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Droghe e carcere Contro il populismo penale

I DANNI DELLA PENA

LE CARCERI TORNANO A RIEMPIRSI DI DETENUTI CONDANNATI PER REATI DI DROGA E TOSSICODIPENDENTI. SERVE UNA RIFORMA ADESSO

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Dopo un periodo di calo, tornano a crescere i detenuti nelle carceri italiane. E con essi il fenomeno del soraffollamento. Non che fosse stato mai totalmente eliminato ma si sperava che la pandemia avesse mostrato che un'alternativa al carcere esiste e può essere sfruttata, almeno per i reati minori. E invece come riferito dal Garante dei detenuti Mauro Palma, che ha presentato la sua Relazione annuale sulla situazione nelle carceri, il problema è tornato preoccupante. Il carcere resta tuttora, in

Italia, la forma di pena più diffusa.

Attualmente nelle carceri italiane sono recluse 53.661 persone, a fronte di una capienza di 47.445. Siamo lontani dalla quota 60mila, registrata nel picco dell’anno scorso, ma la situazione desta comunque allerta. Secondo la ministra Marta Cartabia, che si è detta molto preoccupata, grazie al Recovery Plan saranno numerosi gli interventi sull’edilizia e l’architettura penitenziaria che dovrebbero aiutare ad affrontare la situazione. Ma la verità è che il problema non si risolverà se non si modificano le leggi sulle politiche antidroghe. Il perché ce lo ha spiegato perfettamente il Libro Bianco del 2021: senza l'applicazione degli art.73 e 74 del Testo Unico Jervolino-Vassalli del 1990 non si avrebbe sovraffollamento carcerario nel nostro Paese. "Dopo 31 anni di applicazione di questa legge non possiamo più considerare questi come effetti collaterali della

CONTRO IL POPULISMO PENALE

È ORA DI RIVEDERE LE NOSTRE LEGGI SULLE DROGHE

Agnese Rapicetta

“C i vuol poco a mettere in ansia l'opinione pubblica su fatti di cronaca legati alle droghe, ma bisognerebbe anche saper spiegare che, con una diversa politica, si potrebbero facilmente superare tutte quelle situazioni che creano tanta preoccupazione". Ne è convinto Stefano Anastasìa, Garante dei detenuti della Regione Lazio che non ha dubbi sul percorso da fare: bisogna depenalizzare i reati sulla droga. "L'unico modo per riformare le carceri e svuotarle è ridurre all'indispensabile: cioè mettere dentro solo chi ha commesso gravi reati contro le persone", ci dice ancora, ricordando che chi ha commesso reati per droga non dovrebbe essere dentro un carcere.

Eppure sono la percentuale più alta della popolazione carceraria. Il 35% dei detenuti infatti sono dentro per reati legati alla droga e in particolare per la violazione degli articoli 73 e 74 del Testo Unico sulle droghe. Si sa anche che la maggioranza dei detenuti scontano condanne minori di tre anni quindi si può facilmente ipotizzare che non si tratta di grandi traffici internazionali di droga, ma reati legati allo spaccio di strada. di stupefacenti in associazione, quindi legato ad organizzazioni criminali): nel 2020 i primi erano 12143, chi invece era stato condannato per entrambi gli articoli erano 5616, solo per l'articolo 74 erano in 938. Quindi si può dire, senza essere smentiti, che due terzi di chi sta in carcere sono piccoli spacciatori".

Intervista a Stefano Anastasìa, Garante dei detenuti della Regione Lazio Insomma in carcere ci sono solo 'i pesci piccoli'? "Sicuramente sì. Basta vedere i numeri di condannati per l'articolo 73 (spaccio di stupefacenti) e l'articolo 74 (traffico

E perché sono in carcere se sono 'solo' piccoli spacciatori? "Ovviamente gli spacciatori e le persone tossicodipendenti sono quelli che suscitano più ansia nell'opinione pubblica e fra la società civile. E di solito sono anche quelli che hanno meno risorse per evitare il carcere. Difficilmente un colletto bianco implicato in fatti di droga finirà in cella, mentre un immigrato irregolare - perché la maggior parte degli spacciatori hanno quel profilo - non avendo garanzie da dare, è sicuro che andrà dentro". Però con una condanna a pochi mesi. Sappiamo che la maggioranza della popolazione carceraria è dentro per pene inferiori o uguali a tre anni, come si può mettere in atto la funzione rieducativa e di reinserimento nella società con così poco tempo? "Non si può. E infatti queste persone sono anche quelle che hanno il più alto tasso di recidive. E' difficilissimo fare un percorso di formazione professionale in tempi così brevi: per iniziare questa strada ci vuole tempo, tanta burocrazia e spesso accade che a metà del percorso il detenuto ha finito

legislazione antidroga, ma come effetti evidentemente voluti" si legge nel Libro Bianco presentato nel giugno 2021. Ed è difficile dargli torto.

La strada percorsa sembra essere sempre la stessa: perquisire, arrestare e condannare. Ma siamo sicuri che sia la priorità? O che sia funzionale ed efficace?

Sono ormai tanti ad avere dubbi. A partire da Antonino Maggiore, direttore centrale per i servizi antidroga presso il Ministero dell’Interno che, in una audizione in Parlamento, non ha nascosto che "anche in presenza di un piccolo spaccio, le forze di polizia procedono all’arresto del responsabile in misura più che doppia rispetto alla denuncia a piede libero, a riprova di un ampio ricorso alla misura cautelare". Specifica ancora Maggiore: "Le denunce a piede libero per piccolo spaccio sono pari al 31% del totale. Ciò vuol dire che nel 69% dei casi le polizie arrestano responsabili anche di situazioni di lieve entità. Il dato percentuale sembra tale da rendere non essenziale un ulteriore irrigidimento del sistema con riguardo una misura pre-cautelare dell’arresto".

Eppure la Commissione Giustizia della Camera non riesce ad approvare la pdl a prima firma di Riccardo Magi( Più Europa). Depenalizzare il possesso di droghe leggere, ridurre le pene e rafforzare l’attenuante della lieve entità (che diventerebbe una fattispecie autonoma) e decriminalizzare la coltivazione domestica ad uso personale (seguendo la giurisprudenza più recente espressa anche dalle sezioni unite della Cassazione). I numeri ci sarebbero, ma la volontà dov'è finita?

La politica, tutta, senza eccezioni ( se non alcune personalità purtroppo isolate) continua ad ignorare che si può superare, in modo strutturale, il sovraffollamento delle carceri, l’ingolfamento del sistema giudiziario e lasciare che le forze dell’ordine siano occupate in altre emergenze, ben più serie e pericolose. A chi giova allora continuare sulla strada del proibizionismo? Sicuramente sempre ai soliti noti. A.R.

di scontare la sua pena ed esce. Immaginiamo quindi che senso può avere l'esecuzione di una pena per un detenuto che deve scontare due anni? Nessuna, se non un intento punitivo. Ci si limita a dare qualche rassicurazione temporanea ad una parte di popolazione che vede magari il suo quartiere pieno di spacciatori ma non risolve il problema. C'è una grande spreco di energia e di risorse pubbliche ma il risultato è sempre lo stesso: la droga gira uguale". "Manca la volontà però nel resto del mondo le cose stanno cambiando e si potrebbe prenderne esempio. Quello che noi abbiamo è ancora l'influsso della War On Drugs di Reagan e delle Nazione Unite, che in In Italia sono state recepite dalla legge Iervolino-Vassalli e inasprite ancor di più con la Fini-Giovanardi. Ma questa ormai è una posizione che è stata superata. Pochi Stati al mondo continuano su questa strada, solo la Russia e pochi altri".

Il carcere è diventato un grande amplificatore delle disuguaglianze sociali? "Il carcere seleziona, purtroppo, fin dalla fase processuale. Soprattutto gli immigrati stranieri, che non capiscono pienamente cosa accade in queste fasi, subiscono dei processi rapidissimi che potrei definire sommari. Nella fase esecutiva poi, chi entra in carcere senza risorse esterne - sociali o relazionali- molto probabilmente finisce la sua pena in carcere. Quindi il carcere diventa la riproduzione delle disuguaglianze che ci sono nella società invece di essere, come ci dice la nostra Costituzione, un luogo di recupero e reinserimento. Purtroppo quando cominci a vivere esperienze di carcerazione, fossero anche soltanto di pochi mesi, ma ripetuti nel tempo, la tua vita diventa il carcere".

Ma quindi il problema del sovraffollamento carcerario non è un problema irrisolvibile, un modo per risolverlo ci sarebbe: cambiare le leggi sulle droghe. "Con una diversa politica sulla droga certamente il problema potrebbe essere superato e le carceri sarebbero praticamente svuotate". Ma manca la volontà politica per farlo... Ma lei tutte queste informazione le ha date in Parlamento quando è stato audito in Commissione Giustizia? Cioè i parlamentari ne sono consapevoli? "Certamente. E non sono stato l'unico ad aver detto che servirebbe distinguere nettamente fra la repressione della criminalità organizzata dalla manovalanza che quelle organizzazioni utilizzano. Ma i tempi, evidentemente, non sono ancora maturi per superare l'ideologia su questo argomento".

Lei è a favore della depenalizzazione delle droghe ma è a favore anche della legalizzazione della cannabis? "Sicuramente è un percorso che va intrapreso anche nel nostro Paese. La cannabis è una sostanza di massa che coinvolge centinaia di migliaia di adolescenti e che ha bisogno non di repressione e proibizione ma di informazione. Rendere consapevole un ragazzo o una ragazza è molto meglio che proibire, ovviamente senza incentivare ad un abuso di questa sostanza. Anche su questo punto in altri Paesi si sono fatte sperimentazioni di consumo controllato che hanno coinvolto anche sostanze molto più pesanti, e che avevano l'obiettivo di ridurne l'utilizzo e togliere il controllo alle criminalità organizzate. I risultati sono stati ottimi".

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