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ISSUE 7, Q4 2015
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Carlotta Zarattini La passione per la fotografia le ha insegnato che l’arte, in ogni sua forma, deve servire a porsi delle domande: il dubbio, l’incertezza e l’incognita stimolano la curiosità, spingono al dialogo e alla ricerca di nuovi punti di vista. Con questi obiettivi chiari nella testa, a partire dal 2013 Carlotta ha lanciato una serie di iniziative accomunate da un nuovo spirito di scoperta e condivisione. Che sia l’inizio di una nuova scena culturale per la cara, vecchia Lugano?
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Carlotta, sei molto giovane ma hai un bagaglio di esperienze a dir poco invidiabile! Appena maggiorenne ho lasciato Lugano, dove ho trascorso l’infanzia, perché sentivo la necessità di seguire la mia strada e cercare nuove fonti di crescita; gli anni trascorsi via sono stati determinanti per un mio sviluppo professionale e personale. Mi sono trasferita a Bologna per studiare Storia e letteratura italiana, una delle mie prime passioni; poi ho preso un aereo per gli Stati Uniti, e la rassicurante cultura del Bel Paese ha lasciato spazio a nuovi approcci ed esperienze vorticose. Ho studiato fotogiornalismo all’International Center of Photography di New York e ho iniziato a farmi conoscere come fotografa. Ho lavorato con molti professionisti del settore e realizzato reportage in collaborazione con note riviste (New York Times, The Wall Street Journal, Internazionale e altre), finché non mi sono resa conto che la fotografia del reale non riusciva a darmi quello che cercavo. La verità è che oggi tutti possiedono i mezzi per raccontare fotograficamente un evento in cui si trovano coinvolti, e spesso il loro punto di vista è più veritiero rispetto a quello di un fotoreporter... Così ho deciso di portare la mia fotografia su un altro livello, più personale e introspettivo.
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La fotografia è un ottimo strumento per porsi delle domande, mettersi in discussione, veicolare nuove riflessioni.
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Cosa ti ha fatto cambiare idea? Ero stata a Phnom Penh, in Cambogia,
Come hai sviluppato concretamente questo pensiero sulla cultura?
per documentare lo stato di degrado del
Il passo successivo è stato tornare a
White Building, un edificio costruito negli
Lugano; non avevo un’idea precisa e non
anni Sessanta durante il boom della po-
sapevo per quanto sarei rimasta… poi
polazione e abbandonato durante il regi-
è arrivato il progetto di Spazio 1929, e
me di Khmer Rouge nel 1975, ora occupato
senza che me ne rendessi conto sono stata
da giovani artisti e famiglie in miseria,
trascinata in un vortice di idee che non
tossicodipendenti e prostitute. Per cattu-
si è ancora fermato. Era il 2013 e Banca
rare il senso della vita nel White Building,
Zarattini & Co. aveva traslocato i suoi
mi ero immersa nel quotidiano di quella
uffici, lasciando libero un edificio sto-
comunità, che mi aveva completamente
rico in centro a Lugano. Abbiamo subito
assorbita. Dopo essere stata testimone di
pensato di valorizzarlo per dare vita a
una realtà così complessa, metafora per-
qualcosa di originale e, poiché sono la
fetta del Paese e delle sue contraddizioni,
più “estrosa” della famiglia, sono stata
ho capito che non sarei tornata facilmen-
immediatamente assoldata per il lavoro!
te al fotogiornalismo nudo e crudo. Ho
Mi sono buttata in questa nuova avven-
lasciato New York e mi sono trasferita a
tura insieme ad altri artisti che, come me,
Milano, decisa a scoprire cos’altro avrei
avevano la sensazione che Lugano avesse
potuto raccontare attraverso la fotografia.
bisogno di una rinfrescata culturale;
All’Accademia di Belle Arti di Brera ho
l’unione delle nostre visioni ha dato vita a
imparato a utilizzare il mezzo fotografico
un nuovo concetto di spazio creativo che
come strumento per pormi delle doman-
vuole incoraggiare artisti e comunicatori
de: amo mettere in discussione me e ciò
a condividere le proprie idee e a collabo-
che mi circonda, e l’immagine artistica
rare alla realizzazione di progetti innova-
– la cultura in generale – ha la straor-
tivi. Il coworking non è solo una soluzione
dinaria capacità di veicolare riflessioni e
economica per chi non può permettersi
creare suggestioni, oltrepassando la pura
uno spazio tutto suo, tutt’altro: significa
rappresentazione fine solo a se stessa.
apertura mentale, cooperazione, scambio, ricerca continua… e il risultato non può che essere eccellente! Per questo abbiamo deciso di definire lo spazio officina creativa: il termine rende perfettamente il senso della collaborazione e del flusso di idee che vorremmo caratterizzassero lo Spazio 1929.
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Lugano aveva bisogno di una rinfrescata culturale, così è nata l’idea di un’officina creativa che spingesse artisti e comunicatori a unire le forze nella realizzazione di progetti innovativi.
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E quello è stato il punto di partenza di altre iniziative che seguono questo pensiero… Esatto. Pochi mesi dopo l’apertura dello Spazio 1929 ci siamo imbarcati in un’altra impresa davvero entusiasmante. Ancora una volta, fonte dell’ispirazione è stato un edificio in disuso: la Villa Ambrosetti di Gentilino. Ormai in condizioni pessime, aspettava di essere abbattuta per lasciare spazio a nuove costruzioni, ma abbiamo voluto farla brillare un’ultima volta. In due mesi l’abbiamo rimessa a nuovo, e 23 artisti hanno contribuito a decorarne le mura con opere che ne raccontassero il passato e celebrassero la memoria. Per un weekend la villa è stata aperta al pubblico e popolata da artisti e musicisti; persino il famoso jazzista Franco Ambrosetti ha suonato nella casa che era stata di sua nonna e, fuori da ogni aspettativa, L’arte della Memoria ha avuto un enorme successo. In quei due mesi abbiamo vissuto in una sorta di utopia del passato, molte persone si sono sentite coinvolte dal nostro progetto e ci hanno offerto il loro supporto senza chiedere nulla in cambio. Nonostante sia stata una vera e propria corsa contro il tempo, ne sono uscita arricchita, come artista e soprattutto come persona. Cerco proprio questo negli eventi e nei progetti in cui mi lancio: voglio che siano fonte di arricchimento per me in primis, e per gli altri di conseguenza. Quello di cui sono certa è che la vita nasconde tante cose che possono essere imparate e scoperte solo accettandole, mettendosi in discussione e soprattutto confrontandosi con gli altri.
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La vita nasconde tante cose che possono essere imparate e scoperte solo accettandole, mettendosi in discussione e confrontandosi con gli altri.
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Il tuo nuovo progetto, Turba, nasce da
dal latino educere, che significa “portar
questo desiderio di stimolare e provo-
fuori”: chi decide di condividere con noi
care?
quest’avventura, accetta di essere trasci-
In parte, sì. Il Turba è un circolo culturale, un luogo di incontro e di scoperta. Chi diventa socio, entra a far parte di un microcosmo abitato da persone eteroge-
nato in un universo fuori dall’ordinario, dove l’incognita è necessariamente parte dell’equazione; solo così potrà uscirne arricchito!
nee, accomunate unicamente dalla voglia
Non è un obiettivo facile quello
di lasciarsi sorprendere e sconcertare. Io
che ti sei posta.
stessa tendo a lasciare che questo luogo mi stupisca e mi suggerisca ogni volta nuovi potenziali sviluppi: anche per noi che lo gestiamo, il circolo è un vero e proprio laboratorio in cui sperimentare e cercare sinergie interessanti tra arte, musica e cibo. La scoperta è senza dubbio il fil rouge dell’esperienza “turbata”: chi passa da qui non si aspetta di tornare a casa immutato; attraverso le serate che organizziamo e gli artisti che passano di qua vogliamo suscitare curiosità, invitare al dialogo e allo scambio di opinioni, e ci auguriamo di dare almeno una leggera scossa a chi partecipa ai nostri eventi! La speranza, poi, è che l’entusiamo generatosi nel corso delle serate abbia una risonanza anche fuori da questo piccolo microcosmo… e perché no, anche fuori da Lugano. Il nostro obiettivo principale è stimolare delle domande più che delle risposte, provocare delle reazioni dentro di noi, educare. Il termine educare deriva
Non è semplice se l’intenzione è quella di imporre un tuo pensiero a qualcun altro, ma non è assolutamente il mio scopo. Non sono detentrice della verità, non so rispondere alla maggior parte delle domande che mi pongo e di conseguenza sono la prima a imparare in queste occasioni. Il Turba, così come gli eventi organizzati da Spazio 1929, costituiscono per me un viaggio di cui non conosco la meta, un racconto di cui non immagino il finale. Voglio coinvolgere il maggior numero di persone possibili nella realizzazione di una realtà culturale e di un’atmosfera che siano fonte costante di ispirazione e crescita. E non conoscere il risultato finale rende tutto solamente più interessante! La vita mi ha insegnato che tante volte è necessario lasciare le cose libere di essere o di non essere; bisogna vivere le occasioni e cogliere il potenziale positivo che si cela dietro a ogni avvenimento.
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Non sono detentrice della verità e non so rispondere alla maggior parte delle domande che mi pongo. Non è un ottimo punto di partenza per imparare qualcosa?
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The Wanderful Take Abbraccia l’imprevisto. La vita è un viaggio di sola andata; prevedi qualche deviazione, apriti agli incontri casuali e non aver paura di perderti! L’esperienza di Carlotta insegna che ovunque sia l’occasione di arricchimento, è esattamente là che dovremmo dirigerci. Se saremo fortunati, sapremo cogliere le infinite opportunità di questo viaggio e utilizzare quanto imparato nella creazione di qualcosa di... Wanderful.
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WANDERFUL MAG Contributors Micol Biasoli, Editor in Chief Giulia Piazzi, Art Direction Simona Tami, Director of Photography Alberto Bernasconi, Photography Publisher Ander Group SA, BSW Lugano, Lausanne, Geneva T. +41 91 966 99 66 wanderful@ander-group.com
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