FARCORO 3-2022

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Dossier La vocalità: scuole e metodi

Cantare la Pace Analisi L’Oratorio di Natale di Saint-Saëns

n. 3 / 2022
AERCO

FARCORO

Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori Settembre-Dicembre 2022 Edizione online: www.farcoro.it

Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977

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IN COPERTINA

FESTIVAL CORALE

INTERRELIGIOSO SPIRITUS 2022

Il reciproco ascolto della musica sacra

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CN/BO

Editoriale 01

DI SANDRO BERGAMO

La lettera del Presidente 02 DI ANDREA ANGELINI

Dossier: Parole in musica 04

Il metodo Estill: quali potenzialità nell’attività corale? A CURA DI SILVIA VACCHI

Il “Canto a livello Parlato” di Seth Riggs DI MATTEO UNICH

Metodo Feldenkrais per cantanti DI SILVIA NANNETTI

Il Metodo Lichtenberger®Institut DI LUCIANO BORIN

L’audiation e il Metodo Gordon A CURA DI LUCA BUZZAVI

Popolare 20

Giorgio Vacchi, Composizioni per coro DI DANIELE VENTURI

Il centenario dei Canterini Romagnoli “F. B. Pratella” di Lugo DI MATTEO UNICH

L’esperienza del Coro Cantering DI SILVIA VACCHI

Notizie 34

Un’esperienza corale all’Istituto Penale Minorile di Bologna DI SILVIA VACCHI

Analisi 38

L’Oratorio di Natale di Saint-Saëns DI MATTEO VALBUSA

AERCO

SPIRITUS

DI ALESSIO ROMEO Cantare la pace dodicesima edizione della rassegna ‘Voci nei Chiostri’ DI GIANLUIGI GIACOMONI

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Storia 60

Il più antico esempio di polifonia ‘d’arte’

DI GIOVANNI VARELLI

Didattica 65

Cantare la scuola DI GIORGIO GUIOT

FarCoro
n. 3 / 2022

Intorno al 1720, Domenico Zipoli risiede a Cordoba, in Argentina, da dove collabora assiduamente con i confratelli gesuiti delle reducciones del Paraguay. Li rifornisce della musica da far eseguire agli indios Guaranì.

In questa popolazione, i gesuiti avevano riscontrato una notevole propensione alla musica e alla musica si erano affidati per concretizzare il loro programma, che mirava a organizzare gli indios da loro convertiti perché fossero in grado di sostentarsi autonomamente, sfuggendo allo sfruttamento dei colonizzatori spagnoli. Non si basavano solo sul dato economico: cercavano un riscatto generale, come persone e come popolo, dei Guaranì, puntando sull’istruzione e sulla formazione culturale. Insegnarono a costruire strumenti musicali, poi commerciati in Europa (i violini guaranì erano, nel Settecento, rinomati), insegnarono, naturalmente, a suonare e cantare. Nelle retrovie, altri gesuiti componevano la musica destinata ad essere eseguita nelle reducciones. Zipoli ne scrisse tantissima, tra i quali numerosi salmi per l’uso liturgico di tutto l’anno. Quelli che ho avuto modo di eseguire in alcuni concerti nei mesi scorsi, sono per coro, due violini e basso continuo. Il coro è a tre voci, SAT: i guaranì erano piccoli di statura e tutto era in proporzione, sicché non esprimevano voci in tessitura profonda. L’esperienza delle reducciones è oggi conosciuta

soprattutto grazie alla ricostruzione del film Mission: e da lì sappiamo come andò malamente a finire, stroncata dagli spagnoli. Ancor oggi però, il ricordo di Zipoli è vivo tra le popolazioni indigene del Sudamerica. Più o meno negli stessi anni, Benedetto Marcello scriveva l’Estro poetico-armonico: un lavoro monumentale, in otto volumi, nei quali mette in musica i primi 50 salmi. Nel III e IV volume, una decina di salmi sono intonati su temi che provengono dalle sinagoghe del Ghetto di Venezia. Nella stampa del volume, Marcello, al momento di utilizzare il tema, lo premette alla sezione del salmo in cui viene utilizzata, precisando in quale sinagoga si cantava e riportando il testo in caratteri ebraici: il tutto, musica inclusa, rigorosamente scritto da destra a sinistra, more hebraico. Ho potuto realizzare queste citazioni grazie alla consulenza dell’allora rabbino di Venezia, rav Elia Richetti, senza il quale non mi sarebbe stato possibile, non solo capirle, ma nemmeno pronunciare il testo né collocarlo sotto le note. Nella Venezia di primo Settecento, dove gli ebrei, per quanto più liberi che nei secoli precedenti, restavano una minoranza discriminata, Benedetto Marcello mostra una apertura e curiosità intellettuale che lo portano a superare ogni pregiudizio.

Cantare queste musiche in un momento in cui tutti gli stereotipi sembrano riprendere forza e ridare alimento a razzismi e nazionalismi, mettendo in pericolo la convivenza pacifica tra i popoli e dentro i popoli, mi ha fatto riflettere e spero abbia fatto riflettere quanti con me le hanno eseguite e quanti le hanno ascoltate. Zipoli e Marcello ci precedono di tre secoli, indicandoci una strada che faremmo bene a percorrere, se ne siamo ancora in tempo.

Domenico Zipoli, vespri di Sant’Ignazio

Editoriale
C
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oro

La lettera del Presidente

Stille Nacht: La Vera Storia!

Il brano natalizio più famoso di ogni tempo,  Silent Night , arriva a noi direttamente dall’Austria. Conosciuto come  Stille Nacht nel suo originale tedesco, questo magnifico corale di Natale è cantato e apprezzato in tutto il mondo in oltre 140 lingue. C’è da dire che la familiare melodia che conosciamo oggi come  Astro del Ciel  o  Silent Night non è proprio la stessa che Franz Gruber compose nel 1818 (anche se la musica originale non è stata veramente perduta o dimenticata come vorrebbe la leggenda) e che essa ha impiegato decenni per divenire così popolare e onnipresente come lo è oggi. Negli anni seguenti, all’incirca nel 1820, Joseph Mohr divenne abbastanza conosciuto per aver scritto un arrangiamento di  Stille Nacht ; successivamente altri arrangiamenti (su manoscritti di Franz Gruber) apparvero prima della sua morte, uno per un’orchestra nel 1845, e un altro per organo nel 1855. Nel 1900  Stille Nacht  aveva fatto il giro del mondo. Ma provo a cominciare dall’inizio.

In una fredda Vigilia di Natale del 1818 il pastore Joseph Franz Mohr (1792-1848) camminò nella neve per tre chilometri dalla sua casa nel villaggio austriaco di  Oberndorf bei Salzburg per fare visita al suo amico Franz Xaver Gruber (1787-1863) nella vicina città di Arnsdorf bei Laufen. Mohr portò con sé una poesia che aveva scritto circa due anni prima. Aveva un disperato bisogno di un canto per la messa di mezzanotte della Vigilia di Natale che sarebbe iniziata da lì a poche ore. In cuor suo sperava che l’amico, un insegnante di scuola che serviva anche come maestro del coro e organista della chiesa, potesse mettere in musica la poesia. E una delle tante cose sorprendenti di questo canto è che Franz Gruber compose la melodia di “Stille Nacht” per Mohr in poche ore durante quel 24 dicembre 1818.

Le recenti inondazioni del vicino fiume Salzach avevano messo fuori uso l’organo della chiesa, così Gruber compose la musica con accompagnamento di chitarra. Ma è molto più probabile che Mohr avesse previsto sin dall’inizio la chitarra come strumento d’accompagnamento; infatti il canto venne eseguito dopo la Santa Messa all’interno della chiesa, davanti al presepio. Poche ore dopo che Gruber terminò la sua composizione, lui e Mohr si posizionarono davanti

2 | LA LETTERA DEL PRESIDENTE

all’altare della chiesa di San Nicola a Oberndorf per eseguire la loro opera. Un gruppo corale locale li sostenne mentre i suoni del nuovo canto rompevano il silenzio di quella “Stille Nacht”. Ripetute inondazioni avevano danneggiato le sue fondamenta per cui la chiesa di San Nicola fu demolita all’inizio del 1900. Il fiume Salzach (che scorre anche nella vicina Salisburgo) ha tendenza a straripare e quindi l’intera città di Oberndorf nel 1920 fu trasferita in una posizione meno soggetta ad alluvioni, circa 800 metri più a monte. Durante quel periodo fu costruita una nuova chiesa parrocchiale, e una piccola cappella commemorativa, la  Stille-Nacht-Gedächtniskapelle, sostituì la  NicolaKirche originale.

è possibile sentire  Silent Night risuonare all’interno di un centro commerciale locale o anche come parte di uno spot radiofonico o televisivo. Ciononostante, Stille Nacht gode di grande rispetto tra i canti natalizi di tutto il mondo, non importa quale sia il suo titolo o in quale lingua venga eseguito.

Per molti anni nella seconda metà del XIX secolo, quando il canto cominciava a diventare più popolare, le persone che sapevano qualcosa di  Stille Nacht presumevano che la melodia dovesse essere stata composta da un musicista più famoso, forse Beethoven, Haydn, o anche Mozart. Sebbene Gruber avesse rivendicato per iscritto la paternità della composizione prima della sua morte nel 1863, i dubbi continuarono fino al XX secolo. La questione è stata ufficialmente risolta solo alcuni anni fa, quando è stato certificato come autentico un arrangiamento di Stille Nacht di Joseph Mohr. Nell’angolo in alto a destra dell’arrangiamento Mohr aveva scritto le parole ‘Melodie von Fr. Xav. Gruber’. Intorno al 1832, quando la melodia di Gruber fu eseguita da cantori popolari della valle Ziller (Zillertal) in Austria, diverse note originali furono alterate e la melodia di Astro del Ciel divenne quella tutti che conosciamo oggi. Ma la Stille Nacht Gesellschaft (Società della notte silenziosa) austriaca non solo lavora per proteggere l’eredità di MohrGruber ma incoraggia l’uso della partitura originale che Gruber compose.

In Austria  Stille Nacht è considerato un tesoro nazionale. Tradizionalmente il canto non può essere eseguito prima della Vigilia di Natale e un suo qualsiasi uso commerciale è da ritenersi proibito. Questo fatto contrasta con la situazione nella maggior parte degli altri paesi, dove

Franz Gruber nacque il 25 novembre 1787 nella città austriaca di Hochburg. Dopo gli studi divenne un insegnante e si trasferì ad Arnsdorf. Le stanze dove viveva e lavorava si possono ancora vedere al secondo piano della scuola di Arnsdorf. Gruber ovviamente non passava tutto il suo tempo a comporre musica: ebbe una dozzina di figli da tre mogli diverse! Nel 1839 la famiglia Gruber lasciò Arnsdorf per Hallein, appena a sud di Salisburgo. La sua tomba si trova ora vicino alla vecchia casa della famiglia e ogni dicembre viene adornata con un albero di Natale. Joseph Franz Mohr nacque come figlio illegittimo l’11 dicembre 1792 a Salisburgo. Divenne prete cattolico nell’agosto 1815 (solo dopo aver ricevuto una particolare dispensa papale allora richiesta per le persone illegittime che entravano in seminario). L’ultima dimora di Mohr si trova nella piccola stazione sciistica alpina di Wagrain, dove morì senza un soldo nel 1848. Donò la sua modesta fortuna terrena per l’istruzione dei bambini della comunità. Oggi la  Joseph Mohr School si erge come un adeguato memoriale a pochi metri di distanza dalla tomba di colui che ha scritto le parole che hanno fatto il giro del pianeta.

| 3 STILLE NACHT: LA VERA STORIA!
A tavola per la colazione di lavoro La Stille-Nacht-Gedächtniskapelle Un modello di Franz Xaver Gruber e un ritratto di John Mohr, rispettivamente il compositore e il paroliere di “Stille Nacht” Ascolta Stille Nacht cantato dai King’s Singers Scarica le partiture di Stille Nacht da IMSLP

Il metodo Estill: quali potenzialità nell’attività corale?

La tecnica vocale è uno dei ricorrenti temi di confronto tra direttori di coro. Le grandi società corali sempre più spesso affidano la preparazione vocale dei coristi a professionisti esterni il cui profilo si sta delineando con precisione anche grazie ad accademie dedicate come quella dell’Asac. Il più delle volte, però, è il direttore stesso a farsi carico di queste esigenze occupandosi personalmente, oltre che dell’insegnamento delle parti e della concertazione, anche della vocalità. Un lavoro complesso di cui vogliamo parlare con Silvia Testoni cantante, attrice e docente esperta di metodo Estill. Ma la parola “metodo” in questo specifico caso non è appropriata: si tratta di un addestramento vocale nato dalle ricerche e dall’esperienza personale della cantante lirica americana Jo Estill (1921-2010) e oggi diffuso in tutto il mondo. Sulla base di una imponente serie di studi che la fondatrice realizzò con medici foniatri e otorinolaringoiatri a partire dalla fine degli anni ‘70 vennero analizzati approfonditamente i fenomeni vocali servendosi di strumenti innovativi per l’epoca come il laringoscopio e lo spettrometro. Tramite questo approccio all’anatomia vennero codificati i meccanismi dell’emissione vocale in tutte le sue varianti. Si tratta delle 13 “figure obbligatorie per il controllo della voce”. Dalle molteplici combinazioni di questi elementi nascono le definizioni delle sei qualità principali della voce (da altri chiamate registri vocali) utilizzate nell’addestramento Estill. Insomma, un approccio molto tecnico che, intenzionalmente, tralascia gli aspetti artistici del canto. Anche per queste ragioni non sono mancate critiche, talora aspre, a questo approccio da taluni definito meccanicistico e parziale. Dopo queste necessarie precisazioni cominciamo a conoscere l’esperienza personale di Silvia Testoni

Coro G.P. da Palestrina di Carpi

Dossier 4 | DOSSIER
in questo campo con alcune domande: Diplomata al Conservatorio A. Boito di Parma, riceve il Primo premio al Master in Vocologia Artistica 2006. Ha collaborato con Cappella Artemisia, Cantodiscanto, Big Band Ritmo Sinfonica Città di Verona, con Ivano Fossati in Macramè. Attrice-cantante, è stata diretta da Arturo Brachetti, da Nicola Campogrande e da Lucio Dalla. Come docente dal 1997 al 2018 ha insegnato per l’Associazione La musica interna di Bologna e come Vocal coach per Eurovision Festival 2011. Dal 2018 insegna Canto e Tecnica Vocale per la Scuola del Teatro Musicale di Novara  e dal 2022 collabora con la  Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano. A CURA DI SILVIA VACCHI Giorgio Guiot Silvia Testoni

Come e quando è nato il tuo interesse verso il lavoro di Jo Estill?

È nato dalla conoscenza personale con Elisa Turlà (soprano e presidente del Centro Studi Estill scomparsa nel 2015) che era stata allieva di Jo Estill. Fu lei a portare il metodo in Italia e nel 1997 la aiutai a organizzare il primo corso. Ebbi così modo di vedere le prime registrazioni video originali in cui Jo Estill illustrava le sei qualità della voce (poi formalizzate come Speech, Falsetto, Sob, Twang, Belting e Opera). Non ti nascondo che, in un primo tempo, fui diffidente: temevo di trovarmi davanti all’ennesima “americanata” in cui si scopre l’acqua calda. In breve, però, capii che l’approccio alla materia era serio e scientifico. Dopo anni, infatti, possiamo dire che la terminologia usata dal metodo Estill sia stata in buona parte assorbita dal mondo scientifico. Il linguaggio mi interessa molto, non mi piace chiamare le cose in un modo solo ma è anche vero che se gli ingredienti base sono chiari e definiti anche la ricetta che ne deriva sarà più chiara e riproducibile. La sostanza del metodo, riassumendo, è che la voce è un mix di elementi che possono essere dosati a patto che siano ben conosciuti e distinti. Il metodo distingue gli “ingredienti base” del fenomeno vocale ai fini della composizione di una “ricetta”. I termini “Voce di testa” e “Voce di petto” sono ormai secolari e sempre validi. Possono essere sufficienti all’inizio degli studi ma andando avanti è doveroso entrare più nel dettaglio. Se dovessi dire qual è il valore più importante dell’Estill direi senza dubbio che è un percorso di comprensione personale, su se stessi, del fenomeno vocale. Proprio da questa esigenza di capire ciò che avveniva nella propria voce nacque la ricerca di Jo Estill, la cantante lirica che iniziò questo affascinante percorso di studio nel tentativo di capire cosa c’era dietro il suo istinto vocale. Grazie ai primi laringoscopi e allo spettrometro poté finalmente vedere con i suoi occhi il funzionamento degli organi vocali. Fu uno snodo importantissimo per la foniatria e la vocologia che portò Jo Estill a definire

Jo Estill

con grande precisione i fenomeni vocali. Ci sono ambiti professionali nei quali è necessario essere dettagliati, pensiamo al teatro musicale o al doppiaggio. Queste professionalità richiedono la capacità di cambiare suono con consapevolezza e precisione. Nel mio lavoro di insegnante ho trovato molto utile utilizzare il linguaggio Estill in svariate circostanze. È importante dare all’allievo una definizione di ciò che accade nella propria gola anche se (e questo è proprio uno dei tradizionali problemi della didattica del canto) non lo si può vedere con i propri occhi. Io approfondii il metodo alla fine degli anni ‘90 ma fu all’inizio degli anni zero che si diffuse un po’ in tutto il mondo. Oggi, grazie a tanti insegnanti, è presente in tutti i continenti.

Quali sono i punti di forza del metodo Estill?

Sicuramente il suo basarsi sulla fisiologia, sull’anatomia ha permesso di sviluppare un’autoanalisi estremamente precisa dell’emissione vocale nelle sue varie componenti. Ciò permette all’insegnante e allo studente di isolare i vari fattori che poi, miscelati assieme, vanno a comporre la “Voce”. Il linguaggio Estill, non a caso, è stato utilizzato massicciamente anche da altre scuole di canto sia classico che moderno. Il suo essere un sistema per conoscere la propria voce fa si che possa anche essere un valido aiuto contro l’ansia, da sempre il principale nemico di ogni cantante.

Il mondo della coralità è quasi completamente composto da amatori. Credi che questo sia un ostacolo nel proporre una seria preparazione vocale?

Chiunque si diverte nell’ottenere miglioramenti dalla propria voce e non è raro riuscire a coinvolgere in un percorso formativo anche gli adulti più “resistenti”. Spesso il problema è proprio il concetto stesso di tecnica vocale, che risulta poco gradito ai coristi se non si ha l’accortezza di inserirlo gradualmente nella routine corale e nello studio del repertorio. Anche la terminologia dell’Estill, a mio parere, va adattata alle circostanze e al tipo di uditorio che ci troviamo davanti. I nomi stessi delle varie “figure” possono essere cambiati se ciò è funzionale ad una miglior comprensione. Ciò che conta è che il cantore capisca l’utilità di ciò che sta facendo.

In che modo la tecnica Estill può essere applicata ai gruppi? Ritieni che sia opportuno affrontare la tecnica vocale separatamente

| 5 IL METODO ESTILL

dal resto dell’attività corale?

Penso che la tecnica vocale sia comunque un utile allenamento anche se non ci possiamo nascondere che risulti estranea a molti coristi, specie quelli legati ad un approccio alla coralità più istintivo. Nonostante ciò credo che sia sempre meglio proporre la tecnica vocale a tutti evitando le sessioni separate: le dinamiche che ne risulterebbero potrebbero essere nocive per la coesione del gruppo. Determinante sarà sempre il modo (il quanto, il come e soprattutto il perché) in cui l’addestramento viene proposto ai coristi.

Credi che questa metodologia sia sufficientemente conosciuta dagli addetti ai lavori e, in particolare, dai direttori di coro?

Direi proprio di no. È poco conosciuta e, qualche volta, anche snobbata nonostante la sua notevole diffusione nel mondo del canto lirico e, in particolare, del teatro musicale. In molti casi il maestro di coro non è un cantante ma un organista o un compositore: è chiaro che si parla di approcci più lontani dal mondo della tecnica vocale.

La figura del preparatore vocale comincia ad essere diffusa nel mondo corale. Si tratta di una innovazione a cui alcune associazioni regionali hanno già dato spazio costituendo appositi corsi di formazione: cosa ne pensi?

Credo che, in generale, la divisione degli ambiti sia un fatto positivo, che conferisce autorevolezza sia all’esperto di vocalità che al maestro stesso. Sono convinta che sia un vantaggio, oltre che dal punto di vista tecnico. anche dal punto di vista umano perché la presenza di figure professionali distinte può portare a stemperare meglio le tensioni che, inevitabilmente, si creano anche nel mondo corale. Un cambiamento di passo può essere uno stimolo efficace all’interno di un gruppo amatoriale. Certamente un lavoro costante sulla tecnica può portare risultati molto più tangibili. Non lo vedo come un lusso ma come un’innovazione positiva, da incoraggiare.

Parliamo di tecnica vocale nei vari repertori. Come vedi l’uso dell’Estill nei più diffusi stili corali come quello operistico, gospel, polifonico?

Anche in fase di insegnamento delle parti può essere efficace proporre alcune figure base e abbinare le varie

qualità della voce a determinate indicazioni dinamiche. Dall’Estill si può trarre una sorta di alfabetizzazione tecnica del corista: pensiamo solo alla definizione dei vari tipi di attacco! Le varie figure, comunque, sono tutte utili nei vari repertori corali. Penso al Sob e all’Opera per il repertorio classico piuttosto che al Belt o al Tweng per il popolare o il Gospel. Sarà compito del maestro esplicitarne l’impiego a seconda dei momenti legandolo alle esigenze tecniche poste dal repertorio tenendo conto anche dell’età media dei coristi e del loro grado di disinibizione vocale. Particolare attenzione credo sia da tenere verso gli adolescenti i quali sono, ovviamente, alla ricerca del proprio suono oltre che molto influenzabili dal giudizio esterno. Usare una terminologia troppo tecnica con i ragazzi può non essere del tutto comprensibile ed efficace o, peggio, può causare ansia. Meglio affrontare la preparazione vocale partendo dalle esigenze espressive in un’ottica di ricerca del “benessere” nel canto. Questo è sicuramente uno dei casi in cui il lavoro collettivo può essere più proficuo di quello individuale perché diluisce la tensione e “l’ansia da prestazione” di cui tanti allievi, non solo adolescenti, soffrono sempre più frequentemente. È un problema tipico del nostro tempo.

Come integri gli esercizi di vocalità nella conduzione delle tue prove?

Ipotizzando di dover condurre una prova della durata di 90 minuti non dedicherei agli esercizi di vocalità mai più di 15 o 20 minuti, magari divisi in due parti. Ma, come si diceva prima, possono comunque verificarsi occasioni di approfondimento della vocalità anche durante lo studio e la memorizzazione del repertorio. Variare la scaletta delle prove è comunque sempre una buona strategia per tenere desto l’interesse dei coristi.

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DOSSIER Suggerimenti per approfondire: Federico Albano Leoni: Voce corpo e linguaggio Alfred Tomatis: L’orecchio e la voce Kimberly Steinhauer, Mary McDonald Klimek,  Jo Estill:  The Estill Voice Model Silvia Magnani: Io canto https://www.voceartistica.it https://www.estillvoice.com

Il “Canto a livello Parlato” di Seth Riggs

Tra i metodi di canto emersi negli ultimi decenni, è utile ricordare il “canto a livello parlato” proposto dall’americano Seth Riggs, e sfociato nel manuale “Cantare con le stelle” edito da Carish. Le “stelle” in questione sarebbero i cantanti – numerosissimi –che devono la loro carriera o la prosecuzione della stessa alle cure di Riggs e all’utilizzo del suo metodo. Il libro è corredato da due CD e “appesantito” da numerose testimonianze di cantanti e attori professionisti, alcuni molto celebri, che manifestano la loro gratitudine nei confronti dell’autore del metodo. Ci sono pagine e pagine dedicate a questo, molte delle facciate dedicate agli esercizi si aprono con una di queste testimonianze, e in appendice al libro c’è tutto l’elenco delle star debitrici del metodo Riggs. Per i miei gusti, decisamente troppo. Il succo del metodo consiste nell’evitare ogni movimento innaturale della laringe mentre si canta. Il “livello parlato” a cui si fa riferimento è la naturalezza con la quale ci si esprime usando la parola quotidianamente, in situazioni di assoluta normalità e rilassatezza. Il manuale è diviso in diversi capitoli: principi fondamentali, dove si illustrano in modo invero schematico il funzionamento della respirazione e della voce; esercizi pratici, diviso in tre parti: a) sviluppare la sicurezza, b) verso il canto a livello parlato, c) mantenimento della tecnica; parla l’autore, un’intervista a 360° su tutte le tematiche relative alla vocalità, con alcuni riferimenti anche al cantare in coro e ai direttori (talvolta critici, ma direi con un fondo di ragione); la salute e la cura della voce con alcune regole utili allo scopo indicato; infine appendice dove troviamo anche un glossario. Nei CD che si accompagnano al libro si trovano tutti gli esercizi con istruzioni (in inglese, ma la

traduzione italiana è nel libro) ed esempi, poi, nella traccia successiva, c’è l’accompagnamento pianistico dell’esercizio stesso, suddiviso per categorie vocali. Per lo studio del canto, se un alunno vuole approcciarsi da autodidatta, a mio avviso vale la massima che gli avvocati americani usano quando uno di essi vuole difendersi da solo da un’accusa: “Il legale che si difende da solo ha uno stupido per cliente”. Quindi, a chi rivolgersi per studiare con questo metodo? In rete c’è un elenco – brevissimo – di insegnanti certificati che operano in Italia dopo aver studiato con l’autore (che è classe 1930, per cui se volete diventare insegnanti certificati vi suggerisco di affrettarvi). Ottenere la certificazione è costoso e richiede sacrificio (bisogna recarsi negli Stati Uniti) e, mi risulta, diversi anni di studio. In rete ho trovato una solenne stroncatura del metodo in questione, ma anche diverse persone entusiaste e alcune interviste interessanti a insegnanti certificati.

| 7 IL “CANTO A LIVELLO PARLATO”
Dossier

Metodo Feldenkrais per cantanti

Insegnante di metodo Feldenkrais

Alcuni anni fa, dopo una lezione di metodo Feldenkrais svolta sui movimenti dei piedi, un pianista, che all’epoca seguiva regolarmente i miei corsi, mi disse che per alcuni giorni a seguire, nel suonare, aveva avuto una particolare sensazione di leggerezza nelle mani. L’apparente originalità della reazione è ampiamente considerata in questo metodo dove l’effetto sorpresa accade in quanto ne viene preparato il terreno, cioè in un clima di grande calma vengono proposti dei percorsi di movimento molto particolari che invitano fortemente la persona ad osservarsi da UN PUNTO DI VISTA NUOVO. Questo permette di disinnescare quelle abitudini/ compensazioni motorie che involontariamente si attivano e di cui la persona non si rende conto, e di favorire quel naturale dialogo tra le parti del corpo. Il cantante, per il fatto di avere come strumento musicale il suo corpo è già abituato a perlustrarne i comportamenti in modo molto accurato, ma proprio perché lo strumento è dentro di sé, come direbbe Feldenkrais, L’OVVIO PU Ò SFUGGIRE ALLA SUA ATTENZIONE. È quindi importante fare un piccolo passo indietro. Nei primi anni di vita gli esseri umani acquisiscono, sia per traccia biologica che per apprendimento, le principali abilità motorie di base, come respirare, mantenere eretta la colonna vertebrale, parlare ecc, abilità che per un cantante sono la struttura portante del suo strumento musicale. Queste abilità sono radicate in modo molto profondo, sono preesistenti al cantare, e proprio perché apprese in tenera età hanno la caratteristica dell’inconsapevolezza, esulano appunto dalla nostra attenzione, cioè, se siamo sinceri con noi stessi, dobbiamo ammettere che non sappiamo

cosa fanno ad esempio le nostre scapole quando camminiamo, oppure quali denti tocca la lingua quando deglutiamo, o con quali falangi sosteniamo la forchetta, tuttavia possiamo dire di saper camminare, deglutire e tenere una forchetta in mano. Quindi, se per la vita ordinaria può non essere necessario avere questo tipo di consapevolezza, per una prestazione straordinaria come il cantare ecco che portare ad uno stato conscio quella motricità inconsapevole, in qualche modo significa accordare meglio lo strumento e utilizzarlo con più competenza o come direbbe Feldenkrais SE SAI QUELLO CHE FAI PUOI FARE CI Ò CHE VUOI. In una lezione Feldenkrais, ad esempio, si può chiedere al diaframma di fare delle piccole “pazzie” come differenziare il lato destro dal sinistro, la parte davanti da quella dietro, avvitarlo, attivarlo in diverse modalità in inspirazione e altrettante in espirazione, farlo dialogare con le gambe, con il pavimento pelvico o le scapole; in una parola andare alla ricerca della sua LIBERT À . Un cantante, che sa cosa chieder al suo diaframma quando canta, può riconoscere dopo un lavoro di questo tipo che qualcosa è stato pulito, c’è meno sforzo, un senso di maggior semplicità e competenza. L’esempio del

DOSSIER 8 |
Dossier
Coro G.P. da Palestrina di Carpi

diaframma è ovviamente estendibile a tutte le funzioni del corpo, e tutte meritano una perlustrazione così che la pratica possa piano piano educare il corpo a svelare quel ricchissimo sistema di interconnessioni. Il metodo Feldenkrais, pur svolgendosi con lentezza e dolcezza, non va identificato come una tecnica di semplice rilassamento psicofisico, ma è da considerarsi una vera e propria forma di apprendimento somatico dove si incrementano nuove abilità e sensibilità facendo riferimento a quell’intelligenza organica del corpo che SE MESSO NELLE CONDIZIONI DI POTER SCEGLIERE tra diversi modi di poter eseguire un’azione, tende a scegliere quella più comoda ed efficace. Il metodo prende il nome dal suo ideatore Moshe Feldenkrais (1904-1984), israeliano, ingegnere e prima cintura nera di judo in Europa. In seguito ad un grave incidente a un ginocchio, che lo ha costretto all’immobilità, ha sperimentato movimenti sul suo corpo per cercare soluzioni al suo problema e ha trovato modalità che non solo lo hanno aiutato personalmente, ma si è reso conto che funzionavano anche sulle altre persone. A questo punto, consapevole di avere identificato delle importanti matrici di meccanismi neuromotori che appartengono a tutti gli esseri umani, ne ha messo a punto il metodo che è oggi praticato in tutto il mondo.

Per trovare un insegnante di Feldenkrais, sia per uso personale che per workshop specifici per cantanti, suggerisco di consultare il sito dell’Associazione Nazionale Insegnanti Metodo Feldenkrais www.aiimf.it

| 9 METODO FELDENKRAIS PER CANTANTI
Masterclass con Dario Piumatti M. Feldenkrais Il corpo e il comportamento maturo. Astrolabio M. Feldenkrais Conoscersi attraverso il movimento. Astrolabio S. H. Nelson, E. Blades-Zeller Singing with your whole self Bibliografia essenziale:

Il Metodo Lichtenberger®Institut

Una pedagogia per il “Suono della Voce”

Parlare di un approccio pedagogico in riferimento allo sviluppo della qualità vibratorie della Voce negli ambiti della Comunicazione, dell’Espressione Artistica e della Pratica Riabilitativa significa incamminarsi verso una direzione “altra” rispetto alle “tecniche” che tendono a “modellare” le strutture fonatorie verso direzioni specifiche, soprattutto se di natura performativa. L’approccio pedagogico agisce nella direzione del prendersi “cura” della Voce: un atteggiamento che istituisce con il suono una relazione che mette fuori gioco le aspettative e le intenzioni della volontà per lasciare spazio all’ascolto di ciò che nel suono stesso emana rispetto alla sua essenza e bellezza intrinseca. In questi ultimi anni da diversi punti di vista sono scaturite una serie di conseguenze per la ricerca scientifica in senso stretto ma anche e soprattutto nelle variegate pratiche dell’agire vocale in senso lato. La sperimentazione del “cosa succede” nel nostro organo più importante, la laringe, sembra diventare una necessità avvertita da più punti vista. Per questo motivo sembra in questa sede importante richiamare alla luce le esperienze di lavoro e le ricerche compiute presso il Lichtenberger®Institut für angewandte Stimmphysiologie fondato e diretto dalla cantante e pedagoga Gisela Rohmert. Il punto di partenza fu, nel 1980, un progetto di ricerca scientifica dell’Istituto di Ergonomia del Politecnico di Darmstadt dove insegnava il prof. Walter Rohmert. Lo scopo del progetto fu di definire un concetto pedagogico del canto e anche di stabilire i principi di una nuova teoria delle funzioni vocali che fossero anche traducibili nella pratica.

All’inizio, lo studio fu concentrato sulle problematiche ergonomiche del corpo. In seguito, tramite un vasto metodo di misurazione fisiologica e acustica, i ricercatori hanno trovato alcune connessioni molto importanti tra il corpo e la voce, per cui sono state approfondite numerose tecniche corporee per tentare di determinare la loro influenza sul suono vocale. Nel corso del tempo, rapportandosi alle conoscenze della Sinergetica (la scienza che approfondisce l’autoorganizzazione della struttura indipendentemente dai singoli elementi), il campo della comprensione della voce e della pedagogia si è ampliato e ha condotto a nuovi sviluppi sulla comprensione del suono vocale. Il punto cruciale di questa pedagogia è lo sviluppo di una raffinata percezione di tutti gli aspetti del suono della voce umana. La regolazione e trasformazione del suonocorpo-energia è affidata alla percezione, alla ricettività rivolta al suono in grado di smorzare il principio motorio-muscolare che per sua natura prenderebbe il sopravvento. Questo tipo di comprensione della funzione vocale ha condotto i ricercatori a postulare le seguenti qualità per una funzione sana della laringe: - libertà e leggerezza del cantare, - grande resa vocale - indipendenza dall’età - limitazione dell’usura e dell’affaticamento degli organi vocali 1 .

Nascita di una pedagogia

Queste promettenti affermazioni potrebbero apparire assai ardite se rapportate alle innumerevoli descrizioni che emergono nella letteratura scientifica

1. Gisela Rohmert, (1995) Il cantante in cammino verso il suono – leggi e processi di autoregolazione nella voce del cantante. Diastema, Treviso (1995), p. 17

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Dossier
Coro G.P. da Palestrina di Carpi

e didattica sulla natura e sul buon uso della Voce. Nelle tecniche del canto artistico e dell’ars oratoria (voce parlata), le indicazioni di carattere operativo pongono quasi sempre l’accento sulla necessità del potenziamento muscolare dell’attività respiratoria o sulla direzionalità programmata degli organi dell’articolazione (lingua, mandibola, muscolatura del cavo orale, palati). Raramente si trovano indicazioni sulle reti di connessione tra laringe e orecchio, sulle possibilità di sfruttare il feedback audio-laringeo e l’innalzamento delle formanti armoniche come veicolo di trasformazione della gestalt del suono. Quantomeno riesce difficile trovare modelli operativi che siano funzionali alla trasformazione e allo sviluppo del suono di un allievo o di una persona, quali che siano le capacità o le dotazioni vocali di partenza. Il rapporto tra insegnante e allievo sembra plasmarsi od orientarsi nella ricerca di un modello performativo che soddisfi le necessità della musica, della recitazione e dei repertori di genere. L’attore e il cantante diventano personaggi perfetti o perfettibili al servizio di una mise en scene continua, unico sbocco per uno “sforzo” dispendioso e ritenuto comunque gratificante. «È grande, nell’artista, il pericolo di una valutazione errata delle condizioni di

produzione e di esecuzione e aumenta ulteriormente nella misura in cui egli utilizza forti tensioni corporee come veicolo per la sua espressione musicale e scenica. Queste tensioni e contratture corporee, anche se spesso compaiono compulsivamente, sono suscettibili di un certo controllo e offrono, perciò, con troppa facilità, materiale per un approccio superficiale all’apprendimento e all’insegnamento. L’intenzione artistica ne viene necessariamente limitata, incollata per così dire ai bordi, cavità, superfici, muscoli e diminuita dal punto di vista energetico. Qui sta l’errore della pretesa di un controllo cosciente. Abbiamo qui a che fare con un modello “fisiologico-ideale” che vuole andare oltre la materia senza prima averla purificata 2 .»

Se contempliamo l’individuo come Per-Sona, come maschera per-sonante, con le sue implicazioni e relazioni con il Sé, scopriamo che la laringe merita quantomeno un posto di primo piano nel palcoscenico della fisiologia umana; molte sono le visioni e le idee circa la trama delle sue reti funzionali. Pensiamo per un attimo a queste complessità:

2. Ibid, p. 18

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Training Funzionale

- la laringe è centro che regola l’equilibrio della pressione del corpo (funzione di doppia valvola); - la sua funzione primaria di chiusura difende il corpo interno dalle intrusioni e dai pericoli; - nella sua funzione secondaria di apertura/chiusura permette la nascita del linguaggio, il suono della parola e del canto;

- rappresenta il nostro IO, manifesta la nostra intimità, ci identifica e ci fa entrare in relazione con L’ALTRO; - reagisce sul sistema delle emozioni e delle pulsioni, - restituisce un Modello sonoro di auto-organizzazione del corpo e della mente, del ciò che siamo e del ciò che vorremmo essere; - è in grado di evocare i suoni del sistema neurovegetativo e di attingere al “profondo”, all’archetipo; - l’oscillazione efficiente delle sue “pelli” di mucosa

può trasportarci nel grande cielo stellato delle formanti armoniche, nella eterea e multiforme stringa dell’energia acustica, una porta aperta per lo “spirituale” e “l’immateriale”.

Forse tanto altro ancora, che nemmeno osiamo immaginare. Che tipo di uomo/donna, persona cantante e che tipo di uomo/donna, persona parlante desideriamo per noi stessi? Se i nessi che legano la materia del suono vocale alla Per-Sona appaiono così intimamente legati ad una complessità retificata, a una indissolubile relazione con il corpo fisico e le sue strutture fini e complesse, che relazione instauriamo con la nostra Voce? Può la Voce diventare Corpo in sé? Sganciarsi dalla colla che la lega ai tessuti e agli organi per innescare una “redenzione” degli stessi? Anche se è diretta emanazione del corpo fisico, può assurgere a una forma metafisica? Queste domande non scaturiscono casualmente, ma rispondono ad un preciso bisogno di emancipazione e trasformazione del suono vocale dai suoi modelli di produzione abitudinaria, quotidiana, ripetitiva e meccanicistica. L’osservazione degli elementi in gioco del sistema Corpo-Voce può generare una diversa attenzione alla persona nel suo complesso. L’immensa catena delle reti di connessione tra organi, tessuti, ossa, cartilagini, legamenti e cavità, (sistemi olistici quali: tessuti connettivali, sistema neurale, mio-fasciale e dei liquidi) può rispondere sul piano della oscillazione? Come si propagano le onde oscillatorie generate a livello cordale all’interno del corpo? Quali sono le vie di “riconoscimento” propriocettivo che permettono tale contatto vitale? È veramente una questione di bravura, di talento e volontà oppure possiamo aprire una via di accesso all’ascolto delle sensazioni sensoriali? A mio avviso è questa iniziale domanda che ha innescato la ricerca verso un approccio metodologico che racchiude in sé genialmente i fondamenti della trasformazione.

La Via Sensoriale

Lezione con Daniele Sconosciuto

Per progredire nella trasformazione del suono, qui inteso come materia oscillatoria all’interno del corpo, numerosi sono gli esercizi fisici, gli input sensoriali e immaginativi che sono stati sperimentati e “messi in campo”. Trent’anni di incessanti ricerche, prove ed esperienze su qualsiasi categoria di soggetti professionali che utilizzano la voce (cantanti, attori, professionisti della voce, logopedisti, strumentisti, musicisti, foniatri ecc.) hanno evidenziato risposte sorprendenti sul piano delle relazioni profonde

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che legano il nostro suono, generato dalla laringe, all’intelligenza del corpo. Ed eccoci ad una osservazione cruciale, a una chiarificazione indispensabile: la relazione che stabiliamo con il corpo intelligente ci permette di individuare i termini della relazione tra competenza della mente e intelligenza del corpo. Nel momento in cui parliamo di intelligenza corporea possiamo partecipare a questo fatto, che questa intelligenza ha la capacità di comunicare con noi, non è qualcosa che è, semplicemente! Con questa intelligenza facciamo le cose, certamente, però essa sembra esprimersi in tutti quei momenti in cui noi poniamo delle domande! Se facciamo delle domande al nostro corpo che sono libere da programmi (pensieri precostituiti) allora riceviamo delle risposte che arrivano dal canale della sensazione sensoriale (Empfindung). La sensazione sensoriale, colta nello stato di insorgenza, si costituisce come reazione spontanea che appare nel corpo allo stato per così dire “amorfo”, non ancora “valutata” dai sistemi di traduzione neocorticali; in questo “stato” di fuggevole consapevolezza, possiamo percepire un “potenziale d’azione” estremamente vitale per i tessuti e per la laringe stessa nel suo atto più creativo: partorire il suono.

«Empfindungen werden von Körperreaktionen ausgelöst, die “unterschwellige Aktionspotentiale generieren. Es sind feine, neuronal gesteuerte Gewebsveränderungen, die der gängigen Erfahrungswelt fremd sind. Sie sind netzartig, unbegrenzt und unspezifisch. Empfindungen dehnen sich

wie ein transparentes Ferment in Körper aus. Sie dienen dem Ausdruck des Gewebezustandes. Empfindungen, die in den “Saiten” des sensiblen Nervennetzen und der “Häute” schwingen, sind zugleich Sprungfedern zu flächendeckender Resonanz. Eine solche Empfindungswelt entzieht sich dem Betroffenen solange, wie Gewebedruck als leistungs- und ausdruckssteigernd eingesetzt wird3». Sappiamo che i pensieri sono principalmente

3. «Le impressioni sensoriali [Empfindungen] vengono sprigionate da reazioni fisiche che generano potenziali d’azione latenti. Si tratta di sottili cambiamenti dei tessuti, di origine nervosa che risultano sconosciuti al mondo corrente dell’esperienza quotidiana. Sono [cambiamenti] reticolari, illimitati, non circoscritti e non specifici. Le impressioni sensoriali [Empfindungen] si estendono nel corpo come un fermento trasparente. Servono a rilevare la condizione del tessuto. Tali impressioni sensoriali che oscillano muovendosi lungo le “corde” della rete nervosa sensibile e nelle “pelli” [membrane], sono al tempo stesso delle molle per una risonanza diffusa. Un tale mondo di impressioni sensoriali si sottrae a colui che ne viene sorpreso fino a quando non subentra una pressione nei tessuti che funge da stimolatore di performance e di espressività». Traduzione a cura di Isabella Longo e Consuelo Serraino in: “Luciano Borin, La Voce Funzionale – una Pedagogia Vocale, in (a cura di M. Degli Stefani – F. Facchin), Persona, Voce e Identità, opportunità musicali per la salute e il benessere - Atti del Congresso Internazionale, Villa Contarini Fondazione G.E. Ghirardi, Piazzola sul Brenta (PD) 2015”. Rohmert G., Landzettel M. (2015) Lichtenberger Dokumentationen - Band IErkenntnisse aus theorie und praxis der physiologie des singens, sprechens und instrumentalspiels - Lichtenberger®Institut für angewandte Stimmphysiologie; p. 48

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Foto Luciano La Fenice

sponsorizzati dall’emisfero sinistro dove risiedono le istanze di “controllo”, mentre “l’immagine”, la “percezione”, arrivano dall’emisfero destro, l’emisfero intimamente collegato con il sistema neuro-vegetativo, dove il piano dell’intelligenza del corpo trova la sua forza autonoma e vitale. La sensazione sensoriale rappresenta la “vita” dei nostri tessuti interni, una vita intimamente collegata con i processi neurali del sistema nervoso parasimpatico, del sistema nervoso gamma e la catena dei recettori sensoriali. Su questo piano possiamo compiere azioni muscolari con rinnovata innocenza, smorzando la pressione e la fatica che insorgono dalle richieste di compiti fisicamente stressanti. Ebbene, questo cosa ha a che fare con la laringe? Con la produzione del suono? Quando cantiamo o parliamo siamo “controllori” di quello che accade all’interno? Abbiamo la certezza che stiamo dirigendo il suono vocale verso obiettivi estetici e/o performativi? Quando il pensiero dell’altezza della nota o dell’intonazione (nell’atto cantato) e dell’intensità espressiva (nell’atto parlato) diventano obiettivi primari della performance, non siamo forse difronte ad un compito motorio (sforzo) generativo di stress e ansia? Le vie dei sistemi motori (motoneuroni alfa) innescano un automatismo differenziato in tutti i soggetti ad alto tasso di competitività. Cantare e/o parlare-recitare può diventare un compito faticoso, un impegno gravato di enorme responsabilità, una responsabilità che “ispessisce” il corpo, un corpo che si “difende” chiudendosi, contraendosi: ciò che esce dal corpo (il suono) porta con sé la prigione di siffatto corpo che lo ha generato. Su questo altare purtroppo vengono sacrificate le sensazioni sensoriali con conseguente chiusura dei canali propriocettivi; canali che appartengono comunque al corpo intelligente e i processi di formazione del suono non possono essere contemplati con una consapevolezza neutrale, con una libertà rinnovata. Da qui il compito di questa raffinata metodologia: siamo di fronte alla possibilità di innescare un processo di graduale diminuzione dell’attività muscolare del

sistema respiratorio e di quello articolatorio a tutto beneficio dell’apparato fonatorio (laringe) e dell’apparato risonatore (cavità e tessuti sopra e sotto glottidei), possiamo scoprire come la via della Risonanza generi una sensazione di benessere e calma motoria in tutto il corpo liberandoci dalle pressioni del sistema muscolare che, seppur presente, può essere redento. Questo stato, se raggiunto e stabilizzato, può essere apprezzato anche durante la performance nei repertori del canto artistico e nei testi della recitazione d’attore. La funzionalità delle strutture fonatorie può rendersi elastica, scarsamente stancabile e quindi disponibile ad affrontare i compiti spesso ardui dettati dalle necessità soprasegmentali del linguaggio e dell’espressione in senso lato. Il suono della voce se liberato dalle opposizioni del corpo può emergere con rinnovata energia diventando potente ma leggero, intenso e fresco, che percorre lo spazio, che non irretisce l’orecchio, che dona alla persona una sensazione generale di benessere.

Contatti:

Lichtenberger Institut für angewandte Stimmphysiologie Landgraf-Georg-Straße 2 D - 64405 Fischbachtal Telefon: +49 6166 - 8490 Fax: +49 6166 - 8454 E-Mail: sekretariat@lichtenberger-institut.de https://www.lichtenberger-institut.de

Info sul Metodo: Luciano Borin lucianoborin1958@gmail.com

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Testi di riferimento:

Gisela Rohmert, (1995) Il cantante in cammino verso il suono – leggi e processi di autoregolazione nella voce del cantante. Diastema, Treviso (1995), traduzione italiana a cura di Maria Silvia Roveri e Ulrike Wurdak Gisela Rohmert, Martin Landzettel, Lichtenberger Dokumentation - Erkenntnisse aus theorie und praxis der physiologie des singens, sprechens und instrumentalspiels - Band I (2015); Band II (2016); Band III (2017) Luciano Borin, La Voce Funzionale: una Pedagogia Vocale, in: (a cura di M. Degli Stefani – F. Facchin), Persona, Voce e Identità, opportunità musicali per la salute e il benessere - Atti del Congresso Internazionale, Villa Contarini - Fondazione G.E. Ghirardi, Piazzola sul Brenta (PD) 2015, pp. 327-334
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Training Funzionale

L’audiation e il Metodo Gordon

Intervista ad Arnolfo Borsacchi, Formatore Audiation Insitute (Italy), Audiation Institute Faculty (Italy), Training and Pedagogic Director at IEGAM (Brazil)

Come si sceglie un repertorio e quali sono i repertori suggeriti per un approccio MLT corale?

Benvenuto Maestro, sulle pagine di questa rivista dedicata ai cori. Innanzitutto, che spazio c’è per la voce nella Music Learning Theory di Gordon?

Grazie per l’invito! Nelle pratiche educative e didattiche basate sulla MLT di Gordon la voce occupa uno spazio centrale e fondamentale. Proprio per mezzo della voce, infatti, un individuo trasforma ciò che sente in audiation in musica, ancora prima che questo avvenga per mezzo di uno strumento. Nell’educazione musicale in età prescolare i processi di audiation preparatoria prendono vita proprio grazie alla relazione musicale che si instaura fra educatore e bambino per mezzo della voce e del corpo in movimento. L’ascolto dei brani cantati dall’educatore, i primi tentativi di interazione musicale, siano questi già imitazioni o meno, i veri e propri giochi di imitazione e le attività per l’introspezione e la coordinazione vedono la voce protagonista assoluta insieme all’audiation, di cui è elemento principale insieme al corpo in movimento, al respiro e al silenzio. La voce cantata, nella Music Learning Theory, è naturale e non impostata in quanto deve guidare gli allievi ad orientarsi nella sintassi musicale prima che all’interno di un contesto estetico di riferimento. Nel momento in cui l’allievo dimostra la capacità di orientarsi nei livelli fondamentali della sintassi musicale ritmica e tonale, allora è possibile avvicinarlo anche ai parametri estetici richiesti da un determinato contesto operativo. Non dimentichiamo, infatti, che spesso la voce richiesta ai bambini per cantare nei cori è una voce le cui caratteristiche sono state decise dagli adulti e non coincidono con quelle della voce cantata spontanea di ogni bambino.

Coro G.P. da Palestrina di Carpi

Petra Grassi durante una lezione di tecnica della direzione corale

La MLT ci insegna che alla base del processo di sviluppo dell’audiation, quindi alla base del processo di apprendimento musicale, c’è una modalità generale di apprendimento. Questa modalità ci dice che ogni elemento di contenuto della sintassi musicale che l’insegnante desidera che l’allievo apprenda deve essere stato da questi incontrato, cantato, esperito dentro almeno un brano. Per questo motivo il repertorio ha un ruolo importantissimo. I brani, inoltre, sono ciò che l’allievo riconosce come musica poiché sono degli “interi musicali” riconoscibili e afferrabili: se l’attività musicale fosse fatta di soli esercizi e mai di brani, la motivazione nei confronti dell’esperienza musicale crollerebbe. Non ci sono limiti né indicazione estetiche nella costruzione del repertorio: ciò che importa è che l’insegnante sia consapevole che il repertorio mette in contatto gli allievi con ciò che essi considereranno musica a più livelli. La MLT non esprime alcun parere circa lo stile o la provenienza dei brani. Esistono, tuttavia, dei suggerimenti precisi: un repertorio di molti brani brevi, in più modi e metri e anche multitonali o multimetrici, a più voci (magari inizialmente in contrappunto invece che parallele o a canone) in cui le melodie delle diverse voci possano essere cantate separatamente con facilità è sicuramente di aiuto allo sviluppo dell’audiation. I brani brevi e la varietà tonale e ritmica del repertorio favoriscono i processi di audiation che permettono all’allievo di mettere a fuoco progressivamente gli elementi della sintassi tonale e ritmica. Esistono anche dei brani chiamati Brani Guida che permettono all’insegnante di guidare più facilmente gli allievi all’interno di specifiche attività di classe

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Dossier
A CURA DI LUCA BUZZAVI

al riconoscimento delle funzioni tonali e ritmiche, all’improvvisazione, all’arrangiamento estemporaneo e alla composizione. Tali brani sono costruiti su specifiche funzioni armoniche e ritmiche incontrate dagli allievi in attività sequenziali di apprendimento che costituiscono un altro momento della lezione di musica e che ora non ci dilunghiamo a spiegare. Mi preme dire che senza un repertorio ampio di brani è molto difficile aiutare gli allievi a sviluppare la loro audiation. Nella mia esperienza un gruppo di bambini che inizia un’attività musicale intorno ai 5-6 anni dovrebbe entrare in contatto, nei primi 4-5 anni di attività, con almeno 50-60 se non 80 brani, molti dei quali a più voci, imparati tramite l’ascolto e il movimento, conosciuti a memoria e cantati ridendo, giocando e stando insieme. Ove questo manchi, la maggior parte dei bambini tende ad allontanarsi presto dalla musica e sopravvivono all’attività musicale solo coloro i quali trovano altrove l’energia per nutrire la motivazione dei confronti dell’attività stessa.

Cosa NON è la MLT?

Mi suona strano rispondere a questa domanda senza che mi sia stato chiesto “Cos’è la MLT” ma ci proverò. La MLT è un corpus di studi sull’apprendimento musicale, quindi non è un metodo. Molti lettori sorrideranno dicendo che tutti gli esponenti dei “metodi” vanno in giro dicendo che il loro “non è un metodo”. È successo recentemente anche a me. La MLT non è un metodo ma diventano, a volte, metodo certe pratiche sviluppate a partire da essa. Il mio suggerimento, come formatore Audiation Institute, è che coloro i quali sono interessati alla MLT si formino studiandone i principi teorici, comprendendo quali sono le ricadute pratiche degli stessi, contesto per contesto, situazione per situazione. Abbiamo colleghe e colleghi che operano con grande soddisfazione nel mondo dell’educazione corale, nel mondo dell’educazione musicale nella scuola primaria e secondaria di primo

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Masterclass con Dario Piumatti Arnolfo Borsacchi

grado, nel mondo dell’insegnamento privato dal nido fino agli adulti e ognuno di essi applica i principi della MLT pur lavorando in modo molto diverso perfino da quello del collega che magari opera in un contesto analogo. La MLT, inoltre, non è un corpus di studi che sia proprietà di qualcuno: tutti i testi pubblicati da Gordon e dai suoi collaboratori sono a disposizione di chiunque voglia studiarla. Purtroppo, molti di questi non sono tradotti in italiano e molte pratiche sono stata tramandate oralmente all’interno delle attività di formazione. Ma per queste c’è il nostro Audiation Institute.

Com’è arrivato il suo avvicinamento a questa Teoria?

Mi sono avvicinato alla MLT fra il 1999 e il 2000 grazie ad Andrea Apostoli che l’ha portata in Italia dagli Stati Uniti. Ho studiato nei primi due anni del Corso Nazionale Aigam e ho lavorato come formatore presso tale associazione dal 2005 al 2013, anno in cui abbiamo fondato Audiation Institute. La MLT mi colpì immediatamente per la sua serietà e per la sua capacità di mettere al centro il processo di apprendimento musicale e la sua descrizione. Provenivo dalla formazione Orff, che mi ha insegnato tante cose, ma con la MLT ho trovato risposta a tante domande che prima non avevano risposta. Dopo il 2013 ho iniziato a comprenderla in modo più ampio grazie alla libertà di studio e di sperimentazione che si è creata con la fondazione della nostra nuova associazione.

Cosa suggerirebbe a quanti non la conoscono ancora?

Di avvicinarsi senza paura e con entusiasmo. La MLT è un’ottima via per ritrovare l’entusiasmo nel fare musica e nell’insegnarla. Il gioco, l’improvvisazione, l’arrangiamento, la cura della relazione umana ed educativa, la funzione educativa del gruppo, il valore del corpo, della voce e del respiro trovano in essa una dimensione che restituisce a chi la scopre il piacere di essere un musicista e di educare alla musica.

Quali sono i principali punti di forza della MLT?

A mio vedere il principale punto di forza della MLT risiede nella precisione con cui essa descrive i processi di apprendimento permettendo a ogni insegnante di osservare con attenzione il comportamento musicale di ogni allievo guidandolo con precisione ad appropriarsi di competenze musicali in modo sequenziale. Altro punto di forza della MLT è l’assegnare alle attività di improvvisazione e creatività un ruolo fondamentale nel processo di apprendimento.

La traduzione italiana operata da Audiation Institute delle pratiche educative basate sulla MLT, inoltre, mette al centro la relazione fra l’insegnante, gli allievi in gruppo e l’allievo singolo, evidenziandone l’importanza: la cura di questa relazione è un ulteriore punto di forza della MLT.

E i pregiudizi? Quali preconcetti sente “in giro” sulla MLT e cosa replicherebbe?

Sento dire in giro molte sciocchezze sulla MLT anche da persone che occupano ruoli importanti presso istituzione formative. Queste persone hanno probabilmente conosciuto la MLT tramite la lettura di opuscoli poco approfonditi o tramite la partecipazione a conferenze o eventi formativi poco seri. Un preconcetto che mi ha fatto molto ridere è il seguente: una nota docente di didattica di conservatorio attacca la MLT dicendo che non ha senso proporre agli allievi un repertorio di brani in vari modi e metri poiché la concezione di modo e metro è superata dalla musica contemporanea. Io le risponderei con due argomentazioni: la prima è che gli studi alla base della MLT dimostrano come l’ascolto e l’interazione con sintassi musicali diverse favoriscono lo sviluppo dell’audiation. La seconda è che il repertorio musicale di ogni cultura è basato su modi e tonalità e che se il nostro compito come educatori musicali è quello di regalare agli allievi le chiavi di comprensione di un oggetto culturale, la musica, allora il metterli in contatto con una grande varietà di modi musicali non è solo una possibilità: è un dovere. La docente in questione se la prendeva in particolar modo col modo misolidio dicendo “non vedo perché mia figlia dovrebbe cantare in misolidio”; a me dispiacerebbe non regalare ai miei allievi la possibilità di cantare Norwegian Wood dei Beatles, che inizia in misolidio così come una grandissima quantità di musica nordestina brasiliana o di musica popolare ebraica o dei Balcani oppure Scarborough Fair, nel modo dorico come tanta altra musica popolare di varie parti del mondo. Per riassumere, fra i grandi detrattori della MLT ci sono soprattutto i modernisti o gli educatori musicali figli delle avanguardie contemporanee: sono questi, però, che per comprendere bene la MLT dovrebbero cercare di capire il fenomeno culturale musicale osservandolo in chiave antropologica invece che elitaria. Ad oggi, i brani più diffusi nella popolazione sono ancora tonali e modali. La MLT spiega soprattutto in che modo ci orientiamo nella comprensione della sintassi di questi brani. E credo che nella vita di ognuno di noi sia più probabile che ci si trovi a cantare

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più spesso Buon Compleanno rispetto a una opera di musica contemporanea. La MLT ci guida a comprendere che la musica è qualcosa che si fa insieme sulla base di regole che dipendono da come la cultura ha stabilito, nel tempo, che i suoni possano essere organizzati in un reticolato orizzontale e verticale di relazioni. La MLT non si interessa delle sintassi musicali elaborate a tavolino da intellettuali annoiati: essa guarda alla musica che circola fra le persone e fra le generazioni fin dall’infanzia. Mi ripeto: non è colpa di nessuno se ascoltiamo Jingle Bells più frequentemente di qualsiasi altra musica natalizia, antica o contemporanea. Succede e basta. Altri detrattori della MLT sostengono che non si occupi della crescita armoniosa dell’allievo ma si occupi solo dello sviluppo musicale. Noi riteniamo che una teoria dell’apprendimento musicale debba parlare di apprendimento musicale e, nella formazione Audiation Institute, integriamo l’insegnamento della MLT con moduli che parlano specificamente del bambino e dell’allievo, della sua crescita, dei suoi bisogni e delle relazioni che questi costruisce con l’insegnante e col gruppo oltre a lezioni di elementi di Psicologia dello Sviluppo.

Suggerirebbe un approccio MLT solo a un coro di bambini o anche di ragazzi e adulti?

Personalmente suggerisco un approccio MLT in qualsiasi contesto purché sia un contesto all’interno del quale ci sia spazio per l’improvvisazione e la creatività. Quando lavoro al Corso Internazionale di Formazione Audiation Institute guido gli allievi in formazione con le stesse pratiche con cui guido un gruppo di giovani allievi a scuola e l’efficacia di tale approccio è tale che molti di essi si riscoprono musicisti dopo anni in cui si trascinavano stancamente in pratiche di insegnamento vuote o noiose.

Che spazio c’è per la tecnica vocale?

l’allievo a orientarsi, per esempio, nel riconoscimento delle funzioni tonali del modo in cui si sta lavorando.

Conosce e si sentirebbe di farci conoscere realtà corali evolute grazie agli insegnamenti e alle consapevolezze gordoniane?

Al momento sono molti le colleghe e i colleghi che lavorano in ambito corale, più o meno propriamente detto: penso che sarebbe molto interessante intervistarle o intervistarli direttamente. Personalmente preferisco rimanere su esempi a me più vicini. Mi prendo la libertà di parlare dei miei allievi più grandi, che ora studiano sax con me, i quali, da anni, conoscono la musica mediante attività fondate sulla MLT. Questi ragazzi, che hanno 16-17 anni, hanno un repertorio condiviso di quasi 85 brani cantati, molti dei quali a due o tre voci, imparati a lezione di musica fin da quando avevano 6-7 anni. Non ne hanno mai letto neanche il testo: sono i brani del loro repertorio affettivo e li conoscono così bene che saprebbero cantarli anche a testa in giù in una piscina piena di limonata (tanto per ridere un po’ alle loro spalle)! Le competenze acquisite su questi brani permettono loro di imparare brani nuovi con una facilità estrema: brani multimodali e multimetrici, con attacchi in levare, con chorus sui quali si può, nel tempo, imparare a improvvisare. Non hanno bisogno di contare o di appoggiarsi a qualche informazione non musicale per cantarli: li hanno completamente interiorizzati. Sono ragazzi che non provengono da famiglie particolarmente dedite all’ascoltare o al fare musica: possiamo dire che quasi tutto quello che hanno imparato in musica lo hanno imparato a lezione, con piacere e gioia. Continuano ad avere delle lacune? Certo: alcuni hanno lacune tonali, altri hanno lacune ritmiche ma continuano a lavorarci serenamente. Sono ragazzi che, coi loro limiti, improvvisano su strutture armoniche in cui la maggior parte degli adulti fatica a orientarsi e che accettano ogni nuova proposta musicale. Ma ciò che più mi rende felice è che non vivono la musica come una disciplina in cui esiste la competizione: suonano e cantano per essere felici insieme e con gli altri.

Per accedere al sito dell’Audiation Institute: www.audiationinstitute.org

Roberto Piumini

Dovremmo girare la domanda e chiederci: che spazio c’è per la MLT nella mente di un insegnante che si occupa di tecnica vocale? Spesso si separa la tecnica vocale dalla musica. La MLT esiste laddove si sta lavorando sull’audiation e quindi sulla musica. Se la tecnica vocale è fine a sé stessa o necessaria a centrare obiettivi determinati da una particolare visione estetica, allora la MLT può rimanerne fuori. Se la tecnica vocale lavora in sinergia con lo sviluppo dell’ audiation , allora la MLT contiene suggerimenti e proposte educative finalizzate a far sì che l’esercizio di tecnica vocale sia contemporaneamente anche un esercizio volto a costruire consapevolezza musicale e a guidare

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Popolare

Giorgio Vacchi, Composizioni per coro

(1958-2016) .1

Parlare dell’opera di armonizzazioni ed elaborazioni corali di canti popolari di Giorgio Vacchi (1932-2008) è allo stesso tempo impresa assai ardua ed affascinante. Lo è in primis per la qualità e l’interesse che l’opera rappresenta. La stima che provo tutt’ora, a quasi quattordici anni dalla sua morte, per il musicista e la persona mi porta a procedere, in questo difficile percorso di analisi, con il passo lento del montanaro, che scruta con calma e tranquillità ogni particolare contenuto in ciascuna partitura, per farne emergere i connotati più caratterizzanti. A Giorgio, persona di grande generosità, dotata di forte carisma, empatia e innate qualità musicali, ero legato da un’amicizia sincera, che si è rafforzata sempre di più nel corso del tempo, quando da suo allievo sono divenuto suo collega e collaboratore. Ci univano diversi fattori, in particolare la nostra comune passione per il coro e per la musica popolare; all’interno della quale sono presenti valori insostituibili. Addentrandoci ora “in punta di piedi” nella pubblicazione dei due eleganti volumi: Giorgio Vacchi Composizioni per coro maschile e Giorgio Vacchi Composizioni per coro misto e femminili entrambi pubblicati da Pendragon Editore a cura di Silvia Vacchi, figlia di Giorgio e attuale direttrice del Coro Stelutis di Bologna, notiamo immediatamente che la pubblicazione si arricchisce, in entrambi i volumi, di un’assai interessante prefazione (pagine 7-10) a firma di Pier Paolo Scattolin, noto musicista e amico fraterno di Vacchi. Nella prefazione stessa Scattolin mette in luce l’importanza della ricerca etnomusicologica sul campo, svolta da Giorgio Vacchi con l’ausilio di diversi collaboratori, in particolare, nell’Appennino emiliano, area assai ricca di tradizione e materiali popolari, di cui Vacchi diviene prima protagonista e poi elemento trainante.

DI DANIELE VENTURI
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Giorgio Guiot

Segue poi una altrettanto appassionata introduzione all’opera curata dalla figlia Silvia (pagine 11-13), in cui si percorre, con chiarezza, la genesi dell’opera: sia dal punto di vista compositivo che della realizzazione della pubblicazione editoriale. Conclude questa parte introduttiva una breve ma sentita carrellata di ringraziamenti (pagina 14). La corposa raccolta riunisce le composizioni di Vacchi già contenute in due sue precedenti pubblicazioni: Venti armonizzazioni su temi popolari a cura di Giorgio Vacchi, Zanibon Editore, Padova 1978 e Canti emiliani (e non), Calderini Editore, Bologna 1997, pur arricchendosi anche di diverse composizioni inedite e di alcune trascrizioni ad opera della figlia Silvia. Per ovvie ragioni di tempo e per non scadere in una sorta di carrellata, in cui sarebbe stato possibile mettere in risalto solamente alcuni aspetti e caratteristiche delle notevoli duecentoquattro partiture contenute nella raccolta, ho focalizzato la mia attenzione soltanto su alcuni lavori appartenenti alle varie fasi compositive di Vacchi. Così analizzando alcune elaborazioni caratteristiche di ciascuna fase e mettendole in paradigma con altre appartenenti alla stessa o ad altre fasi compositive, ho cercato di addentrarmi nelle fitte maglie della scrittura, per far emergere le diversità d’approccio dell’autore all’elaborazione corale, assai marcate nelle ultime quattro fasi compositive rispetto alle precedenti. Nel lavoro di studio e analisi dell’opera di Giorgio Vacchi, oltre a focalizzare l’attenzione sulle varie fasi in cui l’elaboratore ha composto i suoi lavori corali, si sono tenuti in particolare considerazione gli aspetti connessi all‘evoluzione della scrittura musicale e dello stile dell’autore. Così dalle prime composizioni che possono essere classificate come semplici armonizzazioni, il musicista bolognese si è spinto su altri “lidi”, realizzando diverse partiture, assai complesse, nelle quali è costante l’utilizzo di moderne

tecniche di elaborazione corale, in particolare l’uso assai frequente del contrappunto e degli ostinati. Negli ultimi lavori di Vacchi si notano alcuni aspetti ricorrenti, quali, ad esempio, l’aumento del numero delle linee vocali utilizzate e la maggiore estensione della tessitura di ciascuna di esse, unite ad una polifonia “a tutto campo” nella quale è sempre maggiore l’impiego di dissonanze. L’utilizzo, da parte dell’autore, di questi e di ulteriori parametri musicali ha contribuito, anno dopo anno, a far emergere notevoli cambiamenti sia nella sua poetica che nel suo linguaggio musicale. Per poter mettere in luce gli aspetti più caratteristici dell’approccio compositivo di Vacchi ho dovuto, mio malgrado, operare una dolorosa selezione, che mi ha portato a tralasciare brani altrettanto importanti ed interessanti contenuti nella raccolta. Nella prima parte di questa analisi, ho cercato di illustrare, in maniera assai sintetica e sistematica, quei brani appartenenti a ciascuna fase del lavoro di elaborazione corale di Vacchi che possano sintetizzare il percorso artistico dell’autore. Per far ciò ho selezionato alcuni brani particolarmente interessanti sia dal punto di vista compositivo che dei contenuti. Nella seconda parte del lavoro, invece, si sono trattate, in maniera più approfondita, una o più elaborazioni di particolare interesse compositivo, appartenenti a ciascuna delle varie fasi compositive dell’autore, in cui la scrittura musicale rappresenti una “rottura” o una continuità rispetto alla prima fase compositiva di Vacchi. Nelle sue prime elaborazioni, infatti, sono presenti diverse modalità di elaborazione corale riconducibili ad alcuni dei primi “armonizzatori” del coro SAT di Trento. Ciò è assai palese nella sua prima composizione Stelutis Alpinis, scritta da Vacchi nel 1958, in cui il musicista attinge ad alcuni tratti della scrittura di Luigi Pigarelli (1875-1964), ma anche di Antonio Pedrotti (1901-1975), pur con un approccio personale e dei chiari

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GIORGIO VACCHI, COMPOSIZIONI PER CORO

caratteri distintivi. Per poter mettere in luce alcune delle caratteristiche peculiari delle elaborazioni “vacchiane” si sono operate una serie di brevi analisi musicali con le quali si è cercato di sintetizzare le tecniche di elaborazione musicale utilizzate dall’autore.

Vacchi

Scorrendo i due volumi, senza soluzione di continuità, emerge, subito, che si tratta di una produzione estremamente variegata, interessante e di grande ricchezza culturale. Essa abbraccia un lasso di tempo assai ampio che comprende i lavori per coro a cappella che vanno dal 1958, anno in cui Vacchi scrive la sua prima elaborazione: Stelutis alpinis, al 2006, anno in cui il musicista scrive il suo ultimo lavoro Preghiera del mattino. Tra i brani scritti da Vacchi tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta si contano oltre al già citato Stelutis Alpinis (1958), diverse partiture, per coro maschile, di notevole interesse. Tra queste la dolcissima elaborazione del canto friulano: Ce bielis maninis (1959), nella quale Vacchi utilizza una scrittura omoritmica e un’armonia estremamente essenziale. Seguono poi due elaborazioni di canti popolari del cosiddetto repertorio alpino: Ta-pum (1960) e Sul ponte di Perati (1963). In entrambe le partiture sono presenti alcune modalità di elaborazione che Vacchi svilupperà nelle composizioni successive come, ad esempio, l’utilizzo di pedali, in particolare di tonica o dominante e l’impiego di una calibrata polifonia. L’elaboratore pur utilizzando una scrittura tendenzialmente omoritmica e un’armonia che prevede una sola modulazione ai toni vicini, in questi lavori mostra già la chiara volontà di creare un diverso “suono corale”, rispetto, ad esempio, al modello del coro SAT. Ciò diviene ancora più palese nell’interessante elaborazione per coro maschile: Bevé, bevé compare del 1964, nella quale Vacchi alterna momenti di scrittura corale omoritmica ad altri di carattere più polifonico. Nel brano è forte l’utilizzo di pedali di quattro o cinque voci e di tecniche più moderne come, ad esempio, il coro a bocca chiusa. Altro elemento centrale è l’impiego di voci soliste, che caratterizza la modalità esecutiva di molta musica popolare di area emiliana e che diverrà un elemento distintivo della poetica del Vacchi più “maturo”. In quest’ultima elaborazione, inoltre, si nota l’uso di un’armonia più evoluta, che prevede modulazioni più frequenti e cromatismi, sia discendenti che ascendenti, che contribuiscono a creare una maggiore tensione armonica. La fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta sono ancor più fecondi per la produzione di

Vacchi. Essi, infatti, coincidono con la sua prima ricerca etnomusicologica sul campo, dalla quale emergeranno molti brani di notevole valore. Tra questi troviamo la bella e impegnativa elaborazione di Tre marinai (1968), canto popolare ritrovato da Francesco Guccini (1940), noto cantautore, e da Vacchi a Pavana in provincia di Pistoia nel 1968. A proposito di questo canto Vacchi scrive: «Si tratta di uno dei canti narrativi più noti della tradizione popolare centro-settentrionale. Abbastanza costante la tematica che vede i tre marinai (a volte uno solo) alla ricerca “dell’amato bene”, cui segue una sosta all’osteria e la proposta di matrimonio alla “bell’osta”. Sovente, a questo punto, c’è la richiesta dei rituali sett’anni di attesa; il canto termina comunque con il viaggio in mare senza ritorno per la ragazza, vuoi perché la barca affonda, vuoi perché la bell’osta, per specchiarsi, cade in mare. Numerose e notevoli le varianti della linea melodica che accompagna il testo. Da questo canto derivò quel Cosa rimiri bel partigiano che tanta diffusione ebbe nel periodo della Resistenza italiana». In questa elaborazione Vacchi sperimenta anche la tecnica di modulazione per accordo comune al tono della dominante (dalla tonalità di sol maggiore, tono d’impianto, a re maggiore, tono della dominante). L’alternanza nelle varie strofe delle due tonalità contribuisce a creare, assieme a una scrittura sempre cangiante, una notevole varietà d’ascolto. Tra le partiture di questo periodo è di grande impatto ed efficacia anche l’elaborazione per coro maschile di Io parto per l’America, canto popolare ritrovato a Toano nell’Appennino reggiano da Roberto Ferrari nel 1973 ed elaborato da Vacchi, per coro maschile, lo stesso anno. Di questo brano l’autore scrive: «Fra i numerosi canti legati al flusso migratorio che ebbe il suo apice alla fine del secolo scorso e che interessò in Emilia particolarmente la fascia appenninica a causa della sua poverissima economia, è questo uno dei più diffusi. Mentre però altri canti come Mamma mia dammi cento lire o Trenta giorni di nave a vapore sono noti in tutte le regioni del Centro-Nord, la diffusione di Io parto per l’America pare prevalere nell’Appennino tosco-emiliano». L’elaborazione corale è prevalentemente omoritmica, seppur con alcuni piccoli movimenti polifonici, affidati alla voce del basso. Anche in questo lavoro Vacchi utilizza una scrittura assai trasparente e un’armonia generalmente diatonica. Il musicista bolognese, infatti, impiega solamente due cromatismi. Il primo ascendete sul motivo parola “bastimento”, affidato alla sezione dei bassi (la-la#) e il secondo discendente, sul motivo parola “contento”, questa volta affidato ai contralti (mi-mib). Si tratta senza dubbio di due madrigalismi che contribuiscono, allo stesso tempo, a creare una tensione armonica e ad amplificare ulteriormente il carattere

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Un breve excursus nella scrittura per coro di Giorgio
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malinconico di cui il brano stesso è intriso. Altro lavoro d’interesse è il divertente e brillante: Al ciribiribi, ritrovato da Amos Lelli, amico fraterno di Vacchi, a Bologna nel 1975 ed elaborato dallo stesso Vacchi nel 1976. Si tratta di un canto in dialetto bolognese in cui i doppi sensi non sono affatto sfumati. Con una scrittura musicale assai varia, che alterna momenti di carattere strumentale a momenti polifonici, il musicista emiliano amplifica al massimo il carattere goliardico e caricaturale già presente nel brano. Emblematico, a tal proposito, è il fugato presente alle misure 17-23, in cui Vacchi crea una breve e grottesca zona polifonica. Tramite l’utilizzo di imitazioni in stretto, l’elaboratore dimostra, con grande maestria e ironia, come con la scrittura musicale possa amplificare il carattere del brano. Tra le partiture di questo periodo merita una particolare attenzione anche Eran quattro piemontesi sempre ritrovata a Toano nell’Appennino reggiano da Roberto Ferrari nel 1973 ed elaborata da Vacchi lo stesso anno. È interessante notare come sfogliando il Fondo Roberto Leydi e in particolare il catalogo delle trasmissioni realizzate da Roberto Leydi (1928-2003) per la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana RSI, emerga un suo pensiero a riguardo di una variante di questo brano: «Nelle raccolte del passato la conosciamo solo per il Piemonte, legata a quel filone

della canzone settecentesca francese, la più famosa è quella che celebra Mandrin, famoso brigante francese». A proposito della variante reggiana, nella presentazione del brano, Vacchi fornisce alcune ulteriori notizie: «Anche se, visto che si parla di piemontesi e di Cremona, è facile intuire l’area di maggior uso del canto, notevole è però la diffusione nell’Emilia, specie nella zona appenninica tra le province di Bologna e Reggio Emilia. Abbastanza uniformi le lezioni note sia come testo che come linea melodica». Nell’elaborazione per coro maschile Vacchi pone grande attenzione all’utilizzo di una scrittura che attinga ispirazione dalle modalità di canto popolare dell’area appenninica emiliana. Ne sono due esempi tangibili l’impiego nella scrittura corale di parallelismi di terza e l’alternanza tra soli e coro, che rappresentano i due cardini della modalità esecutiva del canto spontaneo emiliano e più in generale di quello di area padana. È importante notare come con una scrittura ed un’armonia estremamente essenziali Vacchi riesca a creare un piccolo capolavoro corale, enfatizzando al meglio il carattere del brano. Sempre appartenenti a questo periodo di ricerca troviamo la particolare elaborazione di Canto dei battipali (1976) ritrovata dallo stesso elaboratore a Bologna nel 1970, di cui gli informatori sono il già citato Francesco Guccini e Mauro Mattioli (1943). Nell’elaborazione di

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questo interessante canto di lavoro di area veneta, Vacchi, tramite una scrittura essenziale, crea una sorta di barcarola in tempo binario semplice (4/4). Tale forma di composizione vocale o strumentale, usata dai barcaioli e dai gondolieri, è nella grande maggioranza dei casi in tempo binario composto: generalmente in 6/8 o in 12/8. Nella scrittura corale Vacchi utilizza, enfatizzandoli, alcuni elementi di carattere percussivo, tipici di questo genere di brani, come, ad esempio, il battito della mano sulla coscia. Altro elemento caratterizzante della scrittura è l’utilizzo del glissando, che nei canti di lavoro assume il carattere funzionale di aiutare il sincronismo dei lavoratori. Ulteriore elemento d’interesse è rappresentato dall’utilizzo di parallelismi di quinta, presenti alle voci superiori (tenori primi), alle quali però non è affidato un testo, bensì dei vocalizzi. Forte è anche l’uso da parte di Vacchi di ostinati semitonali, affidati alle sezioni dei baritoni e dei tenori secondi, mentre ai bassi viene assegnato un ostinato ancora più semplice ed efficace, che prevede per tutto il brano l’alternanza tra la tonica (sib) e la dominante (fa). L’armonia che si viene così a crea durante tutto il brano alterna solamente l’accordo di tonica a quello di dominante, mentre le note alterate assumono una funzione prettamente ornamentale. Anche in questo lavoro Vacchi utilizza le voci soliste, che si sovrappongono al coro, al quale è affidata, generalmente, una scrittura di carattere strumentale. A “grandi falcate” ci dirigiamo verso gli anni Ottanta dove incontriamo un brano particolarmente interessante, ritrovato da Giorgio Vacchi alla fine degli anni Sessanta a Bologna. Si tratta dell’elaborazione del canto popolare È partita una nave (1978). Dell’origine del brano Vacchi scrive: «Difficile dire della diffusione di questo canto: il fatto che una versione sia inserita nei “Dischi del sole” (interpretata da Giovanna Marini) e che altre due siano state da me raccolte recentemente dalla viva voce di due informatori neppure quarantenni (Anna Billi e Luciano Ottomanelli, ambedue bolognesi) farebbe supporre che il canto fosse molto noto. Invece un solo riferimento conosco dalle

raccolte a stampa, e sempre nella nostra regione, per cui potrebbe trattarsi di un canto relativamente recente, anche perché le melodie delle lezioni note sono molto simili tra loro. Quanto mai simili anche i testi, che pare non abbiano avuto troppo tempo per subire modificazioni di rilievo». L’elaborazione di questa Barcarola prevede un accompagnamento di carattere strumentale e una scrittura estremamente efficace. L’armonia utilizzata da Vacchi è prevalentemente diatonica, a eccezione di due momenti nei quali sono presenti procedimenti cromatici ascendenti. Il primo sul motivo parola “dire” (do-do#), affidato alle voci inferiori (misure 13-14) e il secondo sul motivo parola “gente” 15-16 (re-re#), affidato alla sezione dei bassi. Dello stesso anno e appartenente alla poderosa ricerca sul campo effettuata a Gàggio Montano, in provincia di Bologna, da Paolo Bernardini e coordinata da Giorgio Vacchi è l’elaborazione Nella Somalia bella (1978). A proposito di questo brano Vacchi scrive: «Ancora da Gàggio Montano viene questa bella melodia che riveste un tema noto in numerose regioni italiane. Credo abbia ragione il Conati quando dice che il canto, «quasi certamente opera di cantastorie, non dovrebbe risalire oltre la prima metà dell’Ottocento; ma il nucleo narrativo da cui esso proviene è molto antico ed è verosimilmente quello stesso cui appartengono le varie versioni de “La sposa morta”. La lezione gaggese si differenzia per una certa sinteticità nel racconto (che altrove si dilunga per oltre dieci strofe), per il luogo verso cui “si va alla guerra” (la Somalia appunto, mentre spesso si parla di Romagna o di Germania) e per il finale un po’ meno “giallo” rispetto alle lezioni in cui si rivela che la “madre” ha avvelenato la ragazza. Notevoli inoltre le diversità fra le linee melodiche che nella presente lezione, così come in quella elaborata per il coro Val Dolo di Toano da Mario Fontanesi col titolo di “Cimitero di Santa Liberata”, risultano particolarmente ariose e nel contempo struggenti». Si tratta senza dubbio dell’elaborazione di Giorgio Vacchi più nota e diffusa tra i cori; avendo continue esecuzioni da parte di gruppi di tutt’Italia. La scrittura di

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chiaro stampo narrativo è estremamente essenziale e di forte impatto emotivo. Nell’introduzione iniziale alle voci inferiori (bassi e baritoni) misure 1-3, rispondono, con lo stesso disegno all’ottava superiore (tenori primi e tenori secondi) misure 4-6, quindi la voce del baritono, misure 7-8 compie un procedimento cromatico (do-do#) che guida l’ascoltatore verso un improvviso cambio di modo, da sol minore a sol maggiore (misura 9) in cui compare il tema affidato a un tenore solista. Nella parte introduttiva alle voci del basso e del tenore secondo sono affidati due pedali di tonica all’ottava (sol), mentre ai baritoni e ai tenori primi sono assegnate linee che prevedono l’alternanza di diatonismi e cromatismi. Di grandissimo effetto è il finale del brano (misure 21-24) in cui le voci superiori, in una tessitura molto acuta, si dividono in tre, con una scrittura che prevede la sovrapposizione di quarte, terze e seste parallele. Si tratta dell’ultimo straziante “grido corale”, in cui il coro stesso raffigura, dal punto di vista simbolico, tutto il dolore del soldato per la perdita dell’amata. Di solo un anno più tardi e sempre appartenente alla ricerca di Gaggio è l’elaborazione È partito per l’Albania (1979), altro brano legato al tema doloroso dell’immigrazione, in cui la centralità è rappresentata, come ogni canto di questa tipologia, dalla “partenza”. In questo interessante lavoro Vacchi utilizza una scrittura tendenzialmente omoritmica, a eccezione delle misure 5-9 in cui l’elaboratore affida alle voci inferiori (tenori II, baritoni e bassi) un doppio pedale di tonica e dominante (sib-fa-sib) mentre ai tenori primi è affidata una scrittura a seste o terze parallele. Pur nell’apparente semplicità di questa elaborazione emerge una scrittura assai ricercata e un’armonia che utilizza alcune alterazioni cromatiche ascendenti, sul motivo parola “l’è partito per l’Albania chissà quando ritornerà”: misura 12 (fa-fa#) voce di baritono, (sib-si beq.) voce di tenore secondo stessa misura e (mib-mi beq.) misura 13 voce del basso. Si tratta, come negli altri casi finora trattati, di cromatismi di carattere madrigalistico, che Vacchi utilizza per creare una maggiore tensione armonica e una forte sorpresa per l’ascoltatore. Concludendo l’excursus di elaborazioni scritte da Vacchi negli anni Settanta non poteva mancare la struggente elaborazione di Fa la nana (1979) brano ritrovato a Monghidoro, in provincia di Bologna, da Arrigo Montanari nel 1979. Si tratta di una particolare ninna nanna, cantata da Maria Grillini, figura cardine del mondo contadino monghidorese, in cui gli stati d’animo si sommano e si scontrano in un vortice di forti emozioni. Vacchi a proposito di questo brano scrive: «Il canto popolare è legato a una funzione, scomparsa la quale il canto agonizza e muore: così è avvenuto, e avviene, a tanti canti di lavoro, rituali, a ballo, ecc. Non ancora scomparsa è, invece, la funzione del ninnare, legata

al “mestiere” di madre, o di nonna, per cui sono ancora numerose le donne che ricordano ninne nanne. Ma solo di recente, dopo decenni di ricerche e discussioni, si è cominciato a far luce sull’essenza di questo “canto di lavoro” come forse è il caso di definirlo». A tal proposito scrive Roberto Leydi nel suo I canti popolari italiani, Arnoldo Mondadori, Milano 1973 pagine 38-39 «Per quanto riguarda le ninne nanne va osservato che questi canti non assolvevano soltanto il compito di quietare e addormentare i bambini, ma anche quello di avviare il processo di inculturazione del nuovo nato (e inculturazione non soltanto musicale). Attraverso la ninna nanna, poi, era offerta alla donna un’occasione di sfogo non altrimenti possibile all’interno della società contadina tradizionale (soprattutto meridionale)». In questa scia possiamo collocare anche questa ninna nanna di Monghidoro, in cui il testo, strofa dopo strofa, si fa sempre più drammatico, fino ad esplodere nell’esortazione finale: “Figlia mia non ti maritare se ti mariti non hai più ben”. Citando ancora Vacchi: «Pochi, infine, i riscontri (e quasi tutti limitati alla prima quartina) con altre lezioni, e anche queste relative alla nostra regione. Fanno eccezione i versi seguenti: «Nana, nuncheta, - la mama è andata a messa, Papà l’è anda a Türin - a cumprar dei büratin» tratti da brani originari del Canavese e citati da Costantino Nigra». Nell’elaborazione di questa splendida ninna nanna in modo minore e in tempo binario, Vacchi mette “in gioco” diversi parametri di elaborazione già utilizzati nelle composizioni precedenti. Tra i quali, ad esempio, l’impiego di un lungo pedale di tonica (la), affidato alla voce del basso, che sostiene il tema, che per le prime due strofe è affidato ad un tenore solista. La scrittura musicale si fa sempre più pregnante man mano che il testo diviene più drammatico. Al coro fino a misura 44 è affidata una scrittura di carattere strumentale, in cui vengono enfatizzati gli onomatopeici “Don, don, din, don”, tramite una dinamica musicale, gradatamente cangiante e che tende ad aumentare sempre di più fino al fortissimo corale (misure 57-61). In questa zona Vacchi affida al coro una scrittura più compatta, tendenzialmente omoritmica, la cui solidità pian piano si sfalda, tramite una graduale diminuzione del numero delle voci e della dinamica. Si tratta di una tecnica di elaborazione che sfrutta il doppio concetto di accumulazione e diradamento delle voci. Diviene un esempio lampante di questa modalità il finale del brano, in cui le voci si sfrondano gradatamente, come “i petali di una margherita al vento”. La scrittura corale gradatamente scarnificata sfocia su una drammatica e tripla ottava vuota (la), che copre, appunto, tre ottave di registro, creando nell’ascoltatore un notevole “senso di abbandono”.

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Tra le elaborazioni scritte da Vacchi tra il 1980 e il 1988, tutte di grande valore e assai interessanti, diviene un’impresa assai ardua focalizzare l’attenzione su alcune di esse. Tra queste merita, sicuramente, una particolare attenzione. Venendo giù dai monti, canto ritrovato a Gàggio Montano (BO) da Paolo Bernardini nel 1979 ed elaborato per coro a voci virili da Vacchi nel 1980. Trattasi di un brano riconducibile alla forma della canzone narrativa, in cui i testi, generalmente di epoca più tarda rispetto alle melodie, presentano non di rado allusioni e doppi sensi. Versioni differenti di questo canto, in ritmo ternario o binario composto, spesso in 6/8, sono note in tutto il Nord Italia. Varianti, con melodie assai diverse, sono diffuse in Veneto, soprattutto nel Vicentino. Vacchi nell’elaborazione di questo brano, pur con la semplicità di mezzi utilizzati, dimostra di avere acquisito una notevole maestria sia contrappuntistica che armonica. Nella scrittura è presente un interessante gioco imitativo tra la voce del basso e quella del tenore secondo (misure 4-8), nel quale il motivo parola “la presi per morosa, la mi voleva ben.” acquisisce un ruolo centrale all’interno del brano. Tramite il “rivestimento” armonicocontrappuntistico Vacchi “amplifica” sia i contenuti testuali che il forte lirismo già presenti nella melodia, proiettando l’ascoltatore in una sonorità assai delicata e vagamente “pastorale”. Dello stesso anno è anche l’assai raffinata elaborazione del brano La colombina (1980), canto ricercato da Paolo Bernardini e Mario Franceschini sempre a Gàggio nel 1979. In questa elaborazione Vacchi utilizza una scrittura molto pregnante, che prevede alle prime otto misure d’introduzione, l’utilizzo di cromatismi discendenti e di un’armonia assai moderna e particolare; con le voci del baritono e del tenore primo che procedono frequentemente con parallelismi di quinta. Il tema della prima strofa viene affidato a un basso solista, mentre la fissità delle voci inferiori contrastano con la voce superiore (tenore primo) che propone dei procedimenti cromatici ascendenti (misure 9-12) e poi discendenti misura (13-16). Segue poi il motivo parola “e la vola per aria e la ritorna in terra cara la mia stella a fare l’amor” in cui Vacchi affida al coro una scrittura tendenzialmente omoritmica. Dopo la seconda strofa l’elaboratore riprende integralmente le 16 misure iniziali, aggiungendo solamente una battuta finale caratterizzata da un lento glissando ascendente delle voci superiori, che simboleggia il desiderio di raggiungere l’amata.

Sempre degli stessi anni ma appartenente alla ricerca svolta a Travo, Alta Val Trebbia, in provincia di Piacenza da Don Gianrico Fornasari è anche L’usignolo (1987). Si tratta di un brano molto interessante e dalla struttura assai particolare. Dalle prime 24 misure in cui la scrittura

attinge ad alcuni tratti caratteristici della forma della Ballata , quale ad esempio il tempo in 6/8, si sfocia su una scrittura assai libera, priva di un metro, che procede metricamente, come nel caso di alcuni stornelli e serenate, esclusivamente sul tempo della parola. Il forte lirismo melodico è estremamente enfatizzato da Vacchi, tramite una scrittura che si divide in due blocchi assestanti dai caratteri antitetici. Il primo è rappresentato dalle prime 24 misure, nelle quali l’elaboratore affida al coro una scrittura omoritmica. Segue quindi il secondo blocco (misure 25-32) in cui Vacchi affida il tema a un tenore solo, mentre al coro sono affidati pedali di tonica (la) o di dominante (mi) che oltre a sostenere la voce principale, assumono le sembianze di una sorta di “organo positivo”. Anche in questa elaborazione compare la figura del glissando, questa volta tramite intervalli di quarta discendente, sul motivo parola “canto”. Il brano si conclude con una scrittura riconducibile a quella delle prime 24 misure. Un notevole allargando del tempo e un graduale crescendo dinamico, che da un piano sfocia in un fortissimo, conducono alla conclusione della composizione. Nel 1990 Giorgio Vacchi decise di introdurre nel coro due sezioni femminili (soprani e contralti), che si andarono ad aggiungere alle quattro sezioni maschili (tenori I, tenori II, baritoni e bassi) ampliando, così, sia la gamma vocale che le potenzialità espressive del coro. Per questa ragione l’opera di Vacchi dal 1990 al 2006 è maggiormente incentrata sulla realizzazione di elaborazioni per coro misto a sei voci, oppure sulla trascrizione per questo organico dei brani precedentemente composti per coro maschile. Per questo motivo cercherò di focalizzare la mia attenzione su una serie di brani che possano al meglio sintetizzare l’ultimo percorso creativo di Giorgio Vacchi. Tra questa serie di brani sono di particolare interesse alcune elaborazioni con le quali Vacchi comincerà il suo nuovo percorso con il Coro Stelutis di Bologna. Tra i brani di particolare interesse che Vacchi ha trascritto da coro maschile a coro misto vi è certamente Donna lombarda (1991) della quale il musicista bolognese realizzerà la versione a sei voci miste solamente due anni più tardi, nel 1993. Si tratta di una delle più celebri e antiche ballate popolari. Diffusa in tutta l’Italia settentrionale ma conosciuta anche in quella centro-meridionale, narra la storia di una donna che viene invitata dall’innamorato a uccidere il marito con il veleno ricavato da un serpente. Nella maggior parte delle varianti vi è però l’intervento di un bambino (di “pochi anni” o “pochi mesi”, a seconda della versione), che mette in guardia il suo “caro padre” dell’orditura; così il padre obbliga la donna a bere anche lei l’intruglio. La variante elaborata da Vacchi è nel tempo di 3/8,

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ed è stata ritrovata a Marsaglia di Cortebrugnatella, in provincia di Piacenza. Anche in questo lavoro l’elaboratore alterna l’utilizzo dei solisti al coro, mostrando di essere perfettamente aderente alle modalità di canto popolare spontaneo di area emiliana. Alla scrittura tendenzialmente omoritmica (misure 1-22), segue una zona nella quale le voci superiori (soprani e contralti) procedono tendenzialmente con parallelismi di terza, mentre alle voci maschili è affidata una scrittura di carattere strumentale, nella quale il coro virile si trasforma in una sorta di strumento d’accompagnamento. Nella prima parte della quinta e ultima strofa; “prima la tagli e poi la schiacci poi gliela metti là dentro nel vin.” (misure 4658) il tema è affidato alla sezione dei bassi. Il compositore per enfatizzare la drammaticità del testo sceglie un tempo più largo, indicando in partitura: Meno mosso. Si giunge quindi al finale caratterizzato da un notevole rallentando dell’agogica e da un graduale crescendo dinamico, che sfocia nel fortissimo finale. Facendo un balzo di circa cinque anni troviamo l’elaborazione di Santa Lucia (1995). Questo canto dalle tinte drammatiche e in tono minore è stato ritrovato da chi vi scrive nel 1990 a Gaggiò Montano (BO) e cantato da Poggi Irma, classe 1923, originaria di Castel d’Aiano, in provincia di Bologna.

Si tratta sicuramente di un unicum nella ricerca del canto popolare italiano. Già la tonalità minore è assai rara nei canti popolari di area emiliana, essa si riscontra più frequentemente nei canti religiosi d’autore ignoto e in quelli popolari del Meridione d’Italia. Lo stesso etnomusicologo Roberto Leydi, che ci stava lavorando fino a poco prima della morte, mi confidò di non aver mai udito varianti di questo brano durante il suo lungo lavoro di ricerca. Probabilmente, la melodia, di origine pre-gregoriane, cioè prima dell’anno 1000 dopo Cristo, ha subito vari travestimenti, fino ad arrivare a noi intrisa di drammatica religiosità. La figura di Santa Lucia, comunemente nota come la protettrice della vista, qui assume un ruolo sacrificale. Questa drammaticità è lampante nella quinta strofa del brano: “Lucia si levò gli occhi in un bacino la dîs: tolî tolî (dice prendete, prendete) questo presente la dîs: tolî tolî questo presente portêl (dice prendete, prendete questo presente portatelo) al re di Pasqua incontinente”. Appaiono inoltre personaggi ai confini tra fantasia e memoria, come ad esempio il sopra citato “Re di Pasqua”, figura probabilmente di fantasia, ma anche “i giudei di Francia”, sorta di rozzi e spietati giustizieri. L’aspetto simbolico assume un ruolo centrale, come ad esempio nella risposta del Re nella strofa successiva: “No no no no non voglio i suoi occhi ma voglio lei ma voglio

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GIORGIO VACCHI, COMPOSIZIONI PER CORO

lei in persona e s’lan vôl gnîr bisåggna (e se non vuol venire bisogna) trascinarla con sette pèr ed bò bisåggna (sette paia di buoi bisogna) menarla”. Il sette, numero centrale per esempio nell’Apocalisse, viene unito all’umanizzazione dei buoi, come ad esempio nella penultima strofa: “I bò i parîven (I buoi sembravano) l’aver conosciuta da terra non la vollero levare gli arriva poi i giudei di Francia gli dàn la santa mena d’un coltello”. Interessante anche la commistione tra dialetto emiliano e italiano antico, che probabilmente pone questo canto sulla scia dei canti devozionali, di argomento religioso, che vedono l’esaltazione della verginità e della vita religiosa povera ed umile. Probabilmente il travestimento testuale più marcato è avvenuto in epoca Francescana; si noti ad esempio la prima strofa: “Santa Lucia domandò a sô mèder (a sua madre) dov’è il mio ben ch’al mà lasà mê pèder (che mi ha lasciato mio padre)? Tutt al vói spènder (lo voglio spendere) tutto al vói donare ai poverini per l’amor di Dio”, dove la grande generosità d’animo di Lucia è perfettamente in linea con l’ideale religioso di San Francesco o San Filippo Neri. Anche nella risposta di Lucia al Re di Pasqua alla richiesta della sua mano emergono questi ideali: “Piuttosto io vorrei vorrei bruciare ma al mondo non mi voglio maritare”. La ricerca della castità e della vita totalmente donata a Dio arriva fino al sacrificio finale, come nell’ultima strofa: “Santa Lucia sentì la ferita incominciò a gridar: Dio m’aîta Dio m’aîta in ciel cogli altri santi in Paradiso con le dolci canti.”. Come per il cristiano che ambisce alla santità, così anche per Lucia, il sacrificio, prima della vista, e infine della sua stessa vita, assumono il carattere catartico liberatorio di avvicinamento a Dio. Nell’elaborazione di questa splendida melodia per coro a sei voci miste, Giorgio Vacchi mette “in campo” moltissime delle tecniche utilizzate nelle composizioni precedenti. In primis il rapporto, che definirei intimistico, tra la figura dell’oratore, affidata a voci soliste, soprano nella prima strofa e tenore nella seconda strofa e la voce d’accompagnamento che per le prime 32 misure è affidata alla sezione dei bassi, mentre le altre sezioni del coro tacciono. Vacchi pare volere ricreare, tramite la scrittura, lo stesso dualismo, in gran parte psicologico, presente tra i due protagonisti: “Santa Lucia” e “il Re di Pasqua”: che potrebbe simboleggiare Gesù Cristo. Alla terza strofa, levare di misura 34, il tema principale è affidato alla sezione dei bassi: “Desir Santa Lucia volete esser voi la sposa mia” mentre alle sezioni unite di soprani e contralti è affidata la risposta “Piuttosto vorrei bruciare ma al mondo non mi voglio maritare.” Seguono quindi le strofe 4-7 in cui Vacchi porta la scrittura una sonorità sempre più “sinfonica”, mentre l’andamento generale delle voci è prevalentemente omoritmico. Di grande finezza è la scrittura che caratterizza tutta l’ottava strofa “Santa Lucia sentì la ferita incominciò a gridar: Dio m’aîta Dio m’aîta in ciel cogli altri santi in Paradiso con le

dolci canti”, in cui Vacchi affida alle voci maschili un semplice pedale di tonica all’ottava (si) mentre le due voci soliste femminili (soprano e contralto) procedono tramite un’assai efficace scrittura polifonica. Trattasi di una sorta di duetto che si concluderà solamente a misura 136, in cui ritornerà, per le voci femminili, il Tutti e a cui risponderanno, a misura 138, i tenori. Il brano si conclude con una sorta di madrigalismo, che avviene sul motivo parola “in Paradiso” mediante l’innalzamento della terza, e il relativo passaggio dalla tonalità di si minore a quella di si maggiore. Dell’ultima fase compositiva di Giorgio Vacchi, nella seconda parte del mio lavoro, tratterò il suo ultimo lavoro Preghiera del mattino (2016), ma credo vi sia un altro lavoro assai interessante. Si tratta dell’elaborazione del canto popolare natalizio Tre Re d’oriente, brano ritrovato a Gàggio Montano (BO), da Paolo Bernardini nel 1990 e cantato da Catterina Bruni, informatrice assai feconda. Si tratta di un canto popolare, probabilmente molto antico, appartenente al genere della pasquelle e dei canti legati alle feste del solstizio d’inverno. A tal proposito scrive Leydi: «Nel mondo popolare è conservato il senso unitario del gruppo di feste che vanno fino all’Epifania. Capodanno è il doppio laico del Natale; l’Epifania è il vecchio Natale, i dodici giorni dopo Natale, pensiamo allo Shakespeare de La dodicesima notte. Nell’area lombarda è molto diffusa la tradizione dei “Tre Re”: pratica della stella, portare in giro in processione una stella di carta con dentro un lumino accompagnando questa processione con dei canti». Nella sua elaborazione corale Vacchi utilizza una scrittura tendenzialmente omoritmica, in perfetta aderenza con il carattere processionale del canto popolare, pur con l’impiego di numerosi pedali, principalmente di tonica e dominante, assai utilizzati, ad esempio, nelle tecniche di accompagnamento strumentale, in particolare nella forma della Pastorale. Numerosi sono i tratti comuni tra le forme pastorali e le pasquelle. Tra questi, in particolare, il tempo binario composto in 6/8 e la sua possibile alternanza con il tempo ternario composto in 9/8. L’armonia utilizzata da Vacchi è prevalentemente diatonica, se si escludono i due procedimenti cromatici presenti nella voce del contralto a misura 21 (sol-sol#), che viene ripreso a misura 34 alla stessa voce. (segue nel prossimo numero)

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Popolare

Il centenario dei Canterini Romagnoli “F. B. Pratella” di Lugo

Quando si celebra il centesimo compleanno di un essere umano è un’occasione di festa: si muove il Sindaco o un delegato, si stappa spumante, si taglia una torta di dimensioni generose e attorno al vegliardo si radunano amici e parenti fino alla quarta generazione. Quando a raggiungere questo traguardo prestigioso è un sodalizio di qualsiasi genere diventa un’occasione ancora più ghiotta di celebrazione, divisa tra la festa per chi c’è e il ricordo affettuoso e nostalgico di chi ha fatto la storia del gruppo e non c’è più. I Canterini Romagnoli “F. B. Pratella” di Lugo (RA) hanno raggiunto quest’anno il centesimo anno di attività. Il coro è stato fondato infatti nel maggio del 1922, sotto l’ala protettrice e autorevole di Francesco Balilla Pratella, che insieme al forlivese Cesare Martuzzi, e sotto la spinta gentile ma costante del poeta Aldo Spallicci (vero “inventore” dei gruppi di Canterini Romagnoli) aveva contribuito alla nascita di diversi cori (che all’epoca venivano definiti “Camerate” ) dediti alla polifonia popolare della terra di Romagna. Va ricordato anche il contributo del poeta Lino Guerra, anima tormentata, che fu sostenitore e amico dei Canterini di Lugo prima della prematura scomparsa. Tra i direttori che si sono succeduti alla guida del sodalizio, ricordiamo anzitutto il fondatore Antonio Montanari che li diresse fino al 1940; il successore, Corrado Zaccari, prese le redini del coro nel 1945 (durante la guerra era impossibile portare avanti un’attività artistica di questo genere, e credo che di voglia di cantare ce ne fosse pochina…) e le mantenne fino al 1962. Il suo successore fu il M° Dario Mirandola, oggi un novantenne in splendida forma, fino al 1967, seguito da Everardo Galassini, del quale si ricorda la prematura scomparsa per infarto la notte di Natale del 1977. Dopo di lui il M° Alberto Frabetti, reduce dall’esperienza pluriennale con i Canterini Romagnoli di

Ravenna, fino al 1988 e il M° Carlo Argelli che li dirige tuttora. In un secolo di vita se ne fanno dei concerti… e anche si susseguono occasioni particolari. Eccone alcune che hanno visto la partecipazione dei Nostri: 1930 - Il gruppo ha partecipato con interventi e commenti corali al film “Terra Madre”, regista Alessandro Blasetti –Roma Stabilimenti Cines. 1961 - Partecipazione al film “Boccaccio 70”, regista Vittorio de Sica, nell’episodio “La Riffa” con Sofia Loren. 1968 - Partecipazione allo spettacolo del secondo canale della televisione tedesca “Vergissmeinnich” (“non ti scordar di me”), a Ludwigshaffen con nomi eccellenti di artisti italiani (Adriano Celentano, Mario Del Monaco).

1972 - Partecipazione ai festeggiamenti per l’apertura delle Olimpiadi di Monaco quali ambasciatori dell’Italia. 1986 - Stati Uniti: Kansas City All’attività del gruppo corale si è affiancata quasi subito quella del corpo di ballo, che interviene nelle cosiddette “Cante a ballo”, come ad esempio “E triscoun” e “E bal d’la viniziena”. In quei momenti il canto del coro (a sei voci a cappella, in generale, come nella tradizione antica delle cante romagnole) è sostenuto anche da alcune fisarmoniche, un violino e un clarinetto, talvolta affiancati anche da un’ocarina.

Per ulteriori informazioni e riferimenti, vi invitiamo a consultare il sito http://canteriniromagnolilugo.blogspot.com/

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Popolare

L’esperienza del Coro Cantering

Intervista a Dodo Versino

DI SILVIA VACCHI

Ludovico (Dodo) Versino, laureato in Discipline dell’Arte, Musica e Spettacolo e attualmente iscritto a Didattica della Musica al Conservatorio di Santa Cecilia, si muove ormai da un paio di decenni nel mondo dello spettacolo, come attore-doppiatore e come musicista. Nel doppiaggio ha prestato la voce a film, serie tv, documentari e pubblicità, e ultimamente lavora anche come direttore del doppiaggio cantato. Nell’ambito musicale ha fondato e diretto numerosi gruppi vocali e cori, ha organizzato rassegne ed eventi e ha infine realizzato numerosi progetti di coro scolastico in alcuni licei di Roma.

Il Coro Cantering di Roma è ormai conosciuto ben oltre i confini della capitale. Nato come coro giovanile questo gruppo dal numeroso organico misto sta portando avanti un percorso personale sul canto di ispirazione popolare facendo conoscere alle nuove generazioni tanti classici di questo repertorio. Ne abbiamo parlato con Dodo Versino, fondatore e maestro del gruppo.

Come nasce il Coro Cantering?

Inizialmente si trattava di un gruppo di amici che cominciò a ritrovarsi tra il 2004 e il 2005. Non ci si incontrava apposta per cantare ma si finiva per farlo spesso, magari mentre si era occupati in qualcos’altro come cucinare: è da qui che nasce il nostro nome. Alcuni di noi erano sicuramente influenzati dal fatto di essere figli di coristi del Coro A.N.A. di Roma, il gruppo maschile

dedito al canto di montagna diretto per tanti anni da Lamberto Pietropoli (dal 1963 al 1985). In modo totalmente spontaneo ci ritrovammo ad armonizzare “a braccio” brani che conoscevamo già come Balla Marietta balla di De Marzi o La grazia di Otello Profazio nell’armonizzazione di Pietropoli. A quell’epoca eravamo tutti già coinvolti in qualche attività musicale amatoriale, ognuno aveva la sua band e io stesso avevo formato un paio di anni prima un settetto di voci maschili chiamato “Anonima armonisti” con il quale facevo del vocal pop. Con questo gruppo di amici che avevano un buon orecchio e sapevano cantare capimmo che era possibile cantare a cappella insieme divertendosi moltissimo. Da lì a decidere di ritrovarsi una volta a settimana per cantare insieme il passo fu breve. Il 12 novembre del 2006 chiedemmo in prestito un locale parrocchiale normalmente utilizzato dalla Caritas come deposito di abiti usati. Quella sera, disposti a emiciclo come un vero coro, cominciammo a studiare proprio l’elaborazione di Pietropoli de La grazia (dall’omonima canzone del cantante folk calabrese Otello Profazio). Probabilmente cominciammo dal repertorio di ispirazione popolare perché era qualcosa che noi, figli di coristi, avevamo già nelle orecchie. Non si trattò di una vera e propria scelta consapevole, non c’era nessun ragionamento alla base di questa scelta ma posso dire che, fin da subito, questi brani piacquero anche a chi non li conosceva. A questa prima prova, che si svolse di domenica sera, eravamo in dodici ma la settimana successiva eravamo già in quaranta. L’entusiasmo dei presenti aveva fatto partire il passaparola. Nei mesi successivi l’organico si è assestò sui venticinque-trenta componenti. La mia esperienza pratica come direttore cominciò in quel momento mentre il mio percorso di studio accademico, invece, iniziò diversi anni dopo. L’ispirazione per la scelta dei brani continuò a essere quella del canto popolare e delle suggestioni suscitate dal repertorio del Coro A.N.A. di Roma che avevo seguito

Ludovico Versino
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fin da bambino: quante volte ho ascoltato il loro disco Origini! Questa impronta “popolare” è sempre rimasta quella predominante senza impedirmi di inserire, ogni tanto, qualche brano di musica antica piuttosto che di vocal pop. Devo però dire che lo stile del gruppo si è sempre più orientato nel tempo verso il canto popolare.

I cantori sono selezionati?

Durante i primi anni di attività non ho mai fatto selezione ma poi ho dovuto cambiare sistema per evitare di inserire nel gruppo elementi talmente antimusicali da risultare destabilizzanti per gli altri coristi. Attualmente faccio fare agli aspiranti un doppio provino. Il primo è un semplice controllo sull’intonazione e sull’estensione vocale. Mi serve a verificare che l’aspirante corista non sia stonato e a indirizzarlo verso il settore più adatto a lui. La seconda prova, invece, consiste nell’eseguire un certo numero di brani del nostro repertorio a memoria e a parti reali. Qualche volta affianco il novizio a un corista più esperto: cerco di non essere rigido in queste circostanze, soprattutto con chi è più timido. Superata questa prova si potrà entrare in formazione. Uso questo sistema anche con i cori giovanili.

Tra gli autori ed elaboratori che compaiono nei vostri programmi trovo De Marzi, Pietropoli, Maiero, Malatesta, Vacchi. Quali sono i tuoi criteri di scelta per il repertorio?

Non sono preparato!! A parte gli scherzi, provo a rispondere anche se è difficile. Il primo criterio di scelta è il mio gusto personale, scelgo solo brani che mi affascinano a prescindere dalla provenienza. Nel caso del Coro Cantering, però, mi rendo conto che il repertorio di ispirazione popolare è diventato ormai un fatto “genetico”. Difficilmente riesco a uscire da quest’ambito senza che il coro reagisca male, sia a parole che musicalmente. Ti faccio un esempio. Tempo fa arrangiai un medley di brani dei Queen che ebbe moltissimo successo con i cori dei licei. Ebbe anche una grande diffusione sui social e per me, come maestro di coro, fu un momento importante. Quando lo proposi al Coro Cantering, al contrario, la reazione fu di deciso rifiuto nonostante si trattasse di un mio arrangiamento. Fu come se il coro

avesse “ideologizzato” ex post le scelte musicali fatte riconoscendosi nel repertorio di ispirazione popolare e identificandovisi. In effetti devo dire che il gruppo dà il meglio di sé proprio su questi canti. Tutte le volte che ho proposto qualche digressione vocal pop o qualche semplice esempio di polifonia antica mi sono reso conto che il livello delle esecuzioni scendeva. Per le sue stesse caratteristiche (range di età dai 20 ai 40, grande organico, suono un po’ “sparato”) è un gruppo che ha trovato la sua giusta collocazione e il suo repertorio di elezione nel canto popolare. Dal dopoguerra in poi l’immaginario collettivo è occupato dalla musica di consumo, si può dire che nella vita quotidiana ognuno di noi è letteralmente sommerso da musica straniera un po’ di tutti i livelli. Io stesso sono un ascoltatore di pop e rock ma è come se ci fosse una “corrente sotterranea” che ci lega tuttora al canto popolare e ai suoi temi senza tempo. È quella che io ritrovo, per esempio, in O cara mama, il canto delle mondariso elaborato da Giorgio Vacchi. Anche i miei coristi, cresciuti a telefilm e musica pop ne colgono la verità nonostante l’apparente lontananza spazio-temporale. Potremmo chiederci: ma in fondo cosa ne sappiamo qui a Roma, sulle rive del Tevere, delle mondine? Nulla, è vero, ma un testo come questo, in un italiano ancora molto vicino a noi ci parla di temi importanti come il dolore, lo sfruttamento, la nostalgia. Non dimentichiamo poi che lo spessore musicale di certe elaborazioni può fare la differenza e per questo siamo orgogliosi di farle conoscere anche in altri ambiti. Sono sempre più convinto che non ci siano repertori adatti ai giovani, agli adulti e così via. Siamo noi maestri che, con i nostri cori, diffondiamo la musica che abbiamo scelto. Se il pubblico non la recepisce è colpa nostra! A questo proposito faccio volentieri l’esempio del maestro Fabrizio Barchi, il quale si occupa di cori scolastici da anni utilizzando anche musica sacra e polifonia antica. Col suo assiduo lavoro è riuscito, gradualmente, ad appassionare alla musica colta stuoli di giovani dalle più disparate zone di Roma. Un lavoro prezioso che ci fa capire quanto sia importante saper veicolare i contenuti nel modo giusto. È chiaro, però, che ciò che proponiamo ai nostri coristi deve sempre essere di buon livello, sia dal punto di vista musicale che poetico. Trovo inutili le lamentele di tanti maestri che cercano la causa della crisi del proprio coro

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nell’ambiente, nei mass media o altro ancora e rimango convinto del ruolo centrale del maestro. E lui che si deve prendere la responsabilità di fare scelte musicali di valore e proporle con convinzione ai propri coristi.

Dal punto di vista tecnico trovi impegnativo il repertorio di ispirazione popolare?

Proprio perchè è in parte radicato inconsapevolmente nel nostro DNA ritengo che sia un ottimo entry level. Lo uso abitualmente nei cori di adulti dove ho constatato che, per fare un esempio, un brano come Me compare Giacometo funziona meglio che uno apparentemente più conosciuto come Il gatto e la volpe. Sorprendentemente viene assimilato meglio dai coristi e quindi risulta più efficace anche per il pubblico. Con i cori di adolescenti uso qualche semplice brano di vocal pop per avvicinarli al canto a cappella e poi passo al repertorio di ispirazione popolare che, anche dal punto di vista della vocalità, da sempre più soddisfazioni. Inoltre, è inutile nascondersi quanto le difficoltà legate al cantare in inglese influiscano sulla resa di tanti brani vocal pop. È un problema che ritrovo specialmente nei cori di adulti.

Quale è, ed eventualmente quale dovrebbe essere secondo te, il ruolo dei cori scolastici?

È un argomento che mi interessa molto tanto che sarà il tema della mia tesi di laurea in didattica della musica. Nonostante non abbia ancora conseguito un titolo accademico posso però dire di avere una discreta esperienza in questo campo. Subito prima della pandemia ero arrivato ad avere cori scolastici in dieci licei di Roma per un totale di più di quattrocento iscritti ai progetti di canto corale. È molto importante riuscire a creare un nucleo iniziale che, a mano a mano, attiri altri ragazzi. A Roma l’attività sta faticosamente riprendendo e, grazie anche ai costi piuttosto contenuti, si sta allargando. Portare tanti giovani a praticare attivamente il canto corale sarà un importante fattore di crescita culturale, ravviverà la vita corale cittadina e aumenterà il numero di spettatori dei concerti dal vivo.

I progetti corali che tu conduci nelle scuole sono in orario curricolare o sono facoltativi?

Sono tutti facoltativi in orario pomeridiano ma io lo preferisco. Credo che si tratti di un’attività che deve essere scelta. Nei pochi casi in cui mi sono trovato a dover condurre un coro scolastico “obbligatorio” non mi sono trovato bene perché i ragazzi che non partecipavano volentieri finivano

spesso per essere di disturbo. Se nelle scuole mi viene permesso di fare una buona promozione le adesioni non mancano mai. Centrale è la disponibilità delle istituzioni scolastiche perché, per le attività extracurricolari, è necessario il sostegno del dirigente. Purtroppo, a Roma ho visto anche progetti che duravano da anni interrompersi a causa dell’arrivo di un dirigente poco sensibile a questo argomento. Sarebbe importante anche creare una sorta di “filiera” per far sì che, usciti dalla scuola, i ragazzi potessero proseguire a cantare. Nel tempo ho cercato di coinvolgere sempre più i ragazzi anche nell’organizzazione e nella promozione dell’attività corale. È quello che dice il già citato maestro Barchi: “il coro è vostro”. Lo trovo molto vero e, per dar seguito a questo principio mi sono anche inventato delle sessioni di “arrangiamento collettivo” in cui si lavora con un programma multitraccia ideando e incidendo in gruppo tutte le parti. Per le stesse ragioni responsabilizzo molto i cosiddetti capi settore affidandogli la ripetizione e il consolidamento delle parti durante le prove.

Tra maestri di coro capita spesso di lamentarsi del poco spazio dato dai media al mondo corale: cosa ne pensi?

Non vorrei suonare polemico nei confronti della categoria ma credo che ci venga dato esattamente lo spazio che ci meritiamo. Chiediamoci sempre quanta qualità ed energia spendiamo non solo nel nostro lavoro ma nel modo in cui lo promuoviamo e raccontiamo. Sicuramente ci sono realtà corali che meriterebbero più attenzione mediatica ma tante non sono oggettivamente adatte al mezzo televisivo e non ha senso lamentarsene. Anche quando sono riuscito a far approdare uno dei miei cori in qualche programma televisivo devo dire che la resa sonora è sempre stata deludente nonostante i buoni mezzi messi in campo e la buona volontà. Francamente temo che sia impossibile rendere realmente “televisivo” un coro. Spesso ciò che emerge nella narrazione mediatica del nostro lavoro è l’aspetto sociale e culturale.

Se dovessi scegliere un brano che rappresenti il Coro Cantering cosa sceglieresti?

Forse Una volta gh’era un brano che ci ha dato visibilità televisiva di recente e che amiamo molto ma anche Carezze di Maiero e Sanmatio di De Marzi sono tra i preferiti dai coristi. Io Personalmente, invece, sceglierei La famiglia dei Gobon o La società dei magnaccioni: ma so che molti coristi non sarebbero d’accordo!

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Notizie

Un’esperienza corale all’Istituto Penale Minorile di Bologna.

Da alcuni anni presso il carcere minorile di Bologna è attivo un laboratorio di canto corale ad adesione volontaria. Un’esperienza potenzialmente interessante per tutti coloro che credono nel valore umano e formativo della coralità e che merita di essere conosciuta. Ho voluto approfondire con le dirette interessate: la maestra Angela Troilo e Susanna Migli (presidente dell’Associazione MedianTE promotrice del progetto).

Quali sono le finalità dell’Associazione Mediante?

(Susanna Migli) Più che finalità, direi vocazione! Il nome MEdianTE (con il Me & Te sottolineate e il motto “connessioni per fare cultura”) ha già insito lo scopo. E’ una preposizione che sottintende un aiuto, una leva per trovare ed attuare soluzioni. Inoltre in armonia la parola “mediante” significa quel suono che determina il “modo”. Si tratta di uno scopo decisamente molto ardito, pensato intorno a un tavolo da soci entusiasti seppur non più giovani e, proprio per questo, con una valida esperienza e professionalità nel settore musicale nelle diverse sue declinazioni. L’associazione nasce nel 2014 con undici soci. Il mio ruolo, al suo interno, è sempre stato anche quello di responsabile della comunicazione. Centrale la presenza di Diego Ravetti, fin da subito addetto all’ufficio stampa. L’amore per il coro, per quanto mi riguarda, nasce dalla prima infanzia e poi diventa impegno professionale in età adulta. Ma ciò che conta è l’aver capito quanto il cantare in coro crei connessioni e trasformi un gruppo di

sconosciuti in comunità. Fin dall’inizio abbiamo deciso di lavorare nelle scuole proprio perché consapevoli di quanto il canto corale sia importante per la socialità e convinti della sua funzione di “ponte” tra le culture. Fondamentale è stato l’incontro con Elena Manaresi, professoressa di italiano del CPIA metropolitano di Bologna (Centro provinciale per l’istruzione degli adulti). È stato grazie a lei e alla sua sensibilità che si è pensato di introdurre il canto corale nel programma di studio di questa istituzione che ha il non facile compito di far conseguire agli stranieri la licenza media. Il primo anno, nel 2015, si costituirono due classi (complessivamente circa una cinquantina di persone) composte da persone di varie età (dai quindici ai cinquanta anni) che venivano da ogni parte del mondo. L’attività è proseguita fino alle soglie della pandemia e, purtroppo, non è ancora ripartita.

Come nasce l’idea di un progetto corale presso il carcere minorile di Bologna?

(Susanna Migli) È proprio il CPIA che a Bologna gestisce il conseguimento della licenza media all’interno del carcere minorile e, grazie a questa istituzione, siamo riusciti a proporre il laboratorio corale anche al “Pratello” (nome gergale del carcere minorile di Bologna). Si tratta di un progetto che avevo in mente da sempre e nel quale ho cercato di inserire anche pillole di competenze trasversali di cui questi ragazzi hanno un gran bisogno. In primo luogo per aiutarli nel controllo della rabbia.

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DI SILVIA VACCHI

Era la prima volta che al carcere minorile si svolgeva un laboratorio corale?

(Susanna Migli) Credo di si. La differenza tra la nostra attività e la maggior parte dei laboratori già attivi all’interno del Pratello è il suo essere collettiva. Questo è sicuramente un punto di forza ma anche un enorme problema: l’avvicendarsi dei ragazzi all’interno della struttura è tale da rendere difficoltosa la costituzione di un gruppo stabile.

Come è stato scelto il repertorio da proporre?

(Angela Troilo) A dir la verità questo è stato il problema che più mi ha creato apprensione fin da subito. Essendo succeduta al collega Mirco Mungari, che se ne era occupato l’anno precedente, speravo di avere da lui e da Susanna Migli qualche consiglio. Dalla vaghezza delle loro risposte ho capito che sarebbe stato davvero difficile fare dei programmi. Avevo preparato qualche proposta ma il contatto diretto con i ragazzi mi ha indotto ad accantonarle. Anche solo suscitare in loro qualche reazione è stato complesso, non hanno idea di cosa sia il canto corale e, soprattutto, sono assai diffidenti. Ho “sondato il terreno” in vari modi, per esempio cantando “Il pescatore” di Fabrizio De Andrè accompagnandomi con lo ukelele. Inaspettatamente sono riuscita a coinvolgerli ripetendo insieme il ritornello con il La la la.

Conoscevano la canzone?

(Angela Troilo) La maggior parte no ma il fatto che il ritornello fosse privo di testo ha facilitato le cose poiché molti di loro hanno grossi problemi con la lingua italiana. E’ stato comunque un punto di partenza molto utile. Le strofe della canzone le abbiamo fatte recitare ai ragazzi anche perché, nel frattempo, abbiamo capito che alcuni di loro scrivono dei testi e li rappano. Altri sono stati coinvolti con la body percussion. Intorno a questo brano siamo poi riuscite ad aggregare tutti i quindici partecipanti in varie modalità: per esempio alcuni hanno tradotto il testo nella loro lingua arricchendo così il brano di ulteriori sezioni. Preciso che il significato del testo è stato sempre spiegato e studiato ed è diventato uno strumento di approfondimento della lingua italiana. Impostato questo primo canto sono emerse proposte dei ragazzi stessi, come Ya lili del rapper tunisino Balti in cui un gruppo eseguiva all’unisono il semplicissimo ritornello ed altri recitavano le strofe. Ed altri ancora hanno aggiunto testi scritti da loro. Magari senza relazione con il resto del brano ma assai sentiti. E’ stata una sorpresa leggere questo materiale in qualche caso

molto interessante che è poi servito per “comporre” dei brani quasi strutturati a quadri: basi ritmiche eseguite con la body percussion alternate a testi recitati dai ragazzi e intercalati da ritornelli cantati all’unisono da tutto il gruppo. Si è trattato di un lavoro di arrangiamento collettivo che ha avuto il vantaggio di riuscire a coinvolgere attivamente anche i ragazzi con difficoltà di intonazione. All’accompagnamento con lo ukelele si è poi aggiunta qualche percussione necessaria a tenere

Presidente dell’Associazione MedianTE. Laureata in Musicologia al DAMS di Bologna con master in Paleografia e Semiologia Gregoriana (Cremona) e  sotto la guida dei maestri Gigliola Frazzoni e Tito Turtura si diplomata in Canto esibendosi come soprano lirico. Tecnico dell’Editoria, ha un lungo trascorso d’imprenditrice in ambito musicale, occupandosi di progetti culturali dall’ideazione creativa, fino alla definizione dei piani di comunicazione e marketing. Ha collaborato con le più importanti istituzioni musicali in Italia. Redattore e critico musicale per Einaudi, Radio Televisione Svizzera Italiana, Amadeus. Corrispondente estero per andante. com e Classic Today. Frequenta la facoltà di Psicologia con particolare interesse alle nuove frontiere della ricerca scientifica sui rapporti tra musica e “benessere”.

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insieme un gruppo che è cambiato continuamente nel corso dei mesi e con il quale, per ovvi motivi, è difficilissimo far programmi.

Quindi, se ho capito bene, non avete proposto brani nuovi ma avete lavorato su cellule melodiche che i ragazzi conoscevano già?

(Angela Troilo) Si e no. Per esempio abbiamo raccolto il suggerimento, dato tra il serio e il faceto, del direttore della struttura a cui piaceva una canzone di Marco Mengoni, Essere umani . Oltre ad avere un testo interessante ha il vantaggio di essere abbinato ad un ritornello con una melodia piuttosto ripetitiva che i ragazzi sono riusciti a cantare facilmente, sempre con l’accompagnamento dello ukelele. In un altro caso è stato uno degli ospiti che ha fatto una proposta: La guerra di Piero di De Andrè! Purtroppo è stato trasferito in un carcere psichiatrico. Questo è solo un esempio dei problemi che si devono fronteggiare in una struttura di questo tipo in cui la maggiore difficoltà è ottenere la fiducia dei ragazzi, normalmente molto diffidenti. Non dimentichiamo che si tratta di adolescenti in condizione di limitazione della libertà e con vissuti difficilissimi alle spalle. Non a caso la prima regola di comportamento imposta dalla direzione a tutti gli operatori è proprio quella di rimuovere, di evitare di parlare di tutto ciò che è avvenuto fuori dalle mura della struttura. La diffidenza è, in ogni caso, dura da vincere.

Da tutto ciò si capisce che le scelte di repertorio non sono mai state fatte a priori ma sono avvenute in itinere. L’idea che la maestra del coro sia lì, all’interno del carcere, per insegnare qualcosa è accettata o è contestata?

(Angela Troilo) No, non è contestata.

(Susanna Migli) il grande ostacolo è far passare l’idea di qualcosa che non si fa individualmente ma insieme. Il concetto stesso di coro non era loro chiaro. Non solo per mancanza di esperienza ma anche perchè il loro modello è quello, fondamentalmente individualista, del rapper o del concorrente a X Factor.

In che modo è stato accolta questa attività? (Susanna Migli) Complessivamente bene pur con tutte gli atteggiamenti difensivi che possiamo immaginare.

Addirittura i coristi hanno voluto scegliere un nome per il coro e hanno proposto “Corello” (crasi tra coro e Pratello).

Il laboratorio era ad adesione volontaria? (Angela Troilo) Si, era volontario ma comunque alcuni ragazzi venivano incoraggiati dalle educatrici a partecipare. Conoscendoli meglio, avevano le idee più chiare su cosa proporre. Ai primi incontri abbiamo avuto un gruppo più numeroso che si è poi ridimensionato in modo, per così dire, fisiologico. In alcuni casi, invece, abbiamo dovuto escludere qualche elemento perché rendeva impossibile l’attività a causa di un atteggiamento provocatorio e oppositivo.

Tu Angela hai una vasta esperienza di cori scolastici e giovanili. E’ possibile confrontare questo tipo di laboratori con quello tenuto al carcere minorile?

(Angela Troilo) La prima differenza è l’età dei partecipanti. La maggior parte dei laboratori corali che si svolgono nelle scuole sono diretti alla primaria e, più raramente, alla secondaria di primo grado. Per la fascia degli adolescenti non c’è quasi nulla. Invece questo è proprio il segmento di età su cui MEdianTE lavora di più.

(Susanna Migli) C’è un grande vuoto educativo che, probabilmente, è stato lasciato dall’indebolimento di realtà un tempo fortissime e radicate sul territorio come ARCI e Azione Cattolica. Sono le scuole stesse a non credere nei laboratori corali né per la secondaria inferiore né per la secondaria superiore. Invece io sono convinta che ci sia un gran bisogno di lavorare proprio con gli adolescenti e puntare sul coro. Il laboratorio concluso a giugno presso l’Istituto Sirani di Bologna ce lo ha dimostrato: un gruppo di ventidue ragazze con cui abbiamo svolto un’attività in orario curricolare seguita da un partecipatissimo spettacolo finale. Questo gruppo ci ha dato grandi soddisfazioni non solo per la parte strettamente corale. Quando, a fine laboratorio, abbiamo chiesto alle ragazze che cosa le aveva colpite maggiormente una di loro ha risposto: <<L’ascolto minimo!>>. Chiamo in questo modo l’attività che consiste nello stare in silenzio ed annotare tutti i suoni e rumori che il nostro orecchio riesce a cogliere, anche i più deboli: per loro è stata una vera scoperta.

(Angela Troilo) Sicuramente la difficoltà maggiore del lavoro con gli adolescenti è guadagnarsi la loro fiducia,

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vincere la diffidenza che tanti di loro ostentano verso ciò che è proposto dagli adulti. Una volta superato questo scoglio il senso di ciò che si fa emerge con chiarezza ed è tutto più facile. Perché uno dei messaggi più importanti è proprio quello della scoperta della propria voce, un dono che tutti abbiamo ma che i ragazzi ignorano: è bello far loro capire che hanno una ricchezza dentro di se, che non hanno sempre bisogno di cercare altrove.

Qual’è stato il momento più difficile?

(Angela Troilo) A parte l’iniziale preoccupazione (poi superata) di riuscire a trovare la giusta chiave per iniziare il laboratorio direi che il momento più difficile ha coinciso con l’arrivo di tre ragazzi nuovi piuttosto problematici. In quel frangente ho avuto paura che il gruppo si disamorasse. In realtà sono stati loro stessi a cominciare a lamentarsi e questo ci ha aiutato ad allontanare i disturbatori.

Angela Troilo

Laureata in “canto rinascimentale e barocco” con Gloria Banditelli al conservatorio G. Frescobaldi di Ferrara, diplomata in Flauto Dolce con Daniele Salvatore presso il conservatorio G.B. Martini di Bologna, laureata in Ingegneria Chimica presso l’Università degli Studi di Bologna. Ha partecipato a stages didattici di pedagogia musicale con Erszébet Hegyi e Maurizio Arena (Firenze 2006) e a seminari di direzione di coro tenuti da Pier Paolo Scattolin in Italia e all’estero (Cracovia 2006, Santiago de Compostela 2007). Ha inciso per diverse etichette (Tactus, Amadeus, Ipecac Recordings, Jazzhaus Redords, Urania Records) come corista, cantante solista, flautista e direttrice di coro.

(Susanna Migli) Per quanto mi riguarda la parte più difficile è stata quella dei rapporti con l’istituzione carceraria. Non è stato facile far loro capire il valore del progetto ma ho fatto del mio meglio. Chi non ha esperienze dirette in questo campo o non ha mai praticato attivamente il canto fa fatica a capire quanto benessere esso possa portare perciò ho creduto opportuno puntare su questo aspetto: i ragazzi del minorile sono continuamente seguiti da educatori professionali ma gli episodi di rabbia incontrollata e di autolesionismo sono frequenti. Gli educatori, va detto, hanno subito capito le nostre motivazioni e ci hanno sostenuto.

Credete sia un esperienza da ripetere?

(Susanna Migli) Si, certamente. Anzi dovrebbe diventare un’attività “curricolare” per così dire. Ma è difficile uscire dall’ottica dei laboratori a progetto come, del resto, accade anche nella scuola. E’ un grosso limite. Riproporremo, comunque, anche per il prossimo anno le sessanta ore di laboratorio finanziandole con la partecipazione a vari bandi. Speriamo di poter lavorare in una situazione il più possibile stabile anche come spazi. Per quanto la situazione di limitazione della libertà lo consentirà siamo però intenzionate ad organizzare una sorta di restituzione all’interno della struttura integrando il pubblico con la presenza di altri esperti esterni che svolgono laboratori pratici (cucina, fotografia).

| 37 UN’ESPERIENZA CORALE ALL’ISTITUTO PENALE MINORILE DI BOLOGNA

Analisi

L’Oratorio di Natale di Saint-Saëns

Una pagina di altissimo artigianato musicale, un classico natalizio per molti cori

Ogni anno i direttori di coro si arrovellano nella scelta del repertorio, nella progettazione dei concerti e dei programmi secondo la stagione, il periodo liturgico, le occasioni concertistiche. Ogni anno, prima o poi, molti direttori di coro pensano: “Beh, si potrebbe fare l’Oratorio di Natale di Saint-Saëns. Dura mezz’ora, non è difficile, si può fare con un piccolo organico strumentale o addirittura solo con l’organo… i solisti li prendo dal coro…” Ed è così che prendono il via alcuni tra i più clamorosi scivoloni delle compagini amatoriali, ammaliate dalla apparente facilità ed innocenza di un’opera in realtà complessa ed esigente.

I luoghi e la storia

Si legge da molte parti che Saint-Saëns era organista della parrocchia della Madeleine, a Parigi (fig. 1). Scritto così, ai più, sembrerà un piccolo incarico, un lavoretto che il giovane Camille tenne per una ventina d’anni prima di poter vivere bene con i proventi delle sue composizioni. In effetti è così, ma su una scala di grandezza invero sproporzionata rispetto agli standard di noi comuni mortali: la chiesa della Madeleine è una delle più importanti della capitale, era la chiesa ufficiale dell’impero francese, l’organo su cui suonava è un gigantesco Cavaillé-Coll a quattro tastiere (suoi successori alla consolle furono nientemeno che Théodore Dubois e Gabriel Fauré), è dotata come le altre grandi chiese anche di un organo “del coro” a due tastiere, sempre firmato dal grande Aristide. (fig. 2) È una chiesa enorme, con una storia che attraversa

la turbolenta epopea rivoluzionaria e vi sopravvive, uscendone splendente con il suo sorprendente peristilio neoclassico che la circonda, la collega alle radici della

fig. 1 fig. 2

38 | ANALISI

cultura europea e manifesta i significati sociali, storici, oltre che religiosi, di cui è carica. Camille fu organista di questa chiesa ininterrottamente dal 1856 al 1877, cioè dai 21 ai 42 anni, dove fu riconosciuto da Franz Liszt come “il miglior organista del mondo”. Si legge anche che scrisse questo piccolo oratorio, primo di quattro, il più semplice dei quattro, alla giovane età di 23 anni, dopo un anno di servizio in parrocchia, nell’arco di undici giornate. Praticamente in fretta e furia, entro il 15 dicembre 1858 doveva esser pronto per provarlo e cantarlo il giorno di Natale. Questo potrebbe sembrare un peccato di pigrizia, una tendenza a procrastinare gli impegni che oggi guarderemmo di malocchio. In realtà si tratta di un modo di lavorare che era comunissimo tra i compositori ed in particolare i maestri di cappella o gli organisti, abituati a scrivere musica che avrebbero eseguito la settimana successiva: dagli antichi maestri del rinascimento, ai fulgidi esempi di Bach, Haendel (il Messiah in due settimane…), Mozart e Mendelssohn. La consuetudine con l’arte del contrappunto dava a questi personaggi la possibilità di scrivere musiche di altissimo spessore artistico direttamente in bella copia, senza sbavature, sostenuti da una approfondita conoscenza della retorica, della teologia e della grammatica (il latino).

Il testo

È infatti lo stesso compositore a scegliere i testi per l’oratorio, creando con essi una grande riflessione sul tema del Natale. Se l’Oratorio di Saint-Saëns tratta effettivamente della nascita di Gesù Cristo, c’è da dire che ne narra la storia molto brevemente ed esclusivamente nel primo recitativo, dopo il Preludio, con un testo dal Vangelo di Luca. Per il resto i testi sono tratti da vari passi della Sacra Scrittura, e in particolare dai Salmi, dal libro di Isaia, dalle Lamentazioni e dal Vangelo di Giovanni. L’intenzione non è quella, dunque, di una narrazione pedissequa, ma anzi quella di rimandare la memoria del fedele a passi dell’Antico e del Nuovo Testamento che giustificano il riconoscimento di Gesù Cristo come Messia, vero Salvatore dell’umanità. Da un punto di vista narrativo e teologico è un procedimento simile, anche se in scala molto più piccola, a quello seguito nel Messiah di Haendel, in cui la storia di Cristo è narrata attraverso le profezie. Tuttavia, qui la storia si completa in un unico numero, il secondo appunto, mentre i seguenti brani sono riflessioni, rimandi, inni di lode, preghiere. Per questo la forma della composizione si avvicina di più a quella della Cantata settecentesca, con particolare riferimento a quella bachiana, naturalmente.

La musica

Anche dal punto di vista della struttura musicale ci sono molti punti in comune con la forma cantata: non solo la durata (sembra fatto apposta per essere inserito in una liturgia del tempo), non solo la costruzione armonica basata su un grande giro di Sol maggiore, ma anche la forma, che secondo l’illustre esempio barocco crea un equilibrio tra i numeri, basato sull’alternanza e sulla progressione. Dopo il Preludio “nello stile di Bach”, il recitativo narrativo e il coro degli angeli, inizia una lenta “costruzione” che parte dall’aria di una solista fino al dispiegamento di tutto l’organico a disposizione, in un “crescendo” organico di sapore squisitamente romantico. Al centro dell’architettura musicale sta il furente coro Quare fremuerunt gentes che si interpone con veemenza neo-barocca, per poi trasformarsi in un corale che riprende la lenta ascesa verso il glorioso finale. L’organico prevede cinque solisti (S Ms A T B), coro misto a quattro voci (ma con un brano a quattro voci femminili), orchestra d’archi, arpa e organo. L’organo a cui si riferisce il compositore è quello del coro della cattedrale parigina, ossia un due tastiere con molti fondi (registri di 8 e 16), registri violeggianti, almeno due ance (tromba e oboe) e l’utilizzo della pedaliera.

La struttura

1. Preludio (dans le style de Seb. Bach), per organo e archi

2. Recitativo: Et pastores erant per soprano, contralto, tenore e baritono solisti, organo e archi; coro: Gloria in altissimis per coro misto, organo e archi

3. Aria: Exspectans expectavi per mezzosoprano solista, organo e archi

4. Aria e Coro: Domine, ego credidi per tenore solista, coro femminile, organo e archi

5. Duetto: Benedictus per soprano e baritono solisti, organo e arpa

6. Coro: Quare fremuerunt gentes per coro misto, organo e archi

7. Trio: Tecum principium per soprano, tenore e baritono solisti, organo e arpa

8. Quartetto: Laudate coeli per soprano, mezzosoprano, contralto e baritono solisti, organo e archi

9. Quintetto e Coro: Consurge, filia Sion per cinque solisti, coro misto, organo, archi e arpa

10. Coro: Tollite hostias per coro misto, organo e archi

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Una breve analisi

1. Preludio (dans le style de Seb. Bach), per organo e archi

Il preludio è un tributo dichiarato al sommo tedesco, ispirato probabilmente alla sinfonia iniziale della seconda cantata dell’Oratorio di Natale BWV 248. Ma anche se vogliamo alla Pifa del Messiah di Haendel, e a molte altre musiche pastorali del periodo barocco. È interessante notare come il brano inizi su un pedale di re, creando grande instabilità per via della presenza del do naturale, mentre la tonalità di Sol maggiore sia svelata solo all’ingresso del tema principale a b. 6 (fig.3).

È una melodia dolcissima, cullante, accompagnata da un pedale questa volta di tonica e da controcanti altrettanto soavi. Naturalmente la costante presenza di queste note tenute lungo tutto il brano richiama le sonorità delle cornamuse, contribuendo a creare la giusta ambientazione e il richiamo simbolico al Cristo Buon Pastore. A b. 23 inizia la breve parte centrale del brano, in cui il tema affidato all’organo oscilla tra Fa#- e Re, per poi risolvere con una bella cadenza plagale che ci conduce alla ripresa nella tonalità d’impianto, stavolta su pedale di dominante. Chiude una coda breve ma deliziosa, dove dopo una scala per moto contrario si presenta il finale con il pedale sovracuto dei violini e il tema all’ottava alta, in pianissimo (fig. 4).

40 | ANALISI
fig. 3

fig. 4

2a. Recitativo: Et pastores erant per soprano, contralto, tenore e baritono solisti, organo e archi

Et pastores erant in regione eadem vigilantes et custodientes noctis super gregem suum. Et ecce Angelus Domini stetit iuxta illos, et claritas Dei circum fulsit illos; et timuerunt timore magno. Et dixit illis angelus: Nolite timere, nolite timere: ecce enim evangelizo vobis gaudium magnum quod erit omni populo: quia natus est vobis hodie Christus Dominus in civitate David Et hoc vobis signum: invenietis infantem pannis involutum, et positum in proesepio. Et subito facta est cum Angelo multitudo militiae coelestis Laudentium Deum, et dicentium:

E i pastori erano nella stessa regione vigili e custodi della notte sul loro gregge. Ed ecco un Angelo del Signore stette vicino a loro e una luce divina risplendette attorno a loro; ed essi furono presi da grande timore. E l’Angelo disse a loro: Non temete, non temete: ecco infatti io vi annuncio una grande gioia che sarà per ogni popolo: perché oggi è nato per voi Cristo Signore nella terra di Davide. E questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto nei panni, e posto in un presepio. E subito apparve con l’Angelo una moltitudine di milizie celesti che lodavano Dio e dicevano:

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Il recitativo accompagnato (fig. 5) è il momento narrativo dell’oratorio, tratto dal Vangelo secondo Luca, capitolo 2, 8-14. La nascita di Gesù è raccontata attraverso l’annuncio dell’angelo ai pastori, i quali sembrano una sorta di pubblico che assiste a un evento straordinario, chiamati a gioirne e a partecipare con l’acclamazione, esattamente come l’assemblea dei fedeli.

Nel breve racconto si avvicendano quattro cantanti: tenore, contralto, soprano (che impersona naturalmente l’angelo) e baritono.

I loro interventi sono sostenuti da un’armonia che svolge un percorso ben preciso, discendente per terze (numero divino), che simboleggia la discesa di Cristo sulla terra: Sol Mi Do#- La Fa#- Re Si-. Gli stili di recitativo sono diversi: mentre il tenore (sostenuto solo dall’organo) e il contralto (per la quale si aggiunge il contrabbasso) cantano in uno stile declamatorio su corda di recita, che richiama il canto piano della liturgia, l’angelo Soprano canta il suo annuncio come un arioso (fig. 6), e così pure il baritono, per cui si aggiunge l’orchestra d’archi.

fig. 5 fig. 6

2b. Coro: Gloria in altissimis per coro misto, organo e archi

Gloria in altissimis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.

Gloria nei cieli altissimi a Dio, e pace in terra agli uomini di buona volontà.

42 | ANALISI

Il Coro degli angeli, in La maggiore, è un piccolo mottetto all’antica, bipartito, per organico “a cappella”: gli strumenti raddoppiano pari pari le parti vocali.

Alla prima frase gioiosa, ritmica, rivolta verso il cielo, risponde la preghiera di pace a valori larghi, in legato.

Nella ripetizione (fig. 7) il Gloria viene riproposto in un fugato strettissimo (le sincopi mettono a dura prova la precisione dell’insieme ritmico), mentre Et in terra pax viene espanso e variato (fig. 8).

Da questo brano inizia un’altra discesa “armonica” dai cieli, questa volta costruita come un grande arpeggio di La minore sulle tonalità d’impianto dei prossimi numeri (La Mi Do La-).

fig. 7 fig. 8

3. Aria: Exspectans expectavi per mezzosoprano solista, organo e archi

Expectans, expectans, expectavi Dominum, et intendit mihi.

Aspettando, aspettando, aspettai il Signore, e si rivolse a me.

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Questa è l’unica vera aria dell’oratorio, in Mi maggiore, in cui debutta il mezzosoprano su un testo tratto dal Salmo 39 (40). Saint-Saëns fa qui largo uso degli strumenti della retorica musicale, creando un brano di grande espressività in cui l’attesa si fa viva attraverso il dialogo tra i malinconici expectans e le risposte degli archi, che non sono semplici sestine di crome ma dolci carezze rassicuranti (fig. 9).

La parola-motivo Dominus viene ripetuta ed innalzata dall’organo nel breve intermezzo, come un’eco della preghiera che si allontana verso il cielo. Da lì parte una scala discendente di viole e violoncelli che simboleggia chiaramente la discesa del Signore, e ci porta sereni alla seconda parte del brano. Qui ci sorprende l’accompagnamento dolcissimo delle sestine (le carezze) moltiplicate e distribuite tra le sezioni degli archi, su un pedale di Mi maggiore che crea di nuovo l’atmosfera pastorale prettamente natalizia: “il Signore si è rivolto a me”, è venuto sulla terra.

4. Aria e Coro: Domine, ego credidi per tenore solista, coro femminile, organo e archi

Domine, ego credidi, ego credidi, quia tu es Christus, Filius Dei vivi, qui in hunc mundum venisti.

Signore io ho creduto, io ho creduto, perché tu sei Cristo, Figlio del Dio vivo che sei venuto in questo mondo

Il tenore è qui impegnato in un’aria innodica in Do maggiore, sillabica e solenne, a tempo “Moderato commodo”, cui risponde ieratico il coro di donne che richiama la partecipazione delle schiere degli angeli celesti (fig. 10). È da notare tuttavia che il testo è tratto dall’episodio della resurrezione di Lazzaro (Giovanni, 11 v. 27) e riporta il testo in cui Pietro, messo alla prova da Gesù prima del miracolo, conferma la sua fede. È dunque possibile pensare che il coro di donne si riferisca alle sorelle di Lazzaro, Maria e Marta, e per estensione al popolo credente. Nella drammaticità della seconda parte, con l’ascesa del “Christus”, le sincopi e i cromatismi dell’accompagnamento, è descritta molto chiaramente una anticipazione musicale della salita al monte Calvario e del sacrificio del “Figlio del Dio vivente” (fig. 11).

44 | ANALISI fig. 9

5. Duetto: Benedictus per soprano e baritono solisti, organo e arpa

Benedictus qui venit in nomine Domini. Deus Dominus et illuxit nobis Benedetto colui che viene nel nome del Si gnore. Il Signore Dio è nostra luce.

Deus meus es tu, et confitebor tibi, Deus meus es tu, et exaltabo te. Tu sei il mio Dio, e avrò fede in te, tu sei il mio Dio e io ti esalterò.

Il testo, tratto dal Salmo 117 (118) e usato naturalmente anche nella liturgia, è l’occasione per il compositore di inserire l’arpa, strumento di davidica memoria, ad accompagnare con l’organo un duetto dal sapore antico (fig. 12).

fig. 10 fig. 11 fig. 12

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Il brano destina ai due cantanti melodie meravigliose che si intersecano in un contrappunto a due voci molto equibrato e scorrevolissimo, con un semplice ma meraviglioso vocalizzo sulla parola “Dominus”. La tonalità di La minore, presaga del sacrificio a cui il Cristo va incontro, stende un velo di malinconia che tuttavia non inficia la serenità del canto. Dopo la sezione centrale, che è ancora una professione di fede sillabica e solenne, ritorna un contrappunto serrato che porta all’esaltazione finale, in cui il soprano si spinge fino al Do acuto (fig. 13). Termina l’organo, con una sfilata di sedicesimi all’unisono e cadenza piccarda di memoria barocca. Questo finale così improvviso e veemente serve a introdurre il brano successivo, apice drammatico dell’oratorio.

6. Coro: Quare fremuerunt gentes per coro misto, organo e archi

Quare fremuerunt gentes, et populi medidati sunt inania?

Gloria Patri, gloria Filio, gloria Spiritui Sancto. Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in saecula saeculorum. Amen

Quare fremuerunt gentes, et populi medidati sunt inania?

Gloria Patri, gloria Filio, gloria Spiritui Sancto. Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in saecula saeculorum. Amen

La prima parte del coro centrale è un tremendo atto di accusa nei confronti di chi non ha compreso il senso della nascita di Gesù. Il testo del Salmo n. 2 viene reinterpretato alla luce dei nuovi accadimenti, e la musica riflette la violenza del giudizio: è un terribile Re minore, in 4/4, accompagnato da un disegno articolatissimo degli archi all’unisono, con una furente strappata sul quarto movimento di ogni battuta (fig. 14).

fig. 13 fig. 14

46 | ANALISI

La scala cromatica discendente dei tenori, sulla patetica sincope del ripetuto “perché?” (b. 27), è il simbolo perfetto della loro perdizione.

Il testo si ripete infine in atteggiamento penitenziale e l’armonia si fa enigmatica nell’introdurre la seconda parte del brano, di segno totalmente opposto: è il sereno corale degli eletti che cantano Gloria al Signore, composto nella più serena e salvifica tonalità di Sib maggiore (fig. 15).

Un brano nello stile degli antichi corali luterani, con un finale organistico ascendente verso il cielo, segno avvenuta di redenzione.

7. Trio: Tecum principium per soprano, tenore e baritono solisti, organo e arpa

Tecum principium in die virtutis tuae in splendoribus Sanctorum.

Con Te il principio, nel giorno della tua bontà nello splendore dei Santi.

Il testo tratto dal Dixit Dominus, salmo 109 (110), è usato nella liturgia della notte di Natale come Graduale, e grazie a Saint-Saëns qui diventa un mirabile trio di squisito gusto cameristico. Le frasi solistiche, caratterizzate da messe di voce e grandi legati, sono accompagnate dall’organo e dall’arpa. Quest’ultima finalmente è vera protagonista, con un arpeggio continuo che permea tutto il brano di fascino e meraviglia (fig. 16).

Il testo viene enunciato la prima volta in un melanconico Sol minore, per poi trasformarsi nella seconda parte in un più felice ed aperto Sol maggiore.

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fig. 15 fig. 16

Alleluia. Laudate coeli et exulta terra, quia consolatus est Dominus populum suum et pauperum suorum miserebitur. Alleluia.

Alleluia. Lodate cieli ed esulta terra, perché il Signore ha consolato il suo popolo e dei suoi poveri avrà pietà. Alleluia.

Il contralto solista, che da un po’ non cantava, ha finalmente il “suo” brano: un inno di lode in Re maggiore (ultima dominante della grande armonia generale dell’oratorio) tratto dal libro di Isaia, e precisamente dal passo in cui il popolo di Israele rende grazie a Dio per la fine dell’esilio in Babilonia (cap. 49, v. 13).

Mentre il canto solistico è sostenuto dagli archi, è l’organo a dar risposta (Fig. 17) con interventi che sembrano proprio ripetere il testo (si veda un esempio evoluto di questa tecnica nella Messa op. 4 dello stesso autore, nel Gloria e nel Sanctus, in cui porzioni mancanti del testo sono da intendersi sottintese, “cantate” dagli strumenti). Intervengono poi soprano, mezzosoprano e baritono a dialogare con il contralto in un brano che si fa via via più festoso. Si noti tuttavia come l’affetto cambi improvvisamente ogni qualvolta si canta de “i suoi poveri”, il suo popolo, con un dolce legato discendente e pieno di compassione.

8. Quartetto: Laudate coeli per soprano, mezzosoprano, contralto e baritono solisti, organo e archi
48 | ANALISI fig .17

9. Quintetto e Coro: Consurge, filia Sion per cinque solisti, coro misto, organo, archi e arpa

Consurge Filia Sion. Alleluia. Lauda in nocte, in principio vigiliarum. Alleluia.

Egrediatur ut splendor justus Sion, et Salvator eius ut lampas accendatur. Alleluia.

Alzati figlia Sion. Alleluia.

Loda nella notte, al principio delle veglie. Alleluia.

Si avanzi come giusta luce splendente Sion, e il suo Salvatore si accenda come una torcia. Alleluia.

Come in una ideale cornice musicale, ritorna il tema musicale del Preludio in stile bachiano, sul quale ora viene innestato il canto dei cinque solisti e del coro (fig. 18). Il testo è tratto dalle Lamentazioni di Geremia (cap. 2, v. 19), cui si accosta uno splendente e sereno alleluia.

La seconda parte del brano (fig. 19) ha un carattere eminentemente liturgico: le voci maschili declamano su una corda di recita comune il testo di Isaia che invita il Salvatore (cap. 62, v. 1).

La coda ricorda ancora il canto pastorale, ora sospeso, che apre la strada al corale conclusivo.

fig .18 fig .19

10. Coro: Tollite hostias per coro misto, organo e archi

Tollite hostias, et adorate Dominum in atrio sancto eius. Laetentur coeli, et exultet terra a facie Domini, quoniam venit. Alleluia.

Portate offerte e adorate il Signore nel suo atrio santo. Si rallegrino i cieli ed esulti la terra davanti al Signore, perché è venuto. Alleluia.

L’ORATORIO DI NATALE DI SAINT-SAËNS | 49

Questo maestoso corale dal carattere processionale è il brano più celebre dell’oratorio, molto eseguito dai cori di tutto il mondo per la sua bellezza e apparente facilità (fig. 20).

Il suo testo è formato da versetti tratti dal Salmo 95 (96), la musica alterna il carattere pomposo (si arriva al fortissimo finale) a una cantabilità straordinaria, soprattutto nella sezione imitativa centrale. L’orchestra e l’organo partecipano al tutti generale per concludere in grande stile un oratorio breve ma intriso di bellezza.

Conclusione

Come abbiamo visto, l’esecuzione di quest’opera richiede uno studio approfondito e una onesta presa di coscienza della profondità dei suoi significati, che stanno alla base di ogni scelta del compositore.

La scelta dei testi, ogni tema musicale, ogni modulazione, ogni cambio di strumentazione, ha il suo perché ed è da ricercare nel profondo significato del mistero del Natale: un momento di grande gioia per la nascita di Gesù, ma anche l’inizio del suo lungo cammino verso la croce e, attraverso questo, promessa della redenzione finale. Buon Natale in musica!

50 | ANALISI fig .20

SPIRITUS

Il reciproco ascolto della musica sacra

A distanza esatta di un anno dalla prima edizione, Bologna è stata ancora una volta teatro di Spiritus, il festival corale interreligioso organizzato dall’Associazione EmilianoRomagnola Cori sotto la direzione artistica di Silvia Biasini: un’edizione, questa, che, forte della lusinghiera affluenza di pubblico, ha confermato l’esito positivo dell’anno precedente candidandosi al contempo a divenire una delle manifestazioni corali regionali più attese degli anni a venire. Al pari del 2021, lo spirito che ha animato l’organizzazione è stato improntato a ergere il dialogo interreligioso al centro di una riflessione che, a partire dalla natura eminentemente spirituale della manifestazione, divenisse vera e propria pratica sociale di confronto reciproco e coesione, un’esigenza resa necessaria dal sempre più complesso contesto multiculturale in cui l’Europa, e in essa l’Italia, è chiamata a vivere, e in cui le tensioni culturali e religiose trovano malauguratamente fertile terreno di crescita. Infatti il processo di globalizzazione degli ultimi decenni, lungi dall’armonizzare le istanze provenienti dalle diverse culture e confessioni, ha talvolta paradossalmente acuito le divergenze e i motivi di attrito. Per tale motivo AERCO ha ritenuto che, al fine di favorire l’armonizzazione di così tante istanze, non esistesse contesto di dialogo migliore di una manifestazione corale, poiché la musica, linguaggio asemantico per eccellenza, si pone all’ascoltatore quale esperienza diretta priva di mediazioni. Come ha scritto Silvia Biasini all’interno della brochure di presentazione del festival, l’intento è stato quello di «conoscere attraverso i canti, gli inni, le antifone, ma anche l’armonia, i timbri e le sonorità, questi mondi così lontani». In tale prospettiva va anche visto l’inserimento, inedito rispetto alla precedente edizione, di gruppi strumentali e di un’interprete di danza sacra, al fine di dimostrare come il canto, per quanto centrale, sia solo uno degli strumenti possibili per esprimere fede e spiritualità. L’obiettivo del progetto, senz’altro ambizioso, non poteva limitarsi alla dimensione concertistica e, come

avvenuto lo scorso anno, i concerti sono stati affiancati da differenti iniziative, due convegni e, altra novità della presente edizione, una masterclass.

Proprio alla masterclass, una lezione aperta sulla Direzione di Coro, è stata affidata l’apertura del festival nel mattino del 5 novembre. Tenuta nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio da don Michele Loda, esperto conoscitore del canto gregoriano e Maestro di Cappella del Pantheon di Roma, anch’esso presente all’iniziativa, ha avuto come oggetto di studio due pezzi di grande grande notorietà, ben conosciuti dai frequentatori del canto corale poiché presenti nel repertorio di molte compagini: Sicut cervus di Palestrina e il più recente Ave Maria di Franz Biebl. L’intenzione che ha animato gli organizzatori è stata quella di far affrontare ai partecipanti pezzi già noti al fine indirizzare l’attenzione immediatamente verso un approccio interpretativo approfondito e consapevole. Il Maestro ha fatto lavorare i partecipanti sul testo, di cui sono stati indagati corretta prosodia, pronuncia e collocazione liturgica, per poi raccomandare l’uso, di fronte al repertorio rinascimentale, di edizioni in cui le stanghette siano poste al di fuori del rigo, in modo che la veste grafica sia di ausilio nell’evitare indebite accentazioni sulle sillabe atone. Infine sono stati affrontate questioni inerenti alla concertazione

52 | AERCO AERCO

con l’ausilio della Cappella musicale del Pantheon, cui erano stati preventivamente assegnati errori volontari finalizzati a far emergere le principali insidie poste al direttore di coro. Michele Loda e la Cappella musicale del Pantheon sono stati inoltre protagonisti del primo concerto del festival, tenutosi alle ore 18:00 nella medesima Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio. Il raffinato programma, frutto di sapienti connessioni tra repertori appartenente a secoli e temperie culturali differenti e interamente padroneggiato dagli interpreti con sapienza tecnica e profonda espressività di lettura, vedeva la compresenza di preghiere di pace e di invocazioni inneggianti alla grandezza di Dio. Non a caso il programma è stato aperto e chiuso simmetricamente dall’antifona gregoriana Da pacem. All’interno di tale cornice, altri brani gregoriani come il canto di comunione Vovete sono stati incastonati, talvolta in alternatim, con esempi di repertorio antico e moderno. Basta una rapida scorsa agli autori in programma per avere contezza della ricchezza di relazioni e dialoghi interni al programma: si è andati dai maestri della polifonia del Cinquecento e del Seicento come Marenzio, Ammon, Asola – il cui bel Veni creator è stato eseguito, con scelta assai felice, alternatim con il gregoriano – e Monteverdi fino ad autori più recenti ma ormai classici della moderna musica liturgica come monsignor Domenico Bartolucci (O sacrum convivium), Alberto Donini o Valentino Miserachs Grau, il cui Da pacem ha concluso il concerto prima dell’antifona di congedo. A seguire, nella medesima cornice, il Trio per Sonare ha condotto l’uditorio in territori geografici e culturali assai differenti ma di altrettanto intensa spiritualità. I membri del trio, l’arpista Farah Le Signor, il clarinettista ‘Abd al-Rahman

Gastou e il violinista Abu Bakr Moretta, pur provenendo da solida preparazione nell’ambito della tradizione musicale europea, il cui repertorio continuano a praticare in orchestre e conservatori, si sono con pari continuità dedicati ad un’intensa attività di esecutori e divulgatori di musiche tradizionali dell’intero bacino del Mediterraneo. Ne ha fatto fede il ricchissimo programma, che ha alternato con successo canti tradizionali islamici, ortodossi, romeni ebraici e persino il noto Lamento di Tristano dando testimonianza di voci lontane nel tempo e nello spazio. Ancora a Palazzo d’Accursio, alle ore 21:00, si è svolto il secondo concerto della rassegna, con cui si è concluso il primo giorno del festival. Tre le realtà protagoniste: la danzatrice Svamini Atmananda Ghiri, che ha presentato al pubblico alcuni affascinanti esempi di Kuchipudi, ossia la danza sacra classica indiana; il coro ecclesiastico della comunità greco-orientale di Trieste diretto da Ioanna Papaioannou e accompagnato al pianoforte da Reana De Luca in una serie di canti ortodossi e infine il Progetto DAVKA, gruppo dedito alla diffusione della musica ebraica attraverso un repertorio vivace e contaminato con altre espressioni musicali, che travolto il pubblico con la sua energia e ha coronato una prima giornata del festival indubitabilmente riuscita.

La seconda giornata, domenica 6 novembre, si è aperta con due convegni. Il primo, in verità di tono assai particolare, era afferente al progetto Voci dal mondo, frutto della sinergia tra AERCO e l’Istituto Comprensivo Granarolo dell’Emilia (BO) e fondata sull’esperienza diretta dei bambini con strumenti appartenenti a differenti tradizioni.

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Coerentemente con il progetto, ciascuno dei relatori – gli stessi del secondo convegno su cui ci si soffermerà a breve – hanno proposto differenti attività musicali ai bambini delle classi quinte, invitandoli a cimentarsi con i repertori delle più diverse confessioni.

Il secondo convegno del festival è stato in un certo qual modo il fulcro simbolico di Spiritus, dal momento che, in continuità con la prima edizione, si è fondato sul confronto tra esponenti di confessioni differenti su medesimi argomenti. La moderazione del convegno, il cui tema era ben delineato dal titolo, Canti di guerra canti di pace, è stata affidata a don Claudio Campesato, presbitero della diocesi di Padova, oltre che esperto di canto gregoriano e di liturgia, già lo scorso anno ospite tra i relatori. In apertura

don Campesato, dopo aver sottolineato l’importanza della musica quale luogo privilegiato di dialogo, ha tuttavia manifestato l’auspicio che il convegno mirasse a un saldo messaggio di pace, quella stessa pace variamente cantata in tutte le tradizioni. La prima parte è avvenuta all’insegna della musica: don Campesato ha sottolineato l’importanza della

preghiera di pace nella Messa del rito cattolico romano, facendo ascoltare e commentando l’antifona Da pacem e, a seguire, ha chiesto a ciascuno dei relatori di commentare un canto di pace appartenente alla propria confessione. Il primo a prendere parola è stato il teologo russo Kivelev Maksim Nikolaevic, esperto di liturgia bizantina, che ha fatto ascoltare un breve estratto dalla preghiera culto della celebrazione eucaristica della tradizione ortodossa. Nel commento ha sottolineato come la pace sia un concetto complesso, ricordando al tempo stesso quanto l’intera liturgia bizantina sia impregnata di musica, presenza di Dio stesso nel mondo. La samnyasini – monaca indù – di Roma Svamini Shuddananda Ghiri, da anni dedita, tra le altre attività, ad iniziative di dialogo interreligioso, ricorda come il significato stesso di Veda, il testo sacro dell’Induismo, sia “ciò che è stato ascoltato”, a dimostrazione del profondo legame tra induismo, oralità e musica. In rappresentanza dell’Islam ha preso parola il violinista Abu Bakr Moretta, che ha introdotto e fatto ascoltare un canto di lode ad Allah. Esponente della confessione protestante, Ilenya Goss ha esordito ponendo attenzione al fatto che il protestantesimo storico manchi una ritualità che contempli rigorosamente una preghiera di pace; non mancano tuttavia inni e preghiere sul tema, tra le quali ha presentato un inno scritto da Lutero. Infine Maurizio Di Veroli, esperto di musica tradizionale ebraica tanto antica quanto contemporanea, ha esordito ricordando che il termine ebraico corrispondente a pace, shalom, sia molto presente nella Torah, ammonendo tuttavia a ricordare come conviva pluralità di significati: dopo aver edotto l’uditorio su tale polisemia, ha cantato personalmente un’invocazione appartenente allo shabbat del venerdì sera. La seconda parte è stata incentrata sul rapporto tra musica ed etica. Campesato, dopo aver notato come la società abbia spesso soffocato la forza etica della musica, ha tuttavia ribadito il profondo legame tra musica e spirito, come poi dimostrato in vario modo dai relatori: Di Veroli ricorda come nel mondo ebraico il canto sia lo strumento privilegiato di espressione della gioia divina, mentre Goss racconta l’importanza del legame nel protestantesimo fin da Lutero, che riteneva la musica strumento per promuovere senza mediazioni concetti teologicamente complessi. Dopo gli ultimi interventi, in

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conclusione, con apparente paradosso, don Campesato ha chiuso il convegno rifiutandosi di pronunciare delle conclusioni, dal momento che il confronto verbale deve essere soltanto lo spunto iniziale a praticare concretamente la pace attraverso la musica e le azioni quotidiane.

A conclusione e sugello di un così ricco percorso, alle 18:00 la Chiesa di Santa Maria dei Servi è stata teatro del terzo e ultimo dei concerti in programma, Canto gregoriano e organo: incroci di arte e fede nei secoli, evento che fin dal titolo suggerisce la necessità di attuare non solo un dialogo sincronico tra fedi differenti, ma anche una riflessione diacronica tra differenti espressioni di fede sviluppatesi nel corso dei secoli all’interno della medesima confessione. Protagonisti del concerto l’organista Wladimir Matesic, concertista dall’esperienza decennale e titolare della cattedra di Organo “G. Fescobaldi” di Ferrara, e la Schola Gregoriana “Ecce” diretta da Luca Buzzavi. La Schola, di recente formazione, è stata fondata dal Mo Buzzavi con il patrocinio di AERCO al fine di diffondere la cultura del Canto gregoriano facendo riferimento ai più rigorosi principi scientifici di lettura ed esecuzione, seguendo strettamente gli indirizzi interpretativi che, da dom Eugène Cardine in avanti, hanno informato in modo decisivo la prassi esecutiva del repertorio gregoriano. L’inserimento del festival di tale compagine è dunque parsa particolarmente pertinente, tanto più se si considera che proprio al Festival Spiritus del

2021 la Schola aveva esordito ufficialmente. Il programma si è snodato attraverso una selezione di composizioni che permettesse di ripercorrere il cammino cristologico proprio all’anno liturgico che, a partire dall’Avvento, giunge sino alla Pentecoste. I differenti momenti sono stati scanditi, come recita il titolo, intrecciando interventi canori, composizioni organistiche elaborate a partire dal materiale melodico liturgico e in alternatim, sugellate dal Salve regina more monastico conclusivo.

In conclusione, Spiritus ha ricordato al suo pubblico come sia intrinseco alla musica il rispetto dell’alterità: solo dall’ascolto reciproco può nascere un mondo di comprensione e pace. L’auspicio è che questo messaggio continui a rinnovarsi in futuro, e che Spiritus continui a condurre il suo pubblico in sempre più vaste regioni di tolleranza e dialogo.

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Cantare la pace

dodicesima edizione della rassegna ‘Voci nei Chiostri’

“Voci nei Chiostri” è giunta alla dodicesima edizione e, ragionando in linea con i tempi, quest’anno è stata dedicato alla divulgazione del sentimento della Pace, per molto aspetti messa a dura prova in questo particolare momento storico. E abbiamo avuto anche un vantaggio nel porre al centro questo tema: il coro per eccellenza è sinonimo di armonia, di condivisione ma anche di svago, di divertimento e spensieratezza; le voci che contrappuntano, che si rincorrono, che si uniscono insieme a creare accordi in continuo mutamento, possono ben rappresentare un ideale di società unita, in cui tutti sono necessari, proprio in virtù del ruolo che svolgono, qualsiasi esso sia. Ed ecco che ci è venuto facile trovare il motto “We move the world” che è tratto dal bellissimo canto del compositore croato Branko Stark autore di parole e musica, e che continua dicendo “noi cantiamo assieme, cantiamo ogni giorno ed ogni notte.” E ancora “noi cantiamo per la pace, noi cantiamo per l’amore”. Il canto è dedicato dall’autore a tutti i cori del mondo, a sottolineare la necessità di una comunità, in questo caso quella corale, che ha rappresentanti e ‘ambasciatori’ in tutte le parti del pianeta.

All’edizione 2022 appena conclusa hanno partecipato oltre cinquanta cori (ecco, una vera comunità anche numericamente), con circa millequattrocento coristi provenienti da tutte le province dell’Emilia-Romagna qualcuno da altre regioni e due dall’estero (Malta, con cui si stanno sviluppando importanti progetti di gemellaggio e Slovenia, terra di cori giovanili strepitosi). I concerti sono stati effettuati in piccole e medie località turistiche sia nelle zone collinari, sia nelle zone di pianura e marittime, sia infine in città importanti (Bologna fra tutte). Ciò ha consentito di farci ascoltare da quasi quattromila persone, in presenza. E non è banale evidenziare l’aspetto live di tutti i concerti poiché questi riusciti happening sottolineano il

ritorno ad una dimensione empatica propria anche canto corale, difficilmente sostituibile con le esecuzioni via web. I trentaquattro concerti hanno fatto vibrare voci in luoghi bellissimi, contesti di manifestazioni corali ma anche in luoghi inconsueti. Infatti la musica è risuonata nei chiostri, nei cortili, nelle chiese, nelle piazze andando ad accarezzare strutture e opere d’arte pluricentenarie, unendo la prima espressione artistica musicale dell’essere umano, il canto, con meraviglie architettoniche piccole e grandi della nostra Regione.

“We move the world” possibile anche grazie ai repertori

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Il Coro Kormalta a Voci nei Chiostri

Kormalta a Voci nei Chiostri

proposti che hanno spaziato per moltissimi generi musicali, dalla musica antica a quella contemporanea, dalla musica popolare alla monodia gregoriana, dalla musica etnica alla polifonia antica e moderna.  Ciò ha consentito di rappresentare al meglio l’arcobaleno di sensazioni, emozioni e sentimenti che compositori compresi in oltre otto secoli di storia hanno riportato sugli spartiti. È stato dunque un lungo viaggio attraverso la Storia della Musica corale che, in virtù dei testi che l’accompagnano, è l’espressione musicale più adatta per comprendere uno spaccato reale e ‘dal basso’ della vita delle persone. Di rilievo anche l’aspetto legato alla terra di origine dei compositori proposti (da contesti regionali e nazionali sino a quelli internazionali) che ha ulteriormente arricchito il viaggio culturale il quale è così diventato anche un percorso geografico, con ascolto di racconti, ritmi, armonizzazioni provenienti da più tradizioni.

La partecipazione entusiastica e coinvolta del pubblico ad ogni manifestazione, gli applausi scroscianti e le richieste insistenti di bis hanno dimostrato quanto diretto, semplice e immediato possa essere il concerto corale e in quale misura possa essere effettivo veicolo di una acculturazione musicale semplice ed efficace.

Per quanto riguarda il dato più propriamente esecutivo (che si riflette anche in un inevitabile dato estetico) risalta la grande diversificazione di tipologie corali che è stato possibile avere a disposizione in questa edizione di Voci nei Chiostri. E proprio grazie a questa scelta che ha seguito la linea della specificità in cui ciascun coro esegue

Domenica 24 luglio alle ore 21 presso la chiesa di San Procolo a Bologna si è tenuto il concerto di “Kormalta”, il coro nazionale di Malta diretto dal maestro varesotto Riccardo Bianchi. Si tratta di una formazione coro misto professionale nato nel 2018 su iniziativa di Arts Council Malta all’interno del Ministero per il Patrimonio Nazionale, le Arti e il governo locale. L’evento era inserito nella rassegna AERCO “Voci nei Chiostri 2022” e, inoltre, faceva parte della programmazione di Bologna Estate 2022. L’invito di Aerco, come illustrato dalla presidente maltese di Arts Council, prende le mosse da un progetto di collaborazione tra il suddetto gruppo e il Coro Giovanile dell’Emilia-Romagna (attualmente diretto dal maestro Daniele Sconosciuto). Dopo una breve apertura del Presidente Aerco Adrea Angelini il maestro Bianchi ha schierato gli undici cantori (cinque uomini e sei donne) dietro l’altare e ha iniziato il concerto con l’esecuzione a cappella della “Missa quatuor vocibus” di Ludovico Fogliano (1490 – 1548) i cui manoscritti originali sono custoditi nella Basilica bolognese di San Petronio. Dopo questo omaggio alla città ospitante abbiamo avuto il piacere di ascoltare le “Sacrae Cantiunculae” di Claudio Monteverdi, da lui composte in giovanissima età sia per voci miste che per voci pari. La parte centrale del concerto è stata dedicata ad alcuni dei brani più presenti in assoluto nei programmi corali come l’”Ave Maria” di Biebl e “O Magnum Mysterium” di Lauridsen la cui esecuzione, nonostante l’organico esiguo, è stata assai gradevole. Prima di presentare gli ultimi due brani in programma il maestro Bianchi ha voluto illustrare le caratteristiche del suo coro evidenziandone l’estrema versatilità tecnica e stilistica. Questa caratteristica gli ha permesso di costruire un repertorio che accosta

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DI SILVIA VACCHI Il Coro Kormalta a Voci nei Chiostri

abitualmente l’opera e la musica antica, il barocco e gli autori contemporanei con grande disinvoltura grazie alla buona preparazione tecnica dei coristi. Centrale, in questo senso, il ruolo dei due vocal coach che, fin dall’inizio, hanno contribuito alla costruzione di questa realtà. Il concerto si è chiuso con due brani caratteristici della cultura maltese: “Il Kebbies tal fanali” (Veronique Vella) mette in musica una delle poesie maltesi più amate. E’ stato accompagnato al pianoforte dallo stesso maestro Bianchi. In chiusura ricordiamo poi il brillante “Magnus Dominus” di Benigno Zerafa (1726 - 1804) musicista maltese attivo nel periodo di passaggio tra barocco e classicismo.

il repertorio appropriato richiesto da genere e stile, è stato possibile comunicare fedelmente le intenzioni artistiche di ciascun compositore. Sui palcoscenici si sono succedute formazioni le più diversificate: dai cori polifonici ai cori popolare sia misti, sia a voci pari, dai cori di voci bianche ai cori giovanili, da cori a carattere interculturali a cori gospel sino a gruppi vocali accompagnati da strumenti tradizionali o appartenenti alla tradizione internazionale. Da sottolineare l’importanza del coinvolgimento attivo di tanti musicisti professionisti, spesso in qualità di direttori (da tempo la qualità direttoriale si è elevata moltissimo anche in coloro che la esercitano a livello amatoriale) e a volte in veste di accompagnatori, con particolare riferimento a pianisti. Questo è stato un vero arricchimento per tutti poiché l’affiancamento di musicisti a un’attività didattica e performativa pur svolta non a livello professionistico (ma alcuni cori ne sfiorano le vette) è di grande utilità per conseguire una sempre più brillante fase esecutiva da parte di tutti i nostri associati.

Vorrei porgere con sincera gratitudine un ringraziamento da parte di tutta la commissione artistica e mia personale a tutti i coristi, i direttori e i musicisti in genere che hanno aderito all’iniziativa perché senza di loro niente di tutto questo sarebbe stato possibile.

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Kormalta a Voci nei Chiostri

Il Gruppo vocale “Ivan Cankar” a Voci nei Chiostri

Mercoledì 27 luglio alle ore 21 presso la Chiesa di San Benedetto a Bologna si è tenuto uno degli appuntamenti della rassegna organizzata da Aerco. È stato un piacere ascoltare questo ensemble maschile composto da quattordici ragazzi di età compresa tra i quindici e i venticinque anni che ha proposto un repertorio tecnicamente assai impegnativo mantenendo sempre un’eccellente intonazione e una sonorità raffinata. Questo gruppo sloveno si è formato all’interno di uno studentato di Lubiana dedicato all’intellettuale e poeta sloveno Ivan Cankar. Lo scopo iniziale era quello di offrire agli ospiti un momento di socializzazione e di musica d’assieme ma il gruppo, diretto fin dall’inizio dal maestro e compositore Tom Varl, si è evoluto velocemente consolidandosi e intraprendendo una intensa attività concertistica. Il grosso del repertorio eseguito a Bologna comprendeva musica slovena sia popolare che d’autore. Tanti i compositori contemporanei inseriti nel programma compreso un brano firmato da uno dei solisti del coro, il tenore Ziga Copi. Particolarmente efficaci l’esecuzione di Zabe di Vinko Vodopivec (1878 – 1852) e Sam di Vid Ozbolt (2002). Ma il concerto sarebbe stato ancora più godibile se il pubblico avesse potuto comprendere i testi sloveni. Verso la fine della scaletta il coro ha proposto una splendida versione di Beati mortui di Mendelsshon per poi ritornare agli autori sloveni con un paio di prime esecuzioni di notevole impegno di cui l’ultima Ti meni svetlo sonce di Matej Kastelic (1994) con il coro schierato in ordine sparso nella grande chiesa di San Benedetto. Il bis concesso a fine concerto è stato un gradito omaggio all’Italia: La Montanara di Toni Ortelli nella classica armonizzazione di Luigi Pigarelli. Per concludere: si è trattato di un concerto assai piacevole reso ancor più interessante dal repertorio inusuale ma, spiace dirlo, al cospetto di un numero di spettatori che non arrivava alle venti unità. Veramente troppo poche.

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DI SILVIA VACCHI Il Gruppo vocale “Ivan Cankar” a Voci nei Chiostri

Il più antico esempio di polifonia ‘d’arte’

Le origini della polifonia, largamente intesa, non sono tracciabili. L’unica cosa che possiamo stabilire con certezza è l’arco temporale in cui la trasmissione manoscritta, o a stampa, di un particolare genere di composizione polifonica ha avuto inizio. Ciò, chiaramente, non ci dà, in ogni caso, nessuna informazione sul periodo antecedente la messa per iscritto; cioè non è ci dato sapere se tale genere, prassi, o particolare composizione fosse già praticata in precedenza, e da quanto tempo. Ciò vale anche per l’inizio della scrittura musicale in Europa: il fatto che le prime fonti manoscritte con notazione musicale cosiddetta ‘neumatica’ risalgano solo al sec. IX ci informa solo che l’utilizzo della notazione all’interno di manoscritti liturgici avvenne in quel periodo; sostenere, poi, che tale momento coincide anche con la fase di ‘invenzione’ della scrittura musicale è metodologicamente incerto e solo dimostrabile con altre prove storiche, la scelta delle quali chiaramente influenzerà l’esito della ricerca. In tal modo, considerare la scoperta di una antifona a due voci sul verso dell’ultima carta del manoscritto British Library, Harley 3019 (fig. 1) la cui scrittura sarebbe databile agli inizi del sec. X, come possibile testimone dell’’inizio’ della polifonia sarebbe errato, anche se altamente d’effetto come titolo giornalistico: Chance discovery casts new light on the origins of polyphonic music (The Guardian), Manuscript showing ‘birth’ of 1.000 years of choral music (The Daily Telegraph), ecc.

Ciò che rende realmente eccezionale l’antifona Sancte Bonifati martyr è che si tratta del più antico esempio scritto di musica polifonica ‘pratica’, diremo - nel senso di effettivamente cantata nella liturgia - mai scoperto. Gli esempi di canto polifonico nei trattati Musica Enchiriadis e Scholia Enchiriadis, scritti a metà del sec. IX, ma tramandati in manoscritti databili alla fine del secolo, sono tecnicamente anteriori, ma si tratta di esempi a scopo

fig. 1

teorico di semplici realizzazioni polifoniche improvvisate. Ma tale primato non è l’unico record battuto dall’organum – così era infatti chiamata anticamente la realizzazione polifonica di un brano liturgico – nel manoscritto Harley 3019:

– è uno dei due esempi (e il più antico) di un particolare tipo di notazione specifico per organa; – la vox principalis, cioè l’antifona (non il suo contrappunto, chiamato invece vox organalis) è trascritta anche in notazione neumatica, quest’ultima di un

Storia
STORIA 60 |
Ricercatore in Musica medievale Università di Trento

tipo estremamente raro e unanimemente considerato come portatore di caratteristiche notazionali molto probabilmente tra le più antiche (neumi paleofranchi); – è, soprattutto, un organum che può inequivocabilmente essere ritenuto una vera e propria composizione invece di una mera realizzazione polifonica ‘semplice’ (es. solo con l’aggiunta di un bordone, o di quarte, quinte, o ottave parallele). Ma vediamo più da vicino di cosa si tratta.

Il manoscritto della British Library, Harley 3019 è un volume composito contenente vari fascicoli provenienti da manoscritti di diversa data e origine. L’ultimo fascicolo fu molto probabilmente scritto attorno all’anno 900 in un’area corrispondente all’odierna Germania. Verosimilmente, la stessa mano che aggiunge la notazione dell’antifona integra la rubrica finale della Vita di San Materniano con l’indicazione qui colitur kalendae decembris, fornendo quindi la specificazione che la festa di San Materniano non fosse celebrata il 30 aprile, come di consueto, ma il 1° dicembre nel centro monastico in cui si trovava il manoscritto originario all’epoca della scrittura dell’antifona Sancte Bonifati martyr. Sappiamo dagli Acta Sanctorum che ciò avveniva certamente nel monastero di Böddeken, nella diocesi di Paderborn, nella Germania settentrionale, nonché nel monastero di Edgmond in Frisia. Storicamente il culto di San Bonifacio è inoltre particolarmente vivo in area germanica. Infine, il tipo di notazione neumatica utilizzato per le antifone Sancte Bonifati martyr e Rex caelestium terrestrium fu diffuso in area germanica. Il luogo di copia del manoscritto originario, quello di utilizzo, e la provenienza (o luogo di attività) della mana.

L’antifona, cantata molto probabilmente ai primi vespri dell’Ufficio di San Bonifacio, riporta il seguente testo: Sancte Bonifati martyr inclyte Christi, te quaesumus, ut nos tuis precibus semper gratiae Dei commendare digneris, ovvero ‘San Bonifacio, martire illustre di Cristo, ti preghiamo affinché tu ci possa affidare sempre alla grazia di Dio con le tue preghiere’. La seconda antifona presente in Harley 3019, inoltre, di grande interesse per la sua rarità, meriterebbe un saggio a sé stante. Ma passiamo ora più nello specifico della composizione polifonica. L’antifona, cantata in III modo ecclesiastico (modo di Mi autentico), è trascritta dallo scriba utilizzando tratti orizzontali posti su un sistema di sette linee orizzontali parallele tracciate a secco sulla pergamena (fig. 2).

Ogni linea corrisponde ad una altezza, una nota, che lo scriba designa utilizzando la notazione alfabetica (a b c d e f g). (Da ricordare che 1 – a poteva al tempo anche corrispondere a do (ut), non solo a la, come venne poi

fig. 2

a essere fino ai nostri giorni, e che 2 – l’attribuzione delle altezze sonore aveva valore relativo: l’organum può essere eseguito a qualsiasi altezza a seconda delle esigenze del coro). La vox organalis, il contrappunto, è invece trascritto con piccoli cerchi, o secondo l’autore della scoperta e dello studio (nonché di questo saggio), una serie di lettere ‘o’ corrispondenti appunto a [vox] organalis, o organum. Nel caso di unisono, il tratto orizzontale della vox principalis prevale sul ‘o’ della vox organalis, rispecchiando così la gerarchia tra le voci. Per specificare al meglio la corrispondenza verticale tra l’antifona e il suo contrappunto, lo scriba aggiunse linee verticali di collegamento, le quali hanno anche la funzione di rispecchiare il movimento delle voci e guidare l’occhio attraverso la notazione. Infine, alcuni segni derivati dalla notazione neumatica, le ‘liquescenze’, sono stati aggiunti in entrambe le voci per rendere più musicale la pronuncia di due consonanti consecutive (es. sancte, inclite) attraverso l’aggiunta di una leggera nota di passaggio. L’indicazione di ulteriori nuances interpretative si può trovare nella versione dell’antifona notata in notazione neumatica ‘paleofranca’ (fig. 3): i neumi, infatti, forniscono una serie di indicazioni di articolazione melodica e ritmica che la notazione dell’organum non avrebbe potuto offrire. Le due notazioni della stessa antifona, quindi, non sono ridondanti, ma assolutamente e necessariamente complementari per i cantori. Il contrappunto è basato sull’intervallo di quarta, ma è sapientemente costruito ai fini di essere da supporto armonico all’antifona e amplificarne quindi il contenuto testuale (fig. 4). Vi sono alcuni criteri che il compositore seguì nella scrittura della vox organalis e che possono essere ricavati dall’analisi del contrappunto. Il primo è che la linea melodica non può scendere sotto il do, ma solo salire: ciò obbliga la vox organalis a rimanere stazionaria sul do nei casi in cui la melodia dell’antifona scende sotto il sol. L’incipit Sancte è esemplificativo a riguardo: l’antifona si apre con mi fa sol re, mentre la vox organalis rimane su

fig. 3

IL PIÙ ANTICO ESEMPIO DI POLIFONIA ‘D’ARTE’ | 61

do fino al sol, raggiungendo quindi l’intervallo di quarta re-sol. Una volta raggiunto, la vox organalis, sceglie di rimanere sul re per permettere l’unisono cadenzale con la vox principalis alla fine della parola Sancte. La cadenza provoca un effetto di stasi che permette una articolazione del testo a favore di una maggiore enfasi della parola Sancte.

In altri casi, un effetto di stasi a modo di bordone è sapientemente utilizzato per ridurre la presenza

particolare e gode di una indipendenza che le fu attribuita ‘ad arte’ dal suo compositore. Una composizione, quindi, che dovrebbe essere inserita in ogni programma corale che si occupi della storia della polifonia e della musica sacra. Un ultimo commento: oltre alla già menzionata flessibilità tonale (l’organum può essere trasposto se necessario), un raddoppio all’ottava di entrambe le voci per una esecuzione a quattro, non solo è assolutamente ammissibile stando alle indicazioni dei trattati musicali

melodica, per così dire, della vox organalis, e permettere una maggiore esposizione della melodia e messaggio testuale della antifona. Un esempio è il caso del passaggio testuale te quesumus (‘ti preghiamo’), dove su te la vox organalis si limita ad un bordone su re invece di seguire la vox principalis nel melisma mi fa sol fa mi con do do re do do. La scelta, inoltre, di evitare un bordone su do è certamente data dal fatto che avrebbe ecceduto l’intervallo di quarta in corrispondenza del sol della vox principali. Da qui la stasi sul re che crea anche una interessante tensione prima di te quesumus, dove per ragioni questa volta di contrappunto, non rimane altra alternativa che una stasi sul do. Ascoltando entrambe le parole, te quesumus, quindi, l’effetto è quello di due bordoni re e do per ogni parola; due supporti armonici alla declamazione di un momento chiave nel messaggio dell’antifona. Per concludere, l’organum Sancte Bonifati martyr è il più antico esempio conosciuto di contrappunto ‘composto’ (non ‘semplice’), dove la seconda voce svolge un ruolo

del sec. IX, ma crea effetti estremamente suggestivi, soprattutto se eseguito in architetture che amplificano il sottile gioco di dissonanze e intervalli dell’organum del manoscritto londinese.

https://www.youtube.com/watch?v=EAdtlR1eTZs

Livio Ticli Vox principalis, Marcello Mazzetti Vox organalis (Palma Choralis · Research Group & Early Music Ensemble) consulenza musicologica e trascrizione della fonte di Giovanni Varelli Sancte Bonifati martyr · Antifona e Organum – London, British Library, Harley 3019, f. 56v - Registrazione live · 26 maggio 2011 · Cremona, Chiesa di S. Bassano

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fig. 4
AERCO - Via Barberia, 9 - Bologna (BO) - Tel. +39 051 0067024 - ufficio@aerco.emr.it - www.aerco.it www.concorsocoralegiuseppesavani.it a Carpi, dal 21 al 23 Aprile 2023

Coro Regionale dell’Emilia-Romagna

Tenori Bassi

Archina Massimiliano Baroni Giovanni Domenicali Dario Lucifora Angelo Meli Marco Russo Pietro Zienna Francesco Paolo

Bacciottini Franco

Cordone Gianmarco Pieri Domenico Fazzalari Michele Sconosciuto Daniele Tugnolo Mirco

Coristi Contralti Soprani

Alessandri Isotta

Cavalca Francesca

Cavalca Valentina

Chili Monica

Contri Maria Lucia

Cordua Adriana Fanti Silvia

Fava Serena

Franchini Isabella

Manzoli Chiara Marzetti Laura Muzzioli Elena Nieli Maryloo

Periodici Chiara Pinzani Gemma

Querzoni Silvia

Santoli Nicoletta

Strocchi Edi Tassani Manuela

Tranchina Chiara

Auletta Teresa Capannoli Michela Casalboni Antonella Grigaityte Monika Guatelli Maura Perandin Silvia Riminucci Alessandra Lucà Elisa Moro Maria Luisa

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Didattica

Cantare la scuola

Didattica musicale

DI GIORGIO GUIOT

Didatta, compositore, direttore dell’Associazione Cantabile di Torino e del coro PoliEtnico

Concludiamo questo trittico di articoli sull’educazione musicale con una breve carrellata di semplici proposte, che hanno un argomento in comune: le discipline scolastiche. Alla base di questa proposta vi è il pensiero che in questo modo sarà possibile avvicinare emotivamente i bambini al loro vissuto quotidiano. Non è certamente un argomento nuovo: il canto è portatore di un testo, e sappiamo bene come un testo che viene cantato, ripetuto e armonizzato con le altre voci, venga compreso e assimilato con una maggiore profondità rispetto alla pagina di un libro o a una lezione scolastica. È un tema ben conosciuto dagli psicologi, da coloro che si occupano di musica ed emozioni e dai creatori di jingle pubblicitari: il canto è uno strumento potente per acquisire consenso (inni, canti politici), per tramandare eventi storici (canti popolari ecc) e per condizionare i comportamenti.

In questo terzo articolo voglio portare tre esempi di semplici canti per la scuola primaria, nati una decina di anni fa dalla collaborazione con un editore scolastico torinese che mi propose di sviluppare un programma di educazione musicale all’interno di alcuni “sussidiari”. Avrei avuto a disposizione un certo numero di pagine, da organizzare a mio piacimento, e vi sarebbe stata la possibilità di registrare con il mio coro di bambini un CD audio con la proposta delle tracce musicali dei vari canti.

Il mio approccio fu molto semplice: scorsi la bozza del libro, con i suoi vari argomenti, e scelsi quelli che trovavo a me più vicini. Quelle pagine raccontavano storie, descrivevano situazioni particolari dei bambini, parlavano di temi didattici; inserire in questi argomenti alcune

nuove canzoni avrebbe consentito alle mie musiche di accompagnare i bambini durante l’anno scolastico, avvicinandoli emotivamente con il canto ad alcune situazioni particolari.

Al primo progetto se ne aggiunsero altri, e in pochi anni la produzione complessiva di canzoni dedicate alla scuola divenne rilevante raggiungendo un numero superiore ai duecento: questo progetto di “cantare la scuola” fu uno dei temi per l’associazione che allora dirigevo, Cantascuola, e negli anni successivi costituì uno dei principali contenuti del portale Musicapercrescere (www.musicapercrescere.it) collegato alle attività di Cantabile.

Prima di addentrarci nei tre canti, vorrei dedicare qualche riga alla descrizione generale dell’approccio didattico e musicale.

■ Come già raccontato negli articoli precedenti, ogni proposta vocale deve tenere conto delle possibilità vocali dei bambini e ragionare sull’“ergonomia vocale” della linea melodica; i salti melodici sono soprattutto in senso ascendente, mentre la discesa avverrà soprattutto per scala (a questo proposito nella breve bibliografia si trova un testo per me illuminante);

■ Nel contesto multiculturale e multilinguistico in cui ci troviamo ad operare, anche i riferimenti musicali devono essere aperti e prendere spunto da più mondi musicali. La tradizionale struttura esclusivamente tonale, con il procedere ordinato della melodia e il riferimento certo dei gradi principali, può lasciare spazio a un linguaggio musicale più ampio. Nel caso delle mie composizioni si tratta generalmente dell’utilizzo di due tetracordi sovrapposti, che danno vita a situazioni ambigue di tonalità/modalità e che generalmente raccolgono l’interesse dei bambini;

CANTARE LA SCUOLA DIDATTICA
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■ Sappiamo bene che la musica e il canto aiutano a sviluppare competenze generali, ma sono portatori di precisi elementi disciplinari: senso delle proporzioni, equilibrio della forma, relazioni di durata, scansione ordinata del tempo. Se il canto è accompagnato con il movimento, si potranno esplorare anche le dimensioni della gestione dello spazio e del movimento coordinato tra più persone, quindi più in generale della topologia. Anche se nei tre canti proposti viene privilegiata la dimensione linguistica, sarà possibile su questi (e altri) canti andare a ricercare forme di esecuzione che introducano l’ambito logico matematico (e avanzerò qualche piccola proposta in merito);

GUANTO DI LANA

Riferimento video formazione docenti: https://youtu.be/0OucSrt75iU

DESCRIZIONE

■ filastrocca parlata, adatta alla prima o alla seconda classe della scuola primaria

OBIETTIVI

■ stimolare il raggiungimento di una pulsazione comune

■ riflettere su alcune parole per farne occasione di approfondimento logopedico (guanto/quanto; pioggia/ ghiaccio; o combinazioni di parole “aghi di ghiaccio”)

■ modulare la voce a seconda dell’intenzione espressiva (ad esempio “non ce la faccio”)

■ stimolare all’attività di gruppo, all’intesa e al movimento nello spazio

■ collegare durata della filastrocca al progetto motorio nell’aula: al termine della filastrocca tutti devono già essere seduti al loro posto

MOVIMENTI

■ eventuale battito delle mani sulle gambe (alternato), nelle prime fasi dell’apprendimento

■ deambulazione ordinata nell’aula, rispettando il ritmo e la durata complessiva della filastrocca

PROPOSTE

■ tutti i bambini in cerchio, cantando;

■ libera deambulazione dei bambini nella stanza, cantando (ritorno preciso al posto, sull’ultima sillaba della filastrocca);

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■ invenzione di nuovi testi: ad esempio, in primavera… “Guanto di lana, non mi servi più! Ti lavo, ti asciugo, ti metto nell’armadio…

■ per la produzione di nuovi testi partendo da un testo di riferimento confrontare anche “filastrocca in forma mista” https://drive.google.com/file/d/1EWGscrlmgP_a7hEFOnrV4mS7XpY5fkE/view

■ le mille proposte che verranno in mente agli insegnanti, solo loro conoscono a fondo i loro allievi

GUANTO DI LANA, QUANTO MI SCALDI SCALDI COME IL SOLE, MA ANCHE QUANDO PIOVE PIOGGIA GELATA, AGHI DI GHIACCIO NEVE BAGNATA, NON CE LA FACCIO! PIOGGIA NEVE E FORTE VENTO, TU MI SCALDI E SON CONTENTO! PIOGGIA NEVE E FORTE VENTO, TU MI SCALDI E SON CONTENTO!
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OSSERVAZIONI

■ l’approfondimento logopedico rappresenta sempre più un’urgenza per la prima infanzia. Sappiamo bene che il tema non riguarda solo i bambini figli di genitori non italiani la cui lingua madre non è l’italiano, ma investe tutti i bambini determinando importanti fragilità percettive, linguistiche ed espressive. La precisione logopedica, che è collegata sia alle capacità di ascolto sia agli aspetti prassici, va curata sin dalla primissima infanzia

meglio le persone. Accanto a questo elenco di cibi e a questo incoraggiamento ad “assaggiare” c’è anche un doveroso richiamo alla moderazione: sempre senza esagerare!

AL MERCATO

DESCRIZIONE

■ canto di andamento allegro, bipartito, che lega cibo, cultura e tradizioni

OBIETTIVI

■ Educazione alimentare

■ Conoscenza di cibi e culture

■ Cibo come elemento di conoscenza

■ Ricerca e catalogazione di parole in base al profilo ritmico

PROPOSTE

Una canzone bipartita, che alterna una parte cantata (su scala pentatonica, sicuramente “orientaleggiante”) a una parte parlata in cui vengono elencate alcune spezie. Il significato del testo è che al mercato si possono trovare profumi, gusti e anche culture differenti; conoscere le varie parti del mercato significherà quindi conoscere

Questa attività collegata al ritmo delle parole che potrà eventualmente essere estesa e approfondita. Partendo dai nomi della frutta e della verdura e selezionando nomi COMPOSTI DA TRE SILLABE, si propone un ragionamento sui nomi piani e i nomi sdruccioli. All’inizio potrà essere difficile per i bambini (e a volta anche per l’insegnante!) saper riconoscere i due diversi profili ritmici. Dopo un po’ di allenamento risulterà però piacevole riuscire a riconoscere il suono delle parole anche a seconda del loro profilo ritmico. A seconda di dove cade l’accento della parola si potrà aggiungere un nuovo criterio di classificazione dei vocaboli gustando la similitudine, ad esempio, tra “fragola” e “senape” (mentre “fragola” e “mirtillo”, pur essendo frutti di bosco, sono lontanissimi!). Il piacere di riconoscere le parole a seconda del loro profilo ritmico potrà portare a nuovi giochi volti all’arricchimento linguistico: sempre rimanendo nelle categorie della frutta e verdura ci si potrà spingere ai nomi quadrisillabi sdruccioli (basilico, coriandolo), oppure giocare con altri polisillabi sdruccioli (incorreggibile, metamorfosi).

OSSERVAZIONI

■ per la sua estensione di ottava, il canto è adatto al secondo ciclo della scuola primaria o almeno alla seconda classe; l’insegnante saprà valutare se anticiparne la proposta, osservando con cura l’eventuale sforzo vocale di bambini che fossero ancora impreparati a questo tipo di melodia;

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COMPRA TANTE COSE NUOVE, NON LE AVEVI MAI ASSAGGIATE: CIBI E FRUTTA TROPICALE, TANTE SPEZIE COLORATE! ANICE, SENAPE, CHIODI DI GAROFANO PAPRIKA, SESAMO, ZENZERO E CORIANDOLO! SON PROFUMI SOPRAFFINI, CHE SI TROVANO AL MERCATO: MOLTI ARRIVAN DA LONTANO, PER IL MONDO HANNO VIAGGIATO! ANICE, SENAPE, CHIODI DI GAROFANO PAPRIKA, SESAMO, ZENZERO E CORIANDOLO! TANTI PIATTI DA GUSTARE, PER CONOSCER LE PERSONE; MA NON DEVI ESAGERARE, MANGIA CON MODERAZIONE! ANICE, SENAPE, CHIODI DI GAROFANO PAPRIKA, SESAMO, ZENZERO E CORIANDOLO!

■ questa proposta didattica si presta a innumerevoli approfondimenti, ed eventualmente al coinvolgimento di bambini e famiglie che portano tradizioni alimentari e culinarie particolari. Tra le molte proposte, ho personalmente sperimentato un collegamento con la pittura e con le molte immagini dei coloratissimi mercati di spezie dell’asia centrale. L’invasione di colori e di profumi che proviene da queste immagini sarà una ventata di energia e di curiosità per tutti

PANKU

Riferimento video: https://youtu.be/ykOt8HwRURU

D ESCRIZIONE

■ canto di andamento lento, sull’origine del mondo, accompagnato dai gesti della lingua dei segni

OBIETTIVI

■ introdurre l’argomento del mito e parlare dell’origine del mondo

■ collegare l’esperienza del canto con un argomento di storia

■ ricercare il controllo del movimento fine e coordinato nel gruppo

■ ricercare l’espressività della voce e la duttilità della frase musicale

MOVIMENTI

■ movimenti della lingua dei segni (secondo la proposta del video)

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PROPOSTE

■ tutti i bambini in cerchio, cantando

■ libera deambulazione dei bambini nella stanza, cantando

■ un bambino interpreta i movimenti previsti dal testo, mentre gli altri lo accompagnano con il canto

■ un bambino esegue tutto il canto (o una parte) da solo

■ gioco a coppie, i bambini uno di fronte all’altro (per ricercare la massima intesa nei movimenti)

OSSERVAZIONI

■ Panku è un canto lento, generalmente molto amato dai bambini per l’argomento che tocca molti vissuti del bambino: le origini, il mito, il rapporto con i quattro elementi. Da considerare come il gioco con i quattro elementi sia alla base delle attività all’aperto, ma che sui quattro elementi si basa la maggior parte dei giochi oggi più amati dai bambini (Gormiti, Wings, Pokemon, Magic…)

■ I movimenti dovranno sempre essere lenti e progressivi, appoggiandosi alla dolcezza della melodia. Se il timbro della voce e i movimenti saranno coerenti con lo sviluppo della canzone, e vi si appoggeranno, il climax ritmico e melodico che si raggiunge a metà della canzone potrà regalare ai bambini una vera emozione quasi “liberatoria”

■ La melodia e il ritmo, pur essendo assolutamente tradizionali, rievocano in qualche modo un clima “orientale”, soprattutto nel ritornello (la nota breve seguita da quella lunga, e il salto discendente di terza minore). Il rispetto di questi piccoli particolari potrà portare i bambini a una esecuzione morbida ed emozionata

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L’ORIGINE DEL MONDO È AVVOLTA NEL MISTERO IO GUARDO LA NATURA, MI CHIEDO COM’È STATO. I FIUMI, LE MONTAGNE LE NUVOLE ED IL VENTO I FIORI, I FRUTTI E L’ERBA DA DOVE ARRIVERANNO? PANKU, PANKU, MITO DELLA CINA IL TUO CORPO CI REGALA TUTTA LA NATURA. GRANDE UOVO CHE RACCHIUDE IL MONDO TERRA, ACQUA, ARIA E FUOCO VENGONO DA TE!

Qualche considerazione conclusiva

Tre canzoni che raccontano come a scuola si possano cantare argomenti legati in qualche modo agli apprendimenti, o che possono favorire un approccio semplice a tematiche complicate (la metrica, la precisione logopedica etc).

Sono tre esempi tra i tantissimi già presenti nel repertorio vocale per la scuola, così come sarà semplice trovare molti spunti all’interno del canto della tradizione popolare infantile, italiana o internazionale. Ricordando però una delle annotazioni in premessa: la forte multietnicità di molte delle nostre classi ci invita a far sentire tutti inclusi nel paesaggio sonoro, fatto di suoni e di ritmi condivisi. Sarà quindi importante “allargare un poco il nostro orizzonte”aprendoci a modalità e a ritmi non sempre rigorosamente nostrani.

Certo, partire dagli argomenti che i bambini incontreranno durante l’anno scolastico ha presentato -nella mia esperienza- uno spunto didattico interessante: mentre l’insegnante di classe affrontava un nuovo argomento di storia o di scienze, una canzone rendeva tutto più semplice ed emotivamente vicino. È proprio la mia esperienza di questa mattina: alla seconda lezione con una classe terza, dopo aver proposto Panku, ho scorto in un angolo della classe un cartellone con la storia della terra e i meravigliosi collages dei bambini sul bigbang!

Grande emozione mia, dei bambini e delle insegnanti, nello scoprire che stavamo affrontando senza esserci accordati lo stesso argomento, utilizzando tanti canali percettivi differenti.

Per approfondire:

Giorgio Guiot Olmo bla bla (1-2-3), Alle porte della magia (4-5), Edizioni Il Capitello, Torino 2008

Giorgio Guiot C’era una volta (1-2-3), Ciak! (1-23), Edizioni il Capitello, Torino 2012

Giorgio Guiot Voci e radici. Fascicoli “I quattro elementi”, “Canti di lavoro”, “Canti di guerra”, “guida per gli insegnanti” Edizioni Cantascuola, Torino 2006-2009

Giorgio Guiot Insieme: Canto, relazione e musica in gruppo, Centro studi Erickson, Trento, 2021

Davisd Hurfon Sweet Anticipation: Music and the Psychology of Expectation, MIT Press 2006

www.musicapercrescere.it

Il sito dei materiali didattici di Giorgio Guiot e di Cantabile Torino, contiene tutto il repertorio prodotto per la scuola (parte di libera fruizione, molto su abbonamento)

www.cantabile.it Il sito di riferimento delle mie attività musicali e didattiche www.giorgioguiot.it Il mio sito web personale www.musicapercrescere.it www.cantabile.it

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