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2 Dream team
La prima cosa che ci dissero, in effetti, fu che ci servivano più matti. O meglio, che non erano loro i matti che stavamo cercando. L’idea di lavorare con Zerocalcare li interessava, ma dovevamo prima trovare un produttore, e uno studio che animasse il progetto. In pochissimo tempo abbiamo capito che il progetto non era alla portata di un piccolo studio, ci voleva una struttura che avesse già affrontato prodotti seriali di alto profilo. Fu così che cominciammo a parlare con Movimenti Production, e in particolare con uno dei due fondatori, un uomo dotato di entusiasmo ed energia sovrannaturali: Giorgio Scorza.
In questa pagina Giorgio Scorza ritratto da Zerocalcare in versione Superman dei Fleischer Studios
Giorgio, quando ti è stata proposta la prima volta la produzione della serie animata di Zerocalcare, come hai reagito? Quando è arrivata per la prima volta la proposta per la produzione di una serie animata di Zerocalcare, sarò sincero, è stato quasi come la fine di un percorso... ero davvero carico! È stato una sorta di approdo al termine di un viaggio di avvicinamento, conoscenza e studio reciproco con Michele, caratterizzato anche da momenti ormai iconici, come quello in cui stava “imparando” animazione nei nostri studi per poter fare un cartone tutto da solo - prima di scoprire quale lavoro titanico c’è dietro una produzione animata - e alcuni artisti, vedendolo, mi chiedevano se avessimo assunto Zerocalcare. Questo aneddoto ci fa ancora un po’ sorridere, perché di lì a poco sarebbe successo tutto. In quel periodo noi stavamo parlando con Netflix di un paio di progetti di animazione young adult (che poi hanno preso altre strade) e improvvisamente tutto è andato a convergere: da Londra e Amsterdam ci menzionavano un progetto top secret di cui però avremmo presto parlato operativamente, e quasi contemporaneamente Michele Rech e Michele Foschini si sono presentati in studio non più soltanto in veste di amici, ma per parlarci del progetto. Personalmente, da due o tre anni studiavo a distanza l’evoluzione di Zerocalcare e, senza mai superare quella linea di rispetto che ritengo sacra, lanciavo a Michele segnali inequivocabili, facendo attenzione a non forzare i suoi tempi.

Rispetto alle vostre precedenti esperienze, in che modo è stato necessario “pensare diversamente” per aiutare Michele a concretizzare la sua visione narrativa?
Anche in questo caso, come ci siamo spesso ripetuti, è stato tutto molto spontaneo. Non abbiamo avuto discussioni o meeting monumentali su cosa fare e come. Come team ci siamo esaltati all’idea di lavorare con una voce così unica, potente e assolutamente rappresentativa a livello generazionale. La sfida era fare quel salto enorme da libri a schermo, da fumetto a film, da bianco e nero a colore: dovevamo creare un modo che ci
In questa pagina Studi di disegno “stile fumetto” per la sigla di Strappare lungo i bordi permettesse di farlo in maniera coerente. E poi c’era il tempo del racconto: una pagina la leggi con i tuoi tempi. Strappare lungo i bordi è un percorso obbligato, i tempi narrativi non sono dettati dallo spettatore, e questo rendeva tutto il lavoro super responsabilizzante, per Michele e per noi. Ho scoperto di avere un’infinità di riferimenti letterari, musicali, cinematografici, artistici e di cultura pop in comune con lui. Tanto che il normale iter era: “Noi pensiamo di fare questa cosa in questo modo”. E lui: “Non so se ho capito, ma me fido. Se non mi piace te lo dico, ok?” “Ok”. Stacco. “Me piace un botto!”

Il mantra era rispettare il tono, l’essenza e la poetica di Zerocalcare esaltandola e facendola evolvere. Spesso nei progetti che seguo, in qualità di produttore e regista, l’ultima parola è la mia o del mio socio, Davide Rosio. In questo caso era quella di Michele, ma la verità è che a un certo punto tutto procedeva in modo assolutamente naturale, come se già sapessimo cosa avrebbe fatto lui... e mi sono sentito molto sicuro nel camminare verso la direzione scelta. Con la sua umiltà e al tempo stesso la sua chiarezza di idee Michele ci ha indotti a sentirci liberi di fare e di proporre. E questo suo aspetto è magico oltre che puro e genuino.

Come decidi la composizione di un team di lavoro quando un progetto è così autoriale e personale? Ci sono figure più adatte di altre?
Nella composizione del team per una produzione di questo tipo prevalgono la capacità empatica e il senso di rispetto per la responsabilità che un progetto simile comporta, ma in questo caso abbiamo considerato anche quel latente senso di “inadeguatezza” che permettesse agli artisti di cogliere e tradurre la poetica di Michele. Chi fa cartoni animati inventa mondi alternativi per poter vivere per un po’ in dimensioni ideali e virtuali: al netto delle competenze tecniche imprescindibili, per questo progetto, la sottile linea rossa doveva essere quella cifra comico/malinconica che deve poter vibrare in un’opera così intensa e densa. Bisognava saper ridere e non prendersi sul serio, ma anche avere confidenza con certe emozioni più profonde, cupe e dolorose. Alla fine… ci voleva un po’ di spirito nerd!


Qual è stata, nel corso di due “stagioni”, la difficoltà più grande?
A parte una pandemia mondiale, le difficoltà maggiori sono state il fatto di essere alle prese con la prima serie d’animazione young adult di Netflix in Europa, di dover trasporre in animazione un autore unico e amatissimo… e infine di riuscire a non essere bullizzato per il mio non essere romano! Scherzi a parte, non riesco a pensare al concetto di difficoltà. Penso alle sfide che ci si ponevano davanti: per SLIB sicuramente tutta la trasposizione estetica, artistica e di linguaggio da costruire per la prima volta da zero, mentre in Questo mondo non mi renderà cattivo principalmente il riuscire a far respirare la storia e la narrazione, darsi il tempo per le emozioni e la percezione dei livelli del racconto. SLIB era una corsa in cui rischiavamo che il pubblico non ci seguisse. Questo mondo è un cammino anche impegnativo, che prevede una compartecipazione più profonda degli spettatori.
E la tua più grande soddisfazione?
Appena finito l’ultimo episodio di SLIB, vedere gli sguardi di chi ci aveva lavorato e quello di Michele. È stato indimenticabile. E poi l’aver oggettivamente creato un ottimo prodotto, nonostante il rischio che fosse un boomerang clamoroso. Per anni ho sostenuto che si potesse fare un progetto di young adult animation italiano, forte, riconoscibile e figo, e finalmente eravamo arrivati a farlo, e per di più con un grandissimo autore. Potevamo fallire. Ma il pubblico ha sentito l’opera come propria e il successo della serie ha sottolineato che si tratta di un progetto onesto, diretto e sincero. Questo per me è davvero il cuore del mio e nostro lavoro. Infine, partecipando a diversi festival e mercati nazionali e internazionali del settore sono stato fermato da produttori o addetti ai lavori di tutto il mondo che ci tenevano a farci i complimenti, e questa è stata una sensazione davvero potente.
In questa pagina Modifiche alla struttura degli occhi




Questo mondo è un prodotto tecnicamente più maturo di Strappare lungo i bordi. In che modo hai capitalizzato sulle cose apprese con il primo progetto, per assicurarti che il secondo fosse ancora più bello?
L’animazione è artigianato di eccellenza. Più ci lavori, più alzi l’asticella tecnica ed espressiva. Aver settato il mondo, l’arena, l’artwork e le linee guida dello “Zeroverse” nella produzione di SLIB ci ha permesso di concentrarci sulla storia, sui personaggi sempre più caratterizzati e sul respiro del racconto. Abbiamo sostituito all’apnea un respiro a tratti leggero, a tratti affannoso e affaticato, ma spero sempre molto sincero e vero.
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Nelle due pagine seguenti Studi anatomici e di delineo





