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Capire e personalizzare usando relazioni sociali

welfare di promuovere salute. Essi, attraverso i dati sulla salute delle popolazioni che hanno in carico, possono verificare i progressi che fanno nell’acquisire determinati risultati di riduzione delle disuguaglianze di salute. I servizi hanno però bisogno di strumenti aggiuntivi per aumentare la propria efficacia nelle azioni contro le disuguaglianze: a questo livello si innesta il formidabile sostegno del cambiamento che sta avvenendo nei servizi territoriali con l’introduzione delle Case della comunità, delle strutture di prossimità e così via. Si tratta di una straordinaria opportunità, in altre parole, per spostare l’attenzione dalle strutture sanitarie verso un sistema integrato con le strutture sociali pubbliche e territoriali del terzo settore, per fronteggiare le disuguaglianze attraverso strumenti non solo di tecnica e di capacità sanitaria, ma anche legati al modo di usare le relazioni. Questo allargamento della visuale strategica può sostanziarsi sia all’interno del sistema dei servizi, sia nella relazione con il paziente, sia nella modalità di mettersi in relazione con un contesto più ampio che è quello che gravita intorno alla persona.

Capire e personalizzare usando relazioni sociali

L’ipotesi fondamentale che sta dietro a quest’attenzione alle reti sociali è che i comportamenti di tutte le persone – non solo di quelle in difficoltà socio-economiche – sono fortemente condizionati dalle relazioni sociali, che le possono sostenere o le possono mettere in difficoltà proprio rispetto al gap che provocano le disuguaglianze socio-economiche e a volte gli stereotipi, molto importanti nel caso del sesso e del genere. È necessaria quindi una strategia “socio-organizzativa” che punti a sostenere le persone nel superamento degli stati/eventi sociali critici che incontrano nella loro vita e che generi un miglioramento delle relazioni sociali innanzitutto delle donne e degli uomini a rischio, facilitan-

do il rapporto con le persone a loro prossime (contesto) e aumentando la collaborazione rivolta a loro all’interno dei differenti servizi (integrazione). Questo compito è una parte essenziale del lavoro dei professionisti e delle professioniste delle strutture sanitarie di prossimità e di tutti gli altri attori, in un nuovo modello territoriale integrato.

Si tratta di lavorare su un piano diverso da quello tecnicosanitario dove è possibile fornire alle persone un aiuto aggiuntivo per riuscire ad allinearsi a determinate prescrizioni, a comportamenti salutari e cambiamenti degli stili di vita e così via. Le disuguaglianze non vengono risolte dai progressi tecnici e di conoscenza, che a volte possono persino avere l’effetto contrario: l’abbiamo visto sia rispetto a innovazioni che vengono introdotte nel sistema di cura da parte del sistema sanitario e che talora sono maggiormente sfruttate dalle persone più agiate e istruite, sia rispetto all’impatto degli eventi imprevisti, come è stato nell’esperienza della pandemia da covid-19, che ha colpito molto più duramente le persone meno attrezzate dal punto di vista individuale.

La dimensione di sesso e genere non è una variabile in più: le differenze biologiche tra uomini e donne lungamente sottovalutate negli studi – per esempio riguardo alla ricerca sui dosaggi più appropriati dei farmaci o sull’individuazione dei sintomi – vanno assolutamente tenute in conto. Esse si intrecciano con le differenze che sono invece di tipo sociale, che riguardano il genere, le definizioni e i ruoli sociali e in questo ambito il percorso di analisi è pieno di aspetti controintuitivi, di trappole inattese. Quante politiche pensate per sostenere le donne si sono poi rivelate controproducenti rispetto alla promozione della parità di genere? Ad esempio, è stato promosso il part-time per le donne, ma solo successivamente è emerso l’handicap subito dalle donne stesse nel progresso di carriera proprio perché più di frequente si tro-

vano all’interno delle organizzazioni in una posizione parttime, che non le favorisce e rafforza stereotipi sbagliati sul loro minore investimento professionale. Le politiche rivolte alla parità di sesso e genere naturalmente possono aiutare e sono necessarie, ma spesso sono state usate in modo tale da non tener conto della complessità del campo e non riuscire a mettere davvero in condizioni di parità i due sessi. In particolare, avvicinandosi all’ambito sanitario, le politiche raramente hanno tenuto presente che la medicina di genere non riguarda solo le donne ma anche gli uomini, e il modo con cui si fronteggiano le difficoltà di salute ha delle specificità che vanno curate con attenzione nell’uno e nell’altro sesso. Solo una capacità di lettura attenta dei diversi ruoli e processi sociali che coinvolgono sempre le persone in base al genere, in specifico in ogni questione che attiene alla salute, può portare a costruire delle politiche per la salute più equilibrate.

La proposta alla quale stiamo lavorando in Piemonte ma anche in altre parti d’Italia a supporto di gruppi di lavoro impegnati nella riconfigurazione dei servizi territoriali e di aziende sanitarie è quella di porre attenzione alla dimensione socio-organizzativa. In altre parole, proponiamo di partire dall’evidenza acclarata che il miglioramento delle relazioni con la persona e di integrazione dei servizi porta a cambiare il tipo di supporto che si riesce a dare alla persona a rischio, donna o uomo, e l’efficacia che si riesce a ottenere rispetto alla riduzione delle disuguaglianze, che richiede di incidere sulla fiducia, sulla qualità del dialogo, sull’aderenza alle prescrizioni, sui comportamenti e sul cambiamento degli stili di vita e così via. Basta trascorrere un’ora dentro un ambulatorio per il diabete in un quartiere deprivato per capire quale peso abbiano la capacità di comprensione, di dialogo, e quella di organizzare delle proposte adeguate alle competenze e alle situazioni delle

persone. Basti pensare a una dieta scritta su un foglietto che viene affidata a un paziente di sesso maschile quando nel suo ambiente è la donna che fa la spesa e prepara le cose che servono a costruire la dieta. Chi fa la spesa e si occupa di certi compiti in famiglia diventa quindi l’elemento decisivo per riuscire a essere coerenti con determinate pratiche e prescrizioni utili per la salute.

Quindi, solo se la struttura sanitaria riesce a instaurare un dialogo con la persona e con la rete sociale che questa ha intorno aumentano le probabilità – soprattutto per le persone che hanno maggiori difficoltà e minori capacità individuali – di allineare tra loro una serie di elementi che possono determinare gli effetti che il lavoro dei professionisti può produrre. Professionisti che dovrebbero diventare protagonisti di percorsi di audit, acquisendo una capacità di lettura dei dati da parte del gruppo di lavoro che non si dovrebbe limitare all’osservazione degli esiti sanitari o dei dati di accesso – pur importantissimi – ma dovrebbe estendersi alla capacità di comprendere come è possibile modificare attraverso le relazioni quello che riscontriamo nei dati, quando la loro lettura ci mostra in modo più o meno diretto i problemi delle persone e l’effetto delle disuguaglianze.

Per questo il diabete è un buon esempio del potenziale di innovazione della sanità e un ottimo ambito di sperimentazione per l’innovazione dei modelli di prossimità: è una patologia molto diffusa e fortemente correlata alle condizioni di capacità individuale (istruzione, risorse economiche, area di residenza, ecc.). Ancora, è una malattia su cui ci sono una conoscenza tecnica importante e una possibilità di intervento-controllo sanitario efficace con percorsi appropriati. Intercettare le persone a rischio che non fanno prevenzione e che non sono neanche a conoscenza di essere a rischio, per esempio, è una sfida straordinaria per le strutture sanitarie.