STORIA DELLA CONOSCENZA RAZIONALE - STEFANO MARAFINI

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Stefano Marafini

Storia della conoscenza razionale

Vol. I DA TALETE AD EUCLIDE

Studio Byblos

In copertina: Statua di Euclide nel museo dell’università di Oxford.

Retro copertina: Euclide e Pitagora, ovvero la Geometria e l'Aritmetica, formella del Campanile di Giotto, Luca della Robbia, 1437-1439, Firenze.

© 2022 - Tutti i diritti riservati all’autore.

ISBN 9791280343789

Prefazione dell’autore

Negli ultimi anni ho trascorso molto tempo riflettendo sulla necessità di una rielabo razione del contenuto e del metodo di insegnamento della geometria elementare, avendo sperimentato una differenza profonda tra quella che avevo appreso nel liceo da studente e quella che ho incontrato dopo come insegnante.

Infatti la scuola italiana, come anche l’europea, ha mantenuto per un secolo l’impostazione didattica degli Elementi di Geometria di A. M. Legendre, più consona allo spirito originario dell’opera di Euclide. Così l’apprendimento della geometria classica ha co stituito una parte fondamentale del bagaglio culturale dei giovani, per numerose gene razioni.

Una tradizione che è stata mantenuta anche grazie ai nostri grandi matematici, come Federigo Enriques e Guido Castelnuovo.

Dalla fine degli anni ’60 in poi è arrivata la ventata “modernista” che ha stravolto l’in segnamento della Geometria classica e ne ha ridotto il ruolo formativo.

Da un lato c’è stato l’attacco frontale del matematico francese Jean Dieudonné, con la sua conferenza Abbasso Euclide!, che sosteneva la tesi secondo cui la geometria euclidea non è affatto intuitiva; dall’altro, l’infatuazione dei docenti per gli insiemi e le trasfor mazioni.

Infine, su queste basi è avvenuto lo stravolgimento e l’immiserimento dei programmi operato dai didatticisti del ministero, soprattutto nell’epoca di L. Berlinguer e T. De Mauro.

Oggi i nostri studenti non hanno più le cognizioni basilari della geometria euclidea e imparano a memoria, cioè senza dimostrazione, le formule della geometria cartesiana, che poi dimenticano.

Pertanto, ritengo necessaria una revisione generale della disciplina seguendo le orme dei maestri.

Inoltre, oggi è di importanza fondamentale discutere il valore della conoscenza scienti fica ed i limiti di essa. Soprattutto perché le applicazioni tecniche che ne conseguono stanno rivoluzionando il nostro modo di vita e generano aspettative illimitate, attri buendo così alla scienza stessa nella forma di ipertecnologia, dalla quale è sempre più difficile distinguerla, un valore assoluto. Sembra infatti che una fede neopositivista nella scienza sostituisca tutte le precedenti fedi e sistemi di pensiero, alterando la ricerca scientifica, la valutazione intrinseca e le finalità di essa.

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Per questi motivi ho ritenuto giusto definire l’origine e lo sviluppo del pensiero scien tifico come storia della conoscenza razionale, che è nata nel mondo greco classico. Emanuele Severino ha scritto (ne La filosofia del mondo classico): la Filosofia nasce grande, nel senso che, uscendo dal mito, essa si rivolge alla conoscenza della verità ri velata dalla ragione. Lo stesso si può dire della Matematica: infatti i primi filosofi sono anche matematici. Per essi la Geometria non ha più il significato etimologico di “ misura della terra”, l’agri mensura degli Egizi; essa è invece strumento di indagine razionale del Cosmo e imma gine di esso.

Perciò il mio scritto inizia con un ampio capitolo sui Filosofi e sulle Scuole da essi fon date, volendo sottolineare l’importanza di un assunto intuitivo su cui sviluppare il di scorso ( lògos) in modo incontrovertibile con il metodo logico – dialettico.

Nel seguito del libro rielaboro tutta la geometria euclidea del piano, sviluppandola per grossi temi: enti primitivi e postulati; triangoli; rette perpendicolari e rette parallele; quadrilateri; circonferenza e cerchio; equivalenza, Teoremi di Euclide e Pitagora. Ho trattato anche le simmetrie delle figure piane, evitando il ricorso artificioso e complicato alle trasfor mazioni.

Tutto ciò perché la geometria euclidea, fondata sulla continuità della retta e del piano, è anche la base della matematica moderna, ovvero del concetto di limite. Spero nel seguito di continuare il discorso fino al Rinascimento e tempi successivi, espo nendo almeno la nascita della Fisica e dell’Analisi. Ritengo il volume attuale un manuale saggistico, che potrebbe essere destinato a persone di media cultura; inoltre, potrebbe essere usato nelle scuole in sostituzione dei manuali attuali o come loro integrazione e approfondimento.

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Indice

Capitolo Primo

1. Le radici della conoscenza scientifica. Filosofia e Matematica: Talete . . . . . . . . . . . . . . . .7

2. Pitagora e la nascita della Matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .8

3. Il Teorema di Pitagora e le sue conseguenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .10

4. Verità e Opinione. Le aporie del pensiero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13

5. Fecondita ̀ dell’Astrazione. Le forme geometriche e le idee platoniche . . . . . . . . . . . . . . .14

6. Importanza della scuola platonica. Eudosso e la proporzione tra grandezze 15

7. La Scuola di Aristotele. La Filosofia e le Scienze 17

8. L’Ontologia aristotelica. Matematica e Logica 18

9. Euclide e la sua opera classica sviluppatasi in Alessandria 19

Capitolo secondo

1. La Geometria di Euclide. Enti primitivi e Postulati 21

2. Le definizioni: segmenti e angoli. Angoli opposti al vertice: teorema . . . . . . . . . . . . . . . .22

3. Le figure piane. Loro definizione e caratteristiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25

4. Segmenti e angoli: uguaglianza e disuguaglianze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .27

5. I Triangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29

Primo criterio di uguaglianza

Secondo criterio di uguaglianza

6. Caratterizzazione dei triangoli isosceli. Teorema diretto e teorema inverso. . . . . . . . . . . .32

7. Terzo criterio di uguaglianza dei triangoli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .34

Osservazioni

8. Altezze, Mediane, Bisettrici di un triangolo 38 Teorema della bisettrice

9. Angoli interni e angoli esterni in un poligono 40 Teorema dell’angolo esterno

Capitolo terzo

1. Rette perpendicolari e rette parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .42

2. Angoli formati da due rette distinte con una trasversale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .43

3. Criteri di parallelismo di due rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .44

4. Conseguenze importanti del Criterio di Parallelismo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .48

Somma degli angoli interni di un triangolo Somma degli angoli interni e degli angoli esterni di un poligono

5. Disuguaglianze tra elementi di un triangolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .51

Teorema della disuguaglianza triangolare Criteri di uguaglianza semplificati

Capitolo quarto

1. I parallelogrammi. Loro definizione e proprieta ̀ 55 Criteri per riconoscere se un quadrilatero e ̀ un parallelogramma

2. Parallelogrammi particolari. 59 Cenni sui trapezi

3. Conclusione sui Parallelogrammi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .61

Osservazione importante

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Capitolo quinto

1. Distanze e proiezioni ortogonali. Definizioni 64

2. Luoghi geometrici 66

Asse di un segmento

La bisettrice di un angolo

3. La Simmetria nelle figure piane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .69

La simmetria assiale

La simmetria centrale

4. Assi e centro di simmetria di una figura piana. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .72 Simmetrie nei parallelogrammi. Trapezio isoscele.

Capitolo sesto

1. La circonferenza. Teorema di esistenza. Teoremi sulle corde . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .75

2. Il cerchio. Segmenti e settori circolari. Elementi corrispondenti. 79

3. Posizioni relative di rette e circonferenze. 80

4. Costruzioni geometriche. La geometria della riga e del compasso. 83

5. Angoli al centro e Angoli alla circonferenza. 87 Tangenti ad una circonferenza da un punto esterno ad essa.

Capitolo settimo

1. Poligoni inscritti e circoscritti ad una circonferenza... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .92 Punti Notevoli di un triangolo. Teorema del Baricentro.

2. Quadrilateri inscritti e circoscritti ad una circonferenza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .96

3. Poligoni regolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .99

Capitolo ottavo

1. Estensione superficiale delle figure piane. Equivalenza delle superfici . . . . . . . . . . . . . .107

2. Teoremi di equivalenza tra poligoni 109

1) parallelogramma e rettangolo; 2) triangolo e parallelogramma; 3) trapezio e rettangolo. Trasformazione di poligoni in altri equivalenti

3. Teoremi di Euclide e Pitagora. 113

Primo teorema di Euclide. Teorema di Pitagora. Secondo teorema di Euclide.

4. Applicazioni dei Teoremi di Euclide e Pitagora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .116

Quadratura dei poligoni. Espressioni metriche dei teoremi di Pitagora ed Euclide. Relazioni algebriche tra elementi di alcuni poligoni regolari

Biografia

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .121

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1. Le radici della conoscenza scientifica

Oggi si parla molto di scienza, tecnica, tecnologia, del valore di esse per il progresso del sapere e, soprattutto, della loro influenza sulla vita e sul benessere di tutti.

In particolare su quest’ultimo tema, nella attuale situazione di crisi pandemica si è acceso un intenso dibattito dagli accenti aspri, spesso violenti, con affermazioni molto contrastanti.

Da una parte il parere di scienziati (in primo luogo i virologi) che, in base ai loro studi ed osservazioni, affermano la forte pericolosità dell’infezione da Sars- Cov2; dall’altra, quello di chi ritiene che il pericolo sia sopravvalutato rispetto a quello di altre gravi malattie. Infine c’è chi sottovaluta del tutto il fenomeno, giungendo perfino a dubitare della realtà di esso. E’ ormai un anno che assistiamo allo scontro delle tesi più disparate.

La cosa che dovrebbe preoccuparci di più non è però la divergenza di opinioni tra esperti generici, giornalisti o politici, quanto piuttosto tra gli esperti nei diversi rami della scienza medica. Questo ci inquieta di più, poiché siamo portati a pensare che l’indagine scientifica di un fenomeno, pur se ancora incompleta, dovrebbe portare ad una convergenza di risultati che sfocino infine nella comprensione completa dello stesso.

Il progresso della scienza degli ultimi due secoli e le conseguenti applicazioni tecniche che hanno cambiato il mondo e la vita degli uomini ci induce a pensare così. Invece, la situazione attuale di confusione può farci dubitare dei metodi e del valore stesso della conoscenza scientifica, che ha avuto un inizio ed uno svolgimento nella storia dell’uomo.

Pertanto, ritengo oggi più che mai necessario fermarsi a riflettere sul significato della conoscenza scientifica, sui modi in cui essa è nata e si è sviluppata, sulle sue influenze (positive o negative) sullo sviluppo economico, sociale e culturale delle nostre società. Senza la pretesa di fare un discorso esaustivo, che esula dalle mie capacità, per il quale esiste una mole enorme di storia generale e specifica.

Conoscenza è la capacità propria dell’uomo di costruirsi una rappresentazione mentale delle cose percepite per mezzo dei sensi. Essa diviene scienza quando riesce a dare una spiegazione razionale dei caratteri distintivi dei vari oggetti e delle relazioni che intercorrono tra essi. Per ottenerla, il ragionamento deve essere svolto con il ricorso a figure e numeri, cioè ai concetti fondamentali della matematica: questa scienza è perciò l’ossatura di qualsiasi discorso scientifico (mathematica regina scientiarum, dicevano i nostri progenitori romani ).

La storia colloca la nascita del pensiero matematico assieme a quello filosofico nella Grecia antica, a partire dal VII secolo a.C.

Le basi materiali della matematica si possono far risalire alle necessità delle prime organizzazioni sociali riguardo gli scambi commerciali e le costruzioni civili e religiose. Sappiamo che le civiltà mesopotamiche ( Sumeri, Babilonesi ) avevano già sviluppato delle conoscenze matematiche e posto le basi dell’astronomia. Tali studi furono proseguiti nell’antico Egitto.

In quelle società il sapere era appannaggio dei sacerdoti, l’unica classe colta, che esercitava il potere insieme al Re; il Faraone era considerato Dio in terra, figlio di Ra.

Oltre agli scopi pratici di cui si è detto, l’astronomia, insieme alle pratiche rituali, serviva a conoscere il destino. Quindi, il sapere religioso serviva allo scopo fondamentale dell’esercizio del potere divino del Faraone sul popolo, per il suo benessere. Ciò si può considerare veritiero, se considerato con gli occhi della storia.

Caratteristica fondamentale della struttura della matematica orientale era quella empirica, cioè volta a risolvere problemi concreti, anche se c’era qualche sviluppo avanzato (ad es., un calcolo che approssimava rozzamente l’area di un cerchio).

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Per gli Egizi la linea retta era nient’altro che une fune tirata tra due paletti, il rettangolo la forma di un mattone. Euclide, molto tempo dopo, nei suoi Elementi dirà che linea retta è quella che congiunge due punti distinti, che però si può prolungare indefinitamente da entrambe le parti. Nel corso della storia si sono intrecciate le sorti di popoli diversi tramite i commerci, gli scambi e le guerre. Anche i popoli possono avere inclinazioni diverse, come gli individui. Il carattere dei Greci, che lo distingueva tra tutti gli altri, era incline alla speculazione, non soltanto commerciale, ma riflessiva. Cioè, essi erano portati non soltanto ad osservare il mondo così com’è, ma a chiedersi perché fosse così.

Talete (VII secolo a.C.) è il primo filosofo e matematico greco ; è annoverato tra i Sette Savi del mondo greco.

Nato a Mileto, colonia ionica dell’ Asia Minore (l’attuale Turchia) era un commerciante, perciò persona pratica, ma anche molto colta e curiosa.

Nei suoi viaggi di lavoro aveva appreso le conoscenze di matematica e astronomia dei popoli orientali, in particolare dai sacerdoti egizi. Conoscenze che poi sviluppò in modo originale.

La tradizione storica riporta un episodio in cui, durante un viaggio di ritorno in Egitto, Talete stupì i sacerdoti riuscendo a misurare l’altezza di una piramide servendosi soltanto di un bastone.

Piantato questo nel suolo in posizione verticale, egli misurò la lunghezza delle ombre rispettive della piramide e del bastone, proiettate a terra dal sole; conoscendo la lunghezza del bastone, ricavò l’altezza della piramide.

Il Nostro aveva intuito che un fascio di rette parallele (i raggi luminosi lo sono) interseca su rette trasversali segmenti le cui lunghezze stanno fra loro in proporzione aritmetica: è il famoso Teorema di Talete, su cui si fonda il concetto di similitudine geometrica.

La dimostrazione esatta di esso sarà data dai matematici greci successivi; resta però il fatto fondamentale che,per la prima volta, si fa uso dell’intuizione e della deduzione razionale nella geometria.

L’atteggiamento di Talete è quello dell’uomo che osserva le cose e cerca di spiegarsi la loro varietà e origine, ipotizzando un principio unitario o archè; per il Nostro è l’acqua, di cui è facile accertare l’esistenza nei diversi stati: liquido, solido (ghiaccio) e gassoso (vapore).

Anche se questo principio naturalistico si rifà ai miti orientali e greci della genesi del mondo, se ne allontana in quanto assunto come base per l’indagine del pensiero razionale e filosofico. Così, la Matematica nasce con la Filosofia; la stretta connessione tra le due discipline sta anche nelle radici etimologiche dei termini: in greco, màthema significa “scienza,conoscenza”; philosophia, “amore della sapienza”. Filosofo è colui che indaga la natura e se stesso con l’uso della ragione per amore della conoscenza. Vedremo la prolificità di questo atteggiamento negli ulteriori sviluppi.

2. Pitagora e la nascita della Matematica

Nato nell’isola di Samo nell’Asia Minore (di fronte all’attuale Turchia) nella prima metà del VI secolo a.C., Pitagora fu allievo di Anassimandro, filosofo della scuola ionica di Mileto fondata da Talete.

I filosofi di questa scuola furono definiti naturalisti , o meglio ilozoisti (dal greco: hylé, materia, e zoè, vita) poiché concepivano un principio (archè) unico come origine e spiegazione di tutte le cose.

Per Talete, come già detto, era l’acqua; per Anassimene, l’aria; per Anassimandro, l’apèiron, cioè l’indefinito o il non limitato, da cui le cose si separarono come coppie di contrari: luce-tenebre, notte-giorno, vita-morte, per dare origine all’universo o cosmo (dal greco kósmos, sistema ordinato).

Dalla Scuola di Mileto Pitagora imparò l’importanza della filosofia e le prime nozioni di matematica. Viaggiò poi tra Egitto e Babilonia, dove apprese le conoscenze matematiche e astronomiche di quei popoli; probabilmente fu influenzato dalle concezioni mistico -religiose di essi. Infine, verso il 530 a.C., si stabilì a Crotone in Calabria, che allora era una fiorente città della Magna Grecia.

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Lì fondò la sua Scuola di filosofia, che continuò l’attività anche nei secoli successivi.

La scuola di Pitagora aveva le caratteristiche di una setta religiosa, di carattere elitario; sembra che vi fossero ammesse anche le donne. L’insegnamento era impartito dallo stesso Pitagora e da alcuni maestri; i membri della scuola erano tenuti a mantenere la segretezza sugli aspetti più importanti delle dottrine che apprendevano.

Un concetto fondamentale nella dottrina pitagorica è la metempsicosi, cioè la trasmigrazione dell’anima da un corpo ad un altro. L’uomo era caduto dal Cielo sulla Terra per una colpa originaria, perciò alla morte del corpo l’anima era condannata a reincarnarsi in un altro di grado inferiore, anche animale o vegetale, iniziando così un ciclo più o meno lungo di purificazione .

Per l’uomo è possibile ottenere la purezza usando l’intelletto per coltivare la conoscenza e contemplare la verità, che sola può ricondurlo allo stato divino prima della caduta.

Da questa concezione deriva direttamente che egli , tramite la ricerca filosofica, si avvicina alla sapienza degli dèi; la condizione più desiderabile per l’uomo è perciò quella del filosofo, ovvero del matematico Infatti, per Pitagora i numeri sono l’essenza costitutiva dell’universo.

Nella concezione del Nostro e dei suoi seguaci, i numeri interi sono punti geometrici di estensione piccolissima, come gli atomi. Dall’unione di essi si hanno le forme geometriche, le cose con le loro caratteristiche e l’universo intero.

I pitagorici rappresentavano i numeri con punti o ciottoli sulla sabbia, disposti in modo da evidenziarne la natura. Ci sono così numeri triangolari : 1,3, 6, 10,..; quadrati: 1, 4, 9, 16,...; ed infine pentagonali ed esagonali

Dalla loro rappresentazione geometrica deducevano le loro proprietà e regole di calcolo. (*)

Il dieci è un numero privilegiato, essendo la somma dei primi quattro interi, detto anche Tetraktys; quattro sono gli elementi: fuoco, aria, acqua, terra. Il numero 1 rappresenta il punto, il 2 la linea, il 3 la superficie ( il triangolo), il 4 lo spazio solido (il tetraedro, la piramide con 4 facce triangolari regolari). Per la sua importanza centrale nelle concezioni della scuola, i discepoli prestavano giuramento sulla sacra Tetraktys Per la stretta relazione tra i numeri interi e le forme geometriche la matematica pitagorica si chiama aritmo-geometria.

I numeri interi ed i loro rapporti m:n sono la base di tutte le cose. Così, per l’acustica Pitagora riuscì a spiegare l’origine dei suoni e le loro differenze qualitative studiando la vibrazione di una cordicella tesa fra i due punti estremi di una cassa di risonanza che poggiava su un terzo punto ( o ponticello) mobile : aveva costruito il primo monocordo, o kanon. Fissando il punto di mezzo della corda sul ponticello, il suono emesso è dello stesso tipo di quello prodotto dalla corda intera, ma più acuto. Infatti , è di frequenza doppia: le due note differiscono di un’ottava. Suddividendo ancora tramite il ponticello la corda nel rapporto 3:2, si ha che la parte più breve emette un suono che differisce da quello fondamentale di una quinta, e così via.

In tal modo si gettarono anche le basi della musica e si costruì la prima scala musicale Il suono venne associato anche al movimento dei corpi celesti.

I pitagorici concepivano l’universo formato da dieci corpi che ruotano con moto circolare uniforme intorno ad un corpo fisso centrale: Hèstia, il Fuoco. Essi sono, nell’ordine, la Luna, il Sole, la Terra, gli altri cinque pianeti allora conosciuti: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, più l’Antiterra (che noi non vediamo) posta tra Hèstia e la Terra.

Il tutto è racchiuso dalla sfera delle Stelle Fisse, che ruota anch’essa intorno al centro.

Nel loro moto di rotazione, tanto più veloce quanto più il corpo è distante dal centro, i corpi emettono suoni di frequenza variabile che si armonizzano tra loro: è l’armonia delle sfere celesti costituenti il cosmo, immutabile ed eterna. Il nostro orecchio non la percepisce poiché vi siamo abituati dalla nascita.

Come si vede, i numeri fondano anche l’astronomia pitagorica.

Da quanto detto si può dedurre che, pur avendo la scuola un carattere ancora mistico -religioso, riuscì ad andare oltre le precedenti cosmogonie orientali, affermando che la realtà è aperta alla comprensione dell’intelletto umano che usa la logica e la deduzione razionale.

Per inciso, l’aritmetica, la geometria, l’astronomia e la musica costituirono il quadrivio delle arti liberali nel percorso di formazione culturale dell’uomo in tutto il Medioevo.

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3. Il Teorema di Pitagora e le sue conseguenze

Come già detto, i pitagorici concepivano un segmento come un allineamento di punti discontinuo, perché il punto era considerato come un atomo. Definivano due segmenti commensurabili tra loro se essi ammettevano un segmento come sottomultiplo comune, cioè se:

AB=m·OU , CD=n·OU ; allora ne deriva:

AB / CD = m/n, dove : m , n sono numeri interi.

E’ la nostra definizione di numero frazionario, o razionale, che per i pitagorici non esisteva.

Per essi avevano significato esistenziale soltanto i numeri naturali, cioè gli interi, ed i loro rapporti nelle grandezze geometriche, come:

AB : CD = m : n .

Questa concezione fu messa in crisi proprio da una delle loro maggiori scoperte, il famoso teorema sul triangolo rettangolo.

Anche se di questo c’è qualche concezione primordiale nella matematica dei popoli orientali (i Babilonesi, sembra), fu Pitagora che per primo ne intuì la validità generale, anche se la dimostrazione rigorosa di esso si ebbe successivamente con Euclide.

Secondo il teorema, esistono terne pitagoriche, cioè numeri interi a, b,c tali che:

BC2 = AC2 + AB2

BC = a B

AC = b a2 = b2 + c2

AB = c a c A b C

“il quadrato costruito sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti”.Per esempio, nel caso della terna fondamentale: a = 5, b =4, c = 3, i segmenti AB, AC stanno rispetto a BC nei rapporti : AB / BC = 3/5 , AC / BC = 4/5 . Ciò significa che, posto : OU=1, si può scrivere: AB=3·OU , AC=4·OU , BC=5·OU, cioè i tre lati del triangolo rettangolo hanno OU come sottomultiplo comune. In generale però non è così. Nel caso in cui i cateti del triangolo rettangolo siano uguali: AB = AC, cioè il triangolo sia anche isoscele, perciò uguale alla metà del quadrato di lato AB e diagonale BC, il teorema ci dà: BC2=AB2+AC2= 2·AB2 , ovvero: a2=2b2 , da cui : (a/b)2= 2 .

Il problema è allora quello di trovare due interi : a, b il cui rapporto al quadrato deve essere 2. Supponiamo che il rapporto (la frazione) sia ridotto ai minimi termini; perciò almeno uno dei due numeri sarà dispari (se fossero entrambi pari, si potrebbe semplificare la frazione). Poiché: a2=2b2, il numero a 2 sarà pari; allora lo sarà anche la sua radice quadrata, a, che potremo esprimere come: a=2m . Elevando alla seconda potenza si otterrà: a2=4m2 , e, per l’uguaglianza precedente si avrà: 4m2=2b2 , da cui, dividendo per due si ottiene: b 2=2m2, per cui il numero b2 deve essere pari; pertanto lo sarà anche la sua radice, b, per cui potremo scrivere : b=2n. Allora siamo arrivati alla conclusione che entrambi i numeri a, b sono pari, contro l’ipotesi iniziale Dovremo quindi affermare che la tesi che esistano due numeri interi tali che il quadrato del loro rapporto

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sia 2 è falsa. Ovvero, che il rapporto tra diagonale e lato del quadrato non è razionale: cioè, non esiste un sottomultiplo comune alle due grandezze, che si dicono perciò incommensurabili .

Il rapporto: a/b = 2, è irrazionale; per i pitagorici àlogos, inesprimibile. Questo risultato minava le basi della loro dottrina. Ne vedremo le conseguenze nella discussione sulla continuità in geometria e sul movimento. La dimostrazione algebrica per assurdo riportata si trova così sui testi per il biennio delle superiori; essa ricalca quella discorsiva dei pitagorici, basata sulla contrapposizione tra il pari ed il dispari

(*)Approfondimenti

Per costruire i numeri triangolari, si parte dal primo, che è l’1; si aggiungono, su una seconda riga sotto di esso, due punti, a sinistra e a destra, in modo da avere: 1+2=3 punti. Su una riga successiva si aggiungono tre punti, due lungo i lati di un triangolo equilatero, il cui vertice è nel primo punto, ed uno al centro: 1+2+3=6; ancora, aggiungendo una riga: 1+2+3+4 =10, e così via. · · · · · · · · · · 1 3 6

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Codesta costruzione corrisponde, nel linguaggio della matematica moderna, alla progressione: 1=1, 1+2=3, 1+2+3=6, 1+2+3+4=10, …, 1+2+3+…+(n-1)+ n = n (n+1)/2 , nella quale l’n-simo termine è la somma dei primi n numeri interi. Il suo valore si può ottenere osservando che la suddetta somma può essere scritta in due modi, secondo l’ordinamento crescente o decrescente di n (indichiamo con tn l’ennesimo numero triangolare) : tn=1+ 2+ 3+…+(n-1)+n tn=n+(n-1)+(n-2)+… 2+ 1 Osserviamo che la somma di ogni coppia di numeri corrispondenti (di ugual posto) nelle due uguaglianze è: n+1; inoltre, essa si ottiene n volte, per cui, sommando le due uguaglianze termine a termine, si deduce la nuova uguaglianza: 2·tn=n·(n+1), da cui, dividendo per 2 si ricava: tn = n(n+1)/2 . Quindi, “un numero triangolare tn è la somma dei primi n numeri interi”. I numeri quadrati si rappresentano nel seguente modo: · · · · · · · · · · · · · · 1 4 9

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Si ha così la successione dei quadrati dei numeri naturali: 12=1 , 22=4 , 32=9 , 42=16 , …., n2, (n+1)2, … 11

Se, partendo dal primo, “si racchiude” ogni quadrato con una linea formata da due segmenti tra loro perpendicolari , quindi si aggiungono 2·n punti su due linee parallele ai segmenti precedenti più 1 punto al loro incrocio, si passa dal quadrato del numero n al quadrato del successivo n+1; con l’algebra di oggi si scriverebbe: (n+1)2= n2+2n+1 .

Osserviamo che i due segmenti perpendicolari formano una squadra , detta in greco gnomone.

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4. Verità e opinione. Le aporie del pensiero

Come abbiamo detto, la filosofia nasce con Talete come tentativo di spiegare per mezzo di un principio unico, l’arché, l’origine e il divenire delle cose del mondo, cioè la natura o physis. Fin dal principio, il processo razionale del pensiero, il logos, è strettamente intrecciato con il discorso matematico. Nella concezione di Pitagora i numeri interi e le loro relazioni, cioè i loro rapporti, costituiscono l’essenza delle cose e ne spiegano lo stato ed il mutamento, il divenire. Abbiamo visto però che la dottrina pitagorica incontra una grave contraddizione interna, scoprendo che il rapporto tra la diagonale ed il lato del quadrato non è razionale, è a-logos. Questo risultato non è ammissibile, se un qualsiasi segmento di retta è concepito come un allineamento discreto (discontinuo) di punti-atomo vicinissimi, ma distinti.

Bisognerà postulare allora che la successione di punti che formano il segmento sia continua, ovvero che tra due punti qualsiasi ce n’è sempre un altro.

Questo concetto entra nella geometria con i celebri paradossi del filosofo Zenone di Elea e la caratterizzerà da allora in poi come scienza dello spazio continuo, a differenza dell’aritmetica, basata sulla discontinuità del numero.

Zenone era discepolo di Parmenide, fondatore della scuola di Elea, importante città della Magna Grecia, chiamata poi Velia in epoca romana; oggi è Ascea, in provincia di Salerno, nel Parco nazionale del Cilento.

Parmenide ebbe qualche maestro pitagorico, ma poi si distaccò nettamente dalla dottrina di questi. Scrisse un poema in esametri, Sulla Natura, di cui sono rimasti pochi frammenti: è il primo scritto filosofico, il cui contenuto si ricava dalle citazioni e commenti di autori successivi.

In esso, il maestro ci narra di essere stato condotto in un viaggio immaginario alla dimora di Dike, dea della Giustizia, la quale gli insegna a distinguere la via della Verità ( alètheia , in greco) da quella dell’Opinione (doxa) comune dei mortali, che è ingannevole.

La Verità consiste nel negare la mutevolezza delle cose, oltre le quali c’è soltanto l’Essere, uno, immutabile, indivisibile ed eterno: l’Essere è, il non-Essere non è. Questa affermazione significa che “niente ha origine dal niente”. Mediante il principio logico di non-contraddizione, la ragione ci rivela l’esistenza e le caratteristiche dell’Essere: non possono esserci due Esseri poiché, se uno è l’Essere, l’altro sarebbe non-Essere; se fosse divisibile, ammetterebbe il non-Essere come separatore; e così via. Anzi, la ragione ci dice che pensare ed essere sono la stessa cosa. Quindi il divenire, i mutamenti delle cose percepite dai sensi, sono mera apparenza.

Allo scopo di difendere la dottrina del maestro dalle critiche, Zenone elaborò dei discorsi per negare la molteplicità ed il movimento, noti come paradossi.

Il nome è composto dalle due radici greche: para, contro e doxa, opinione; il significato è perciò: “discorso che contrasta l’opinione comune”.

Il più famoso e ricordato è senz’altro il paradosso di Achille e la tartaruga, così concepito.

In una gara di corsa, che si svolge su un percorso da un punto iniziale A ad uno finale B, Achille concede un vantaggio alla tartaruga, che parte davanti a lui da un punto L1 . Dopo un tempo t1 Achille arriverà nel punto di partenza della tartaruga, che nel frattempo si sarà spostata per occupare un punto successivo L2 ; dopo un tempo t2 Achille giungerà in L2, mentre la tartaruga sarà in L3, e così via.

Cioè, la tartaruga si troverà sempre avanti, anche se di uno spazio che si riduce continuamente, all’infinito.

Per cui il pié-veloce Achille non riuscirà mai a raggiungere la tartaruga. A L1 L2 L3 L4 B

t1 t2 t3 t4….

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Come si vede, il ragionamento implica l’infinita divisibilità dello spazio e del tempo; ma se il segmento AB è divisibile all’infinito, allora tra due punti, per quanto prossimi, ne esiste sempre un altro:quindi il segmento è continuo

Un altro paradosso afferma che, se esiste un essere molteplice, esso è composto di un numero finito di unità; ma, poiché tra due cose vicine ce n’è sempre una terza, allora il molteplice sarebbe composto di infinite unità. Inoltre, se le suddette unità non hanno estensione, allora la grandezza del molteplice è nulla (la somma di infiniti zeri è zero); se invece ogni unità ha una pur minima estensione, allora la molteplicità ottenuta per somma è infinita.

Al di là della loro originaria funzione polemica, i paradossi di Zenone costituiscono delle vere e proprie aporie logiche per la matematica,che hanno trovato una soluzione soltanto nel calcolo infinitesimale; in particolare, nelle teorie di Cantor e Dedekind del XIX secolo d.C. Zenone è ritenuto il fondatore della dialettica, l’arte di condurre il discorso ragionato; è anche il primo che fa uso del metodo della dimostrazione indiretta o per assurdo. Lo capiremo meglio parlando di Euclide.

5. Fecondità dell’Astrazione. Le forme geometriche e le idee platoniche

La storia della matematica greca viene generalmente suddivisa in due periodi: il primo, quello classico, che va dal 600 al 300 a.C.; il secondo, detto ellenistico, dal 300 a.C. al 600 d.C. Nel primo periodo, la matematica nasce e si sviluppa insieme alla filosofia dal desiderio di spiegare razionalmente l’origine e la natura delle cose. Ricercando le caratteristiche comuni e immutabili nella molteplicità e diversità degli oggetti, i primi pensatori svilupparono l’astrazione (in latino: abs tràhere, tirar fuori), creando i concetti con l’intuizione e collegandoli con la deduzione logica.

Così i numeri e le figure geometriche vengono distinti (astratti) dalle cose fisiche cui si riferiscono: essi vengono scoperti, non modellati in base all’osservazione sensibile o inventati ad arte.

La natura astratta dei concetti matematici viene affermata esplicitamente nel pensiero filosofico di Platone, per il quale gli enti, le cose esistenti, sono rappresentazioni imperfette delle idee, che costituiscono la vera realtà. Queste sono assolute e trascendenti rispetto all’esperienza, conoscibili soltanto tramite l’intuizione razionale: qui si può ritrovare la coincidenza di pensiero ed essere enunciata precedentemente da Parmenide.

Per il Nostro, le idee sono uniche in sé, ma anche connesse tra loro nelle relazioni che determinano ogni oggetto sensibile con le sue varietà; in questo modo, egli risponde alla necessità di spiegare la molteplicità e il divenire continuo delle cose, affermato dalla filosofia di Eraclito di Efeso. Partendo dalle proprietà dell’oggetto, il filosofo può svolgere un discorso argomentato che riconduce il particolare alla sua forma universale, cioè all’idea. In ciò consiste il metodo dialettico, discussione basata sul confronto fra due tesi (affermazioni) contrapposte, ritenute ugualmente valide per ipotesi: una sola delle due sarà dimostrata vera per il principio logico di non contraddizione

Nato ad Atene nel 428 a.C. da genitori aristocratici, Platone viaggiò molto nella Magna Grecia. Da giovane conobbe e frequentò diversi filosofi, in particolare Teodoro di Cirene e Archita di Taranto, entrambi pitagorici.

Fu allievo di Socrate, inventore dell’arte del dialogo per la ricerca della verità. Poiché questi metteva in discussione qualsiasi affermazione, anche quelle comunemente accettate della tradizione mitica e religiosa, fu accusato ingiustamente di empietà e condannato a morte nel 399 a. C. Socrate accettò la condanna, poiché insegnava ai suoi allievi che le leggi dello stato si possono criticare se si ritengono ingiuste, ma vanno rispettate.

Platone scrisse la famosa Apologia di Socrate; in essa rappresentò il maestro in prigione che parlava con serenità ai discepoli, esortandoli a continuare nello studio.

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Egli non poteva rinnegare i suoi insegnamenti per evitare l’esecuzione della condanna; anzi, accettandola, testimoniava con la morte la giustezza del suo agire, ispirato dalla voce divina (il dàimon) che sentiva dentro di sé.

Ovvero la coscienza, la voce dell’anima immortale che è in noi.

Trascorsa così l’ultima notte e confortati i discepoli, bevve la cicuta.

Questo avvenimento segnò in modo profondo Platone, che iniziò la costruzione del suo pensiero ispirandosi al maestro, posto al centro di molte delle sue opere scritte, i celebri Dialoghi Nel 387 a.C. fondò la sua scuola di filosofia, la famosa Accademia, così denominata dal luogo ove sorse, che ricordava l’eroe ateniese Academo.

Essa fu uno dei massimi centri culturali del mondo antico, durato oltre nove secoli; fu chiusa nel 529 d. C. da Giustiniano I, quando il Cristianesimo divenne religione di stato per l’impero bizantino.

Per far capire quanto Platone ritenesse fondamentale la Matematica, sulla facciata della scuola fece scrivere: Non entri qui chi non sa di Geometria Nel dialogo La Repubblica c’è una parte in cui discute quali siano le arti e le scienze più adatte all’educazione dei giovani, che inizia con la ginnastica (disciplina del corpo) e la musica

Le scienze migliori sono l’Aritmetica e la Geometria: esse sono sì utili nei commerci e nell’arte militare, ma soprattutto elevano l’uomo al grado di conoscenza più alto.

Per Platone le idee sono innate, essendo state presenti nell’anima in una vita precedente; vengono poi dimenticate dopo la reincarnazione dovuta alla metempsicosi (concetto pitagorico).

Pertanto la conoscenza si ottiene con l’anamnesi, lo sforzo di ricordarle, di riportarle alla luce. E’ affascinante il brano del Menone in cui Socrate interroga uno schiavo ignorante sul problema della duplicazione del quadrato di lato assegnato ; conducendo il discorso con domande opportune, che prevedono soltanto risposte affermative o negative, porta infine lo schiavo a concludere che il quadrato di superficie doppia è quello che ha per lato la diagonale del quadrato di partenza. Osserviamo che questo problema è proprio quello che esprime l’irrazionalità del rapporto tra la diagonale ed il lato del quadrato, che aveva messo in crisi la scuola pitagorica. Lo svolgimento del dialogo ha pure un tono brioso ed ironico, come è quasi sempre negli scritti di Platone, che sono anche opere di alto valore letterario.

6. Importanza della scuola platonica. Eudosso e la proporzione tra grandezze

La scuola platonica contribuì alla geometria migliorando le definizioni, ma soprattutto la dimostrazione delle proprietà delle figure per mezzo del procedimento della deduzione logica. Un suo allievo, Teeteto (il cui nome dà titolo ad un dialogo), fece un lavoro sugli irrazionali; il maggior progresso su questo argomento è però dovuto all’opera di Eudosso. Nato nel 408 a.C. a Cnido, città dorica dell’Asia Minore, anche questi si recò in Egitto per proseguire i suoi studi di matematica e astronomia. Tornato ad Atene, si unì all’Accademia nel 368. Poi tornò in patria, dove fece costruire un osservatorio astronomico. Morì nel 355 a.C. Allievo di Archita di Taranto, Eudosso fu il più grande matematico del periodo classico, secondo soltanto ad Archimede per gli storici. Introdusse i concetti fondamentali di: grandezza geometrica ( segmento, angolo, area, volume ), rapporto tra grandezze omogenee e proporzione, come uguaglianza tra due rapporti. Date due coppie di grandezze dello stesso genere, ad esempio: (A, B) appartenente all’insieme dei segmenti; (A, C) a quello degli angoli, si può scrivere: (1) A: B = C: D , ovvero : (1’) ! ! = ! !

che si legge: “A sta a B come C sta a D”, se il rapporto tra due elementi del primo insieme è uguale al rapporto dei due elementi corrispondenti del secondo insieme.

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Nella definizione non si fa riferimento alla misura della grandezza, che sarà data dal rapporto di essa rispetto ad un elemento dello stesso insieme, scelto come campione; si dirà cioè: mis (A) = ! !! , dove !! è il campione scelto come unità di misura della grandezza A ; ad esempio, per la lunghezza (segmento) si può scegliere come campione il centimetro oppure il pollice (feet), ottenendo così due diversi sistemi di unità di misura. Si noti però che i rapporti definiti nella (1’) sono adimensionali, sono cioè numeri puri, indipendenti dalle unità di misura che si vogliano scegliere per le grandezze geometriche (o fisiche). Dall’uguaglianza dei rapporti tra le grandezze A, B, C, D deriva poi quella tra i numeri che esprimono la loro misura : a, b, c, d, cioè :

(2) a: b = c: d , da cui si ha : (3) a·d =b·c ;

“affinché quattro numeri costituiscano una proporzione numerica (2), è necessario e sufficiente che il prodotto degli estremi sia uguale a quello dei medi”. Se non si conosce uno di essi , ad esempio se : d = x , si ottiene l’equazione di primo grado: (4) a·x = b·c ; risolvendola, si ricava il termine incognito tramite il rapporto : (5) x = ! ! ! .

Ora, può accadere che due grandezze A, B siano commensurabili, cioè ammettano un sottomultiplo comune: in questo caso il loro rapporto è un numero razionale. Oppure, le due grandezze non hanno un sottomultiplo comune, quindi sono incommensurabili : in questo caso il loro rapporto è un numero irrazionale (in greco: álogos, “non pensabile”, “quindi “non razionale”) come nel caso della diagonale e del lato del quadrato, per cui: ! ! = ! Scrivendo l’uguaglianza (1), o meglio la (1’) senza riferimento esplicito alla misura, Eudosso evita la definizione esplicita del numero irrazionale, ma afferma che esiste sempre un rapporto tra due grandezze omogenee: quindi riconosce la continuità degli enti geometrici (segmento, retta, piano) rispetto alla discontinuità propria dei numeri dell’aritmetica.

L’opera di Eudosso sulla proporzione tra grandezze verrà poi inserita nel libro V degli Elementi di Euclide, influenzando tutto lo sviluppo successivo della Geometria. Ricordiamo ancora che il Nostro affermò in maniera ancora più esplicita dei suoi predecessori l’importanza della deduzione logica delle proprietà delle figure (cioè, la dimostrazione dei teoremi) sulla base di poche affermazioni iniziali, gli assiomi, definite e accettate come vere. Inoltre, fondò il cosiddetto metodo di esaustione per la determinazione di aree e volumi, che sarà poi sviluppato magistralmente da Archimede.

Quando, molti secoli dopo – nel nostro Ottocento – si approfondirà la natura degli irrazionali, verrà definito l’insieme dei numeri reali, costituito dall’unione dei razionali e degli irrazionali. Si riconoscerà la continuità di codesto insieme e la sua corrispondenza biunivoca con i punti della retta geometrica, base per la costruzione della Geometria Analitica e dell’Analisi Matematica.

*da : ìper=sopra, e oìranios=celeste; il mondo delle idee è posto al di là del cielo. Urano è una divinità primitiva del pantheon greco.

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7. La scuola di Aristotele. La filosofia e le scienze.

Prima allievo, poi collega di Platone, fu l’altro grande filosofo del periodo classico, Aristotele. Nato nel 384 a.C. a Stagira, città della Macedonia, da ragazzo visse alla corte del re Aminta III a Pella, capitale del regno. Suo padre era ospite e medico personale del re; probabilmente, assistendolo nelle dissezioni anatomiche, cominciò ad interessarsi alla biologia ed alla fisica. Rimasto orfano in tenera età, Aristotele dovette trasferirsi in Asia Minore presso un tutore; questi lo inviò nel 367 ad Atene, perché studiasse nell’Accademia di Platone. Quando vi entrò, l’Accademia era diretta da Eudosso di Cnido, poiché Platone si trovava a Siracusa, ospite di Dione, un parente del tiranno Dionigi I, al quale il Maestro voleva far capire che la politica, quindi i governanti, dovesse essere ispirata dalla sapienza dei filosofi. Purtroppo, la storia si concluse male. Dopo una parziale accettazione dei suoi consigli, Platone fu scacciato dal tiranno e fatto vendere come schiavo. Fu poi riscattato, ed infine tornò ad Atene tre anni dopo.

Aristotele iniziò studiando per tre anni Matematica, per continuare poi con la Dialettica. Trascorse circa vent’anni all’Accademia; ne uscì nel 347, dopo la morte del maestro e collega. Tornato in Asia Minore, insieme all’allievo Teofrasto fondò una nuova scuola ispirata al modello platonico, prima ad Asso, poi a Mitilene sull’isola di Lesbo. Qui insegnò fino al 342, quando fu chiamato a Pella dal re Filippo II come precettore del figlio Alessandro, al quale trasmise i fondamenti della cultura greca, a partire da Omero.

Divenuto Alessandro reggente, Aristotele tornò a Stagira; infine, nel 335 si trasferì ad Atene, dove fondò la sua scuola denominata Liceo perché istituita in un ginnasio sacro ad Apollo Licio Siccome il ginnasio aveva un giardino che vi girava intorno delimitato da un colonnato, in parte coperto, nel quale il maestro e gli allievi discutevano camminando, la scuola divenne famosa con il nome di Perìpato (dal greco perìpatòs, la passeggiata).

Circa le abitudini della scuola sappiamo che i pasti venivano consumati in comune, secondo l’usanza dei pitagorici; ogni mese si teneva un simposio, con il giudizio finale guidato dal maestro. Le lezioni e le discussioni si tenevano durante la mattina. Nelle ore serali Aristotele teneva conferenze aperte a tutti i cittadini su argomenti di politica e retorica, ritenuti di pubblico interesse. Alla morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C., si rinfocolò l’astio verso i macedoni ed i meteci, gli abitanti che non avevano la cittadinanza ateniese, tra i quali era lo stesso Aristotele. Così il maestro tornò a Calcide sull’isola di Eubea, dove morì l’anno dopo.

Vastissima è l’opera di Aristotele, che intende la filosofia come ricerca delle cause degli oggetti di studio di tutte le scienze, distinte secondo tre tipi.

Teoretiche, scienze che cercano la verità: matematica, fisica, scienza naturale (biologia),metafisica; produttive (o poietiche): poesia, musica, architettura; pratiche (da pràxis), che riguardano l’agire umano: etica, politica, economia. La logica, la scienza del lògos, è preliminare a tutte le scienze teoretiche.

Le opere di Aristotele furono riunite in forma di trattati da Andronico di Rodi nel I secolo a.C.; i libri che trattano l’ontologia, filosofia dell’essere in quanto tale, furono posti dopo i libri di Fisica. Perciò è invalso l’uso del sostantivo metafisica ( dal greco: metà ta physikà, dopo la fisica) in luogo di ontologia.

Caratteristica fondamentale dell’opera complessiva di Aristotele è la sistematicità: ogni branca del sapere scientifico è inquadrata e sviluppata in modo autonomo, anche se riconnessa con l’impostazione generale dell’indagine filosofica, cioè razionale.

Per esempio, la Biologia è impostata come descrizione degli esseri viventi, animali e vegetali, classificati per specie in base alle caratteristiche anatomiche ed all’habitat

A questo metodo di classificazione si ispirerà Linneo per introdurre la nomenclatura binomiale di genere e specie agli inizi del Settecento.

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Gli studi di biologia sono contenuti nei libri della Fisica; infatti, la Physis è la scienza della natura e del divenire, quindi del mutamento e del movimento dei corpi.

Ogni cosa è composta da una miscela diversa dei quattro elementi, già ipotizzati dai filosofi naturalisti (in particolare, da Empedocle): Terra, Aria, Fuoco e Acqua. Ognuno di questi partecipa di due qualità o attributi della materia: caldo (fuoco, aria), freddo (terra, acqua), umido (aria, acqua), secco (terra, fuoco). Inoltre, ogni elemento tende al suo luogo naturale: il basso per la terra e l’acqua, l’alto per il fuoco e l’aria.

La Terra come corpo celeste è posta al centro del Cosmo (Universo); al di fuori di essa c’è l’etere (la quinta essenza), privo di massa, invisibile, eterno ed immutabile. In esso, su sfere concentriche alla Terra, si muovono gli altri corpi; nell’ordine: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Infine, il cielo delle stelle fisse, che dà origine al moto dei corpi celesti sottostanti, e perciò è chiamato anche primo mobile. Poiché ogni movimento deve avere una causa, il moto di questo cielo è originato direttamente da Dio, che è il Primo Motore Immobile, l’Essere eterno da cui tutto dipende.

8. L’Ontologia aristotelica. La Matematica e la Logica.

La concezione aristotelica del Cosmo si presentava naturalmente come la più adatta alla religione cristiana, ponendo la Terra e quindi l’uomo al centro del Creato. Pertanto, fu fatta propria dalla filosofia Scolastica e costituì l’immagine del mondo fino alla nuova teoria di Copernico e Galilei.

La più completa rappresentazione di essa, allo stesso tempo filosofica e poetica, si trova nella Divina Commedia del grande fiorentino, apolide e universale, Dante Alighieri, il padre della nostra lingua.

L’Universo è finito; così anche lo spazio, percepito tramite lo spostamento in esso delle cose ; lo stesso movimento fonda l’intuizione del tempo, che distingue una successione di posizioni.

Senza il movimento non è neppure pensabile lo spazio, per cui il Nostro rifiuta l’idea del vuoto (che corrisponderebbe al non-essere).

La base dell’indagine filosofica di Aristotele sta nel modo diverso, rispetto a Platone, con il quale si sforza di conciliare il rapporto dell’Essere eterno e immutabile di Parmenide con il Divenire incessante degli enti di Eraclito.

Egli introduce il concetto di sostanza, o materia, di cui tutte le cose sono costituite, e di forma che ognuna di esse assume nella sua specificità: pertanto rifiuta l’idea trascendente di Platone.

Un ente (òntos, ciò che è, esiste) è parte della materia che ha in sé la propria possibilità di sviluppo, la potenza che si tramuta in atto: perciò, la forma è immanente alla materia.

Per esempio, il seme ha in sé la propria forma in potenza, che poi si svilupperà nel fiore o nell’albero adulto. Non c’è più bisogno del Demiurgo (teorizzato da Platone nel Timeo), il divino operaio che costruisce il mondo materiale trasferendo l’idea universale nell’ente particolare. La diversità fondamentale tra le due concezioni della realtà è espressa in modo profondo ed icastico nel sublime affresco di Raffaello Sanzio, La Scuola di Atene, dove si vedono affiancati i due grandi filosofi: Platone con l’indice della mano destra rivolto al cielo, Aristotele con il palmo della mano verso il basso, la terra. Essi stanno al centro della scena, a testimoniare la complementarità delle loro concezioni nell’interpretazione dell’arte rinascimentale. Ai lati, vi sono raffigurati i filosofi e matematici dell’antichità: Parmenide, Eraclito, Euclide, Pitagora, Plotino; inoltre, gli Dèi simbolo della sapienza e delle arti, come Atena ed Apollo. Secondo il costume dell’epoca, ogni personaggio ha il volto di una persona storica famosa: ad esempio, Platone ha l’aspetto di Leonardo da Vinci. Il significato di questo dipinto va anche oltre le intenzioni dell’autore: si può dire che tutto lo sviluppo successivo del pensiero razionale dell’Occidente poggia le sue basi sulle diverse dottrine dei due grandi Maestri e sull’opera dei Matematici con essi rappresentati.

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Sebbene privilegi la materia concreta, Aristotele deriva comunque le caratteristiche universali degli enti fisici mediante l’astrazione. In tal modo, la Matematica si occupa di concetti astratti dall’osservazione dei corpi, cioè i numeri e le figure geometriche.

Il nostro introduce, in un modo molto prossimo a quello moderno, il concetto di definizione: è una proposizione che ci descrive una cosa, ma non ci assicura che questa esista. Da qui deriva l’esigenza di partire dall’introduzione di termini non definiti, cioè non ricavati da altri.

Essi vengono accettati come verità generalizzate dall’esperienza e sono di due tipi: assiomi, verità comuni a tutte le scienze; postulati, principii primi di ogni singola scienza.

I postulati non devono essere necessariamente auto evidenti: la loro verità deve essere confermata dalle conseguenze che se ne possono dedurre.

In Geometria, esistono punti e rette; il punto è indivisibile (come un istante di tempo) ed ha una posizione spaziale: perciò, non può essere continuo con un altro punto e nessuna accumulazione di punti può dare una retta, che può essere invece generata dal moto di un punto nello spazio: questa è una definizione cinematica.

Riguardo al concetto di infinito, Aristotele distingue tra infinito potenziale e infinito attuale, riconoscendo però soltanto la validità del primo. Ad esempio, i numeri interi sono potenzialmente infiniti, poiché è sempre possibile aggiungere 1 ad un qualsiasi numero, ottenendo il successivo; però l’insieme degli interi come infinito in quanto tale non esiste. La maggior parte delle grandezze non può neppure essere potenzialmente infinita; se lo fosse, sommandone una a se stessa ripetutamente si supererebbe il confine dell’universo.

La maggiore realizzazione di Aristotele fu la fondazione della Logica, modellata sul ragionamento matematico. Gli assiomi fondamentali di essa sono: 1) il principio di identità, per cui ogni cosa è uguale a se stessa (A = A); 2) il principio di non-contraddizione, per cui una cosa non può essere uguale alla sua negazione (A non è non-A); 3) il principio del terzo escluso, per cui ogni affermazione deve essere o vera o falsa (tertium non datur). Questi tre principii sono il cuore della logica formale e costituiscono il metodo della dimostrazione deduttiva. Sul terzo, in particolare, si basa il metodo della dimostrazione indiretta o per assurdo. Su queste basi costruì pure il sillogismo, argomentazione (dimostrazione) dal generale al particolare.

9. Euclide e la sua opera classica, sviluppatasi in Alessandria

Tutta la matematica greca del periodo classico fu raccolta nelle opere di Euclide e Apollonio; si è così tramandata nei secoli successivi, giungendo fino ai nostri giorni.

In particolare negli Elementi di Geometria di Euclide, trattato fondamentale per la cultura scientifica ed anche per la nascita della matematica moderna. Poco si sa della vita dell’autore, vissuto all’inizio del III secolo a.C., nato ad Atene (probabilmente nel 323 a.C.) e morto ad Alessandria d’Egitto nel 283 a.C.

Da giovane aveva frequentato l’Accademia di Platone dove, a detta di Proclo (V secolo d.C.), era il più giovane dei discepoli.

Alessandria diveniva allora il centro culturale più importante con la sua immensa Biblioteca, di cui Euclide fu direttore; inoltre,egli insegnò nel Museo, la scuola voluta da re Tolomeo I. Qui redasse la sua opera, che non è una semplice storia di tutta la matematica dei secoli precedenti. Infatti Euclide riordina tutta la materia che aveva a disposizione secondo il più rigoroso criterio logico-deduttivo, elaborando una trattazione della geometria razionale fondata sull’assunzione di alcuni concetti base e asserzioni elementari ammesse come vere.

Sulla scia della tradizione, il Nostro ricava le proprietà essenziali delle figure dall’osservazione, costruendo le forme astratte sulle quali lavorerà l’intelletto.

Per prima cosa, egli definisce gli oggetti dell’indagine: segmenti, angoli, triangoli, etc.; poi, riconoscendo che la Definizione di una cosa fa sempre uso di parole di cui sia noto il significato, ritiene necessario preporre pochi concetti come Enti primitivi o fondamentali, cioè non definiti a partire da altri. Per la Geometria sono: il punto, la retta, il piano

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Per la verità, il Nostro dà all’inizio una definizione di questi oggetti in modo che siano a tutti riconoscibili intuitivamente. Così scrive: Punto è ciò che non ha parti; linea è lunghezza senza larghezza; linea retta è quella che giace ugualmente rispetto ai suoi punti, etc. Subito dopo enuncia cinque nozioni comuni o assiomi, verità valide per tutte le scienze e cinque postulati, sui quali fonda l’intera costruzione della Geometria.

Gli assiomi sono i seguenti:

1) Cose (enti) uguali ad una stessa cosa sono uguali tra loro; 2) se a cose uguali si aggiungono cose uguali, le somme sono uguali; 3) se da cose uguali si sottraggono cose uguali, i resti sono uguali; 4) le cose che coincidono fra loro sono fra loro uguali; 5) il tutto è maggiore della sua parte.

I postulati sono così enunciati:

I) Da un punto qualsiasi si può condurre una retta ad ogni altro punto.

II) Si può prolungare una linea retta finita continuamente in linea retta.

III) Si può descrivere un cerchio con qualsiasi centro e qualsiasi raggio.

IV) Tutti gli angoli retti sono uguali fra loro.

V) Se una retta, venendo a cadere su altre due, forma gli angoli interni da una stessa parte minori di due angoli retti, allora le due rette prolungate indefinitamente si incontrano da quella parte.

I primi tre postulati affermano la possibilità di costruire rette e cerchi, pertanto sono asserzioni di esistenza per queste entità. Osserviamo che per Euclide la retta, definita nel I postulato, è il nostro segmento; però il II postulato ne afferma l’estensione infinita.

Il V postulato afferma l’unicità della retta parallela ad una retta prefissata che passa per un punto esterno a questa. La formulazione data da Euclide, come vedremo più avanti, è utile per riconoscere le proprietà degli angoli formati da una coppia di rette parallele con una trasversale. Per quanto riguarda le nozioni comuni, è vero che esse valgono per qualsiasi disciplina scientifica, ma si attagliano particolarmente alla geometria.

In particolare la quarta fonda il criterio di uguaglianza delle figure piane sulla congruenza, o sovrapponibilità di esse.

Come per le opere di tanti altri matematici e filosofi, anche di quella di Euclide non ci sono pervenuti manoscritti dell’autore. La sua opera è stata ricostruita sulla base di recensioni e commentari greci dei secoli successivi; la prima ben fatta si deve a Teone di Alessandria, matematico del IV secolo d.C., che fu poi tradotta in latino da Adelardo di Bath, filosofo e matematico britannico dell’XI secolo.

Esistono anche altre traduzioni da commentari fatti dagli arabi.

La versione completa oggi riconosciuta degli Elementi è composta di tredici libri.

I primi quattro espongono tutta la geometria piana, come ancora si studia nella scuola media superiore. Dopo l’introduzione delle figure fondamentali, delle nozioni comuni e dei postulati, vengono i teoremi sui triangoli, le rette parallele, i parallelogrammi; poi, l’equivalenza dei poligoni, i teoremi di Pitagora ed Euclide e quelli sulla circonferenza.

I libri V e VI trattano la teoria delle proporzioni e la similitudine; il VII, VIII e IX la teoria dei numeri; il X la classificazione delle grandezze incommensurabili; l’XI, XII e XIII la geometria solida e il metodo di esaustione per determinare le aree di figure curvilinee. Poiché la geometria euclidea è stata, come detto all’inizio, la base di tutta la matematica classica e moderna, e per la sua importanza fondamentale nella formazione culturale dell’individuo, cercheremo di darne un’esposizione che ne possa rendere il significato, pur nella sua incompletezza.

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Capitolo secondo

1. La Geometria di Euclide. Enti primitivi e postulati.

Iniziamo dunque con l’affermazione che tutta la Geometria si costruisce sui tre enti primitivi, che sono: il punto, la retta, il piano

Di questi concetti fondamentali non si dà una definizione; la loro natura viene definita dai postulati, che ne descrivono le mutue relazioni.

Nella versione moderna, i postulati vengono così enunciati:

I) Per un punto dato passano infinite rette. (fig.1)

II) Per due punti distinti passa una ed una sola retta. (fig.2)

III)Per tre punti non allineati passa uno ed un solo piano. (fig.3)

IV) Ogni figura geometrica mantiene inalterata la sua forma per qualsiasi spostamento sul piano o nello spazio (fig. 4)..

V) Data una retta, per un punto esterno passa una sola retta parallela ad essa (fig.5). B • • C • O • A • B A • •• ! ! αΑα

C • A• • B

Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 =piano A’ A P • s Fig. 4 r Fig. 5

Dai primi due postulati si deduce che due rette distinte non possono avere più di un punto in comune, altrimenti coinciderebbero e quindi sarebbero la stessa retta. Se due rette distinte hanno un punto in comune (punto di intersezione), esse si dicono incidenti; se non lo hanno, sono parallele. Confrontando il terzo postulato con il secondo, si può affermare che:

1) Una retta ed un punto esterno ad essa determinano un piano cui appartengono; per esempio, la retta AB ed il punto C (oppure: BC ed A; AC e B).

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2) Due rette incidenti determinano un piano; per es., le rette AB e AC (oppure, AB e BC; BC e AC). Confrontando con il quinto, si deduce che pure due rette parallele individuano un solo piano. La quarta proposizione si chiama postulato del movimento rigido, che è anche la base per lo studio del movimento dei corpi non deformabili nella Fisica (Cinematica del corpo rigido). 21

2. Definizioni. Segmenti, angoli. Angoli opposti al vertice (teorema)

Preso un qualsiasi punto O su una retta, esso la divide in due parti dette semirette. (Fig.1)

Analogamente, una retta qualsiasi divide un piano in due semipiani.(Fig.2) Due punti distinti A, B appartenenti alla stessa retta r determinano un segmento AB. (fig.1’)

Si ammette che tra due punti A,B, esista almeno un terzo punto C; tra A e C un altro punto, D; tra A e D un altro punto,E ; e cosi via, all’infinito. Lo stesso per la parte del segmento CB. (Fig.3) Quindi il segmento è una successione continua di punti, come già intuito da Zenone: pertanto la retta è continua; così anche il piano.

Si può anche pensare la retta come generata dal moto continuo di un punto sul piano nella stessa direzione, come concepito da Aristotele.

Due (o più) segmenti si dicono consecutivi se hanno un estremo in comune (fig. 4);adiacenti (Fig. 5) se sono consecutivi e giacciono sulla stessa retta. • D C • E • • C B • A• • B A • • • • Fig. 4 A M B Fig. 5 Fig.5’

Si chiama punto medio di un segmento AB il punto M che lo divide in due parti uguali (Fig.5’) : AM = MB = ! ! AB ; esso è unico. La somma di due segmenti adiacenti AB, BC, è il segmento AC : B AB + BC = AC . Due semirette OA, OB uscenti dallo stesso punto O determinano una parte del piano che si chiama angolo ! = A!B; esse sono i lati dell’angolo, ! il punto è il vertice. A O • Fig.6

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Fig.2 O• r Fig.1 • • r A B r Fig.1’ " • • • • • • • • • •• • piano " A … F E D C B r Fig,3
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Se le due semirette sono parti della stessa retta o, come si dice, sono l’una il prolungamento dell’altra, il piano viene diviso in due parti uguali; ognuna di esse è un angolo piatto (semipiano) (fig.7 ), la loro somma è l’angolo giro (fig.8). • • A O B O A≡B Fig. 7 Fig. 8

Dato un angolo A!B, si dice bisettrice di esso la semiretta OM, (fig. 9) uscente dal vertice e interna all’angolo stesso, che lo divide in due parti uguali, cioè: B A!M = M!B = ! ! A!B M O O • M Fig. 9 • A A O B Fig.10

La bisettrice di un angolo piatto lo divide in due angoli uguali che si dicono retti (fig. 10). Due angoli si dicono consecutivi se hanno in comune il vertice ed un lato, come per es. A!B, B!C; la loro somma è l’angolo A!C (fig.11). Se la somma di due angoli è l’angolo piatto, essi vengono detti adiacenti (fig.12). C ! + ! = A!B + B!C = A!C B ! B O • ! ! ! C O A Fig.11 A Fig. 12

Se i due angoli adiacenti sono diversi, uno sarà maggiore e l’altro minore di un angolo retto: il primo si dice ottuso, il secondo acuto

Vediamo adesso la differenza tra angolo convesso e angolo concavo Ripartiamo dalla definizione di angolo come parte di piano limitata da due semirette uscenti dallo stesso punto (vedi Fig.13). Prolunghiamo i lati dell’angolo, cioè le semirette OA, OB dalla parte opposta rispetto al punto O. Se i prolungamenti delle due semirette attraversano l’angolo, questo sarà concavo (vedi Fig.14); altrimenti è convesso (Fig.13).

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B’ Fig. 13

B’ Fig.14

Con la lettera * indichiamo l’angolo piatto, indipendentemente dall’unità scelta per misurarlo; perciò 2* è l’angolo giro, */2 l’angolo retto.

Nella figura (13) è rappresentato l’angolo A!B , che si può indicare anche con la lettera greca ! posta all’interno di esso. Le semirette OA’, OB’ sono i prolungamenti rispettivamente delle semirette OA, OB; esse sono esterne alla parte di piano compresa tra OA e OB, per cui l’angolo A!B = ! è convesso. L’angolo concavo ! è la parte rimanente di piano, limitata dalle stesse semirette OA, OB: cioè, i due angoli hanno gli stessi lati; i loro prolungamenti OA’, OB’ attraversano l’angolo ! (Fig.14).

Si può anche definire l’angolo ! come quello descritto dalla rotazione in senso antiorario della semiretta OA finché si sovrapponga a OB; l’angolo ! è dato dalla rotazione di OB fino a OA. E’ evidente che la somma dei due angoli è l’angolo giro, cioè l’intero piano.

Inoltre, AA’, BB’ sono due rette incidenti nel punto O: esse dividono il piano in quattro parti. Gli angoli A!B = ! , A’!B’ = ! ! , i cui lati sono ognuno i prolungamenti di quelli dell’altro, si dicono opposti al vertice, che è in comune. Lo stesso vale per l‘altra coppia A’!B= ! , A!B’= β′. Si dimostra facilmente che: Teorema. Due angoli opposti al vertice sono uguali Infatti, sappiamo (ipotesi) che gli angoli ! , !′ sono opposti al vertice. L’angolo ! è adiacente sia all’angolo ! che all’angolo !′ ; poiché due angoli adiacenti sono supplementari per definizione, avremo: 1) ! + ! = * 1’) !′+β = * ; B quindi, poiché somme di cose uguali sono uguali, (*) si ricava che : 3) ! = !′ A’ ! ! O• A ed anche : !′ !′ 3’) ! = !′ B’ Fig. 11 (*) si può anche dire che l’uguaglianza 3) si ricava sottraendo l’uguaglianza 1’) dalla 1), o viceversa.

20 B B ! +! = 2* ! ! ! A’ O • A A’ O • A !!
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Biografia

Nato il 3 aprile 1950 ad Artena (Rm), dove vive tuttora.

Iscritto al corso di laurea in Fisica alla Sapienza di Roma, ha frequentato l’ateneo stu diando e partecipando al movimento di contestazione studentesca dei primi anni ’70. Interrotti gli studi per motivi personali, ha avuto una breve esperienza lavorativa in fab brica come tecnico presso la Videcolor di Anagni (1977-181).

Si è laureato in ritardo nel 1984 iniziando subito l’attività di insegnante, durante la quale ha verificato la decadenza dell’istruzione generata da riforme demagogiche che avevano degradato i contenuti ed i metodi di essa.

Ha continuato ad approfondire le materie studiate, proponendosi un approccio più esplicativo e significativo.

Questa sua prima opera, intesa come saggio scientifico, è rivolta a lettori di media ca pacità e preparazione che vogliano elevare il proprio livello culturale.

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Studio Byblos Publishing House

studiobyblos@gmail.com www.studiobyblos.com Palermo Ottobre 2022

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