosa fatta capo ha, come si suol dire in questi casi. E allora tocca capire come ripartire. Cominciamo da un presupposto che sembra ormai un dato di fatto: il mondo sta andando in una direzione ben precisa. L’abbiamo detto e scritto più volte su queste pagine, non si ferma il vento con le mani. Ci siamo anche un po’ stancati di pronunciarla questa frase.

Il tema, ora, è tutto politico. O meglio è in capo alla politica, che troppo spesso negli ultimi anni ha abdicato quando si è trattato di decidere su temi etici e valoriali. E qui, dunque, subentrano i problemi. In primo luogo perché, nei giorni in cui scriviamo, il mondo è drammaticamente concentrato sulla terribile invasione russa in Ucraina, un osceno, vergognoso atto di guerra scatenato da una potenza militare e nucleare contro uno stato sovrano nel cuore della nostra Europa. Una roba che nel giro di pochi giorni ha fatto impallidire i due anni di Covid che hanno condizionato le vite di tutti noi.

E poi perché, ormai lo possiamo dire con ragionevole certezza, questa legislatura è destinata a terminare con un nulla di fatto dal punto di viste delle politiche sulle droghe e in particolare sulla cannabis. In realtà le condizioni per un’iniziativa parlamentare, anche circoscritta, ci sarebbero tutte. L’ha detto lo stesso presidente Amato, quando ha giudicato “paradossale” che la richiesta del quesito referendario si riferisse alla coltivazione, visto che “le sezioni unite della Corte di Cassazione, interpretando l'articolo 73, hanno già ritenuto che sia fuori dalla punibilità la coltivazione a uso personale della cannabis”.

Peccato che, appunto, quella della Corte di Cassazione non sia una legge ma una sentenza. E che, comunque, la coltivazione domestica sia ancora perseguita. Il modo per superare l’empasse ci sarebbe, dato che la commissione Giustizia alla Camera dei Deputati ha già adottato un testo base che va proprio nella direzione di trasformare in legge la sentenza della Cassazione. Sarebbe molto semplice e non comporterebbe chissà quali professioni di fede anti-proibizionista, dato che si tratterebbe solo di tradurre in legge ciò che hanno detto i giudici della Corte di Cassazione, che non ci risultano essere rastafariani rivoluzionari.

Tra l’altro il testo base adottato in commissione, a differenza del quesito referendario, andrebbe addirittura ad inasprire le pene per detenzione e spaccio illegale, andando incontro alle richieste anche dei più ottusi conservatori, pur di salvare il principio della libertà di autocoltivazione.

Ma purtroppo chi si illude è perduto. Per cui noi continuiamo a chiedere a gran voce l’intervento della Politica, quella con la P maiuscola, in grado di guardare oltre il proprio - spesso insignificante - orticello, e buttare il cuore oltre l’ostacolo, intraprendendo la strada giusta. Ma sappiamo bene che il nostro grido potrebbe rimanere inascoltato, almeno per il momento. Per cui, avanti. Barra dritta. E non facciamoci spaventare.

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