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Editoriale

In foto: Clint Eastwood in una scena del film Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (1971) diretto da Don Siegel

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EDITORIALE d i C A R L O C E R O F O L I N I

Anon esserne stupito è stato solo lui. Parliamo di Clint Eastwood e degli sviluppi di una carriera pronosticata a ribasso da critici e addetti ai lavori pronti a fare della celebre fase di Sergio Leone, Mi piace Clint Eastwood perché è un attore che ha solo due espressioni: una con il cappello e una senza cappello l’epitaffio di un percorso cinematografico privo di sorprese, incapace come si diceva ai tempi, di uscire dall’unico schema possibile, quello asciutto e monolitico dei modi e degli sguardi regalati alla mdp dell’amico e mentore italiano. Di quegli inizi sappiamo essere rimasta

la chiarezza degli obiettivi da raggiungere e la fiducia nei propri mezzi, per il resto la filmografia di Eastwood sembra fatta apposta per smentire i suoi detrattori, a cominciare dalla rivalutazione della prima parte di carriera, liquidata come il sussulto di quell’America reazionaria e giustizialista determinata a opporsi alle istanze progressiste della New Hollywood attraverso la 44 magnum dell’ispettore Harry Callaghan. Senza considerare che negli stessi anni Eastwood, lungi dall’essere insensibile ai fatti del proprio tempo ma rimanendo fedele al primato della libertà individuale il sessantotto lo faceva all’interno delle istituzioni hollywoodiane ritagliandosi un’autonomia artistica e produttiva capace di superare negli anni quella dei più noti colleghi e tale da permettergli di costruire attraverso la sua filmografia uno degli inni più belli e poetici che siano mai stati scritti rispetto alla dignità dell’essere umano. Il dossier che segue pur nella consapevolezza di non esaurire le molteplici venature di cui è composta la narrazione eastwoodiana ne ha comunque cercato di ricalcare almeno la poliedricità, soffermandosi su alcuni degli aspetti più sorprendenti e inattesi del suo prestigioso curriculum.