3 minute read

7. Prevenire le disuguaglianze di accesso alla Rete

A cura di Eugenio Santoro

Con la pandemia di covid-19 si è assistito a una vera e propria esplosione nell’adozione di strumenti legati alla telemedicina. Uno dei primi Paesi che già a marzo del 2020 documentava il superamento delle visite online rispetto alle visite in presenza è stata la Catalogna.1 Negli Stati Uniti, grazie all’effetto della parificazione – soprattutto in termini di rimborso – delle visite online rispetto a quelle offline, e alla deregulation che ha consentito ai medici di liberarsi di responsabilità penali in caso di errori commessi durante la visita a distanza o di scarsa aderenza ai principi che regolano la privacy dei pazienti, c’è stato un grande aumento – pari a 10 volte – di prestazioni di telemedicina e di televisite, rispetto alla fase pre-pandemia.

Quello che però già da qualche tempo viene documentato2 è che l’impiego di questi strumenti introduce delle disuguaglianze: uno dei primi studi a documentare le disuguaglianze introdotte dalla sanità digitale è stato effettuato su dati amministrativi, in Ontario, confrontando il numero di televisite prima e dopo la fase acuta della pandemia. Nelle zone rurali, il numero di televisite è passato da 11 per 1000 abitanti a 147 per 1000 abitanti, mentre nei centri urbani si è passati

da 7 visite per 1000 abitanti a 220 visite per 1000 abitanti: è segno che la crescita c’è stata, ma a favore delle zone urbane. Limitando l’analisi ai pazienti che hanno usufruito di prestazioni di telemedicina (indipendentemente dal numero di prestazioni) si è osservato che la crescita si è concentrata tra i pazienti adulti, lasciando ai margini giovani e anziani. Questi ultimi, invece, sono tra le categorie che più potrebbero trarre vantaggio da questo genere di prestazioni.

Un altro studio statunitense ha quantificato l’utilizzo di televisite in ambito chirurgico:3 sono state confrontate le prestazioni di televisita chirurgica prima e dopo la fase acuta della pandemia, sulla base di dati derivati dalle assicurazioni. L’aumento era evidente: prima della pandemia faceva ricorso a prestazioni di telemedicina solo l’1% dei pazienti, mentre nella fase acuta della pandemia si è passati al 34%. Quando però sono state confrontate le caratteristiche dei pazienti sottoposti a televisita chirurgica si è osservato che, di nuovo, l’uso di prestazioni di televisita chirurgica era ridotto nelle zone rurali, rispetto a quelle urbane, e in particolare nelle zone maggiormente svantaggiate dal punto di vista economico.

In ambito oncologico sono stati osservati dati molto simili.4 Esistono correlazioni inverse tra le caratteristiche demografiche/socio-economiche dei pazienti con una diagnosi di tumore di testa e collo e il ricorso a prestazioni di telemedicina. L’analisi ha permesso di concludere che i pazienti non assicurati, quelli seguiti dal programma Medicaid e, in generale, quelli con redditi familiari più bassi hanno avuto meno probabilità di completare una visita di telemedicina rispetto agli altri pazienti. Questa differenza non si è invece manifestata tra le visite telefoniche.

Un ulteriore studio ha documentato l’esistenza di disuguaglianze anche in ambito pediatrico:5 pazienti pediatrici che provengono da famiglie economicamente svantaggiate hanno infatti meno probabilità di fruire delle prestazioni di telemedicina e il risultato è coerente in tutti i gruppi etnici.

Il ricorso alla telemedicina sembra quindi essere legato all’emergenza, terminata la quale si assiste a un suo ridimensionamento. Soprattutto, in base agli studi citati, si arriva al paradosso per cui coloro che potrebbero avvantaggiarsi della telemedicina sono in realtà coloro che ne fanno meno uso.

A questo bisogna aggiungere un altro genere di disuguaglianza: quella legata al funzionamento di determinati software. Pensiamo ad esempio ai sistemi di intelligenza artificiale non sufficientemente addestrati per gestire situazioni cliniche che coinvolgono donne o minoranze etniche e che quindi contengono inevitabilmente dei bias.6 Esistono evidenze che l’algoritmo di intelligenza artificiale Babylon (software usato in Inghilterra) è stato addestrato in maniera scorretta. Lo testimonia il caso di una fumatrice di 59 anni con sintomi di attacco di cuore che ha ricevuto una diagnosi di attacco di panico, mentre a un utente di sesso maschile, con la stessa storia e sintomatologia, è stato diagnosticato come probabile un attacco di cuore. E ancora, le donne di colore potrebbero essere colpite da tali bias in modo maggiore rispetto alle donne bianche perché sviluppano malattie cardiovascolari prima e hanno tassi di mortalità per malattie cardiovascolari più elevati. Altro caso noto riguarda sistemi di intelligenza artificiale a scopo diagnostico utilizzati negli Stati Uniti che avrebbero dovuto identificare possibili melanomi ma, essendo stati istruiti su casi di individui e pazienti con pelle bianca, andavano incontro a fallimenti clamorosi laddove il sistema veniva utilizzato su individui con pelle scura.