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Sugli alpeggi cuneesi la stagione promette bene

ERBA ABBONDANTE E CONDIZIONI FAVOREVOLI IN QUOTA, MA PREOCCUPA LA PRESENZA CONSISTENTE DI PREDATORI

di Silvia Agnello

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Sembra promettere bene quest’anno la stagione degli alpeggi in provincia di Cuneo: erba abbondante e condizioni in quota favorevoli hanno accolto i circa 350 gli allevatori che ogni anno trasferiscono le loro mandrie e greggi in montagna. Resta però irrisolto il serio problema della presenza sempre più consistente di fauna selvatica, lupi e cinghiali in primis, che rappresenta una minaccia per l’integrità del pascolo e per l’incolumità di pecore, capre e vitelli. L’emergenza coronavirus si può dire che non abbia impattato direttamente sull’attività d’alpeggio, ma gli allevatori tengono a precisare come il danno ci sia stato a causa della contrazione dei prezzi dei capi e delle mancate vendite di formaggio.Sulle Marittime, in valle Stura, i fratelli Mario e Piergiorgio Giraudo salgono al pascolo davvero ‘da una vita’. Lo facevano già da bambini, quando avevano soltanto cinque-sei anni. La loro azienda ha base a Vinadio, ma gli oltre duecento capi di bovini tutti gli anni passano l’estate nel vallone di Riofreddo, a Sant’Anna di Vinadio. “Siamo saliti il 20 di giugno, come al solito – raccontano -. Nei primi giorni, piuttosto freddi, sembrava che il tempo non volesse essere tanto clemente, ma poi la situazione si è normalizzata e l’annata promette bene. Il problema dei lupi c’è ormai da anni e ci costringe a ricoverare tutte le sere i vitelli nella stalla. Un aggravio di lavoro non da poco… ll lupo potrà anche essere un’attrattiva affascinante per i turisti, ma per il nostro lavoro è davvero un problema, come lo sono i cinghiali che distruggono il terreno. Teniamo conto che, in montagna, ci vogliono anni prima che la cotica si riformi! Quest’anno, poi, con la questione del coronavirus, le vallate sono molto più affollate rispetto al passato e non tutti si comportano in modo civile ed educato. Ne sono testimonianza i molti rifiuti abbandonati che ci troviamo spesso a dover portare via”.Racconta Giovanni Bonardo, che è originario di Oncino e proprio nel piccolo comune dell’alta Valle Po porta all’alpeggio le sue pecore: “Siamo saliti il 22 maggio, un po’ in ritardo rispetto agli anni scorsi. Normalmente arriviamo nella prima decade di maggio, ma quest’anno al pascolo invernale in pianura c’è stata sufficiente erba più a lungo. Fino a metà luglio il pascolo è nella parte bassa, a quota 1.200, poi saliamo nella parte alta, in località Bigorie, dove rimaniamo fino a fine settembre, arrivando a 2.000-2.200 di altitudine. La Valle Po è una zona tipicamente piovosa e quest’anno di acqua ne abbiamo avuta parecchia, anche troppa. A volte, proprio a causa delle precipitazioni, diventa difficile far pascolare gli animali e sfruttare l’opportunità del foraggio davvero abbondante. Di lupi ce ne sono, in queste settimane li abbiamo avvistati diverse volte. Nella parte bassa c’è un grosso problema anche con i cinghiali. Ciò che rovinano è perso: considerata la quantità di documentazione da produrre e i rimborsi che si ottengono, non vale certo la pena fare le pratiche per ottenere gli indennizzi”.Simone Barberis, titolare di un’azienda zootecnica a Monastero di Vasco, porta capre e mucche sul monte Alpet, in un pascolo che si snoda tra i 1.300 e 1.800 metri di quota a Pra di Roburent. Ha anche delle pecore che lo scorso anno, nonostante le precauzioni, sono state vittime di predazioni: “Un branco di sette lupi le ha spaventate e loro, agitandosi, hanno tirato giù le reti e venticinque sono rimaste uccise. Ho presentato domanda di indennizzo, ma al momento non ho ancora ricevuto nulla. C’è poi poca attenzione da parte degli enti che dovrebbero provvedere alle strutture per i margari e ai ricoveri per gli animali”. Barberis porta l’attenzione anche sul problema del calo di domanda e alla contrazione dei prezzi provocati dalle fluttuazioni di mercato dovute all’emergenza Covid: “Il prezzo dei capi, in generale, è sceso drasticamente: capretti e agnelli ci sono stati pagati 2 euro al chilo, meno della metà dello scorso anno, mentre sui vitelli il deprezzamento si aggira sui trecento euro al capo. Ci sono state speculazioni e a pagarne il prezzo sono, come sempre, gli allevatori. Anche la vendita di formaggio ne ha risentito: nella fase acuta dell’emergenza, a causa della chiusura di molti esercizi, il prodotto è rimasto invenduto”.

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