
6 minute read
Il ruolo sociale, civico e politico della Scienza
Le democrazie compiute si riconoscono quando promuovono una cittadinanza scientifica in cui scienza e democrazia si alimentano a vicenda per costruire una società della conoscenza. Un concetto questo che appare già evidente nella culla della democrazia, Atene, primo modello di forma di governo democratico della storia occidentale (V secolo a.C.) e rappresentata in maniera magistrale nella Scuola di Atene di Raffello Sanzio, un affresco in cui l’artista raccontata l’evoluzione della conoscenza: dalla visione idealistica di Platone (428 a.C.) alla visione funzionalistica di Aristotele (384 a.C.).
Tuttavia, anche le democrazie cosiddette evolute hanno mostrato e continuano a mostrare forti limiti nel garantire la partecipazione in piena uguaglianza all’esercizio del potere pubblico. Questo accade quando il potere dell'educazione, della cultura, del progresso scientifico spaventa i governanti e decisori politici e pertanto viene “violentemente” osteggiato. Esempi drammatici sono la storia di Malala Yousafzai, la coraggiosa ragazza Pachistana, premio Nobel per la pace, a cui non solo è stato negato il diritto allo studio, ma è stata anche gravemente ferita nel 2012 dai talebani per la sua attività a favore dell’istruzione delle bambine o la storia di centinaia di bambine e ragazze iraniane avvelenate per chiudere le scuole femminili. Tuttavia, la limitazione alla costruzione di una società della conoscenza viene perpetrata anche senza l’uso delle armi, ma con i più “democratici” decreti legislativi, che tolgono risorse alla cultura, alla scuola, alla ricerca scientifica, veri settori strategici che rendono il sistema paese sempre più pronto alle sfide più impegnative.
Advertisement
C’è stato qualche ministro che sosteneva che con la “cultura non si mangia” e c’è chi pensa ancora oggi che tagliare risorse alla ricerca scientifica, al mondo della scuola, alla cultura e alla sanità pubblica sia efficace per poter fare cassa. Mantenere i conti in ordine e contenere il debito pubblico è senza dubbio fondamentale per un Paese, ma tutto ciò non deve essere di costrizione al suo vero benessere che è la conoscenza, la capacità cioè di produrre ricchezza, intesa non solo come capacità di produrre profitto economico, ma soprattutto profitto culturale, scientifico e sociale: in altre parole democrazia.
Nel documento che accompagnava la prima edizione della manifestazione scientifica “Festa della Scienza” di Andrano si esprimeva in maniera convinta il principio secondo cui “più la conoscenza scientifica si avvicina al popolo e più elimina le disuguaglianze e promuove la libertà”.
Di conseguenza, le democrazie mature si riconoscono solo quando sanno promuovere il pensiero scientifico e utilizzare il suo metodo. Un valore questo già enunciato nell’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, curata dai filosofi Denis Diderot e Jean D’Alembert e pubblicata nel 1751. Quest’opera monumentale e pionieristica era ispirata dal principio che un popolo non può definirsi veramente libero e non può aspirare al progresso se gli è negato il libero accesso alle fonti del sapere scientifico e tecnico. Sono questi gli elementi valoriali fondanti di una società democratica matura, basata quindi sulla valorizzazione della cultura e della ricerca scientifica e codificati negli articoli 9 e 33 della Carta Costituente.
Capita invece, sempre più spesso, che nell’agenda politica dei vari governi, partiti e movimenti politici manchi l’impegno a supportare e favorire tutto ciò che
Musar
ruota intorno al principio cardine di un paese virtuoso: la società della conoscenza. Serve quindi una nuova rivoluzione culturale, un impegno concreto per non penalizzare il futuro di un intero paese. Vale quello che diceva l’astrofisica Margherita Hack nel commentare la scarsa considerazione che i politici negli ultimi 20 anni hanno avuto verso la cultura e la ricerca scientifica: “La scarsa considerazione che la nostra classe politica e in particolare quella più recente riserva all’istruzione, all’università e alla ricerca è la conseguenza del basso livello culturale della gran maggioranza degli eletti in Parlamento.” Bisogna, quindi, ritornare a favorire il pensiero razionale e il metodo scientifico, quel metodo che dovrebbero adottare anche i nostri politici e decisori per affrontare e risolvere i problemi, senza cadere sempre nella solita retorica elettorale di promesse inattese e di problemi mai affrontati. Facciamo qualche esempio.
1) il 25 settembre 2018 un viceministro della Repubblica Italiana afferma stentoreo da uno dei balconi dei palazzi della politica: "con questa manovra, con questa legge di bilancio abbiamo abolito la povertà". Abolire la povertà! Promessa nobile. Come? Con quali mezzi? Con quali risorse? La povertà è un problema reale per milioni di italiani, ma la politica a parte i proclami massmediatici dovrebbe capire che prima di euforiche ed isteriche esultanze da balcone deve arrivare almeno con un progetto credibile; perché la povertà, nonostante le buone intenzioni, non si sconfigge per decreto. Ci vuole prima una progettualità credibile, organizzare e rendere, non solo (si spera), efficiente ma almeno operativa la macchina dei centri per l’impiego, definire le modalità di erogazione del beneficio, stabilire programmi di formazione professionale nei settori che possono richiedere e offrire un lavoro, promuovere politiche del lavoro riducendo magari il costo del lavoro e poi dopo forse affacciarsi sul balcone per una boccata d’aria. Ma prima serve studiare!
2) Il 20 maggio 2021 il Senato della Repubblica ha licenziato un disegno di legge che legittimava la pratica dell’agricoltura biodinamica, basata su principi esoterici e di procedure magiche, scaraventandoci d’un sol colpo in un nuovo medioevo culturale. Solo dopo una lunga ed estenuante battaglia dentro e fuori i due rami del Parlamento, la Camera ha tolto, almeno in parte, l’equiparazione dell’agricoltura biodinamica a quella biologica.
3) Nonostante l’approvazione, il 14 dicembre 2017, della legge sulle disposizioni anticipate di trattamento e il consenso informato, manca ancora in Italia una legge che preveda la possibilità di aiuto medico alla morte volontaria per le persone che non dipendono da trattamenti di sostegno vitale. Ancora oggi, per ragioni “politiche”, religiose, in Italia non è possibile morire con dignità perché molti partiti, soprattutto di destra, denunciano "derive eutanasiche".
4) La pervicace volontà a promuovere, anche in recenti occasioni, il negazionismo e la post-verità. Basta ricordare l’Olocausto e le leggi razziali negate, il continuo discredito sul valore della Resistenza, i cambiamenti climatici causati da uno spregiudicato sfruttamento delle risorse naturali, l’annientamento delle teorie evoluzionistiche, le teorie del complotto.
5) La pseudoscienza e le teorie del complotto sul caso Xylella. Il 2014 segna l’inizio di un periodo drammatico per l’economia del Salento, un'epidemia di Xylella fastidiosa ha minacciato la produzione di olio d'oliva. La comunità scientifica si mobilita da subito e sulla base di solide evidenze sperimentali, che riportavano una correlazione tra l'infezione della Xylella fastidiosa, sottospecie pauca, e lo sviluppo della sindrome o complesso del disseccamento rapido dell'ulivo, suggeriscono alla politica quello che avrebbe salvato l’economia di un intero territorio: “sradicare le piante malate per evitare il contagio”. Una soluzione richiesta anche dall’Europa. Tuttavia, alcuni esponenti politici locali supportati dal megafono massmediatico di alcuni giornali, piuttosto che seguire le autorevoli indicazioni della scienza preferiscono abbracciare tesi antiscientifiche e complottiste. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
I paesaggi spettrali del Salento, fatti di scheletri di ulivo, fa veramente male al cuore e ad un'intera economia. E tutto questo per colpa di un microbo ancora più pericoloso della Xylella fastidiosa: l'ignoranza fastidiosa che colpisce un nutrito gruppo di politici, amministratori e giornalisti con evidenti bias cognitivi. Queste storie insegnano anche che la costruzione delle conoscenze presuppone la perdita di potenza di mere opinioni per acquisire solide e complesse competenze (cognitive, culturali, politiche, sociali, etiche). Nel suo essere complesso, l’uomo si colloca, quindi, in un ambiente altrettanto complesso, che ne influenza e ne stravolge la complessità fisiologica e sociale e da esso stesso ne risulta influenzato. Ed è così che l'uomo, l’essere più complesso esistente in natura, trasforma in religione tutto ciò che non capisce, in complotto ciò che non gli garba e in verità i propri limiti cognitivi, piegando la realtà dei fatti e i fatti della storia in farneticanti opinioni personali.
L’ignoranza dei problemi, alimentata e sostenuta da una inadeguatezza di molti decisori politici, da una routinaria cantilena di esternazioni bizzarre da parte di sapienti ignoranti, da anatemi scomposti di curiali con pregiudizi cognitivi, da ipotesi complottiste di chi è abituato a banalizzare la complessità delle cose, porta poi ad uno stravolgimento dell’equilibrio dinamico necessario per mantenere l’isonomia in una società complessa. Un compito, questo, della politica e dei decisori, i quali devono promuovere politiche atte a garantire sia i diritti inviolabili del singolo cittadino che le necessità collettive.
Quante volte i cittadini si saranno chiesti come e con quali criteri la politica, i decisori, il parlamento prende le sue decisioni; le quali inevitabilmente andranno poi ad impattare sulla vita reale degli stessi cittadini. Quanto importanti sono le competenze, il metodo ed il merito, e quindi il metodo scientifico, per arrivare a prendere decisioni che vadano oltre i pregiudizi, le opinioni personali ed i conflitti di interesse?
La politica, se non sa valutare le cose con metodo e nel merito, rischia di confondere e ingannare i cittadini e i consumatori. Serve ovviamente una solida base di conoscenza e di metodo scientifico e questo significa anche la fatica dello studio.
Scriveva Antonio Gramsci: “Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza”.