DIRTY CLINT I Film, la Musica, le Donne e Noi: I figli di Clint Eastwood

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CLINT I Film, la Musica, le Donne e Noi: i figli di Clint Eastwood

Art Direction Vincenzo Patanè Concept Designer Clarissa La Viola Hanno scritto in questo numero Ninny Aiuto, Rita Andreetti, Carlo Cerofolini, Sabrina Colangeli, Elisabetta Colla, Monia Manzo, Sandra Orlando, Andrea Vassalle Rivista iscritta al Finanzamt di Brandeburgo. Ogni riferimento legale è impugnato dal tribunale di Berlino. Steuernummer e Vatnummer registrati presso il Gewerbe Anmeldung di Berlino. Contatti Taxidrivers direzionetaxidrivers@gmail.com Issuu Twitter Instagram Facebook Group Facebook Official www.taxidrivers.it Le illustrazioni in copertina e in quarta di copertina sono di Clarissa La Viola


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INDICE 6. Editoriale 8. Clint 12. Le

Eastwood Biography

donne travolgenti del cinema di Clint Eastwood 16. La

musica del cinema di Clint Eastwood

20. I

90 anni di Eastwood e il secolo lungo del cinema americano 22. La

funzione paterna in Million Dollar Baby

24. Alla 26. Lo

ricerca della veritĂ

sguardo non giudicante di Clint Eastwood sui giovani, sui loro drammi e sogni infranti


In foto: Clint Eastwood in una scena del film Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (1971) diretto da Don Siegel TAXIDRIVERS

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EDITORIALE

di CA R LO C

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non esserne stupito è stato solo lui. Parliamo di Clint Eastwood e degli sviluppi di una carriera pronosticata a ribasso da critici e addetti ai lavori pronti a fare della celebre fase di Sergio Leone, Mi piace Clint Eastwood perché è un attore che ha solo due espressioni: una con il cappello e una senza cappello l’epitaffio di un percorso cinematografico privo di sorprese, incapace come si diceva ai tempi, di uscire dall’unico schema possibile, quello asciutto e monolitico dei modi e degli sguardi regalati alla mdp dell’amico e mentore italiano. Di quegli inizi sappiamo essere rimasta

la chiarezza degli obiettivi da raggiungere e la fiducia nei propri mezzi, per il resto la filmografia di Eastwood sembra fatta apposta per smentire i suoi detrattori, a cominciare dalla rivalutazione della prima parte di carriera, liquidata come il sussulto di quell’America reazionaria e giustizialista determinata a opporsi alle istanze progressiste della New Hollywood attraverso la 44 magnum dell’ispettore Harry Callaghan. Senza considerare che negli stessi anni Eastwood, lungi dall’essere insensibile ai fatti del proprio tempo ma rimanendo fedele al primato della libertà individuale il sessantotto lo faceva all’interno delle istituzioni 7

hollywoodiane ritagliandosi un’autonomia artistica e produttiva capace di superare negli anni quella dei più noti colleghi e tale da permettergli di costruire attraverso la sua filmografia uno degli inni più belli e poetici che siano mai stati scritti rispetto alla dignità dell’essere umano. Il dossier che segue pur nella consapevolezza di non esaurire le molteplici venature di cui è composta la narrazione eastwoodiana ne ha comunque cercato di ricalcare almeno la poliedricità, soffermandosi su alcuni degli aspetti più sorprendenti e inattesi del suo prestigioso curriculum.

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Clint Eastwood dagli inizi con Sergio Leone alla regia di film indimenticabili

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Biography

di MO NI

Clint Eastwood, icona del cinema mondiale, è diventato già mito, prima ancora che si avviasse un processo alla propria fantastica e leggendaria vita hollywoodiana

N

ato il 30 maggio 1930, a San Francisco, in California, ha avuto un’infanzia non facile visto che l’ha trascorsa durante uno dei periodi più difficili dell’economia americana: La Grande Depressione, durante la quale i suoi genitori si sono mossi spesso in cerca di lavoro, stabilendosi infine a Oakland. Si è diplomato nel lontano 1948, dopodiché ha cominciato a fare dei lavoretti prima di arruolarsi nell’esercito. Si è congedato nel 1953 e si subito si è iscritto al corso di laurea in economia aziendale all’università City College di Los Angeles. Furono proprio gli amici militari collegati al cinema che lo spronarono a tentare la via hollywoodiana. Gli inizi La Universal lo assume come attore soprattutto per il suo aspetto aitante e lo sceglie per dei piccoli ruoli ma degni di nota, tra cui “Tarantula” e “Francis”, con un salario di 75 dollari a settimana. Dopo che la Universal decide di interrompere il contratto i suoi ruoli crebbero un po’ di importanza, ma

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non abbastanza da fargli fare il salto di qualità per diventare un attore noto. Nonostante un’altra parte secondaria nella serie televisiva Highway Patrol, nel 1958 Eastwood si ritrova di nuovo a lavorare nella costruzione di piscine per guadagnarsi da vivere. Finalmente la fortuna bussa alle porte di Clint, quando per una pura casualità viene scelto per interpretare Rowdy Yates, il secondo protagonista della serie televisiva della CBS Rawhide, che ebbe un grande successo. In verità il successo lo conquista, diventando una celebrità con gli Spaghetti Western: nel 1964, Eastwood gira Per un Pugno di dollari in Spagna diretto da Sergio Leone. Il loro rapporto è di reciproca stima, ma amano rilasciare dichiarazioni pungenti uno sull’altro, questo rapporto porterà comunque molta fortuna all’attore americano. Il film ha catapultato Eastwood da una carriera televisiva senza speranza di sviluppi futuri alla celebrità nei film. Il sodalizio con Sergio Leone Nel corso dei due anni successivi, Eastwood tornò in Europa per girare due

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sequel altrettanto popolari, entrambi con “L’uomo senza nome”: Per pochi dollari in più (1965) e Il Buono, il Brutto e il cattivo (1966). Questi film davano al personaggio di Eastwood un aspetto peculiare, come ha sottolineato il reporter del New York Times, John Vinocur, era “un eroe occidentale senza le caratteristiche eroiche tradizionali dell’occidente”. Il personaggio di Eastwood era insensibile, violento, cinico, duro. Sfaccettature di quel personaggio le ritroviamo anche in western come The Outlaw Josey Wales (1976) e Unforgiven (1992). La stessa abilità e grande talento emerge anche in ruoli meno caratterizzati, attraverso uno studio della parte che in alcuni casi lo avvicinava ad un personaggio mitizzato, rendendolo complesso e impressionando lo spettatore. Clint Eastwood/Dirty Harry/ DirtyClint Questa capacità è alla base di quella che è stata descritta come una delle “figure più longeve dello schermo” di Eastwood: Harry Callahan, un detective contemporaneo di San Francisco che


In foto: Clint Eastwood in una scena del film Per un pugno di dollari (1964) diretto da Sergio Leone

vaga per la città sfidando una burocrazia distruttiva e utilizzando metodi dal forte imprinting pop di giustizia. Callahan lo ritroviamo anche in Dirty Harry (1971), che la critica Pauline Kael trovò intrisa di “medievale fascismo”. A prescindere dalla critica internazionale il pubblico, soprattutto quello americano si affollò per vedere il film Dirty Harry, e il ruolo fu ripreso nel 1973, 1976, 1983 e 1988. Tutti tranne l’ultimo andarono molto bene al botteghino: sembrava infatti che molti si ritrovassero nelle parole espressione di frustrazione sociale del protagonista. La sua carriera, che nel 1997 ha ricoperto quasi 40 ruoli, non è stata priva di punti deboli. Ha recitato con un orangotango nelle commedie attaccate dalla critica Every Which Way But Loose (1978) e Any Which Way You Can (1980), tra i film di maggior incasso di Warner in quegli anni. Meno acclamato dal punto di vista teatrale ma criticamente ben accolto fu The Beguiled (1971), un racconto gotico su un soldato dell’Unione paralizzato assassinato da ragazze della scuola del sud. Critici e spettatori hanno en-

trambi concordato che il musical Paint Your Wagon (1969) abbia sprecato il suo talento. Ha avuto un flop nel 1989 (The Pink Cadillac) e nel 1990 (The Rookie). Eastwood è tornato in grande stile con Unforgiven (1992) e In The Line of Fire (1993), una storia tesa su un agente dei servizi segreti e un potenziale assassino presidenziale. Entrambi i film hanno vinto riconoscimenti critici ed erano tra i film con il maggior incasso degli anni. Unforgiven ha donato a Eastwood numerosi premi per la regia e la recitazione, tra cui Oscar per il miglior film e la migliore regia e una nomination per un Oscar come miglior attore. Inizia la regia L’interesse di Eastwood per la regia risale ai tempi di Rawhide, ma la CBS gli permetteva solo di dirigere trailer. Debutta felicemente nel 1971 con Play Misty for Me, un thriller su una donna ossessionata e psicotica. Il film viene ben accolto anche con un buon riscontro al botteghino, così come anche la successiva dozzina e più di film che ha diretto in seguito, la maggior parte dei

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quali lo vedono interprete. Una delle sue migliori interpretazioni avviene in Bird (1988) dove ha affrontato in modo commovente la vita frenetica del grande jazzista Charlie Parker. Eastwood è stato per tutta la vita un appassionato di jazz. Difatti troviamo la musica e le canzoni jazz presenti frequentemente nelle colonne sonore di molti dei suoi film. La direzione di Eastwood viene descritta come avente “un senso del realismo snello”; la sua tecnica mostra economia, vitalità, immaginazione e un buon senso dell’umorismo. Nel 1993 ha affermato che “i favoriti tra i suoi film” erano Play Misty for Me, The Outlaw Josey Wales, Unforgiven e Bronco Billy, un dolce film del 1980 su un ex venditore di scarpe del New Jersey (interpretato da Eastwood) che mise in piedi uno spettacolo nel selvaggio West con un gruppo di disadattati. Finalmente guadagna il plauso della critica Dall’inizio degli anni ’80, la comunità dei critici ha iniziato a rivalutare il contributo di Eastwood al cinema. L’ostilità

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aperta si è trasformata dapprima in una riluttante accettazione e infine in ammirazione. Sempre più persone hanno iniziato ad apprezzare il contributo di Eastwood come produttore e regista, specialmente nei suoi film più piccoli e più personali, tra cui Play Misty for Me e Honkytonk Man. Mentre Eastwood dichiarava al New York Times Magazine che “non ha mai implorato la rispettabilità”, volava poi a Parigi nel 1985 per accettare l’onore di Chevalier des Arts et Lettres, un premio nazionale francese. Nel 1992, con Unforgiven, Eastwood ha finalmente vinto i suoi primi Oscar. Dopo la cerimonia, Eastwood ha detto ai giornalisti che l’attesa per il premio ne è valsa la pena. “Penso che significhi molto per me adesso”, come riportato nel Philadelphia Inquirer. “Se lo vinci a 20 o 30 anni, ti chiedi: Dove vado da qui? … Impari a prendere sul serio il tuo lavoro e non te stesso, e questo arriva con il tempo”. Tre anni dopo, agli Academy Awards del 1995, la comunità cinematografica ha ribadito il suo rispetto per il lavoro di Eastwood. L’Accademia gli ha conferito l’Irving G. Thalberg Memorial Award, assegnato a produttori o registi per la costante alta qualità della produzione cinematografica. Eastwood non si è tuttavia appoggiato sugli allori. Nell’estate del 1995, ha diretto e recitato in The Bridges of Madison County. Il film, basato sul romanzo più venduto di Robert James Waller, parla di un fotografo del National Ge-

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ographic mentre viene inviato con l’incarico di fotografare ponti coperti nello Iowa. Mentre è lì ha una relazione appassionata di tre giorni con una donna di campagna, sposata e italiana, interpretata da Meryl Streep. Il film ha riscosso successo come un classico strappalacrime. Ha anche ricevuto consensi favorevoli dalla critica. Molti hanno elogiato la rappresentazione uniforme e delicata di Eastwood, della breve vicenda e, soprattutto, della moglie del fattore, che ha visto sullo schermo un personaggio molto più realizzato di quanto non avvenga nel romanzo. Absolute Power, pubblicato all’inizio del 1997, fu meno un trionfo con il pubblico e con la critica. Eastwood ha diretto ancora una volta ma ha interpretato un ruolo meno romanico. Il suo personaggio, un vecchio ladro di Washington, D.C., guarda accidentalmente il presidente degli Stati Uniti uccidere una donna durante un incontro sessuale. Eastwood in questo film ha diretto ancora, ma ha interpretato un ruolo meno umano. Nell’agosto del 2000 è stato lanciato l’ennesimo progetto di regia e recitazione per Eastwood, Space Cowboys, con James Garner, Donald Sutherland e Tommy Lee Jones. Nel 2003, ha concentrato la sua energia dietro la macchina da presa per dirigere e segnare Mystic River. Questo film inquietante, su ex amici d’infanzia intrecciati in un’indagine per omicidio, ha vinto 10

gli Oscar per le stelle Sean Penn e Tim Robbins. Nello stesso anno, Eastwood è stato insignito del Life Achievement Award dalla Screen Actors Guild. Bambina da un milione di dollari Nel 2004, Eastwood ha raggiunto un altro traguardo distintivo con Million Dollar Baby, interpretando il ruolo di un vecchio allenatore di boxe. Il potente film è stato ripulito dal circuito dei premi, guadagnando il premio Picture and Best Director Academy Awards per Eastwood, così come Oscar per gli attori Hilary Swank e Morgan Freeman. Nel 2006, Eastwood ha diretto due drammi Flags of Our fathers e Letters from Iwo Jima. Questi film hanno testimoniato lo scontro da due punti di vista nettamente diversi: Flags of Our Fathers esplora la parte americana, raccontando la storia degli sforzi di un uomo per conoscere meglio il coinvolgimento di suo padre nell’innalzamento della bandiera americana a Iwo Jima, un momento colto in una fotografia vincitrice del premio Pulitzer. Il film presentava una serie di giovani attori di Hollywood, tra cui Ryan Phillippe, Jesse Bradford e Paul Walker. Attingendo alla corrispondenza trovata sul campo di battaglia dell’isola, Letters from Iwo Jima, guardano alle esperienze dei soldati giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Mentre entrambi i film hanno ottenuto grandi elogi, le lettere di Iwo Jima hanno otte-


nuto quattro nomination agli Oscar, tra cui per il miglior film e il miglior regista. “Modifica”, J. Edgar Il successivo film per Eastwood è stato il thriller drammatico della famiglia Changeling (2008), interpretato da Angelina Jolie come madre di un bambino rapito. Il personaggio di Jolie nel film, basato su una storia vera, sospetta che il bambino che le viene restituito non sia, in effetti, suo figlio. Sono seguiti numerosi progetti di regia acclamatissimi, tra cui il Gran Torino del 2008 (in cui Eastwood ha anche recitato), Invictus del 2009 (con Matt Damon e Freeman come Nelson Mandela) e J. Edgar del 2011, in cui Leonardo DiCaprio è stato il controverso ex direttore dell’FBI J. Edgar Hoover. Eastwood ha diretto due film usciti nel 2014: ha adattato Jersey Boys dal musical di Broadway sull’ascesa alla fama di Frankie Valli e Four Seasons. É seguito il film dal grande successo al botteghino American Sniper, che descrive la carriera e fa la vita familiare dell’operatore della Navy SEAL Chris Kyle e ha ottenuto una serie di nomination agli Oscar. Eastwood è poi arrivato dietro la telecamera per un altro film biografico, Sully. Uscito nel 2016, il film segue le azioni eroiche del pilota Chesley Sullenberger, che è atterrato in sicurezza su un aereo in difficoltà sul fiume Hudson nel 2009. Sully ha ottenuto elogi diffusi sia per Eastwood che per la sua star, Tom Hanks. Le ultime fatiche di Eastwood, The 15:17 to Paris e The Mule, sono entrambi usciti nei cinema nel 2018 con recensioni contrastanti, sebbene quest’ultimo abbia goduto di una solida esibizione al botteghino. Il successivo è stato q (2019), basato sulla storia della guardia di sicurezza che ha scoperto una bomba alle Olimpiadi estive del 1996, solo per trovarsi al centro di un’indagine dell’FBI.

sesso e negli ultimi anni si è ritratto come un libertario. L’attore ha fatto notizia quando ha parlato alla Convention nazionale repubblicana del 2012 a sostegno dell’ex governatore del Massachusetts Mitt Romney. Durante la sua narrazione, Eastwood si rivolge a una sedia vuota accanto a lui, che ospitava un immaginario presidente Barack Obama, e dice che è tempo che si faccia da parte. Ad un certo punto durante il discorso insolito, Eastwood fa finta che Obama gli stesse parlando: “Cosa vuoi che dica a Romney?” chiede alla sedia. “Non posso dirgli di farlo. Non posso dirgli di farlo da solo.” Cerca la privacy nella vita personale “Non è un tipo hollywoodiano”, così viene descritto in un’intervista del 1993. Ne è riprova il fatto che Eastwood abbia la sua casa a Carmel, in California, lontano dal circuito delle feste del cinema. Lì ha vissuto una vita privata, trascorrendo del tempo con amici che non erano coinvolti nel settore dello spettacolo. È conosciuto come un datore di lavoro leale, difatti la squadra di produzione comprendeva persone che avevano lavorato per lui per 15 anni. Politicamente conservatore, Eastwood è stato più volte contattato dal Partito Repubblicano per varie posizioni, ma ha evitato qualsiasi incarico politico pubblico tranne che per un mandato di due anni (1986-1988) come sindaco di Carmel. Eastwood ha accettato l’incarico poiché non approvava le leggi sulla suddivisione in zone del villaggio.

Dopo aver espletato un mandato di due anni e aver modificato le leggi, si è dimesso senza rimpianti. Eastwood ha sposato Maggie Johnson nel 1953; hanno avuto un figlio Kyle (nato nel 1968) e una figlia Alison (nata nel 1972). Si sono separati alla fine degli anni ’70 e il matrimonio è finito nel 1984, secondo quanto riferito da Maggie Johnson che ricevette un accordo di $ 25 milioni. Dopo essersi separato da Johnson, Eastwood ha trascorso più di un decennio a vivere con l’attrice Sandra Locke, che è apparsa in molti dei suoi film. Quella relazione si interruppe in modo prematuro alla fine degli anni ’80, con un accordo extra giudiziale di oltre $ 7 milioni di risarcimento. Ha quindi stabilito una relazione con Frances Fisher, un’attrice che è apparsa in The Pink Cadillac. I due ebbero una bambina nell’agosto del 1993, che chiamarono Francesca Ruth. Nell’aprile 1993 Eastwood è stata intervistata da Dina Ruiz, conduttrice televisiva di Los Angeles, California. Tre anni dopo, nel marzo 1996, Eastwood all’età di 65 anni la sposò, mentre lei aveva 30 anni, in una piccola cerimonia privata a Las Vegas, in Nevada, nella casa del magnate del casinò d’azzardo Steve Wynn. In foto: Leonardo DiCaprio in una scena del film J. Edgar (2011) diretto da Clint Eastwood. Nella pagina accanto: Clint Eastwood e Hilary Swank in una scena del film Million Dollar Baby (2004) di Clint Eastwood

Carriera politica e attivismo Insieme alla sua carriera di Hollywood di grande successo, Eastwood ha provato a fare politica. Nel 1986 è stato eletto sindaco di Carmel, in California. Eastwood è anche noto per essere schietto sulle sue opinioni politiche. Sebbene si sia dichiarato come repubblicano all’inizio della sua carriera, ha abbracciato il sostegno democratico alle leggi sul controllo delle armi e al matrimonio tra persone dello stesso 11

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Le donne travolgenti RE

ETTI

del cinema di Clint Eastwood d i R I TA A N

Prostitute, madri, figlie o amanti: Clint le ha forgiate tutte, con maschile ammirazione dell’ethos femminino. Le donne di Clint, hanno più palle di Eastwood.

In foto: Clint Eastwood e Sondra Locke in una scena del film L’uomo nel mirino (1977) diretto da Clint Eastwood. Nella pagina accanto: Clint Eastwood e Meryl Streep in una scena del film I ponti di Madison County (1995) di Clint Eastwood

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ono diversi gli approfondimenti che Taxidrivers ha dedicato ai 90 anni di Clint Eastwood. Quasi un secolo di creazione cinematografica passando per la recitazione, la regia, la musica, sorvolando quell’America che è stata e che è. Ci soffermiamo su quelle che potremmo definire dal punto di vista cinematografico le donne di Clint Eastwood! Riflettere su un artista poliedrico come è Clint Eastwood, vuol dire entrare nel vivo della potenza del mezzo cinematografico, dalla pellicola al digitale di alta definizione, dalle storie edulcorate al marcio sociale sbattuto sullo schermo. Dagli anni 50 in poi, Clint c’era, lì ad intessere la storia del cinema contemporaneo. Sulla scia della nostra plurima riflessione omaggiamo qui le donne forti del cinema di Clint, un po’ “dirty” anche loro, un po’ candida apoteosi dell’eroismo di Campbell. L’uomo (e la donna) nel mirino: la prostituta La prima tra le donne di Clint è senz’altro la Augustine di L’uomo nel mirino (The Gauntlet, 1977). Prostituta mezza isterica, si presenta giocandosi tut-

te le carte del mazzo della banalità e della scontatezza. Lodi precotte e un teatrino finto sensuale decisamente spinto per gli anni 70. Ma la sua risalita dai bassifondi si gioca, un match dopo l’altro, contro maschi stereotipati e ben poco inclini al rispetto: Augustine è anni luce più cruda, acerba, di tutte le altre donne forti della filmografia Eastwood, nonché sboccata e poco raffinata nella sua oratoria. Sopravvive tra la polvere del deserto, dove la sua femminilità è stata abrasa. Il momento in cui esce con vigore mascolino, è certamente la scena della violenza sul vagone: disarmata, incapace di trattenere fisicamente gli aggressori, vi si offre in sacrificio. Espone il proprio corpo alla violenza, lo porge per salvare la vita del suo salvatore. Clint osa tantissimo in quella scena, come regista e come essere umano. La misoginia è a un passo se sacrifichi il tuo personaggio donna per salvare l’eroe maschile. In realtà, investe Augustine di un ruolo ben più oneroso: il sacrificio sommo, la forza più alta, il perdere tutto per l’altro. Le donne di Clint Eastwood sublimano il sacrificio; alcuni eroi ci provano ad imitarle, ma la classe con cui il femminino eastwoodiano consolida i propri gesti è 13

peculiare e di altissimo valore. Superare i confini a Madison County: l’amante Francesca Johnson è una tra le donne più virtuose. Fedifraga forse? O moglie e madre fedele fino alla morte? Guardo I ponti di Madison County (The Bridges of Madison County, 1995) e mi soffermo sulla prima immagine con cui Clint ama introdurla: dietro ai fornelli, con i capelli un po’ in disordine, ma non troppo; si concede di alzare la radio da cui trasmette un’aria lirica gradevole. Indossa un abito a righe che le scopre appena le ginocchia e mentre spignatta, è scalza. Se chi guarda non avesse ascoltato del “fattaccio” giusto pochi secondi prima, prenderebbe questo dettaglio come una meravigliosa piccola fuga. E invece no, così, dentro a questi stilemi e preconcetti, è una sgualdrina. Lo spettatore è sin da subito invitato a unirsi agli abitanti del paesino dello Iowa, e a ragionare come loro. Una donna così, incastrata in una vita che le si è calata addosso quando l’ingenuità non le permetteva di capire, non avrebbe normalmente mai avuto il coraggio di assecondare un istinto e un sentimento. La Meryl Streep voluta da Rivista indipendente di cinema


Clint pronuncia poche parole e scatena non solo un sussulto ormonale, ma un de-

ragliamento sociale e sistemico. Quella ingenuità c’è ancora, ma si veste di un coraggio impetuoso che fa tremare i benpensanti bianchi, tendenzialmente trumpiani. Non c’è un confronto tra istinto e ragione, cautela e impulsività. Questa è una donna che nella piena coscienza di quello che rischia e del mondo che andrebbe ribaltando o del vaso di Pandora che andrebbe scoperchiando, decide di seguire la sua strada. Sia essa fatta di sentimenti o di opportunità. Al fianco della Streep, perdonami Clint, appari come uno strofinaccio da cucina. Anche se poi arriva la solita cosa: si scioglie i capelli. Magari avremmo anche fatto a meno della chioma che si slega quando si slega anche l’ormone, ma d’altronde questa Francesca che sosteneva di agire come un’altra donna (“eppure non era mai stata così se stessa”), da qualche parte questa altra la doveva prendere. Million dollar woman: la figlia Caparbia. Questa testona fa tenerezza nella sua ostinata scazzottata poco efficace al sacco che le sta di fronte. È troppo tutto per anche solo pensare di potersi buttare in quello che fa. È povera, ai margini, sola, senza sostegni, ma soprattutto, vecchia. L’orologio ticchetta costantemente per Maggie, sin dall’inizio del film, e lei ancora non lo sa. La donna sicuramente più amata da Clint è Maggie Fitzgerald, l’inarrivabile Hilary Swank di Million Dollar Baby (2004). Ci proverà anche altrove a riprodurne la forza travolgente: se la Sue dal cervello fino di Gran Torino (2008) le assomiglia a tratti, onestamente solo Christine Collins (Changeling, 2008) può competere con la sua tenacia. Frankie Dunn e Maggie sono certo allenatore ed atleta, ma più intensamente padre e figlia, come ha anche ben illustrato Sandra Orlando in questo approfondimento. Un legame germogliato e innaffiato dal sudore. Ecco perché questa è la donna più completa, è l’assoluto femminino dell’universo Eastwood, che si realizza in tutte le sue dimensioni. Manca la

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maternità, si potrebbe pensare. Bene, la maternità è un passaggio successivo, che esce dall’individuo. Clint assolutizza l’essere femminile in sé, senza derivati. Maggie è una lottatrice di vita; combatte persino con se stessa ogni volta che tenta di dire la sua e proferire parola, combatte a costringersi mansueta quando in realtà è un leone urlante. Maggie, Clint ha voluto iniettarla di altro, di un qualcosa che è radicato sotto tutte le macerie, i rifiuti, lo schifo che la vita le ha riservato. Qualcosa che brilla anche attraverso la polvere, e che la fa sorridere e la cura, la nutre, la tiene in vita. Una luce propria, un talento unico. La degenerazione fisica non inficia minimamente la sua determinazione e la sua forza. Al punto che è lei a decidere quando e come morire e la sua motivazione, motiva Frankie. Una forza generatrice di ulteriore forza, contagiosa, non poteva che essere un femminino, uno ying vitalizzante. Non poteva che essere la pellaccia di una trentenne. Angelina Jolie e il figlio vero: la madre Eastwood procede piano piano, per piccoli gesti quotidiani, per introdurre la realtà della madre single di Changeling (2008), una convincente Angelina Jolie. La Christine Collins di Eastwood è messa in dubbio sulla questione più importante della sua vita: la maternità. L’universo maschile e istituzionale tentano di schiacciare ciò che loro considerano una formica. E si aspettano che questa perisca. Hanno mancato di tenere in

considerazione che quanto più dubitano e infangano, tanto più alimenta-

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no l’integrità. L’amore materno respira malgrado i tentativi di affogarlo. Ad un certo punto le viene data la possibilità di tornare in battaglia, e ancor più, di sostenere la sfida contro un nemico massiccio, potente, feroce. E lì, cammina sulle ceneri delle menzogne che hanno diffuso sul suo conto, a testa alta, con i tacchi a spillo, se solo fossero stati di moda. E maledettamente e sofferentemente disinvolta, dall’alto del suo essere donna. Perché in questa storia le donne sono davvero in una posizione di elevata dignità rispetto al caos. Nell’ultima parte del film, Clint racconta più della vicenda che di Christine. Racconta più dei suoi primati che dei suoi sentimenti. Ma l’abbiamo già conosciuta, l’abbiamo sentita come si sente una mano sulla spalla. A questo punto lasciamo che l’autore racconti la storia vera, con la medesima dedizione con cui lo ha fatto descrivendo la Bobi di Richard Jewell. Il furore disperato, si mostra un’ultima volta, al cospetto dell’assassino che si sforza di incontrare, ancora animata da un delirio di speranza. Le sarà mai stato di qualche consolazione presenziare alla sua morte? “I’m gonna try to forget the fact you’re a girl” Non sono tutte sante le donne di Clint Ea-

stwood. Anzi a Mystic River (2003), sono piuttosto stronze. Sono creatrici di morte anziché sorgenti di vita. Diciamo che la maggior parte di loro, sono brave donne. Clint le ha curate con dedizione. Ci ha messo ammirazione. E per un uomo cresciuto tra la polvere di un cinema prettamente maschilista, il lavoro deve essere stato un impegno non da poco. Deve essergli costata la forza di ammettere che su tutti i chilometri di pellicola filmati, le sue muse si sono impresse con colori più vividi. E hanno rimbalzato sulla retina del pubblico come fossero riflessi di un sole intenso e bruciante.


In foto: Angelina Jolie in una scena del film Changeling (2008) diretto da Clint Eastwood.

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Clint Eastwood nel suo cinema ci conduce in un viaggio nella musica che attraversa l'America intera e la sua storia.

SSALLE

del cinema di Clint Eastwood

di ANDREA

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istolero infallibile, rude poliziotto, sergente di ferro, vecchio burbero. Sono molte le vesti in cui abbiamo imparato a conoscere Clint Eastwood. Ma probabilmente è meno noto il suo lato da grandissimo appassionato di musica jazz, blues e country. In particolare è il jazz ad affascinarlo sin da ragazzo, legato soprattutto allo scenario del bebop newyorchese degli anni ’40, con le figure di Miles Davis, Charlie Parker, Thelonious Monk. Eastwood ha iniziato da giovane come pianista autodidatta e ha cercato di crearsi una carriera proprio come musicista e cantante. Purtroppo o per fortuna non ci è riuscito, ma non ha mai abbandonato la sua passione, tanto che in seguito è diventato compositore della colonna sonora di molti suoi film. Ma la musica nel cinema di Clint Eastwood va oltre. In alcuni film oltrepassa il ruolo della colonna sonora e invade la storia, le immagini, diventando uno dei temi principali. Con Brivido nella notte Clint Eastwood mette già in chiaro la sua passione È il caso del suo esordio da regista, nel 1971, con Brivido nella notte. Verte attorno ad un disc jockey di una stazione radio che passa soprattutto musica jazz e che viene ossessionato da una donna che si rivela psicopatica. La musica, perciò, è subito protagonista nel suo primo film e non solo per la figura del disc jockey, interpretato dallo stesso Eastwood. Lo si intuisce maggiormente dal titolo originale, Play Misty for Me; Misty è uno standard jazz composto da Errol Garner nel 1954. Viene richiesto alla radio quasi ogni notte dalla donna, divenendo il tema musicale portante. Il film ha un alto numero di scene notturne, introducendo il collegamento tra il jazz e la notte, l’oscurità, che emergerà con grande forza in un suo film successivo: Bird. In Brivido nella notte c’è una sequenza che risalta in particolare, distaccandosi da tutto il resto del film. È la scena in cui alcuni personaggi si recano al Monterey Jazz Festival. Sono quasi cinque minuti in cui vengono inquadrati il pubblico e gli artisti che si esibiscono sul palco. Le immagini furono girate in occasione del Festival del 1970, che si tenne proprio in concomitanza delle riprese del film. Vediamo alcuni artisti esibirsi dal vivo, tra cui scorgiamo Joe Zawinul, fondatore del celebre gruppo dei Weather Report. Eastwood fre-

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quentava quel festival da vari anni e nel 1992 è entrato a far parte del consiglio di amministrazione. Non sorprende, quindi, che in questo film gli abbia dedicato tale attenzione. La parentesi documentaristica del film È una scena completamente indipendente; sembra estranea al film e i personaggi stessi vengono inquadrati solo per pochi secondi. Una vera e propria parentesi musicale in cui emerge tutta la passione di Clint Eastwood. Anche lo stile visivo è differente rispetto al resto; sono immagini di stampo documentaristico di grande bellezza. Vengono inquadrati i musicisti e soprattutto il pubblico. Persone che ballano, che cullano un bambino, che attendono, che prendono posto, che ascoltano. Sono attimi di grandissima spontaneità e umanità, in cui emergono la gioia, il ritmo, la passione scaturite dalla musica. In quei cinque minuti ci dimentichiamo della donna psicopatica e persino del film. Sembra dimenticarsene anche lo stesso Eastwood, quando lui (più che il suo personaggio) si siede per il concerto tradendo un entusiasmo quasi incontenibile e insolito sia per il ruolo che per il Clint che conosciamo. Honkytonk Man e il viaggio nel country Altro film significativo da questo punto di vista è Honkytonk Man, diretto da Eastwood nel 1982. Anche in questo caso riveste i panni del protagonista, un musicista e cantante country nell’America della Grande depressione, che compie un viaggio fino a Nashville con il nipote per un’audizione. Nel film ci sono varie esibizioni musicali e le parti in cui suona (pianoforte e chitarra) e canta sono state realizzate realmente da Eastwood. Oltre ad essere un road movie è anche un viaggio nella musica country, altro genere amato dal regista e attore. Si lega, così, fortemente alla storia degli Stati Uniti e alla loro fondazione, con i racconti del personaggio del nonno. In questo film crepuscolare la figura del musicista è rappresentata come autodistruttiva; il protagonista infatti è dedito all’alcol, malato di tubercolosi e incapace di dare ordine alla propria vita. Si ritrova inoltre a fare da padre al nipote (interpretato dal figlio Kyle Eastwood) e, pur rivelandosi irresponsabile, lascia un segno tangibile nel ragazzo. La famiglia e la figura paterna sono temi essenziali nel cinema di Clint

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Eastwood, in particolare dagli anni ’80 in poi. Padri assenti, inadatti, figure sostitutive ricorrono molto spesso; basti pensare a Million Dollar Baby, Gran Torino, The Mule. In Honkytonk Man avviene lo stesso e Eastwood trova nel musicista “dannato” il perfetto emblema di questo costrutto. Uomini che pagano il prezzo della loro arte con una vita dissipata. Tormentata da demoni interiori che si manifestano sottoforma di alcol e droga. Un destino che appare già tracciato ed irrimediabile, per questo Eastwood non giudica il personaggio. Il blues di Linda Hopkins Anche in Honkytonk Man è presente una scena in cui si avverte un tono differente, seppur maggiormente organica rispetto a quella di Brivido nella notte. È quando il protagonista si esibisce in un locale di Memphis, suonando il pianoforte e accompagnando una cantante. Innanzitutto si ha un cambio di genere, passando dal country al blues più puro. Inoltre è l’unica scena musicale in cui l’attenzione non si concentra sul protagonista. La donna che canta è Linda Hopkins, una grande cantante americana. E questo momento appare come un sentito omaggio a lei e al tipo di musica. Eastwood ha l’occasione di suonare a fianco di un grande personaggio e anche in questo caso la sua emozione è ben visibile. Viene inquadrato in primo piano dopo un glissando al pianoforte e lo sguardo che rivolge alla Hopkins è emblematico. Charlie “Bird” Parker e l’oscurità del jazz Con Bird, del 1988, il discorso musicale di Clint Eastwood arriva al suo apice. Nel film biografico su Charlie Parker, leggenda del sassofono nonché mito di Eastwood stesso, si ritorna alla musica jazz e viene rappresentato un personaggio non dissimile da quello di Honkytonk Man. Il protagonista è interpretato magnificamente da Forest Whitaker. Non è un film biografico comune, l’obiettivo non è raccontare una vita ma fare un ritratto di una persona, della sua anima più profonda. Ed è anche un film sulla musica e sui musicisti. “Questo film è dedicato ai musicisti ovunque“, è la dedica finale. La struttura narrativa è frastagliata, ci sono continui flashback e spesso la loro collocazione temporale non è immediata. Rispecchia sia la mente geniale e tormentata di Parker


che l’anima stessa del jazz. È un film che si svolge quasi interamente di notte, le poche scene diurne sono di passaggio o rappresentano soprattutto momenti estremamente negativi come un soggiorno in manicomio o un funerale. Inoltre il volto di Parker viene illuminato pienamente pochissime volte; appare quasi sempre, totalmente o parzialmente, avvolto nell’ombra. Emergono quindi i demoni interiori del personaggio, così come viene sottolineato l’animo notturno del jazz. È una musica che vive di notte, in locali bui e che nasconde un lato oscuro. Viene mostrato il genio musicale di un artista immenso come Parker, ma con un rovescio della medaglia assai ingombrante. I demoni della musica È un uomo dipendente da alcol e droga, afflitto da dolori al fegato e da un’ulcera, con “la mente appesa ad un filo”. Spesso è la sua professionalità sul lavoro a risentirne. Ma soprattutto è la sua figura di marito e padre che si dimostra problematica. Anche in questo caso, come in Honkytonk Man, il destino appare segnato, nonostante l’aiuto offerto e le molte opportunità di redenzione. Prevale la sua natura più intima; la sua sublime musica sorge proprio da una condizione mentale così fragile e tormentata. Uccidere i suoi demoni per portarlo ad essere un buon marito, come risponde la moglie allo psichiatra, significherebbe uccidere anche la sua musica e, di conseguenza, uccidere lui.

È una personalità inscindibile e Parker può solo seguire la sua strada di libera autodistruzione. Anche in Bird, Clint Eastwood non osserva il personaggio con sguardo di biasimo, ma con affetto. È una figura che nella storia della musica, e nell’arte in generale, è molto frequente. E il jazz è perfetto per la sua rappresentazione. È il genere musicale che, forse più di tutti, mette in musica il pensiero, le esperienze, l’anima. I grandi jazzisti suonano il loro stato d’animo nel modo più puro. In particolare il sottogenere del bebop è una musica frenetica, scattante, dissonante, quasi isterica. Per questo spesso è collegata a personalità irrequiete. E per questo se Parker decidesse di tentare di frenare i suoi eccessi, la sua musica ne risentirebbe e lui perderebbe il suo spirito. Il suo destino è segnato ugualmente, ma sceglie di proseguire a modo suo, tra le sue note e i suoi demoni. Con Piano Blues Eastwood lascia la parola alla musica L’ultimo esempio che prendo in considerazione è Piano Blues, documentario diretto da Eastwood nel 2003. Rappresenta un episodio di The Blues, serie di documentari prodotta da Martin Scorsese sulla storia del blues e diretti da vari registi. In questa occasione Eastwood abbandona la finzione narrativa, assumendo definitivamente i panni di appassionato di musica. Se nei film trattati in precedenza era lui a raccontarla, qui è la musica stessa a pren-

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dere la parola. È un episodio incentrato sul pianoforte nel blues e inizia con una breve storia dello strumento. Procede poi con interviste realizzate dallo stesso regista ad alcune leggende musicali e miti personali come Ray Charles, Dave Brubeck, Dr. John e Pinetop Perkins. È un autentico e splendido viaggio nel genere musicale sin dalla prima metà nel ‘900. Con l’ausilio di molti filmati storici, vengono nominati praticamente tutti i migliori pianisti e le pianiste blues della storia. Da Fats Domino a Otis Spann, passando per Oscar Peterson, Dorothy Donegan e molti altri. Non manca la parentesi legata al jazz. Le interviste avvengono ovviamente davanti ad un pianoforte e assumono la forma di una piacevole chiacchierata tra un raggiante Clint e i suoi miti. Eastwood chiede a tutti, in particolare, come hanno iniziato a suonare e quali sono state le loro influenze. Probabilmente era ancora vivo in lui il ricordo della sua giovinezza da pianista e, di conseguenza, un velato rimpianto. È un documentario che da una parte mostra un forte senso personale, in quanto Eastwood coglie l’occasione per ribadire tutta la sua passione, parlando anche di sè. Dall’altra, in Piano Blues, come in molti suoi film, Eastwood racconta l’America, sottolineando anche direttamente come il jazz e il blues siano forse l’unica forma d’arte originale americana e ripercorrendone la storia. Il tutto unito a un forte senso crepuscolare e nostalgico.

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I 90 anni di Eastwood

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e il secolo lungo del cinema americano


Nato a San Francisco nel Maggio del 1930, divenuto attore per puro caso, il mito.

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voler sintetizzare, molto alla buona, secondo lo storico britannico Eric Hobsbawm, nel suo saggio Il secolo breve, il periodo compreso tra le guerre mondiali del 1900 e il crollo dell’Unione Sovietica aveva racchiuso una serie di eventi e processi paragonabili, per numero, importanza e intensità, a quelli accaduti durante più secoli precedenti. Come se si fosse assistito a una sorta di accelerazione della storia. A mio parere, però, nel panorama del cinema internazionale mainstream si potrebbe invece dire di esser ancora, dal dopoguerra ad ora, all’alba di un nuovo secolo o millennio, nel secolo lungo del cinema americano e della sua retorica nazionale. E non poca parte di questo secolo ha coinciso coi 90 anni di Eastwood. Il mito di “dirty Clint“ Un attore, un regista e un compositore che più di ogni altro ha finito per impersonare il secolo lungo americano del cinema mainstream e non solo. I capolavori della tappa finale della sua carriera, ma anche il “Go ahead, make my day!” (“Coraggio, fatti ammazzare!”) e l’ideologia politica libertaria e assertiva dell’America più profonda. Anche al di là della sua stessa volontà, attraverso non poche variazioni, soprattutto lungo il suo interminabile finale di carriera, e un cliché attoriale che ha sposato o edificato (è nato prima l’uovo o la gallina?) l’ideologia di fondo del cinema americano mainstream, capolavori inclusi: 90 anni, o qualcosa in meno, di successi e insuccessi, di sorprese narrative e cicliche reintepretazioni di un unico carattere – dirty Harry/Clint – riproposto nei costumi dei personaggi più disparati. I migliori film di Clint Eastwood Certo, il fenomeno “Clint” non è stato solo questo, come i pancake non sono solo burro, farina e uova, eppure sarebbe difficile sostenere che sia lo sciroppo d’acero a esaurire il perché della fama del celebre piatto nordamericano, non di rado presente nelle colazioni o nelle merende durante le quali al poliziotto Callaghan (o ai suoi ‘cugini’ negli altri polizieschi interpretati da Eastwood) poteva capitare di sventare una rapina

o un torto ai cittadini indifesi. Così il retrogusto dolce-amaro dei suoi più oggettivi capolavori alla regia – Gli spietati (Unforgiven, 1992), Un mondo perfetto (A Perfect World, 1993), Million Dollar Baby (2004), Lettere da Iwo Jima (2006), Flags of Our Fathers (2006), Gran Torino (2008) e, forse, Il corriere – The Mule (The Mule, 2018) – che gli hanno pure fruttato, e per ben due volte, i meritatissimi Oscar alla miglior regia e al miglior film, oltre ad uno alla memoria Irving G. Thalberg al produttore creativo. E pur tuttavia sarebbe difficile affermare che essi costituiscano l’intero mosaico di una figura che ha finito per consolidare un’immagine volutamente stereotipata o profondamente americana dell’uomo Clint. L’immagine di una biografia e la biografia di un’immagine In effetti, per molti anni si è fatto fatica a capire se ci si trovasse di fronte a un’immagine d’attore corrispondente a una biografia poi intimamente diversa o alla biografia esatta di un’immagine alla quale l’uomo aveva piegato la propria vita e i propri gusti, anche politici e culturali, nel solco di una caratterialità venuta alla ribalta del grande pubblico grazie agli spietati personaggi interpretati sin dai tempi della sua scoperta ad opera del nostro Sergio Leone (Per un pugno di dollari, 1964, Per qualche dollaro in più, 1965, Il buono, il brutto, il cattivo, 1966). La politica nel disprezzo della politica di mestiere o di sistema Che fosse di preferenze repubblicane, d’altronde, pur professandosi assolutamente libertario (favorevole ai matrimoni gay e all’eutanasia), non era mai stato un mistero. Ma che lo spirito e l’intelligenza di quest’uomo, nato a San Francisco nel Maggio del 1930, divenuto attore per puro caso (furono gli amici a spingerlo ad accettare un provino agli studi Universal negli anni ’50), coincidesse con quella assai ‘spiccia’ dei suoi cowboy o poliziotti dal ciglio o labbro sollevato sopra il bavero, a esprimere innato fastidio per il sistema di 21

cui, in fondo, facevano parte, divenne indelebilmente chiaro col celebre discorso alla sedia vuota sul palco della Convention Nazionale di Mitt Romney. Un discorso rivolto ad una sorta di invisible Obama, come lo definì la stampa dell’epoca, ma che finì per oscurare, secondo le più elementari regole cinematografiche, persino “l’ora del business man” Mitt Romney al quale era pure venuto in soccorso. Il cowboy, il poliziotto. L’americano Era l’agosto del 2012 e ancora l’ottantaduenne Clint doveva regalarci le ultime fatiche – Jersey Boys (2014), American Sniper (2014), Sully (2016), Ore 15:17 – Attacco al treno (The 15:17 to Paris) (2018), Il corriere – The Mule (The Mule) (2018), Richard Jewell (2019) – eppure, forse per caso, ci mostrò definitivamente come l’introversione e i silenzi senza fronzoli di una serie emblematica di personaggi, interpretati nel corso della sua lunghissima carriera, facevano parte di una determinata sensibilità o ideologia di base, in fondo quella della frontiera americana, come, nel 1893, ci insegnava lo storico Frederick Jackson Turner, secondo il quale l’origine delle caratteristiche libertarie, democratiche, innovative, e tuttavia violente e peculiari del carattere nordamericano, fossero state rappresentate, sotto varie forme, dal far west. Il valore in sé di una produzione d’autore M a tutto questo non s i a in nessun modo visto ora come mero metro del valore dell’opera clintiana, quanto come un discorso non strettamente cinema- tografico su una vicenda umana e autoriale lunga quasi un secolo. La vicenda di Clint e del suo americano medio colto con la stessa elementarità di narrazione che poi, da autore (da autore “adulto”), avrebbe magnificamente utilizzato per i suoi film più riusciti, anche grazie a una scrittura o una direzione della macchina da presa mai eccessivamente didattici, persino di fronte a qualche inevitabile cedimento alla vecchia retorica americana del Paese che nutre, in sé, contemporaneamente, il male e i suoi stessi anticorpi. Go ahead Clint, make again our age! Rivista indipendente di cinema


Million paterna in

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Baby. Con "Million dollar baby" Clint Eastwood costruisce un capolavoro cinematografico che è anche una riflessione sull'importanza della funzione paterna.

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efinito da tanti come l’ultimo dei classici viventi, Clint Eastwood ha in realtà una caratteristica che lo identifica e lo colloca in una dimensione che va ben “oltre”; nei suoi film affronta sempre temi etici e familiari complessi e, anche quando non traspare, scava a fondo nella psicologia di personaggi spesso tormentati e complessi. Il passato e quanto vissuto assumono un ruolo centrale e influenzano in modo decisivo quello che sarà il corso degli eventi narrati nelle sue pellicole. Storie di solitudini I film di Eastwood si muovono sempre su due binari: quello che vediamo, e che rappresenta l’esterno del film, e quello che “deduciamo” attraverso lo sguardo, le parole anche non dette, le luci, le simbologie e le espressioni degli attori. I rimandi al mondo interiore, ai conflitti e ai traumi vissuti dai personaggi avvengono in un modo mai retorico ma semplicemente funzionale alla storia e, nella maggior parte delle volte, una delle tematiche centrali delle sue

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pellicole è una dimensione familiare o affettiva inesistente, con un’allegorica funzione paterna dei suoi personaggi. È il caso anche di Million Dollar Baby, capolavoro di Eastwood del 2004, vincitore di 4 premi Oscar: miglior film, miglior regia, miglior attrice ad una superba Hilary Swank, miglior attore non protagonista a Morgan Freeman. Il film racconta di Maggie Fitzgerald (Hilary Swank), una giovane donna di 32 anni che decide di rompere la mediocrità della sua vita e di prendersi cura del suo Io. Maggie vuole diventare pugile e decide di rivolgersi a Frank Dunn (Eastwood) ex pugile e ottimo allenatore. Frank non ha amici, a parte Eddie Scrap (Morgan Freeman) che vive con lui da anni e gli fa da assistente sul lavoro. Dunn trascorre il tempo libero ad imparare il gaelico, antica e misteriosa lingua irlandese, si reca quotidianamente in chiesa (col desiderio palese di espiare qualche grave mancanza) e scrive ogni giorno una lettera indirizzata alla figlia che non vede da anni, lettere che gli vengono restituite ancora sigillate.

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L’arrivo di Maggie farà crollare il muro che Frank si è costruito intorno. Maggie sceglie Frank o è Frank a scegliere Maggie? “Quando ti ho incontrato avevo un sogno capo… e tu mi hai fatto assaporare quel sogno.” La maniera in cui si sviluppa il rapporto tra i due personaggi fa sicuramente pensare che sia la tenacia di Maggie a far sì che Frank ceda e si decida ad allenare la ragazza. Ma in realtà, analizzando bene la vicenda e imparando a conoscere di più Frank, è evidente che se non fosse scattato qualcosa dentro di lui non avrebbe mai preso davvero in considerazione di accettare l’incarico. Frank è un solitario, deluso dalla vita, tormentato, distrutto dentro da legami spezzati per sempre; Maggie sorride a volte in un modo che lo disturba, è invadente, già troppo grande per poter diventare una campionessa e in più è una donna e in lui si è ormai creata un’insanabile frattura col genere femminile. Non ha nulla da offrire a quella ragazza, niente che possa ottenere lui stesso da


«Quando ti ho incontrato avevo un sogno capo… e tu mi hai fatto assaporare quel sogno.»

lei. A mediare tra i due sarà Scrap, che lo porterà a riflettere e a cambiare idea. Interessante e simbolica la parte in cui Frank sembra guardare Maggie per la prima volta, intenta ad allenarsi duramente nel buio della palestra, circondata dalle ombre sui muri e madida di un sudore infruttifero. Frank la guarda incuriosito, per la prima volta la “vede” e coglie la luce negli occhi di quella donna non più ragazza. Avverte il fuoco della passione, della volontà, della disperazione, ma soprattutto percepisce il suo stesso dolore, il suo vuoto, il suo bisogno di essere accolta e salvata. Accetta così di insegnarle tutto ciò che sa e la accetta nella sua vita e nella sua solitudine di padre mancato. I due inizieranno insieme un percorso in cui l’uomo assumerà un ruolo di guida per Maggie per farle comprendere quelle che sono le sue reali capacità. Questo percorso comincia soprattutto dal momento in cui Frank le afferra le gambe per insegnarle come muoversi sul ring: si inginocchia davanti a lei, con decisione e le afferra i piedi, quasi a volerle insegnare come iniziare a camminare.

Romanzo di formazione Durante questa sorta di romanzo di formazione a due sensi, Maggie otterrà i suoi successi sul ring e diventerà celebre, ma Frank ne conoscerà anche il mondo triste e oscuro: il minuscolo appartamento in cui vive senza tv, la sua povertà, una famiglia orribile che pensa solo a sfruttare i suoi successi, la sua condizione naturale di orfana non amata da una madre assente e da fratelli terribili. Lui diventerà per lei un’ importante figura di riferimento, motivo di riscatto e crescita personale, e lei per lui diverrà quella figlia che ha perduto, anello centrale di un percorso di riconciliazione con se stesso e i suoi fantasmi. Con Maggie, Frank assolverà completamente alla funzione di padre fornendole gli “strumenti” per stare al mondo e per sviluppare l’equilibrio necessario e la giusta razionalità per continuare a vivere bene. Frank sarà per Maggie utile per liberarsi da una genitorialità sbagliata (la figura della madre) e per dire No finalmente alla posizione di servilismo in cui la costringe la sua famiglia

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“sbagliata”. Alla fine forse Maggie e Frank non realizzeranno il loro sogno ma, come tutti gli eroi di Eastwood, sono andati dritti per la loro strada, accettandone le sfide e seguendo il loro destino. Anche se sconfitti, anche se non troveranno redenzione o salvezza hanno preservato la classica virtù dei personaggi di Eastwood: una grande tenacia che, nella tempesta, li ha portati ad afferrare una mano amica con la voglia di credere nell’amore di una famiglia ancora possibile. Il film Million Dollar Baby é distribuito da 01 Distribution.

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ALLA RICERCA DELLA VERITA `

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In foto: una scena del film Invictus (2009) diretto da Clint Eastwood.

di SABRIN

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In occasione del novantesimo compleanno di Clint Eastwood, uno dei piĂš grandi maestri del cinema americano, affrontiamo un particolare aspetto della sua ricca filmografia: il rapporto con la realtĂ e con le storie vere, da lui utilizzate come riferimento per alcune delle sue migliori opere. TAXIDRIVERS

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l parallelo musica-storie vere Sin dal lontano 1988, anno dell’uscita di Bird, Eastwood ha spesso mostrato un certo tipo di riguardo nei confronti di quelle figure realmente esistite, che con la loro storia lo hanno ispirato. Si tratta di un’ispirazione guidata non solo da un proprio personale interesse, quanto talvolta dalla volontà di trasmettere un messaggio. Il valore di alcune vite si può infatti stimare dal loro lascito, giunto sino a noi. Un simile discorso potrebbe valere per lo stesso Eastwood, il cui strenuo e prolifico impegno ci ha portato a contatto con esempi di vita forse altrimenti mai scoperti. Il risultato è sempre un arricchimento, sia in termini di conoscenza, sia, soprattutto, dal punto di vista delle emozioni, potenti e indelebili. E quale miglior conduttore, se non la musica, può toccare il fondo delle nostre anime? Eccoci così tornati a Bird, incentrato su Charlie “Bird” Parker (Forest Whitaker), uno dei più grandi sassofonisti jazz di sempre, morto all’età di soli 34 anni nel 1955. La pellicola, sviluppata in maniera non lineare, si pone come un omaggio all’artista e alla sua musica, capace di dare sfogo ai propri demoni personali in forma di note, andando a comporre un mosaico di dolore e malinconia a cui è difficile restare indifferenti. Tacciato di imprecisioni e invenzioni, il cineasta dovette per forza di cose attuare dei cambiamenti e romanzare alcuni episodi dell’esistenza di Parker: vuoi per una questione puramente commerciale, vuoi per far in modo che le sue tematiche emergessero il più nitidamente possibile. Per quanto riguarda il parallelo musica-storie vere, Eastwood si cimenterà di nuovo nell’impresa più di vent’anni dopo con il poco rinomato Jersey Boys. Changeling e la variante sul tema della genitorialità In Changeling è invece una donna, o meglio una madre, protagonista delle vicende realmente accadute nella Los Angeles del 1928. Attraverso l’incredibile storia di Christine Collins (interpretata da una sorprendente Angelina Jolie), una donna alla ricerca della verità riguardante il proprio figlio, Eastwood spazia da un argomento all’altro tenendo altissima l’attenzione del suo pubblico e solleticandolo con continue riflessioni.

Il thriller si intreccia al film biografico in un mix equilibrato, elegante, emozionante. La maternità fa pensare a una variante sul tema così cruciale nella filmografia del cineasta quale la paternità, mentre una critica al sistema giudiziario si insinua in ogni fibra della trama. E non è né troppo velata né troppo sottile, ma semplicemente condivisibile. Tra l’altro questo è un discorso ripreso in qualche altro suo titolo, come per esempio Fino a prova contraria. Il risveglio della coscienza (politica) Due importanti figure politiche sono al centro delle pellicole successive: Invictus (2009) e J. Edgar (2011). Se con Nelson Mandela, primo presidente nero del Sudafrica alle prese con l’abbattimento dell’apartheid, affronta una questione tanto delicata quanto sentita – a tal proposito si vedano Gran Torino o Gli Spietati – con John Edgar Hoover tenta di restituire uno spaccato della società attraverso le controverse vicissitudini di uno dei suoi massimi rappresentanti. La tolleranza, seppur con diverse sfumature, è chiaramente uno degli argomenti chiave di entrambi i film. Indifferente alle critiche mossegli, Eastwood ha sempre mostrato di avere le idee chiare e di non temere il giudizio altrui. Al di là del condividerle o meno, il suo grande merito sembra essere quello di non voler condizionare, quanto piuttosto di (ri)svegliare una coscienza spesso sopita. La sua è un’umanità messa in discussione, in un modo o in un altro, portatrice di valori fondamentali che a volte ci si dimentica di tenere nella giusta considerazione. American Sniper e l’omaggio a chi sacrifica tutto per il proprio paese Così è anche in American Sniper, in cui un monumentale Bradley Cooper veste i panni di Chris Kyle, Navy SEAL celebre per la sua mira e corroso dalle esperienze sul campo di battaglia. Diverse furono infatti le missioni in Medio Oriente, dove gli venne messa addirittura una taglia di 20.000 dollari sulla testa. La pellicola è un intenso racconto di vita, nel quale si può rintracciare un’universalità per quanto riguarda soldati ed ex veterani, uomini che hanno votato la loro esistenza al servizio del proprio paese. Nel farlo, molti di loro hanno sacrificato tutto o quasi, dalla

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sanità (fisica e psichica) alle persone che amavano, quando non addirittura la vita stessa. Torna allora l’aspetto dell’omaggio, nei confronti di coloro che hanno dato un contributo sostanziale in nome di una libertà e di una giustizia che troppe volte assumono dei contorni sfocati e caotici. Senza sentimentalismi o inutili orpelli, un atto di riconoscimento personale (che diventa poi in qualche modo collettivo) e schietto. Esempi di vita, da Sully a Richard Jewell I successivi lavori, Sully (2016) e Ore 15:17 – Attacco al treno (2018) esibiscono altre due storie esemplari, virate esclusivamente verso un’ottica per così dire “positiva”, offrendo degli esempi di integrità, moralità e responsabilità difficili da eguagliare. In entrambi i casi, il coraggio messo in scena è infatti qualcosa di straordinario. Da spettatori, siamo condotti a porci delle domande e a immedesimarci nelle figure di questi eroi dei giorni nostri, capaci di cambiare le sorti di una tragedia senza necessariamente indossare un costume. Concludiamo infine la lunga carrellata con il più recente titolo della filmografia di Clint Eastwood: Richard Jewell. Tra i punti più alti di questa ricerca della verità che sembra caratterizzare la poetica del cineasta sin dai suoi albori. In fondo il desiderio (e forse la necessità) di raccontare storie realmente accadute diventa non solo una sorta di legittimazione, quanto un tratto distintivo della personalità di un artista. O almeno di alcuni artisti. Parlare e presentarsi attraverso le proprie opere, esprimere un’opinione e al tempo stesso portare alla luce episodi dal valore incalcolabile e che altrimenti rimarrebbero ignoti ai più, appartiene a chi possiede una coscienza politica particolare. Esattamente come il protagonista di quest’ultima pellicola – perfettamente incarnato da Paul Walter Hauser – che mette a rischio il suo futuro per ciò che ritiene un bene più grande.

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lo sguardo non giudicante di Clint Eastwood LISAB ET di E

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Di Clint Eastwood, che il 31 maggio scorso ha festeggiato il suo novantesimo genetliaco, è stato già detto molto, e si rischia la retorica parlando della sua fortuna di ‘attore quasi per caso’ negli anni Cinquanta, protagonista di film di intrattenimento negli anni Sessanta e Settanta, dei suoi successivi ruoli in film autoriali e dei primi premi importanti vinti negli anni Ottanta e Novanta, così come della sua inizialmente stentata e successivamente magnifica, carriera di regista, tanto più interessante e lodevole perché maturata nel tempo e sbocciata tardivamente, dai primi anni Duemila fino ad oggi, con film ormai cult della storia del cinema. Forse un aspetto meno esplorato dello stile inconfondibile e delle storie profondamente americane ma contestualmente universali che #DirtyClint ha raccontato nei suoi film più importanti, è lo sguardo psicologico che, da regista, pone su alcuni personaggi, in particolare i giovani, ragazze o ragazze, bambini o ragazzini che vede come TAXIDRIVERS

soggetti in evoluzione e pertanto, pur con pessimismo da adulto e spesso evidenziando il male e la durezza con cui la vita li ha colpiti, lascia intuire i motivi delle loro azioni, i sogni infranti, le sofferenze inflitte, le possibilità di redenzione o i danni irrimediabili causati dal mondo adulto. Già tutto questo è evidente in Mystic River (2003), dove la vita e le vicende drammatiche dei tre protagonisti (interpretati da Sean Penn, Kevin Bacon e Tim Robbins) sono segnate per sempre dal rapimento e dagli abusi inflitti ad uno di loro da un pedofilo quando erano tre ragazzini e giocavano per strada: Sean, Jimmy e Dave, pur avendo preso strade diverse, sono tre vittime della miseria e della violenza, di un mondo spietato a cui ciascuno ha reagito come ha potuto, cercando di proteggersi da quel dolore: nel commento finale infatti, Sean e Jimmy dichiarano che, in qualche modo, nella macchina del pedofilo non è salito solo il loro amico, tanti anni prima, ma anche loro. 26

Altro esempio lampante dell’intenso sguardo ‘amorevole’ di Clint verso la gioventù e le sue energie, sempre privo di sbavature, è quello con cui si china a raccontare la tragica storia della determinata e dolce protagonista di Million Dollar Baby (2005), interpretata dalla premiatissima Hilary Swank: qui l’attenzione del regista per un ardente desiderio giovanile prima, per il suo trasformarsi in realtà e poi per l’infrangersi del sogno, raggiungono una grandezza da Oscar quando Eastwood ha già compiuto 74 anni, con 4 statuette portate a casa (miglior film, miglior regia, migliore attrice protagonista e miglior attore non protagonista). Nel film Gran Torino (2008), il lento e progressivo cambiamento dell’indurito reduce della guerra di Corea, Walt Kowalski, verso i suoi vicini asiatici avviene anche grazie al difficile ma fatale incontro con il giovane Thao e sua sorella Sue, ai quali il vedovo capisce di volere e potere dare una chance, sottraendoli alla strada e alle gang locali,


anche a costo della sua stessa vita. Ancora in Il Corriere – The Mule (2018), sintomatico dell’approccio psicologico del regista, pur ricercato mediante un dialogo schietto ed ironico, è lo scambio fra l’ottantenne Earl Stone divenuto corriere per i debiti contratti ed un giovane membro della banda dei trafficanti, dove il primo chiede al secondo perché abbia deciso di fare quella vita e si sente rispondere che la banda è la sua famiglia, l’unica che l’abbia voluto e gli abbia dato sostentamento e protezione: di certo un messaggio sociale, forse non originalissimo, ma chiaro, conciso e realistico. Tanti altri potrebbero essere gli esempi, anche andando a ritroso nella cinematografia di Eastwood, basti pensare a Un mondo perfetto (1993), in cui Butch Haynes il protagonista evaso di prigione per ritrovare il padre, e che prende in ostaggio un bambino, aveva avuto una pessima infanzia ed era stato incastrato e sbattuto in galera da minorenne pur avendo commesso un reato

molto lieve, o a Changeling (2008), dove verrà scoperchiato, da una madre tenace e disperata, un vaso di Pandora pieno di orrori inferti ai danni di bambini. Dunque non solo un duro dal cuore tenero, DirtyClint, ma anche un regista, e un uomo, capace di non soggiacere facilmente agli stereotipi sui giovani e sulle loro indifferenze o manchevolezze ma intento a comprenderne, accettarne ed accoglierne le frustrazioni, le debolezze, i traumi ed i vissuti personali, mantenendo sempre uno sguardo non giudicante nel raccontare ‘le vite degli altri’.

In foto: una scena del film Gran Torino (2008) diretto da Clint Eastwood.

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