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L SHORT NOVEL Alex Urso Eliana Albertini

Eliana Albertini

Autrice protagonista dell’ultima raccolta di Canicola A.M.A.R.E., Eliana Albertini (Adria, 1992) è una delle nuove matite della nona arte italiana. Le sue storie parlano di adolescenza, provincia e altre “terre di mezzo”.

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Cosa significa per te essere fumettista?

Significa avere l’opportunità di andare a fondo nelle cose con il mezzo espressivo che ho scelto, di osservare e trasporre tutto filtrandolo con i miei disegni e le mie parole, di capire le cose del mondo attraverso i fumetti e di capire i fumetti attraverso le cose del mondo.

Sei nata in provincia di Rovigo nel 1992. Ti presenti?

Ho vissuto in un piccolo paese fino ai 19 anni, poi mi sono trasferita a Bologna per frequentare l’Accademia. Lì ho trovato tutto quello che mi serviva per capire cosa avrei voluto fare, ma soprattutto la consapevolezza che anche ciò che avevo vissuto dagli 0 ai 19 anni mi sarebbe stato molto utile. È stato bello anche per le esperienze “extra” accademiche, come Blanca, collettivo di fumetto e illustrazione che ho fondato nel 2013 insieme a Irene Coletto, Martina Tonello e Noemi Vola.

Sei considerata uno dei giovani talenti del fumetto italiano. Come ti collochi all’interno di questa scena e cosa vedi intorno a te?

Non riesco a collocarmi e, quando qualcuno lo fa, difficilmente mi sento rispecchiata. Ognuno nel lavoro altrui vede ciò che sente più vicino, e probabilmente lo faccio anch’io con il lavoro degli altri. Detto ciò, credo che il fumetto in Italia stia vivendo un bel momento e sono sempre più curiosa di ciò che può riservare il futuro.

Dal 2017, anno del tuo esordio con Luigi Meneghello, apprendista italiano,di cose ne sono cambiate...

È stato un libro che mi è servito molto e ancora adesso ci sono affezionata. Da allora sono cambiate molte cose ma in realtà mi sento come allora: nel bel mezzo di una ricerca infinita.

Nei tuoi lavori prevale un forte senso di adesione alla realtà. Cosa ti ispira?

Penso che il mondo sia pieno di storie che devono solo essere trovate e raccontate. Lo penso quando cammino per strada o quando sento parlare le persone che non conosco. Il guardare disimpegnato è diventato il modo per ispirarmi, soprattutto da quando ho iniziato a lavorare a Malibu, il secondo libro che ho realizzato per BeccoGiallo.

E la tavola qui di fianco, invece, da cosa nasce?

È nata molto liberamente, partendo da un disegno che avevo realizzato in precedenza: l’ho usato come pretesto per iniziare un dialogo interiore in cui penso molti possano ritrovarsi dopo questo lungo anno e mezzo.

Cosa vuol dire raccontare, facendone parte, la periferia italiana?

Se non facessi parte di quell’universo, non sarei mai riuscita a raccontarlo. Per questo motivo Malibu sarà sempre il libro del mio cuore, come la casa in cui si cresce da bambini.

Quanto si è penalizzati (o, viceversa, quanto si guadagna) stando lontani dai grandi centri culturali del Paese?

Penso che ci siano dei pro e dei contro sia nel crescere in città, sia nel crescere in provincia, ma personalmente non farei mai a cambio. Dalla provincia puoi imparare a vivere in città, ma è abbastanza difficile che avvenga il contrario.

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