Io sono Diabolik - L'autobiografia

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Estratto da Io sono Diabolik di Diabolik con Mario Gomboli, Federica Bottinelli e la collaborazione di Andrea Carlo Cappi e Dario Paolillo. Illustrazioni di Giuseppe Palumbo Arnoldo Mondadori Editore, 2010


Io sono il mio destino

Io sono diverso. Diverso da tutti, e per tutti rappresento una sorta di anomalia inspiegabile. Dopo anni che i giornali, la “Gazzetta di Clerville” in testa, parlano di me, analizzano puntualmente le mie imprese, commentano – con alterne valutazioni – la mia influenza sulla società, forse sono meno “misterioso” di un tempo e l’opinione pubblica non mi attribuisce più poteri quasi soprannaturali. Ciò non toglie che sia sempre considerato diverso da qualunque altro criminale. si sa che rubo e uccido senza rimorso, non ci può essere alcuna attenuante. non sono l’unico a farlo, naturalmente. Chi commette un reato agisce nella consapevolezza di disobbedire a una legge o a un comandamento religioso o comunque alle regole sociali. Questa consapevolezza non è abbastanza forte da trattenerli, è evidente, perché sono mossi dal desiderio di potere o di ricchezza, o da stimoli passionali. Qualche volta agiscono persino in nome di un ideale, ma più spesso con l’unico scopo di occupare un posto migliore proprio all’interno della società di cui trasgrediscono le regole. 135


Io no. Forse è questo che spaventa. nonostante esistano, qui come in tutto il mondo, criminali più subdoli di me, i cittadini di Clerville si sentirebbero più tranquilli se la polizia mi catturasse, se rimuovesse dalle loro vite la minaccia che rappresento. Perché il solo fatto che io esista li inquieta. sono un’incognita, una variabile impazzita. non ho un nome, non ho un documento e, se da qualche parte nel mondo c’è il mio atto di nascita, si riferisce a qualcuno che ha cessato di esistere nel momento in cui è approdato sull’isola di king. non ho avuto alcun contatto con la società civile per più di vent’anni. non ho avuto una famiglia, non sono stato educato a obbedire alle leggi, non ho mai seguito una religione, non ho maturato opinioni politiche, non sono stato legato a una patria. se anche laggiù, come ho raccontato, c’erano regole ferree, io ho fatto mia la necessità della disobbedienza. Ero circondato da uomini che possedevano grandi capacità e da loro ho appreso l’arte del crimine e dell’inganno. li osservavo, studiavo ogni loro mossa e memorizzavo tutto, ogni giorno per me era un’occasione per aggiungere un tassello alla mia formazione. Imparavo in fretta, molto in fretta. Per qualcuno anche troppo in fretta... I rapporti tra le persone erano dominati dalla competitività e dalla violenza, e per sopravvivere ho dovuto acquisire le difficili tecniche dell’autocontrollo e del mimetismo: non potevo permettermi di perdere la testa né di non trovarmi al posto giusto nel momento giusto, a costo della mia vita. In quegli anni ho imparato a riconoscere le mie debolezze, i miei limiti e le mie paure, e ne ho fatto tesoro: io so sempre fino 136


a che punto posso spingermi, so capire quando un limite diventa insormontabile. Insomma vigeva un’unica legge, quella del più forte, e per sopravvivere il più forte dovevo essere io. Tutto questo non solo mi ha reso indipendente, ma mi ha insegnato che dovevo e potevo avere fiducia soltanto in me stesso. Mi sono dato un nome. Ho costruito il mio destino, e ne sono diventato l’unico arbitro. Quando disobbedisco alle leggi, semplicemente, non mi pongo il problema. Per questo posso dirmi veramente libero. Soli contro tutti non mi fido praticamente di nessuno, a parte Eva. Con lei ho molti punti in comune. non è cresciuta completamente al di fuori della società come è capitato a me, ma forse il suo destino è stato anche peggiore. Poteva avere tutto dalla vita e invece è stata sradicata, umiliata e costretta a imparare a cavarsela nel modo più duro. anche lei si è trovata estromessa dal mondo civile, e non per sua scelta. Pertanto ha deciso di restarne fuori per sempre. Questo fa di lei la mia compagna perfetta. necessaria quanto sufficiente. se in qualche caso, per convenienza o necessità, abbiamo cercato la collaborazione più o meno volontaria di qualcuno, non abbiamo mai bisogno di “veri” complici. noi lavoriamo da soli. anche in questo siamo diversi dal resto dell’ambiente criminale. Teoricamente, per realizzare uno solo dei nostri colpi, ci vorrebbe un gruppo nutrito di persone. Per cominciare, un elemento all’interno, che fornisca informazioni dettagliate sulla collocazione degli oggetti, sui sistemi di sicurezza, sugli orari delle per137


sone che orbitano intorno al bersaglio del furto. Eva e io non ne abbiamo bisogno: siamo noi stessi a raccogliere le informazioni che servono. Molte ci arrivano direttamente dai giornali, dalla radio o dalla televisione: bisogna, è vero, saper leggere tra le righe. altre, relative alle attività illegali (le più proficue), possono essere raccolte nell’ambito della malavita dove, grazie alle mie maschere, riesco a muovermi liberamente senza essere riconosciuto. Talvolta basta frequentare i locali dei bassifondi per trovare qualcuno che, casualmente o opportunamente stimolato, si lascia sfuggire qualcosa di troppo. Infine Eva e io abbiamo gli strumenti per infiltrarci, sotto mentite spoglie, negli uffici più riservati e studiare i più segreti progetti, planimetrie e disposizioni dei sistemi di sicurezza dei nostri obiettivi. Ma, quand’anche un altro criminale arrivasse alle stesse informazioni, poi avrebbe bisogno di una banda per portare a termine il colpo. Complici mentalmente e fisicamente in perfetta forma. a noi invece non occorre l’aiuto di nessuno. siamo entrambi in grado di pianificare o ripianificare l’azione, neutralizzare gli avversari a distanza o affrontarli in un corpo a corpo. Per la realizzazione di un colpo come i nostri occorre anche una certa competenza in campo tecnologico, per disabilitare allarmi o aggirare sistemi di sorveglianza di ogni tipo: videocamere agli infrarossi, sensori di movimento e di calore, reticoli di raggi laser eccetera. Ma anche in questo caso Eva e io ce la sappiamo cavare egregiamente da soli. non ho mai smesso di tenermi aggiornato sugli sviluppi scientifici e le loro possibili applicazioni nel settore che ci riguarda. In una banda, per tradizione, non può comunque 138


mancare il “palo”. Ma spesso non può essere Eva a farlo, impegnata al mio fianco, e allora devo supplire con mezzi tecnici adeguati. Telecamere, microspie, rilevatori a infrarossi fanno ormai parte della mia dotazione. ultimo elemento essenziale per un’azione criminale che si rispetti è l’autista. un pilota abile, coraggioso, con un’esperienza paragonabile a quella dei migliori stunt-man. E anche qui noi abbiamo capacità più che sufficienti a sfidare le forze di polizia, e non solo. Inoltre, sempre grazie a una certa creatività applicata alla tecnologia, riserviamo molte sorprese spiacevoli a chi cerca di inseguirci. Il mio tesoro Rimane solo una figura a cui non ci possiamo sostituire, in campo criminale: quella del ricettatore. un problema che negli anni qualcuno si è posto, non ultimi i giornalisti, è che fine facciano i miei bottini, il frutto delle mie rapine. È chiaro che se rubo oro o pietre preziose, in qualche maniera devo trovare il modo di smerciarle. Per un certo periodo mi sono servito di un compratore in oriente: un ottimo contatto, una persona fidata, di quelle che ancora conoscono e rispettano il vecchio codice della malavita di quelle terre. Gli facevo pervenire un baule con un doppio fondo contenente le pietre e lui me lo rispediva con il denaro corrispondente. Purtroppo è rimasto vittima di un incidente d’auto: peccato, lo consideravo quasi un amico. Per fortuna potevo contare su una ricettatrice di fiducia anche qui a Clerville: samantha Dubarry, una persona che apprezzavo. Ci eravamo incontrati all’inizio della mia carriera, quando avevo da poco assunto l’identità di Walter Dorian. a lei mi presentavo, natu139


ralmente, con un altro aspetto. Mi conosceva semplicemente come Walter, anche se credo sospettasse con chi aveva realmente a che fare: l’ultima volta che l’ho vista viva ha scherzato su un personaggio letterario, di nome Dorian, noto perché non invecchiava mai. Proprio come la mia maschera. In quel momento ho pensato sapesse che quello non era il mio vero volto. samantha era una signora simpatica, un po’ sovrappeso, con un fascino da attrice di altri tempi, di donna vissuta, schietta e a suo modo generosa. si diceva che avesse un passato da spogliarellista, di sicuro era una persona che aveva sempre fatto quello che aveva voluto senza dar peso alle convenzioni sociali. abitava in un vecchio edificio liberty, traboccante di cianfrusaglie e souvenir dei suoi amanti. Provavamo affetto e simpatia l’uno per l’altra e, al di fuori dei nostri affari, ci scambiavamo persino qualche regalo. l’ultimo che mi ha dato è stato un gioiello “per la mia donna”; immagino sapesse che era destinato a Eva. Purtroppo essermi amica le è costato la vita. una banda di ladri di gioielli dai metodi brutali l’ha torturata e uccisa nella speranza di ottenere informazioni su di me. lei non sapeva dove trovarmi, ma anche se lo avesse saputo sono certo che non mi avrebbe tradito. Quando sono venuto a conoscenza di quello che le avevano fatto, la mia sete di vendetta doveva essere soddisfatta. nessuno tocca i miei amici. Eva e io abbiamo sterminato i componenti della banda e poi, personalmente, ho regolato i conti anche con il commissario lynd, che si era occupato del caso e aveva trattato samantha come una donna di infima categoria, che in fondo meritava di morire. non mi era piaciuto affatto. Rubare contanti, oro o pietre preziose mi serve per avere il denaro necessario a finanziare altre mie impre140


se. Ci sono state, però, delle volte in cui mi sono appropriato di opere d’arte, di oggetti d’antiquariato o di gioielli il cui pregio non era soltanto nel materiale prezioso in cui erano forgiati o nelle pietre che vi erano incastonate, ma soprattutto nella pregevole fattura o nel valore storico. non avrei mai potuto distruggere pezzi simili. non li avevo rubati per fonderli o smontarli per poi rivenderne le pietre preziose. Quello sarebbe stato un vero crimine. Per anni ho conservato questi pochissimi pezzi ai quali dovevo rispetto in un rifugio tutto mio, ricavato in una vecchia miniera. neppure Eva ne conosceva l’esatta ubicazione, era uno dei pochi segreti che avevo mantenuto sin dai tempi in cui ero Walter Dorian. ogni tanto ci tornavo da solo, per collocarvi un nuovo oggetto o semplicemente per godermi la vista del mio “tesoro” e rivivere la soddisfazione dei miei colpi più clamorosi. una sorta di museo personale. Crearlo e mantenerlo è stato un errore che ho rischiato di pagare a caro prezzo. Quattro persone, che in passato erano state vittime di miei colpi, avevano stretto un’alleanza per vendicarsi. avevano studiato a fondo i miei movimenti e la mia personalità, e si erano posti la domanda giusta: dove conservavo gli oggetti che – ne erano certi – non avevo distrutto? non potevano trovarsi in uno dei miei rifugi, perché, com’è noto, li uso e li abbandono con estrema facilità, appena mi rendo conto di essere in pericolo. né era immaginabile che li trasferissi periodicamente da un nascondiglio all’altro con enorme dispendio di tempo ed energie, per non parlare dei rischi. Perciò erano arrivati alla conclusione che disponessi di un luogo segreto, dedicato al mio tesoro. Così 141


hanno aspettato che rubassi qualcosa che avrei di certo conservato, hanno seguito le mie tracce e, presumo, confrontandole con le vie di fuga di colpi precedenti, hanno localizzato la miniera. sono riusciti a entrare e a portare via tutto. Ricordo l’emozione, la tristezza e la rabbia che ho provato entrando nel mio museo e trovandolo completamente vuoto. avevano lasciato soltanto Diabolik, la pantera impagliata di king. E non per caso. uno dei responsabili, Marco Raden, all’insaputa degli altri, mi aveva teso una trappola: il suo scopo non era solo quello di derubarmi, vendicandosi di quanto gli avevo fatto passare, ma anche di eliminarmi così da non dover temere la mia vendetta. sapeva che la mia attenzione si sarebbe concentrata sulla pantera, al centro dello spazio ormai vuoto, e tra le sue zampe aveva sistemato una bomba, perfettamente mimetizzata. Ho intuito la trappola e l’ho disinnescata. Ma per convincere chi l’aveva messa di aver avuto successo, ho deciso di scomparire fino al momento opportuno. la mia assenza è durata mesi, mentre per Clerville sono transitati ricchi bersagli che, normalmente, avrei cercato di fare miei e invece non ho colpito né fatto alcun tentativo di colpire. I giornalisti si domandavano che fine avessi fatto, se mi fossi ritirato o se fossi morto. E i poliziotti anche, ovviamente con l’eccezione di Ginko. Io aspettavo solo che quelli che mi avevano derubato cercassero di vendere la refurtiva. si trattava di oggetti particolari che potevano interessare solo a ricchissimi collezionisti senza scrupoli, che non fanno domande sulla provenienza della merce. Dopo una lunga attesa, sono riuscito a scovare Marco Raden. aveva trasferito il mio tesoro nei sotterra142


nei della sua villa e, ormai convintosi della mia morte, stava cercando compratori. Fingendoci tali, Eva e io siamo riusciti a superare le sue difese e ad affrontarlo. Fino all’ultimo si è illuso di poter sfuggire alla mia vendetta: aveva predisposto un congegno di autodistruzione di quello che ormai era diventato il suo museo, ha minacciato di attivarlo, sperava di poter scambiare la sua vita con ciò che mi aveva preso. non aveva capito, non poteva capire che mai avrei accettato un simile ricatto. l’ho ucciso e ho lasciato che il mio tesoro saltasse in aria. non mi interessava più. nello stesso modo non ho cercato di rintracciare i suoi complici per punirli... Per ora mi basta sapere che vivono nell’attesa angosciante di una mia vendetta. Di tutto il mio tesoro è rimasta soltanto la pantera da cui ho preso il mio nome, che mi ha seguito fin qui dall’isola di king. Per tutto il resto non ho rimpianti: mi sono reso conto che l’autocompiacimento con cui andavo a visitare i miei successi era solo un inutile punto debole. avrei dovuto capirlo prima. Certo, perdere il mio tesoro mi ha addolorato, ma mi ha anche dato più forza. accumulare ricchezze è sterile, solo la sfida per conquistarle è stimolante. I miei metodi Giornali e televisioni dedicano ampio spazio alle mie imprese, ricostruiscono minuziosamente i miei colpi e analizzano il mio modus operandi con la stessa pignoleria dell’ispettore Ginko. sembra che sia io la causa di tutti i mali di Clerville e che tutti i crimini che vengono compiuti possano in qualche modo essere ricondot143


ti a me. ovviamente non sono mancati i delinquenti che ne hanno approfittato, cercando di attribuirmi la paternità dei loro colpi. Ricordo un gruppo di criminali che rapiva bambini per ottenere un riscatto dalle famiglie. obbligavano i genitori – direttori di banca e altre persone facoltose – a prelevare i loro averi per pagare la liberazione dei figli. Ma la trovata, geniale nella sua semplicità, prevedeva che in seguito i ricattati non riferissero dei rapimenti ma si limitassero a raccontare alla polizia di essere stati sequestrati e narcotizzati da Diabolik. In questo modo sarebbe risultato che a effettuare i prelievi ero stato io, indossando le loro maschere. un piano efficace, lo devo ammettere, sotto certi aspetti degno di me. Eppure io non potrei mai pensare a un colpo del genere. non per una scelta etica, religiosa o di principio, ma perché considero queste azioni semplicemente codarde, facili scorciatoie che non rientrano nel mio modo di agire. Qualsiasi criminale può facilmente rapire un bambino per ottenere un riscatto dai genitori. Esattamente come qualsiasi criminale può imbracciare un mitra e ammazzare persone indifese. non c’è bisogno di essere il Re del Terrore per farlo. Ma non è certo con la prepotenza sui deboli o con la violenza gratuita che potrei trarre soddisfazione da un colpo. E ho detto “violenza gratuita” non a caso. Perché, se la violenza non è mai esclusa dalle mie azioni, è sempre prevista e programmata. se deve scorrere il sangue, deve essere per una ragione precisa, funzionale ai miei piani. allora sono indifferente alla morte. non so quanta gente ho pugnalato o ammazzato nella mia vita. Quando sono stato processato e condannato, nessuno si è preoccupato di ricostruire con pre144


cisione la mia storia criminale: è bastato riconoscere in me l’ormai celebre Re del Terrore per stabilire che dovevo essere ghigliottinato, per la pace e la tranquillità dei cittadini di Clerville. Ma la ghigliottina ha mancato il colpo, io ho proseguito la mia carriera criminale e ora capita che qualche giornalista tenti di calcolare, con discreta approssimazione, quante persone ho ucciso. Io invece non lo so e non mi sono mai preoccupato di saperlo. non uccido per mettere le tacche sul calcio di una pistola, lo faccio solo quando mi è utile o, al più, per vendetta. E nel momento in cui uccido qualcuno, quel qualcuno per me non esiste più. Con la morte esaurisce la sua funzione e posso dimenticarmene. Le mie armi sull’isola di king ho imparato presto a utilizzare le armi, soprattutto quelle bianche che, se impiegate nel modo giusto, possono essere “pulite” e silenziose. una piccola cerbottana può essere nascosta ed estratta rapidamente per colpire con estrema precisione, un arco può scagliare frecce a notevole distanza, una balestra è in grado di far arrivare, per esempio, in cima a un muro un gancio collegato a una fune. Ma il mio più fedele compagno resta il pugnale, regina di tutte le armi, il più flessibile e poliedrico, efficace nel corpo a corpo e micidiale se scagliato da lontano. sono in grado di lanciarlo indifferentemente con la destra e con la sinistra, se necessario anche contemporaneamente. Il modello che utilizzo è dotato di un’impugnatura robusta, che si presta a contenere altri oggetti, come una torcia elettrica o fiale di acido o gas letali. lanciato in modo che colpisca dalla parte del manico, può es145


sere usato solo per stordire un avversario. È facile da nascondere, può finire in acqua senza danneggiarsi e quand’anche restasse sepolto e si arrugginisse, rimarrebbe comunque letale. Il pugnale è poi l’arma ideale per chi, come me, deve essere invisibile. Quando ne lancio uno, è impossibile individuare il punto esatto da cui l’ho scagliato: se usassi armi da fuoco, il fragore e il bagliore della fiammata rivelerebbero immediatamente la mia posizione. E poi, lo ammetto, è anche un fatto di gusto. lo trovo più coerente con il mio modo di agire. Da dove provengono i miei pugnali? In certi casi ho indossato i panni del fabbro e ne ho forgiati di eccezionali, in altri li ho comprati per poi adattarli alle mie esigenze. Infine ne ho anche rubati, e non soltanto perché impreziositi da gemme incastonate o lame preziose come i sette Pugnali della famiglia Garian, ma solo e proprio perché erano, appunto, pugnali. nel tempo ho elaborato molte varianti per le mie armi “bianche”. Per ingannare i bersagli sulla mia posizione, ho persino costruito una specie di mitragliatrice di pugnali, ad aria compressa, comandata a distanza. Ho trasformato le mie prime cerbottane in minuscoli lancia-aghi (l’arma preferita da Eva) che sono riuscito a celare in bastoni da passeggio, in penne stilografiche e perfino nelle stanghette degli occhiali. naturalmente ho a disposizione varie tipologie di aghi: imbevuti di mortale cianuro o di sonnifero o di una sostanza derivata dal curaro che si limita a paralizzare solo per il tempo necessario. le armi da fuoco hanno di sicuro meno elasticità d’uso, sono rumorose ed è impossibile calibrare esattamente la potenza con cui colpiranno. usare una pistola o un mitra comunque è relativamente facile. 146


Chiunque può sparare e uccidere. Piantare una raffica di pallottole in corpo a un avversario non richiede certo il lungo addestramento che serve per lanciare con precisione un pugnale! la mia antipatia per le armi da fuoco si estende anche agli esplosivi: troppo facile aprire una cassaforte o la porta blindata di un caveau usando una carica di esplosivo, indifferenti al frastuono assordante e agli allarmi. E questo certo non fa per me: io mi servo anche qui di strumenti che non denunciano la mia presenza e che possibilmente non lasciano traccia. Grazie anche all’esperienza con Wolf, sono riuscito a sintetizzare acidi potentissimi che possono corrodere qualsiasi metallo, silenziosamente. Ma la mia ricerca non si arresta mai: voglio trovare nuove soluzioni in grado di rendere sempre più efficace il mio lavoro. Tuttavia continuo a nutrire una certa diffidenza verso le tecnologie ormai di uso corrente, perché tutto ciò che lascia una traccia è pericoloso. a partire dai telefoni cellulari e i computer che, localizzabili attraverso i più disparati sistemi elettronici, sono strumenti che non fanno per me. ovviamente mi rendo conto di non poter contrastare o ignorare l’esistenza di sistemi sofisticati sviluppati da tecnici esperti attraverso ingenti investimenti. uso abitualmente il computer e non esito certo a sfruttare Internet se mi torna utile. nondimeno la mia dimensione è un’altra, per certi aspetti più “artigianale”, e proprio per questo motivo più creativa e imprevedibile. sono affezionato a tecnologie più meccaniche, semplici ma proprio per questo meno attaccabili da quelle più evolute. I miei radio-orologi, gli apparecchi con cui comunico a distanza con Eva, li costruisco personalmente da 147


anni, e nonostante possano sembrare superati sono pensati per non essere rintracciabili, poiché criptati più efficacemente di qualsiasi cellulare. naturalmente può capitare che a intercettarmi sia proprio chi usa strumenti elementari o ormai in disuso: è successo con dei ragazzini che si divertivano con vecchi walkie-talkie e, più recentemente, con un lupo di mare appassionato di obsolete radio a galena. Ma si è trattato di coincidenze fortuite, anomale quanto rare. Comunque, essere un po’ démodé ha anche altri vantaggi. Chi possiede grandi ricchezze (banche, collezionisti, gioiellieri) si aspetta di vedere il proprio tesoro minacciato da tecnologie di ultima generazione, adeguate insomma a superare difese sempre più evolute e apparentemente inaccessibili. Così, spesso, mi trovo ad affrontare casseforti protette da scanner retinici, serrature elettroniche, sensori vocali: tutti sistemi vulnerabili da parte di un banale attacco “meccanico”! naturalmente si presentano situazioni in cui, vista l’inutilità dei metodi tradizionali, sono obbligato a servirmi di strumenti sofisticati per violare, per esempio, una combinazione. spesso in questi casi il problema è disporre del tempo e della pazienza necessari. Ma se devo creare le circostanze per guadagnare il primo, la pazienza, qualità sottovalutata da molti, non mi manca. Mi piace ricordare a questo proposito la storia di un impiegato che ho incontrato tempo fa: lavorava in una banca, e si era messo in testa di violarne la cassaforte per rubarne il contenuto. Essendo impossibile per lui scassinarla, sfondarla o trasportarla poteva solo trovare la combinazione: ha provato per decenni infinite sequenze di numeri finché, poco prima di andare in pensione, ha trovato quella giusta e ha fatto il colpo. Grande esempio di perseveranza: si è me148


ritato di goderne il frutto. Ho rinunciato a quel colpo senza rimpianti. Questo è di sicuro un caso limite e io ovviamente non ho mai a disposizione tutto quel tempo, ma l’essenza è che spesso la calma, la concentrazione e la ricerca del punto debole dell’avversario possono condurre al successo. senza bisogno di usare chissà quali tecnologie. o forza. o violenza. Per vincere non sono indispensabili. anzi, contrariamente a quanto si pensi di me, se posso evito la violenza fisica. Per ottenere le informazioni che mi servono ho il pentothal. Già, il pentothal, il cosiddetto “siero della verità”. ne uso una formula potenziata di mia creazione che, iniettata in vena alle mie vittime, annulla qualsiasi reticenza e le costringe a rispondere sinceramente a ogni domanda. Purtroppo non sempre funziona. la maggior parte dei miei possibili bersagli è a conoscenza di questo espediente e, a cominciare da Ginko, si tutela trovando il modo di “mitridatizzarsi”, ovvero di rendersi immuni al pentothal. Ci sono invece altri casi in cui non posso somministrarlo, perché la vittima è gravemente cardiopatica o addirittura allergica alla sostanza: quando si è verificata quest’ultima eventualità mi sono trovato per le mani un cadavere inatteso e ho dovuto modificare, o persino annullare, i miei programmi. Ho sintetizzato anche una “droga dell’oblio” che, somministrata dopo il pentothal, fa sì che le persone non abbiano memoria dell’interrogatorio e quindi non possano interferire nei piani che organizzo in base alle informazioni che ho carpito loro. Comunque, per terrorizzare, ma anche per ottenere informazioni, a volte non ho nemmeno bisogno di usare il pentothal: basta il luccichio della lama o la ferocia del mio sguardo. Chiunque sa che è preferibile parlare 149


piuttosto che sperimentare la mia ira. Ira che riservo a situazioni eccezionali, perché non perdo la calma facilmente. Ho imparato, fin dai tempi sull’isola di king, l’importanza dell’autocontrollo, una tecnica che ho poi perfezionato grazie a Ronin. Mi consente di non perdere la lucidità nei momenti più drammatici e di non ricorrere inutilmente alla violenza: una gelida, implicita minaccia impressiona più di un’esplosione di rabbia. la paura è uno dei più efficaci strumenti di potere. E il mio temibile pugnale è da sempre la mia firma. a volte lo lascio volutamente conficcato nel petto della vittima per far sapere che proprio io sono il responsabile dell’omicidio e per alimentare il terrore che mi circonda. Più spesso, invece, sono costretto a cancellare ogni traccia del mio passaggio. una volta invece volevo che mi fosse attribuito l’assassinio di un uomo che era stato ucciso con un kris per mano di un’altra persona, ma che mi premeva non fosse coinvolta. Perciò ho sfilato l’arma dalla ferita e l’ho sostituita con un mio pugnale: non ci sono stati dubbi che fossi io il colpevole. se fosse successo a Clerville, con Ginko incaricato delle indagini, non avrebbe funzionato ma mi trovavo in un paese lontano e dubito che la Polizia del posto abbia mai sospettato qualcosa. I trucchi del mestiere Ricordo il giorno, ormai lontano, in cui Ronin e io stavamo fuggendo a bordo di un camion, ma il nostro mezzo era più lento di quello dei nostri inseguitori e urgeva inventarsi qualcosa. lui ha usato un trucco che, a ripensarci oggi, mi strappa un sorriso per la sua banalità: grazie a un paio di cavi dotati di uncini ha agganciato una staccionata e l’ha trascinata in mezzo alla 150


carreggiata, bloccando la strada dietro di noi per permetterci di fuggire. In quell’occasione ho capito che qualsiasi strumento, seppur elementare, può essere utile, se si usa il cervello in modo creativo, per essere un passo avanti rispetto agli avversari. nel tempo ho affinato le mie conoscenze e ampliato le possibilità, è vero, ma Ronin mi ha fornito gli strumenti per capire che il mondo non si limitava a quanto avevo imparato sull’isola di king, ma esistevano infinite altre possibilità. “usare per il proprio fine tutto quello che si ha a disposizione” è stato uno dei suoi più saggi insegnamenti.

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