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VALENTINA ORIOLI, MARTINA MASSARI

Articolo

Lo spazio dell’interazione: luoghi, attori e strumenti a Bologna

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Valentina Orioli1 , Martina Massari1

1 Università di Bologna, DA - Dipartimento di Architettura Email: valentina.orioli@unibo.it; m.massari@unibo.it

Inviato: 5 novembre 2020 | Accettato: 13 novembre 2020 | Pubblicato: 19 novembre 2020

Abstract

Le teorie urbane contemporanee descrivono le città come sistemi complessi in cui il decisore pubblico si trova sempre più di frequente con risorse ridotte in un campo in cui si sviluppano pratiche fluide, che operano al di fuori o ai confini della pianificazione: due dimensioni opposte che lavorano sulla città in modi diversi e a nostro avviso complementari. Un contesto sociale drasticamente mutato e sottoposto a una frizione senza precedenti, come l’attuale emergenza sanitaria, sembra richiamare con ancora più urgenza l’azione complementare delle pratiche nei confronti di processi di pianificazione più tradizionali e codificati. Il contributo si interroga su come affrontare il disallineamento tra i livelli, permettendo alle pratiche innovative di agire, ma garantendo alla pianificazione urbana di integrarle in un discorso di piano, del quale ci sembra confermata la necessità. Attraverso l’indagine del caso studio di Bologna e del suo nuovo piano urbanistico (Pug), si esplora lo spazio che tiene insieme visione e azione, pianificazione e pratiche, superando le tensioni tra queste dimensioni attraverso l'apprendimento reciproco. In questo scenario, il ruolo del pianificatore sembra essere sempre più rivolto alla costruzione di conoscenza orientata a influenzare le dinamiche di una società maggiormente consapevole, a cui risponde mettendo in campo progettualità e linee di ricerca sempre più aperte e orientate alla sperimentazione.

Parole chiave: urban practices, planning, urban regeneration, social innovation

Come citare questo articolo

Talia M. (2020, a cura di), Le nuove comunità urbane e il valore strategico della conoscenza, Atti della Conferenza internazionale Urbanpromo XVII Edizione Progetti per il Paese, Planum Publisher, RomaMilano | ISBN 9788899237264.

© 2020 Planum Publisher

1. Città contemporanee e complessità

Le parole del dibattito urbanistico, oggi, descrivono città e territori “in mutazione” (Boniburini 2009, Secchi 2015, Pasqui 2017), e delineano scenari caratterizzati da un profondo cambiamento, rispetto ai quali la stessa Urbanistica si pone come un “campo incerto” (Gabellini 2018), a sua volta in trasformazione. Anche senza tenere conto della pandemia degli ultimi mesi, il periodo che stiamo attraversando è segnato dall’incertezza a far fronte agli effetti rapidi e imprevedibili delle crisi di lunga durata con risorse limitate e una ridotta fiducia da parte dei cittadini, generando di conseguenza forte difficoltà per gli urbanisti nell’adeguare le proprie categorie di indagine e i propri strumenti.

In questo contesto emerge una moltitudine di attori che intervengono per colmare il vuoto lasciato dalla riduzione di intervento del pubblico e del mercato nel dare risposte rapide ed efficaci alle questioni urbane, seguendo percorsi che si discostano dal pensiero comune (Manzini e Staszowski, 2013) e che si collocano ai margini delle tradizionali strategie di pianificazione. Questi processi sono comunemente definiti di innovazione sociale, una “combinazione di azioni bottom-up, con cui le persone trovano risposte ai bisogni sociali” (Moulaert, et al. 2013), che non sono offerti dal mercato e non più dallo Stato. Innovazione sociale è il termine utilizzato per descrivere forme dinamiche di intervento privato con finalità di interesse pubblico, che operano per la co-produzione di servizi urbani e beni pubblici, e che hanno maggiori probabilità di soddisfare i bisogni locali. Queste “impreviste deviazioni di percorso” (Jacobs 2020, p. 76) stanno progressivamente trasformando il modo tradizionale di fornire servizi, di prendersi cura di popolazioni fragili, di produrre merci, cultura e conoscenza. Dal punto di vista disciplinare di conseguenza, il discorso sull'innovazione sociale ha acquisito sempre maggiore slancio, portando la narrazione a raccogliere l’eredità di teorie e pratiche urbane legate alla partecipazione, all’approccio collaborativo, intrecciate con un’attenzione sempre maggiore ai nuovi sistemi imprenditoriali e produttivi (MacCallum & Haddock, 2016). Nella letteratura e nelle politiche urbane, innovazione sociale è ampiamente descritta come un dispositivo in grado di migliorare le capacità socio-politiche delle società locali (Gerometta et al., 2005) e allo stesso tempo di stimolare e sviluppare governance multilivello per lo sviluppo urbano e territoriale (Moulaert et al, 2013). Gli interventi di questo tipo, identificati come “pratiche” urbane, diventano il simbolo materiale dell’innovazione sociale, poiché appaiono come “anomalie” (Crosta 1983) non pianificate, ma sempre più in grado di muoversi agevolmente negli spazi della città. Le pratiche sembrano riconfigurare modelli di sviluppo urbano su piccola scala (Jacobs 2020) in un modo che appare più efficace nell'affrontare le sfide globali - anche grazie alla loro azione a breve termine - di quanto la pianificazione sia attualmente in grado di fare. In questo quadro tuttavia, innovazione sociale è divenuta un concetto-ombrello che contiene tutto ciò che sta emergendo come attività alternativa rispetto alla pianificazione urbana tradizionalmente intesa (Moulaert et al. 2013). Questa tendenza, insieme a una descrizione per lo più positiva dei suoi risultati, hanno lasciato spazio a interpretazioni errate o all’uso improprio e confuso del concetto che sembra nascondere o giustificare intenzioni di altra natura e interesse, presentando sia rischi che opportunità. Da un lato, un rischio è dato dal conflitto delle pratiche con i vincoli della scala urbana e il macro quadro normativo, spesso irraggiungibile e illeggibile dai processi locali. Dall’altro, le innovazioni sociali rischiano di essere intese come forme accettabili di ritrazione del governo nell’erogazione dei servizi pubblici (Manzini 2017) invece che come risorse supplementari, suscitando controversie nel rapporto con i settori dell’economia tradizionale. Inoltre, la narrazione sostanzialmente positiva mette in ombra l’effettiva capacità di raggiungere tutte le fasce di utenti, mentre in molti casi una criticità delle pratiche di innovazione sociale è costituita proprio dalla limitatezza del target a cui si rivolgono, con il concreto pericolo di esclusione delle categorie più fragili (Vicari Haddock et al 2018). Un contesto sociale drasticamente mutato e sottoposto a una frizione senza precedenti, come quello caratterizzato dall’attuale emergenza sanitaria, sembra richiamare con urgenza il ricorso a soluzioni originali che intercettino le esigenze delle comunità e allo stesso tempo sostengano l’intervento istituzionale. Ma l’azione delle pratiche nei confronti di processi di pianificazione più tradizionali, deve a nostro avviso essere di tipo complementare, una sollecitazione (anche provocatoria) ad agire in maniera integrata, senza intendere la prevalenza di una categoria sull’altra. In questa direzione stanno già lavorando alcune città, nel tentativo di accorciare la distanza tra la dimensione delle pratiche e il livello istituzionale, tra il livello operativo quotidiano e quello strategico.

2. Accorciare la distanza tra pratiche e piano: lo spazio dell’interazione

“Pianificare per il futuro e allo stesso tempo reprimere le possibilità innovative, è una contraddizione in termini”. Nel suo discorso per la conferenza “The residential areas and urban renewal” del 1981, riportato da Barzi in “Jane Jacobs. Città e libertà” (2020), Jacobs esprime già chiaramente l’urgenza di osservare, riconoscere e mettere alla prova i “piccoli piani” prodotti dalle pratiche di innovazione sociale, che nelle città stanno fornendo alternative possibili per il futuro, e che la pianificazione - pur agendo in un’ottica predittiva - non riesce però a intercettare. Allo stesso tempo però, la retorica dell’innovazione sociale non deve diventare l’alibi per giustificare l’inefficacia della pianificazione nel trovare soluzioni progressive per tutta una serie di problemi di esclusione, privazione e mancanza di benessere (Alulli et al. 2017). Il fertile legame tra piccoli interventi di breve durata e la visione a lungo termine è in effetti un tema ricorrente dell’urbanistica, e, come evidenzia Gabellini (2018, p.34), se il breve-termine non può influire sui cambiamenti profondi che hanno portato alla complessità urbana, il lungo-termine appare incapace di afferrare le domande locali e intercettare l'esperienza collettiva, che è sostanzialmente focalizzata sul presente. Un punto cruciale della questione, inoltre, è che concepire progetti ispirati da interessi e obiettivi puramente locali rischia di produrre distorsioni come la privatizzazione dello spazio e l'ulteriore concorrenza tra piccoli attori urbani (Ostanel 2017). La tendenza a focalizzare l’attenzione sul valore prodotto dalle pratiche, deve confrontarsi con un quadro normativo e istituzionale complesso e deve essere condivisa e legittimata da un lato dal contesto urbano e, dall’ altro, dalle reti influenti di relazioni dinamiche su larga scala. Inoltre, osservare le trasformazioni urbane contemporanee solo attraverso le pratiche sociali e gli attori, rischia di sotto-rappresentare gli effetti che tecniche, strumenti e norme hanno sulla produzione dello spazio urbano. La coerenza di interventi micro con una visione su larga scala e con macro obiettivi strategici è quindi decisiva per il buon esito dell’una e degli altri. In particolare, si ritiene che le due dimensioni possano trovare sintesi nell’oggetto stesso della pianificazione: lo spazio. Lo spazio è infatti una dimensione fondamentale dell’agire urbanistico che a nostro avviso ha visto ridurne l’attenzione in favore di un approccio attento al ruolo e alla rilevanza degli attori coinvolti nei processi. Questo atteggiamento della ricerca ha però messo in secondo piano la dimensione fisica, materiale, l’oggetto delle decisioni urbanistiche, che contiene le relazioni tra gli attori e in cui il progetto prende corpo (Bianchetti, 2020). Osservare gli spazi e le forme che compongono le trasformazioni urbane, la densità e qualità delle informazioni emergenti dalla dimensione materiale (Bricocoli 2012), ci pare fondamentale per delimitare una dimensione in cui pratiche e pianificazione possono trovare ricomposizione (Orioli, 2019). Alcune città, tra cui Bologna, da tempo lavorano in questo senso (Massari 2019), impegnandosi a imparare dalle innovazioni e selettivamente aggregare le loro dinamiche e i loro strumenti in un sistema di pianificazione, per contribuire a trattare questioni urbane complesse con una rinnovata attenzione per la dimensione spaziale.

3. Bologna: nuovi attori, luoghi e strumenti

Come sottolineano diversi autori (Balducci et al. 2011; Hillier e Abrahams 2013; Murray, Caulier-Grice, e Mulgan 2010), innovazione sociale trova la sua giustificazione nell’azione pratica e nello specifico contesto in cui la si riconosce. Per queste ragioni, ci si riferisce al contesto della città di Bologna, città che da tempo sperimenta una guida pubblica all’intreccio tra sviluppo urbano e iniziativa sociale e che si trova a rinnovare una tradizione consolidata di cooperazione e di pianificazione (Massari, 2020, cap. 03). Nell’approccio alla “Città collaborativa”, esplicitato in questo e nel precedente mandato amministrativo a partire dal 20141, l'innovazione sociale a Bologna è stata incorporata in maniera pervasiva nel discorso politico superando la mera logica della sussidiarietà: l’impegno locale, le capacità imprenditoriali e l'utilizzo delle conoscenze locali, sono nuovi valori creati grazie all’opportunità per i diversi stakeholder di interagire

1 Una sintesi delle tappe principali del percorso compiuto si può trovare alla pagina https://www.fondazioneinnovazioneurbana.it/68-urbancenter/collaborare-bologna

con le istituzioni. Questa strategia sta quindi mirando a rafforzare la vicinanza istituzionale, proponendo l'interazione diffusa nella città come valore competitivo. Bologna sta affrontando questi temi con una forte attenzione al ruolo degli spazi come nodi di interazione che possono fare la differenza in termini di rapidità, competenza e sviluppo di opportunità per le micro pratiche, sia a breve che a lunga distanza, utilizzando meccanismi di contiguità promossi da una presenza istituzionale stabile sul territorio. Come affermato nel Piano di Innovazione Urbana (2017)2, il tratto distintivo del modello è il concetto di “spazi e luoghi”, capitale urbano da liberare con la prospettiva di creare opportunità di interazione per le comunità. Il Piano di Innovazione Urbana prevede di creare le condizioni per processi di partecipazione localizzata continua a sostegno delle innovazioni sociali, aprendo al contempo il pieno accesso ai dati e alle tecnologie. Si tratta di un quadro discorsivo che favorisce un processo di co-design volto a collegare la visione e le proposte della pubblica amministrazione con le potenzialità derivanti dall'impegno dei cittadini. Il Comune garantisce le condizioni affinché i luoghi possano fungere da intermediari, grazie all'implementazione di nuovi strumenti creativi e ad azioni parallele di coinvolgimento degli attori urbani. L’obiettivo è quello di sviluppare una sinergia virtuosa tra gli attori pubblici e quelli privati promotori, chiamati a svolgere un ruolo di riferimento verso i cittadini e a innescare l'innovazione verso le istituzioni. Gli strumenti privilegiati di questa politica sono molteplici: da una parte i Patti di collaborazione che scaturiscono dall’adozione del “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura condivisa dei beni comuni urbani” (2014)3, dall’altra il Bilancio partecipativo (introdotto nel 2017)4 e l’attuazione della riforma dei Quartieri, operativa dal 2016, nel cui ambito è stato costituito in ogni quartiere un “Ufficio reti e lavoro di comunità” che ha il compito di accompagnare la concretizzazione delle politiche e dei progetti riferiti alla dimensione della prossimità.

3.1 Il Pug di Bologna Da giugno 2018 il Comune di Bologna ha affrontato la formazione del nuovo piano urbanistico comunale (denominato Piano Urbanistico Generale, Pug) ai sensi della Legge urbanistica regionale 24/20175. Il Pug riprende il discorso sulla città ad oltre 10 anni dal precedente piano (PSC 2007) di cui raccoglie e attualizza l’eredità, soprattutto rispetto alla decisa scelta di campo a favore della rigenerazione urbana6 . L’amministrazione ha scelto di accompagnare la formazione del Pug, fra 2018 e 2019, con un confronto pubblico condotto sia nei Quartieri, dove sono stati incontrati cittadini e associazioni, che attraverso quattro Laboratori tematici riservati a portatori di interessi ed esperti, dedicati rispettivamente a: • il ruolo della re-infrastrutturazione del territorio come leva per uno sviluppo sostenibile • come garantire un sistema abitativo equilibrato e inclusivo • integrazione e attrattività dei grandi poli produttivi e dei servizi bolognesi • come i nuovi trend dell’economia ridisegnano i bisogni della città. Le analisi condotte durante la formazione del Piano, a partire dai molti dati disponibili e dal profilo di Bologna che era stato alla base dell’elaborazione del PSC 2007, unitamente ai temi emersi nel corso della prima serie di confronti pubblici, sono servite ad attualizzare il profilo della città e a meglio precisare gli obiettivi sui quali si fonda la “strategia per la qualità urbana ed ecologico-ambientale” che è il cuore del nuovo strumento urbanistico.

2 http://www.comune.bologna.it/pianoinnovazioneurbana/ 3 http://partecipa.comune.bologna.it/beni-comuni 4 http://partecipa.comune.bologna.it/bilancio-partecipativo 5 Il processo di formazione del Pug, come «unica variante generale diretta a unificare e conformare le previsioni dei piani vigenti», ha avuto inizio nel giugno 2018 con una delibera di Giunta. La proposta di Piano è stata assunta dalla Giunta a febbraio 2020, e, dopo un periodo di pubblicazione protratto fino a quasi 4 mesi in relazione all’emergenza sanitaria, il Piano è ora in fase di controdeduzione. 6 La proposta di Pug è consultabile alla pagina http://dru.iperbole.bologna.it/progetti

I tre principali obiettivi del Piano sono sintetizzati in “Resilienza e ambiente”, “Abitabilità e inclusione”, “Attrattività e lavoro”. Ogni obiettivo contiene la descrizione testuale e grafica di quattro strategie, che si sostanziano in circa 60 azioni di piano. Le dodici strategie così configurate sono la griglia che definisce la disciplina del Piano, cioè le norme attraverso le quali il Piano si attua. Ogni capitolo della disciplina è articolato in “indirizzi per le politiche urbane”, rivolti all’Amministrazione nelle sue diverse componenti e strutture, per il raccordo tra politiche di cui si farà carico l’Ufficio di Piano; “condizioni di sostenibilità per gli interventi urbanistici” più complessi, da attuare mediante accordi pubblico-privato e “prescrizioni per gli interventi edilizi”. Questa triplice declinazione delle norme mette in luce la natura essenzialmente strategica del Pug: un Piano che non ha valenza conformativa e non localizza le previsioni di trasformazione, ma costruisce una cornice “larga” di sostenibilità e un quadro di coerenza per tutte le trasformazioni che riguardano la città di un futuro che si può ragionevolmente stimare nei 15 anni successivi all’approvazione7 . Le strategie urbane trovano specificazione nella dimensione di prossimità, attraverso 24 strategie locali. Tutto il territorio comunale è oggetto di uno sguardo ravvicinato, che tiene insieme le considerazioni, le attese e le previsioni già emerse grazie al lavoro svolto nei Quartieri negli ultimi anni. Le strategie locali offrono quindi un riferimento per l’azione (ad esempio per la contrattazione preliminare alla stipula di un accordo) ma anche una base per riprendere e attualizzare la discussione sulla città quando questo si renderà necessario. Nei Laboratori di quartiere, attraverso il confronto sulle strategie, sarà possibile fare monitoraggio e «manutenzione» del Piano. Da questo punto di vista il Piano urbanistico è predisposto ad accogliere un contributo tipico dei processi partecipativi, e le 24 strategie locali con i relativi laboratori si configurano come vere e proprie palestre per l’azione. Queste permettono da un lato alla pubblica amministrazione di sperimentare alternative procedurali e progettuali, ampliando il campo di azione del piano, per espandere le soluzioni progettuali integrando anche soluzioni a fenomeni contingenti. I Laboratori di quartiere si presentano come porzioni di una nuova forma di pianificazione fatta di parti indipendenti e incrementali, replicabili in altre pratiche decisionali: una pianificazione fatta di piccoli piani (Jacobs, 1992), aperta (Sennett, 2018) di cui l’innovazione sociale è azione complementare.

4. Il Piano e il pianificatore

Città sempre più complesse e situazioni di crisi che si evolvono in modo rapido e non prevedibile esigono risposte che il piano tradizionale fatica a gestire. D’altra parte la proliferazione di pratiche di innovazione sociale ha consentito di ri-descrivere e interpretare sempre più la città come un campo in cui si sviluppano iniziative fluide. Sebbene l’innovazione sociale appaia come un concetto evocativo, allusivo, utile a produrre trasformazioni urbane informate, servizi efficaci e rinforzare il valore della collaborazione per la città, essa rischia di rivelarsi un approccio necessario ma non sufficiente. L’innovazione sociale necessita di condizioni sia abilitanti che costrittive, in grado di creare nuove forme di alleanze nate dall’organizzazione di elementi eterogenei. Nei casi più fertili, oltre che come risposta alla riduzione dell’azione pubblica, essa può essere letta come spinta a un ripensamento delle modalità di pensiero e di azione sulla città, per modificare alcuni dei presupposti obsoleti incorporati nella cultura della pianificazione. Interpretare quindi le innovazioni sociali come materializzazioni di un cambiamento in atto, consente di stabilire le condizioni effettive attraverso le quali le pratiche possono aumentare la loro risonanza su strumenti urbanistici più ampi e complessi, ponendo allo stesso tempo la necessità di una loro riforma più profonda. Un invito a trasformare quindi gli strumenti e i tradizionali approcci urbanistici, che hanno dimostrato la propria inefficacia a predire e prevenire cambiamenti e dinamiche contemporanee.

7 La Legge 24/2017, in effetti, non stabilisce la durata del Piano, e neppure specifica la modalità con cui si possono realizzare varianti urbanistiche.

Il caso del Pug di Bologna, costruito al termine di un percorso compiuto dalla città per colmare la distanza tra pratiche “dal basso” e azioni e piani dell’amministrazione, si colloca in questa prospettiva. Sulla scia di questa esperienza, che è anche una delle prime a sperimentare la Legge 24/2017, la redazione di un nuovo piano comunale può essere occasione per sperimentare un nuovo atteggiamento delle città, all’insegna dell’interazione e non solo della negoziazione. In questo contesto il piano assume il ruolo di spazio di sintesi, di supporto e di dibattito delle politiche urbane, uno strumento che parla della città, provando a territorializzare una visione per il futuro e soprattutto a sancire un impegno a lungo termine nei confronti di azioni e approcci localizzati e circoscritti nel tempo. Allo stesso tempo, il piano si dimostra aperto, flessibile, attento alle istanze che generano cambiamenti a scala minore, intercettando i “piccoli piani” delle pratiche di innovazione sociale. Di conseguenza, anche il pianificatore cambia profondamente, mostrandosi sempre più rivolto all’organizzazione di conoscenza per influenzare e gestire le dinamiche di una società maggiormente consapevole e attiva. Il pianificatore “deve essere il partner del cittadino [attivo], non al suo servizio - critico del modo in cui le persone vivono e autocritico di ciò che egli costruisce” (Sennett 2018, p.40). Un ruolo di regia nei confronti di coloro che danno corpo alle sperimentazioni, ma anche di esplorazione e di ricerca (Brighi, Orioli e Proli, 2019) assumendo la prospettiva dell’indagine come indicazione di percorso. Attraverso la predisposizione di spazi per un’interazione stabile, il piano di Bologna mette in atto un primo passo verso di consolidamento di questo ruolo, proponendo un continuo processo localizzato in cui si sperimentano ipotesi, si raccolgono istanze, permettendo di apprendere e sistematizzare le lezioni apprese, sotto forma di piano.

Riferimenti bibliografici

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Attribuzioni

Il testo è patrimonio di riflessioni comuni degli autori, tuttavia i paragrafi 1 e 2 sono da attribuire a Martina Massari; le parti 3 e 3.1 a Valentina Orioli, mentre la sezione 4. a entrambe.