Prodigio Febbraio 2023 - STORIE CHE ISPIRANO

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pro.di.gio.

Matteo Faresin, il “birraio” con la SLA impegnato per migliorare l’accesso alle cure domiciliari pag. 3

Amore, inclusione e inserimento lavorativo: a Rovereto l’Area Camper fa scuola pag. 4

Camilla Ravaioli, attraverso la mia arte racconto come “sentono” i sordi pag.

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ODV SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO I - FEBBRAIO 2023 - ANNO XXIV - 136° NUMERO PUBBLICATO
STORIE
Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000Poste Italiane spaSpedizione in abbonamento postale70%DCB Trento. Contiene I.R.
CHE ISPIRANO
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Care lettrici e cari lettori, Un altro anno è cominciato. Non proprio sotto la buona stella che avevamo immaginato.

L’inflazione aumenta, la guerra continua, la giustizia è divisa e – mentre scrivo – a Foggia sono stati eseguiti quindici arresti per abusi e violenza su pazienti psichiatrici, anziani e con disabilità. E con un quadro così, vien da chiedersi, a cosa serve impegnarsi? Come possono le nostre micro-azioni fare la differenza?

Possono. Possono eccome!

Ce lo dimostrano le vite, l’impegno, la maturità e la

forza dei protagonisti di questo numero che, non a caso, abbiamo intitolato proprio come una delle nostre rubriche: “Storie che ispirano”.

Abbiamo tanto da imparare, da Matteo Faresin, allettato a causa della SLA ma impegnato nella lotta per il diritto alle cure domiciliari, da Cinzia e Mirko che – all’Area camper di Rovereto – hanno costruito il loro progetto di famiglia e di lavoro oltre la disabilità, dalla danzatrice sorda Camilla Ravaioli e dall’ultramaratoneta ipovedente Cristian Sighel. E poi ancora dalle grandi donne del passato lontano, come Marie Curie, e vici-

ULTIME SETTIMANE PER ADERIRE ALLA 7 a EDIZIONE DEL PREMIO MELCHIONNA!

C’è tempo fino al 12 marzo per iscriversi alla settima edizione del Premio Giuseppe Melchionna, in memoria del fondatore della nostra associazione.

“È tempo di...” è il tema conduttore delle diverse categorie in cui si potranno cimentare fotografi, poeti, scrittori dilettanti e scuole che decideranno di partecipare con racconti, poesie e fotografie inedite. Sono previste autonome sezioni per bambini, ragazzi e scuole e una sezione speciale dedicata al tempo della pace.

In palio buoni acquisto libri, pubblicazione su antologia cartacea per tutti i finalisti e stampe realizzate dal vignettista Maurizio Menestrina.

La partecipazione è gratuita e aperta a tutti i residenti sul territorio nazionale.

Info e invio elaborati: www.prodigio.it premiomelchionna@prodigio.it

Abbonamento annuale (6 numeri)

no, come Graziella Anesi, compianta amica della nostra associazione, scomparsa il 24 gennaio scorso. Infine, vi proponiamo un simpatico decalogo per sfuggire alle truffe e un approfondimento sull’accessibilità culturale.

A tutti voi, grazie di accompagnarci. E buona lettura!

Alle nostre lettrici, anche un affettuoso abbraccio e un sincero augurio per la Festa della donna e per una vita piena, colorata, libera dalla violenza e dai condizionamenti e all’insegna delle pari opportunità,

Proprietà: Associazione PRODIGIO Odv

Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 Trento

Telefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437

Sito Internet: www.prodigio.it

E-mail: associazione@prodigio.it

Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000

Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70%

Grafica: Publistampa (Pergine Valsugana)

Direttore responsabile: Martina Dei Cas

Hanno collaborato a questo numero: Luciana Bertoldi, Ugo Bosetti, Giacomo Carbonara, Stella Diluiso, Ivan Ferigo, Maurizio Menestrina (vignettista), Carlo Nichelatti, Camilla Ravaioli

Copertina: Freepik.com, elaborazione Publistampa

In stampa: 1 febbraio 2023

Privati € 15,00; Enti, associazioni e sostenitori € 25,00 con bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT 67G 08304 01846 000046362000 intestato a “Associazione PRODIGIO ODV” presso la Cassa Rurale di Trento indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | associazione@prodigio.it 2 Febbraio 2023 - n.1
EDITORIALE
IN EVIDENZA
Direttrice

MATTEO FARESIN, IL “BIRRAIO” CON LA SLA IMPEGNATO PER MIGLIORARE L’ACCESSO ALLE CURE DOMICILIARI

Matteo Faresin, classe 1988, vive a Breganze – in provincia di Vicenza –con la compagna Giulia, il loro piccolo Tommaso di tre anni e mezzo e una coinquilina poco gradita: la SLA. «Prima – racconta – giocavo a calcio, facevo giardinaggio, organizzavo grigliate con gli amici e gestivo l’azienda di famiglia. Oggi, descrivere la mia giornata tipo è una desolazione. Sono allettato e mi faccio mettere in carrozzina tre o quattro volte a settimana, per evitare piaghe. Cerco di impormi obiettivi quotidiani, altrimenti, per farla breve, sono un vegetale. Mi nutro attraverso una sonda chiamata PEG, ho un tubo in gola, respiro artificialmente e non muovo nessun arto. Ho soltanto occhi, udito e cervello che funzionano. Comunico tramite un pc con comunicatore oculare, e nient’altro». Eppure, nonostante gli inevitabili brutti pensieri e le ovvie difficoltà, Matteo ha avviato un progetto enogastronomico già molto apprezzato nel Triveneto: una birra che porta il suo nome. Ma cominciamo dall’inizio…

Matteo, quando ti è stata diagnosticata la SLA?

Nel marzo 2019, a seguito di un ricovero ospedaliero programmato. Al momento della diagnosi, ero con i tre medici che mi hanno seguito in quei giorni e con la mia compagna, allora al sesto mese di gravidanza. Subito, ho fatto una valanga di domande. Il primario mi ha spiegato che si trattava di una malattia rara e che l’unica cosa che poteva fare era inviare la mia cartella clinica all’ospedale San Bortolo di Vicenza, dove uno specialista del reparto dedicato alle malattie neurodegenerative avrebbe potuto rispondere a tutte le mie domande.

Il decorso della malattia, purtroppo, è stato piuttosto veloce…

Sì. Se cinque o sei anni fa mi avessero chiesto come mi sarei compor-

tato in una situazione di questo tipo, avrei risposto subito: se capitasse a me, piuttosto che ridurmi così mi uccido. Non nascondo di averci pensato, anzi, però il pensiero di veder crescere mio figlio alla fine ha prevalso. Certo che a volte il nostro Paese si trasforma in un vero e proprio “ufficio complicazione affari semplici”.

Qual è il pregiudizio sulla tua condizione che ti infastidisce di più?

Non c’è un pregiudizio in particolare. Piuttosto, noto le diverse reazioni che ti aiutano a capire chi sono le persone che ti stanno vicine a prescindere dalla situazione. C’è chi ti scrive settimanalmente, o mensilmente: “come stai?”. E chi dice “passo presto”, ma poi non si vede mai. Dal punto di vista delle barriere culturali e architettoniche, invece, direi che siamo “burocraticamente imbarazzanti”. Se geometri, architetti ed ingegneri provassero a sedersi in carrozzina per un mese, sarebbe tutto più semplice.

Forse anche qualche medico dovrebbe fare questo esperimento di mettersi nei panni degli altri… Già. E bisognerebbe investire di più nella formazione del personale. Riporto un esempio tratto dalla mia esperienza. Il decorso della SLA rende necessari alcuni interventi come l’impianto della PEG per l’alimentazione artificiale o la tracheostomia. Quest’ultima operazione mi faceva paura, per cui l’ho rimandata più che ho potuto. Alla fine, il 14 dicembre 2021, a seguito di un ricovero d’urgenza all’ospedale di Santorso per una crisi respiratoria, ho dovuto affrontarla. Al mio arrivo, sono rimasto in pronto soccorso un paio di ore, poi sono stato trasferito nel reparto di medicina d’urgenza. Mi hanno lasciato nel letto con la testa storta e il comunicatore che uso per interfacciarmi col mondo spento. So che in ospedale il tempo sembra non passare mai, ma nella posizione in qui ero, riuscivo a vedere l’orologio del corridoio. Dopo

un’ora e mezza, fortunatamente, è entrata una infermiera, che mi ha visto con le lacrime agli occhi e, con tutta la pazienza dovuta, ha chiamato due colleghe, che mi hanno sistemato e regolato il puntatore oculare, in modo che potessimo comunicare. Il 16 dicembre, ho affrontato l’intervento, che è andato bene. Per quattro giorni sono stato seguito in maniera impeccabile in rianimazione. Poi sono stato riportato nel reparto di medicina d’urgenza e lì è cominciato un vero e proprio calvario. Non potendo premere il pulsante di aiuto, facevo suonare due tasti di allarme installati nel mio pc, ma anche se hanno un suono fastidioso, nessuno veniva in mio soccorso e il care giver che mi segue anche a casa non poteva entrare. Ma la parte migliore – si fa per dire – arriva al momento delle dimissioni, quando dopo due sole ore di formazione al care giver stesso, ci riferiscono che una volta al mese verrà organizzato un cambio della cannula per evitare infezioni. Dopo trentacinque giorni dall’operazione scrivo per capire se è stata fissata una data per tale intervento. Alla fine, mi viene dato appuntamento il 23 febbraio, ben 69 giorni dopo. Sapendo che in ambulanza non avremmo potuto caricare il comunicatore, preparo alcuni fogli dove chiedo di fare domande chiuse e spiego come avrei ruotato gli occhi in caso di risposta affermativa o negativa. Entro al polo endoscopico e la dottoressa mi dice di stare tranquillo, che sarà un cambio indolore come la volta scorsa. In quel momento la fisso dritta negli occhi e lei impallidisce capendo che si tratta del mio primo cambio di canula. “Perdonami – dice – ora hai tutti i punti incarniti. Devi portare pazienza, cercherò di fare il più piano possibile, ma farà male”. Conclusione: sono uscito con le lacrime, e non auguro un’esperienza simile neanche al mio peggior nemico.

Non solo non la auguri, ma in quest’ultimo anno ti sei impegnato direttamente affinché non ricapiti…

Sì. A volte basta poco per migliorare significativamente la vita delle persone. Secondo la prassi, ogni sessanta giorni, dopo aver ricevuto la data del cambio cannula, devo contattare il medico di base per prendere appuntamento con l’ambulanza che, il giorno dell’intervento, viene a prendermi a casa e mi porta all’ospedale di Santorso. Lì, entro in reparto, effettuo l’operazione che dura massimo due minuti e ritorno da dove sono venuto. Eppure, un’altra strada – meno stressante – è possibile: negli ultimi mesi, infatti, c’è stato un cambio di primari. Il nuovo pneumologo Giuseppe Buggio è venuto due volte direttamente a casa, evitandomi altrettanti giri in ospedale per banali esami di routine. Spero che la buona volontà, l’intraprendenza e la sensibilità della sua équipe, tra cui l’infermiera Alessandra Benacchio, possano dar vita a un nuovo protocollo e portino alla formazione di un team di assistenza domiciliare sul territorio, per i casi particolari, come il mio. Penso che un progetto di questo tipo potrebbe addirittura far risparmiare l’azienda sanitaria, a partire dalla riduzione delle corse dell’ambulanza.

Oltre alla battaglia per la tutela della dignità dei malati, sei impegnato anche sul fronte imprenditoriale, con le Faresin Birre. Quando e perché è nata questa iniziativa?

Il progetto è nato da una delle mille idee che mi vengono da quando sono immobile. Inizialmente avevo in mente di creare un’etichetta mia e concordare con una delle tante cantine del paese una bottiglia di vino, ma poi ho pensato, abiti a Breganze, “città del vino”, e fai vino? Suvvia, puoi fare di meglio. Fatalità, dopo una settimana, mi sono sognato un pranzo di famiglia, dove mia madre e le due zie più vecchie hanno bevuto un bicchiere di birra a testa e, in pochissimo tempo, sono diventate paonazze e continuavano a ridere. Dal giorno dopo ho iniziato a macinare questa idea della birra. La mamma si chiamava Fabiola, per tutti “Fabi”. Di qui, l’idea delle FAresin Birre, per omaggiare la sua memoria. Per realizzare l’iniziativa ci sono voluti quasi sei mesi, ma alla fine grazie al birrificio trevigiano 32 Via dei birrai nell’ottobre scorso siamo arrivati in porto e ora, dal mio sito o dalla pagina Instagram, si possono ordinare ben otto diversi tipi di birre.

Per saperne di più: faresinbirre.it

@matteo.fare

@faresin_birre

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | associazione@prodigio.it 3 Febbraio 2023 - n.1 STORIE CHE ISPIRANO
a cura di Martina
Dei Cas
■ Matteo Faresin ha militato per anni nell’ASD Cartigliano e, qualche mese prima della diagnosi, ha coronato il sogno sportivo di vincere assieme alla squadra il campionato della massima serie dilettantistica ■ Matteo Faresin con il figlio Tommaso

AMORE, INCLUSIONE E INSERIMENTO LAVORATIVO: A ROVERETO L’AREA CAMPER FA SCUOLA

Nell’accademia dell’aereonautica militare, vige l’usanza di donare agli allievi uno spadino per simboleggiare la protezione delle persone più fragili, indifese e vulnerabili. Persone tenaci, che non si arrendono davanti alle difficoltà quotidiane e che – se messe nelle condizioni di trovare la propria dimensione – danno vita a luoghi pieni di armonia e felicità con la “F” maiuscola, una felicità così profonda che se ti ci imbatti, sembra quasi di volare. Una felicità come quella che ho provato io entrando all’Area Camper “CamxTe ­ Quercia” di Rovereto e che oggi voglio condividere con voi lettori attraverso questa intervista ai due gestori della struttura Cinzia e Mirko.

Sposatisi nel 2020, Cinzia e Mirko gestiscono l’area per conto della cooperativa sociale Iter, che recentemente si è fusa con la cooperativa Il Ponte per dar vita a “Impronte”, un nuovo progetto che promuove – nella Vallagarina – la creazione di nuovi percorsi di inserimento professionale per lavoratori e lavoratrici con bisogni speciali.

Questa intervista mi ha fatto capire che basta davvero poco per raggiungere la felicità e che in questo mondo frenetico, sempre più immersi nelle nostre convinzioni, a volte ci perdiamo anche il meglio che c’è. Al ritorno a casa mi sono sentito quasi come se avessi vissuto un sogno, uno di quelli da cui non vorresti più svegliarti.

Come vi trovate con le persone che vengono all’Area Camper?

Cinzia: Con i camperisti che vengono a sostare si instaura un bel rapporto, di arricchimento reciproco. Anche con gli stranieri, perché nonostante le diversità linguistiche, riusciamo a comunicare a modo nostro.

Mirko: Come diceva Cinzia è bello incontrare le persone di nazioni e regioni diverse facendoci promotori del territorio. C’è la volontà da entrambe le parti di capirsi e di incontrarsi abbattendo ogni barriera.

Qual è stata la giornata che ricordate con più affetto?

Cinzia: Più che una giornata specifica, ricordo con affetto i periodi natalizi, perché la gente trasmette molta positività.

Mirko: Non ce n’è una in particolare, ma se dovessi scegliere, direi ogni volta che mi hanno ringraziato senza sapere che l’area è gestita anche da persone con disabilità, perché la compassione, da sola, non aiuta – ma anzi – toglie la dignità.

Come si svolgono le vostre giornate di solito?

Cinzia: Io mi occupo principalmente della gestione contabile e delle prenotazioni tramite mail e telefono. Poi a fine settimana, faccio i conti assieme a Mirko e verifichiamo che sia tutto in ordine.

Mirko: Controllo insieme ai ragazzi i punti più critici dove serve il nostro intervento. Per esempio, puliamo il carico e lo scarico, i bagni e facciamo periodicamente la pulizia dei tombini per evi-

tare allagamenti. Ci impegniamo inoltre nella gestione del verde con varie attrezzature per tenere in ordine l’area.

Come sapranno tutti coloro che fanno parte di un’attività ricettiva, a volte le culture e nazionalità di chi arriva sono molto diverse tra loro. Ce n’è una con cui vi trovate meglio? E, se sì, perché?

Cinzia: Forse i tedeschi perché, pur essendo degli spiriti liberi, sono molto simpatici. Ma c’è da dire che ci troviamo bene un po’ con tutti.

Mirko: Ci riallacciamo al discorso di prima; quando c’è da parlare una lingua un po’ particolare si abbattono comunque le barriere e si va oltre. Nella conta di tutti i clienti ricevuti sarà capitato un paio di volte di trovarmi male. Per come sono di carattere, poi, a volte mi piace usare un pizzico di sarcasmo per creare un’intesa con il cliente che ho di fronte.

Diamo ora spazio a un po’ di leggerezza. C’è un episodio particolarmente divertente che vi sentite di raccontarmi?

Cinzia: La cosa più divertente è quando la nostra cagnolina Cloe abbaia contro il motorino di Stefano (un ragazzo della cooperativa) al suo arrivo, quasi come in una missione ambientalista, imparando dal Teko, (l’altro nostro cane) che abbaia invece alla partenza.

Mirko: Un ricordo che mi rallegra è la prima volta che ho fatto ascoltare “Felicità” di Albano e Romina ai ragazzi con un coinvolgimento di tutti.

C’è qualcosa da migliorare nella vostra routine?

L’opinione di entrambi: Nella gestione dei rifiuti ci vorrebbe molta più attenzione e per noi è molto brutto vedere la disattenzione da parte di molti clienti. Non stiamo parlando di ragazzini, bensì di adulti, da cui non ci si aspetterebbe un comportamento simile.

Febbraio 2023 - n.1 pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | associazione@prodigio.it 4 INNOVAZIONE SOCIALE
a cura di
Giacomo Carbonara
■ L’Area Camper “CamxTe” di Rovereto, in prossimità dello Stadio Quercia, gestita dalla cooperativa sociale Impronte

CIAO, GRAZIELLA… FAI BUON VIAGGIO!

Avevo conosciuto Graziella in una mattinata piovosa del 1986 o ’87 in via Suffragio. Mi aveva “convocato” lì Natale Marzari che, con i suoi modi spicci e un po’ burberi, voleva far mucchio contro giunta provinciale dell’epoca, a loro volta convocati quasi d’autorità alla sede per parlare di barriere, ascensori, scale e scalini.

Lei, appena fuori dal poggiolo su cui arrivava il trabiccolo­ascensore dal piano terra, era sdraiata nella sua culla con il joystick all’altezza del petto e mi accolse con un sorriso tra il compiaciuto e beffardo spiegando che era lì in attesa del Presidente. E parole da dire ne aveva tante, perfino troppe: lei conosceva benissimo le leggi, interveniva per correggere ogni imperfezione e per suggerire cosa dire. Parlottammo una mezz’oretta, durante la quale lei mostrò un carattere di acciaio ben sorretto da solide argomentazioni. L’incontro mostrò subito tre personalità forti: se il Presidente si mostrò ben disposto ad ascoltare, il Natale e lei si mostrarono ben disposti a dire e, in verità, ne avevano di cose da dire. Vi fu uno scambio vivace di opinioni, colorato e ben condito: Graziella e Natale avevano lamentele, recriminazioni e suggerimenti. Il Presidente era un po’ sulla difensiva, ma una sorta di accordo saltò fuori. Alla fine, se ne andò con la giunta, Natale si ritirò nei suoi locali a progettare chissà che, mentre io e Graziella ci salutammo.

Da quel giorno in poi, furono messe in campo a livello provinciale numerose leggi attuate poi negli anni seguenti e io ebbi un’amica in più, senza dubbio di poche parole ma dalle idee chiarissime. Naturalmente due caratteri, Natale e Graziella, così diversi che finirono per separarsi prendendo strade diverse. Nacque così in via San Martino Handicrea a servizio di ogni disabilità, giovanile, senile o della vita vissuta che fosse. Non ci vedevamo spesso noi due ma ogni volta lei voleva sapere se avessi qualche problema, qualcosa in cui mi ero impigliato da rimuovere, del Pino e la Ruota, della casa domotica: lei, per parte sua, si era fatta sistemare l’autobus per Piné sì da andare su a casa in Piné quando ne sentiva il bisogno. Numerosissime le avventure nell’ambito del sociale in cui si era infilata e che hanno fatto di lei una piccola regina del settore. In sordina e con impegno, aveva fatto della Trento “non per tutti” un posto comodo e vivibile anche a chi non ne aveva la possibilità: i suoi e altri interventi hanno arrotondato marciapiedi

e allargato porte, concesso contributi a fondo perduto, reso accessibile qualsiasi scuola e locale pubblico.

Doveva vivere poco, Graziella, in quel lontano luglio del 1955. Invece, divenne adulta, spese la vita a lottare contro i limiti imposti dalla sua condizione e ancor più per le proprie battaglie e contro l’indifferenza allora quasi generale. Soffriva di osteogenesi, una fragilità del tessuto osseo facilmente frangibile con un urto piccolo piccolo, respirava a fatica per la gabbia toracica e la sua corporatura era piccolissima: la malattia alla nascita agì con la massima violenza sul corpo, ma la testa funzionava… eccome! Specie quando c’erano soluzioni da pianificare, proposte da mediare, battaglie da vincere, la sua creatura Handicrea da tenere viva e presente ovunque ci fosse un diritto di pari opportunità per tutti i cittadini: la sua fragilità era solo nel corpo.

■ Graziella Anesi, giurata del Premio Melchionna, preziosa amica e alleata della nostra associazione in tante battaglie per l’inclusione, è scomparsa il 24 gennaio scorso, ma anche se il suo viaggio terreno è giunto al termine, ovunque andremo, la porteremo con noi, nel cuore e nell’impegno.

Per questo, cara Graziella, per tutto questo, ci mancherai ma anche adesso che sei “altrove” e le tue fragilità non sono più un ostacolo insuperabile siamo certi che non sei rimasta lì a girare i pollici a vuoto, ma aiuterai qualcuno con un problemino di qualche genere… ciao Graziella, fai buon viaggio!

Il 9 febbraio si inaugura un nuovo sportello disabilità HandiCREA a Predazzo Se abiti nella Comunità della Valle di Fiemme per qualsiasi informazione o necessità in materia di disabilità puoi rivolgerti al nuovo sportello HandiCREA a Predazzo presso la sede di Cooperativa Le Rais in via Fiamme Gialle, 44. 3245926154

FEDORA E ABILNOVA IN PRIMA LINEA PER UNA MAGGIORE ACCESSIBILITÀ

“L’accessibilità dei contenuti culturali per le persone con disabilità visiva”. Se ne è parlato il 2 dicembre scorso in una giornata di formazione condotta, nell’ambito del progetto PlayGround di Pergine Festival, da associazione Fedora in collaborazione con AbilNova, presso la cui sede si sono svolti i lavori. Un’occasione per riflettere sulle barriere che, in vari ambiti culturali (dai musei allo spettacolo dal vivo), ostacolano la fruizione di ciechi e ipovedenti, e scoprire diversi approcci e strumenti utili a rendere la partecipazione di queste persone il più possibile accessibile.

Irene Matassoni (AbilNova) ha trattato del codice Braille. Un’intuizione avuta nel 1829 da Louis Braille; un’idea rivoluzionaria, che trasforma i ciechi da meri destinatari a diretti produttori di un codice di scrittura, e quindi di informazione, cultura e accessibilità. Un mondo in 6 puntini. Segni da percepire al tatto e leggere con l’ausilio di tavolette, mappe tattili, modellini 3d.

A seguire, Marta Giacomoni (La Girobussola Aps) ha parlato di accessibilità ai contenuti culturali. In relazione alla disabilità visiva, la più

difficile da ottenere. Come avvicinarla? Si può tradurre il messaggio su altri canali comunicativi: bassorilievi e riproduzioni ad hoc, stampe Braille, schede tattili, esperienze multisensoriali. Oppure ricorrere ad una selezione accurata di cosa c’è già e va solo scoperto, facendo attenzio-

ne agli stimoli tattili, sonoro­uditivi, gustativo­olfattivi, atmosferici, emotivo­relazionali. Senza dimenticare di “fare per capire”.

Passando al versante dello spettacolo dal vivo, l’attore teatrale Alessandro Tampieri ha portato la sua esperienza nell’audiodescrizione. Una narrazio-

Un ricordo di Ugo Bosetti e Carlo Nichelatti

ne che fa da tramite tra lo spettatore e ciò che accade sul palco. Un lavoro di fino in due parti: una introduttiva, prima dello spettacolo, che deve passare quante più informazioni chiave; una durante, dove raccontare, mentre succedono, azioni sceniche e immaginari cromatici, in modo non invasivo né troppo articolato.

Su questo filone è rimasta Camilla Guarino, che, quando ha conosciuto il danzatore cieco Giuseppe Comuniello, ha creato assieme a lui un linguaggio comune. Si tratta di un’audiodescrizione poetica, non analitica, ma in dialogo con l’attore in scena. Uno stimolo agli artisti a creare nuove modalità e forme descrittive e artistiche.

Infine, la cena al buio organizzata da AbilNova. Un’esperienza sensoriale dove, consumando piatti rigorosamente a sorpresa serviti da camerieri ciechi e ipovedenti, mettere in gioco sensi alternativi alla vista ed entrare nel mondo di chi ha una disabilità visiva.

Una giornata intensa, utile ad aggiornare il bagaglio di possibilità per realizzare una sempre più compiuta accessibilità culturale.

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | associazione@prodigio.it 5 Febbraio 2023 - n.1
ACCESSIBILITÀ
CULTURALE PER CIECHI E IPOVEDENTI
■ Scheda integrata con Braille a cura di Ivan Ferigo

Attivo a Trento un nuovo servizio di odontoiatria pediatrica

L’accesso è a carico del Servizio sanitario provinciale con prenotazione al Cup

È attivo il nuovo ambulatorio di ortodonzia e di odontoiatria pediatrica offerto dal Servizio sanitario provinciale nel poliambulatorio Gocciadoro, accanto all’ospedale Santa Chiara a Trento. Salute di denti e bocca rappresentano un aspetto fondamentale per il benessere della persona e, con la partenza di questo nuovo servizio, si dà ulteriore implementazione agli obiettivi della legge provinciale 22 del 2007 in materia di assistenza odontoiatrica.

««Il nuovo ambulatorio per cure odontoiatriche pediatriche – afferma Antonio

Ferro direttore generale di Apss – è importante per più di un aspetto. In primo luogo, rivolgersi alle fasce più giovani, infanzia ed età evolutiva, significa operare sul duplice fronte della cura e della prevenzione. In secondo luogo, va sottolineato come nella realizzazione del progetto abbia avuto un ruolo determinante la collaborazione di più strutture a dimostrazione di come la capacità di fare rete tra settori riduca la distanza tra servizi e il territorio, il tutto volto a incrementare la presenza, il numero e soprattutto la qualità dei servizi offerti ai cittadini»».

L’assessore provinciale alla Salute, politiche sociali, disabilità e famiglia Stefania Segnana, esprimendo soddisfazione per l’attivazione del nuovo servizio, ha spiegato: ««Con questo ulteriore tassello completiamo un servizio fondamentale in tema di prevenzione e di tutela della salute, soprattutto per i nostri piccoli e i più fragili. E questo grazie alla collaborazione tra l’Unità operativa chirurgia orale disabili e odontoiatria e l’Unità operativa di chirurgia maxillo-facciale: un modello, quello della collaborazione fra i diversi settori della sanità, che sarà sempre più fondamentale, in futuro, per tutelare la salute dei cittadini a 360 gradi»».

Il servizio, che rientra nel progetto di attivazione dell’odontoiatria pediatrica in base alla legge provinciale 22 del 2007 “Disciplina della assistenza odontoiatrica in provincia di Trento”, si affianca all’ambulatorio già operativo per bambini odontofobici ed è finalizzato alla prevenzione, alla cura e alla tutela della salute odontoiatrica dell’età infantile ed evolutiva. L’iniziativa, nata dalla collaborazione tra l’Unità operativa di chirurgia orale disabili e odontoiatria di Borgo Valsugana e l’Unità operativa di chirurgia maxillo-facciale dell’ospedale Santa Chiara di Trento, nello specifico offrirà un servizio di ortodonzia intercettiva per pazienti fino a 12 anni di età e di odontoiatria pediatrica per cure secondarie, come carie dei denti da lat-

te e permanenti, per pazienti fino ai 14 anni. Le attività saranno svolte da tre dottoresse specializzate in ortodonzia e odontoiatria pediatrica, in collaborazione con le igieniste dentali che si occuperanno della prevenzione primaria.

Come previsto dalla normativa provinciale, l’accesso per i cittadini all’ortodonzia a carico del Servizio sanitario provinciale è subordinato al requisito dell’indicatore Icef, che deve essere inferiore o uguale a 0.2000. Sempre l’indicatore Icef definisce anche la quota di compartecipazione della spesa da parte del cittadino. Per le cure odontoiatriche secondarie nella fascia di età 0-14 il requisito Icef non è invece richiesto.

Per prenotare la prestazione i cittadini dovranno contattare il Centro Unico di Prenotazione dell’Apss al numero 848816816 (da telefono fisso) oppure al numero 0461 379400 (da cellulare), nei seguenti orari: dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 18, il sabato dalle 8 alle 13.

PAGINA DI PUBBLICA UTILITÀ PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

Il digitale per la salute dei cittadini

Oltre 800 mila euro per il progetto

digitale e intelligenza artificiale”

La Giunta provinciale ha approvato un finanziamento di circa 817 mila euro da destinare al progetto “Sanità digitale e intelligenza artificiale – Strumenti per avvicinare il Servizio sanitario ai cittadini e per lo sviluppo del sistema provinciale”, su proposta dell’assessore alla Salute, politiche sociali, disabilità e famiglia Stefania Segnana e dell’assessore allo Sviluppo economico, ricerca e lavoro Achille Spinelli.

Il progetto ha l’obiettivo di sperimentare nuovi modelli organizzativi in ambito sanitario per lo sviluppo di servizi innovativi a disposizione dei cittadini, e al contempo, contribuire all’avanzamento scientifico e tecnologico. Questo anche grazie a strumenti di intelligenza artificiale a supporto degli operatori sanitari nella pratica clinica.

Prevenzione, teleconsulenza, monitoraggio e cura dei pazienti da remoto, nonché valutazione e analisi dei dati clinici con strumentazione avanzata, sono alcuni degli ambiti di lavoro dell’iniziativa.

Gli ambiti di intervento considerati dal progetto pilota riguardano: la cura e il monitoraggio da remoto di pazienti cardiopatici cronici; screening per la diagnosi precoce nel contesto dell’oculistica, nell’ambito della diabetologia e della pediatria; la prevenzione, per favorire l’adozione di corretti stili di vita, nonché il benessere fisico e psicologico delle donne in gravidanza e delle loro famiglie.

La ricerca e l’innovazione trentina stanno affrontando il tema della medicina personalizzata che è in continua evoluzione verso l’obiettivo di una assistenza sanitaria dove decisioni, trattamenti, pratiche, dispositivi medici e terapie sono disegnati sul singolo paziente.

Frutto del virtuoso modello di laboratorio congiunto costituito dalla Provincia autonoma di Trento, dall’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari e dalla Fondazione Bruno Kessler nell’ambito del Centro di Competenza sulla Sanità Digitale – TrentinoSalute 4.0, il progetto permette alla sanità digitale di aprirsi

a nuovi scenari applicativi e declinare il concetto di servizio sanitario in chiave più moderna, efficiente e innovativa.

Il progetto consentirà innovazioni che spaziano dall’introduzione di soluzioni tecnologiche a vantaggio di pazienti e operatori sanitari, allo sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale volti all’identificazione di percorsi di cura personalizzati. L’utilizzo di sistemi intelligenti permette, infatti, di sfruttare il patrimonio di informazioni generate quotidianamente dai cittadini e dal sistema sanitario per lo sviluppo dei servizi offerti. Questo migliorerà, tra gli altri, la presa in carico dei pazienti, anche nel caso di necessità di un costante monitoraggio di patologie croniche, e la qualità della vita di tutti i cittadini, sia dei grandi centri sia di quelli più periferici.

L’assessore provinciale allo Sviluppo economico, ricerca e lavoro Achille Spinelli spiega: ««Grazie a questo progetto potremo mirare a raggiungere un maggior numero di pazienti in modo capillare sul territorio e ad avere analisi di dati sempre più precise, una diagnostica estremamente raffinata e rispondere quindi all’esigenza di un’assistenza sanitaria più mirata, funzionale e diffusa. Tali sperimentazioni innovative, in forte raccordo con il mondo della ricerca, potranno confermare il Trentino come polo di riferimento per l’intelligenza artificiale. In questo caso, infatti, l’addestramento di algoritmi di intelligenza artificiale volti a realizzare modelli predittivi e di assistenti personali virtuali potrà consentire un ulteriore sviluppo dei servizi sanitari. Per questo sono lieto di sostenere un progetto di questa portata: una sempre più forte sinergia tra ricerca, innovazione e sistema sanitario»».

Il progetto porterà, da un lato, a un’evoluzione della piattaforma TreC (Cartella Clinica del Cittadino) per il potenziamento della telemedicina, nonché per lo sviluppo e la verifica di nuovi modelli organizzativi supportati dalla tecnologia, a vantaggio sia degli operatori sanitari che dei cittadini; dall’altra, la raccolta e l’utilizzo di dati clinici, ottenuti dai dispositivi digitali e dagli archivi dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, nel rispetto dei regolamenti sulla privacy e sull’accesso dei dati per scopo di ricerca.

««Sostanzialmente, – conclude l’assessore Segnana – in linea con la programmazione provinciale in materia di sanità e di innovazione, ma anche riguardo alla ricerca e allo sviluppo del sistema Trentino, il progetto segue una doppia traiettoria: l’innovazione del sistema sanitario provinciale e la ricerca per lo sviluppo di nuova conoscenza e nuovi strumenti, in particolare nell’ambito dell’intelligenza artificiale e della telemedicina, a servizio dei cittadini»».

PAGINA DI PUBBLICA UTILITÀ PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
“Sanità

ATTENZIONE A CHI LI DIAMO!

ALCUNE SEMPLICI ACCORTEZZE PER RICONOSCERE LE TRUFFE…

Guardando la tv nell’autunno scorso e ancor più sotto Natale sarete stati travolti dalle ricorrenti richieste di denaro: qualcuno chiedeva nove euro, qualcun altro dieci o più, un altro il 5 per mille, chi si sarebbe accontentato di un lascito testamentario, chi offriva una guida alle donazioni, chi suggeriva un numero telefonico o altro, in favore delle più nobili cause umane, sostenere i bambini che vivono in contesti vulnerabili o ancora salvare vite di persone nate con malattie rare o difficilmente curabili.

Queste malattie, circa sette­ottomila, colpiscono 2 milioni di persone in Italia: da chi non riesce a star seduto a chi non vede, sente o parla, da chi ha un dna difettoso a chi ha le ossa iperfragili al primo tocco, a chi si dimentica di respirare, a chi sta perdendo la vista e a chi condivide la sua malattia solo con altri venti in tutto il mondo. E, nel 70% dei casi, parliamo di pazienti in età pediatrica.

Uno dei problemi di questi malati è il loro esiguo numero. Per essere definita “rara” una malattia deve avere un’incidenza inferiore alle 5 persone ogni 10 mila: a Trento, fatti gli opportuni calcoli, ci sarebbero una sessantina di malati.

Anche le multinazionali del farmaco ci mettono del loro, escludendo a volte le ricerche in quanto non riuscirebbero a rientrare dei costi delle

medicine stesse. Un po’ di sicurezza, per fortuna, l’ha data il Parlamento approvando il disegno di legge sulle malattie rare. Tra i suoi obiettivi: sostenere la ricerca scientifica e sensibilizzare l’opinione pubblica affinché la ricerca stessa non si fermi.

Dal canto nostro, noi italiani siamo molto generosi e abbiamo “dato” in tanti e a tutti. Anche se, purtroppo, non sempre alle nobili intenzioni di chi dona, sono seguite le nobili azioni di chi avrebbe dovuto gestire poi il progetto nella pratica.

Ok le donazioni, ok la pubblicità con bambini sfortunati e mamme affrante, ok la visita dell’inviato, il lascito nel testamento ma… a chi? Dietro tante realtà che lavorano con convinzione, ve ne sono altre che trattengono per sé parte del denaro o ne fanno un uso improprio.

Alcuni, infatti, coinvolti emotivamente, donano senza sapere a chi, oppure donano a siti web inventati lì per lì, cadono vittima del fishing, di associazioni non registrate o di persone senza scrupoli.

Traspilot, un sito web di recensioni a livello globale, ha messo a punto una serie di consigli pratici per evitare questi raggiri: visitarlo sarebbe un buon primo passo.

La premessa, poi, è solo una: attenzione a dove dirigete i soldi perché il “raggiro” risulta sempre uno dei modi più democratici e meno violenti di separare i soldi da chi ne dispone. In via generale, dunque, cestinate la posta e le mail troppo fumose, piene di foto, di articoli incensatori, di auto­lodi, promesse mirabolanti, futuri radiosi, certezze.

Partiamo con una semplice domanda: l’organizzazione che mi ha contat-

tato opera “in regola”? Di solito, le associazioni sono in gran parte registrate presso le autorità fiscali locali e quindi facilmente verificabili. Poi la missione e le notizie di cui fanno sfoggio: sono troppo vaghe, assenti, esagerate o dubbie? Chiedete loro come pensano di spendere i soldi e se mai intendono pubblicare un rapporto finanziario dettagliato sul loro uso.

Altre volte si tratta di richieste di privati a favore di altri privati, di cure super specialistiche, ma immotivate, funerali in un altro Paese, intervento, acquisto o viaggi. Conosciamo qualcuno coinvolto nella raccolta fondi? L’obbiettivo è congruo rispetto allo scopo finale? Il denaro viene girato a sua volta a una associazione più grande? In questo caso meglio dare direttamente a quella organizzazione. I metodi di pagamento sono sicuri e autorizzati? La maggior parte degli enti di beneficenza dispongono di un metodo sicuro per controllare i fondi direttamente sul loro sito web, oppure tramite carte di credito o con Paypal: la realtà con cui ci stiamo confrontando garantisce questa opportunità? L’indirizzo appare chiaro? Avete ricevuto una chiamata di un operatore che vi sollecitava a consegnare una somma di denaro ad un loro prossimo delegato, magari nel più breve tempo possibile? Attenti, perché gli unici beneficiari della donazione potrebbero essere lui, il telefonista dalla voce suadente e l’inviato con faccia addolorata di circostanza. Pertanto… su co’ le rece per evitare che le vostre donazioni diventino per qualcuno spiagge bianchissime alle Maldive e per qualcun altro (voi!) fonte di pianto sul latte versato.

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | associazione@prodigio.it 8 Febbraio 2023 - n.1 DIRITTI a cura di Ugo
Bosetti
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■ Immagine: Freepik.com

PIACERE, CAMILLA!

Mi chiamo Camilla Ravaioli, ho ventisette anni e sono sorda dalla nascita.

Mia mamma scoprì che non sentivo facendo la prova delle pentole. All’epoca aveva già qualche dubbio, per cui si mise dietro di me e il mio amico di infanzia che stavamo giocando e batté le pentole. Il mio amico – che aveva nove mesi – si prese un colpo. Io invece continuai a fare ciò che stavo facendo come se nulla fosse. Controlli, ospedali e accertamenti confermarono ciò che mia mamma temeva: sorda profonda!

Per la mia famiglia fu un lutto. Eppure, non si arresero, tanto che a neanche un anno facevo già logopedia e portavo gli apparecchi, anche se essendo piccola e non capendo cosa fossero, li lanciavo un po’ ovunque. La mia famiglia, soprattutto la mamma, fu molto presente. Mi portava a musica, a danza, al parco e mi metteva il più possibile a contatto con la frenesia del mondo, invece di costruirmi intorno una campana di vetro. La cosa ironica – passatemi il termine – è che si pensava che probabilmente non avrei parlato, che avrei fatto fatica a integrarmi e avrei avuto poca indipendenza. Invece, oggi ho una mia compagnia di circo contemporaneo chiamata “I(L)LIMITATI”, da quattro anni vivo fuori dal mio paese, da sei ho una relazione fantastica con l’amore della mia vita e non sto mai zitta.

Al mondo del circo mi sono avvicinata a diciassette anni. Era un periodo buio, perché in classe subivo bullismo

verbale. Ero vicina alla depressione. L’unica cosa che mi faceva restare in piedi erano gli amici fuori dalla scuola e la mamma, che mi raccomandava ogni mattina di non dargliela vinta. Poi arrivò l’incontro con l’acrobati ca aerea. Iniziò tutto da un volantino pubblicitario di una palestra che pro poneva un corso di questa discipli na. La mamma mi portò, sostenendo che dovevo provare. E aveva ragione. Quella che pensavo fosse una valvola di sfogo, divenne una grande passio ne, a cui mi attaccai con tutte le forze. Non smetterò mai di ringraziare la mia insegnante per avermi fatto scoprire questo mondo e avermi dato una fi ducia che al di fuori della mia famiglia non trovavo quasi mai assegnandomi il compito di aiuto passai dall’allenarmi una volta alla settimana all’andare in palestra tutti i giorni. Col passare del tempo iniziai a lavorare nel mondo dello spettaco lo, a lavorare in più palestre (sempre con la mia insegnante) e ad avere un corso mio come insegnante di cerchio amatoriale livello base concluso con grande soddisfazione.

rare e, su consiglio della mia inse gnante, iniziai a fare danza contem poranea. Senza aspettarmelo, divenne una seconda passione che continuai a coltivare fino a quando non decisi di voler intraprendere un percorso professionale. Dopo varie audizioni venni presa all’accademia Kataklò di Milano, dove feci il percorso triennale professionale. Per me fu molto diffici

le, ma “non mollare mai” era ed è il mio motto. Per fortuna, la mia classe si rivelò bella e unita e anche il mio compagno mi sostenne sempre. La

si di provare a entrare per fare l’anno tecnico alla Flic di Torino e venni presa. Mi trasferii con il mio compagno e mi innamorai della città. Nella scuola, la mia sordità fu accolta a braccia aperte tanto da farmi venire ancora più voglia di raccontarmi. Così preparai un numero con danza, tessuto e lingua dei segni – quel poco che so perché ho sempre parlato – ma quel poco che so l’ho preso, fatto verificare da persone sorde che conoscono la LIS e poi rivoluzionato a modo mio. Io non mi vergogno della mia sordità né dei miei apparecchi e rispondo a tutte le domande che mi fanno perché ritengo giusto che la gente cominci a conoscere la sordità, quello che rappresenta e soprattutto ciò che sento o sentiamo. Per quanto riguarda l’impianto cocleare, ho deciso di non farlo dopo averci pensato molto, perché ho capito che sto bene così e finché non ne sentirò il bisogno continuerò a danzare nella mia sordità. Non sentirò mai le cicale, non parlerò al telefono e non distinguerò mai alcuni suoni, ma – a differenza degli udenti – le cose, i suoni, le voci, i rumori e la musica io non li ascolto, però li percepisco. Il bello della sordità è che convivi con il silenzio assoluto ogni volta che togli gli apparecchi. E non hai paura, anzi, ci trovi pace e rifugio quando serve. Arriviamo così al gennaio 2021, quando ho fondato la compagnia “I(L) LIMITATI”. Se prevale la concezione di limite o quella di risorsa lo lasciamo decidere a chi viene a vederci. Il

Febbraio 2023 - n.1 CULTURA E SPETTACOLO
“Attraverso la mia arte vi racconto come sentono i sordi”
di Camilla Ravaioli ■ Camilla Ravaioli, artista sorda, diplomata all’accademia Kataklò di Milano

CRISTIAN SIGHEL, UNO STRAORDINARIO ULTRAMARATONETA «ALLA RICERCA DEL SOLE»

a cura di Martina Dei Cas

Inverno 1998. Cristian Sighel ha vent’anni e il suo futuro è azzurro e limpido come il cielo sopra le montagne dell’altopiano di Piné che lo hanno visto nascere. Concluso il servizio militare con un ricco carosello di esperienze su e giù per l’Italia, ha cominciato a lavorare nell’officina meccanica del papà e non vede l’ora di sfrecciare per le strade del paese con la sua auto nuova assieme agli

amici. Ma una mattina tutto cambia. È ora di colazione, le luci sono accese, eppure intorno a Cristian – a causa di una brutta infezione cerebrale – è scesa una penombra che non se ne andrà più. A nulla valgono la corsa in ospedale e i successivi interventi. La diagnosi è una doccia fredda: il giovane è diventato ipovedente. D’ora in poi per lui resterà accesa solo una piccola fiammella, che gli permetterà di distinguere il giorno dalla notte. Per la famiglia Sighel cominciano così mesi e anni terribili, di dolore, rabbia e confusione, ma anche di adattamento e riscoperta.

Piano piano, Cristian – che frequenta un apposito corso di formazione dell’Unione Italiana Ciechi a Padova e poi trova lavoro come impiegato – decide di adattarsi alla sua nuova condizione. O meglio, di rifiutare che la sua condizione definisca tutta la sua persona. Così, comincia a correre, contro i pregiudizi, il pietismo e la curiosità – non sempre rispettosa e costruttiva – dei compaesani. Corre contro, ma anche incontro, alle esperienze che ancora gli regalano gioia. Il calore dei raggi sulla pelle, un tramonto appena abbozzato, il profumo dell’erba tagliata di fresco.

Ecco allora che si trasforma in ultramaratoneta. Gareggia su diversi circuiti, per cinquanta, sessanta, cento chilometri di fila. Le prime volte,

il papà lo segue di nascosto in bicicletta per paura che perda l’orientamento e si faccia male, ma alla fine Cristian trova il suo ritmo. Stimato atleta, fa amicizia con l’olimpionico Alex Schwazer, sposa Romina, diventa papà di due bellissime bambine e anche coautore della sua biografia. Il libro, pubblicato nell’autunno del 2021, si intitola “Alla ricerca del sole” ed è scritto a quattro mani assieme al giornalista Maurizio Panizza, un vero e proprio “detective di storie trentine”. Significativo anche il sottotitolo “Questa pazza vita che tanto mi ha tolto, ma tanto mi ha dato”. Infatti, di queste pagine colpisce proprio la prosa delicata che, pur non indorando il dolore, apre capitolo dopo capitolo piccoli squarci di quotidiana bellezza. E non si tratta di rassegnato stoicismo, bensì di un profondo lavoro interiore e di una maturità conquistata a un prezzo troppo alto, ma capace di ispirare e di dimostrare che anche i cassetti delle persone con disabilità, proprio come quelli di chiunque altro, sono pieni di sogni. Sogni costretti ogni giorno a fare i conti con la malattia, gli stereotipi e la paura, eppure tenaci. Sogni capaci di trasformarsi in realtà, di emozionare e di regalare preziosi insegnamenti a chi ha la fortuna di incontrarli.

Perciò, amici e amiche di PRODIGIO, siete tutti invitati a imbarcarvi assieme a Cristian e Maurizio, in

PROFUMO DI ARANCE

di Giacomo Carbonara

E fu così che apparisti davanti a me, senza che me ne accorgessi.

E in cielo vedevo i lampi accecarti. Come clochard cerchiamo delle coperte in più per non sentire il freddo, per riuscire a dormire la notte.

Ma chi dorme dopo un tale concerto di anime?

In un aereo mi ritrovai.

L’atterraggio più duro della mia giovane esistenza.

Ma chi dorme?

Chi, dopo una tale incoerenza? Chi dorme non piglia pesci.

E le onde in questo peschereccio, si sentono fino a togliermi la fame. Le vite volate via si specchiano in mare.

Luci arancioni tagliarono la nebbia. Le arance raccolte.

Più profumate di un doloroso amore perduto.

E io guardavo le montagne quando gli altri guardavano il mare. Una favola che nessuno saprà mai raccontare.

E il rumore assordante dei tuoni mi toglieva il respiro.

Fango, sabbia e poi asfalto.

Ma lo sai che a vederti, come un infante io salto?

E le strutture che abbiamo costruito resteranno lì.

Così immobili e complicate da non lasciarti nemmeno il venerdì.

Ma che cretino io a non vedere la soluzione.

È sempre stata sotto i miei occhi. Sotto un arancio una vipera trova dimora.

Con quell’eccessiva ricchezza di frutti. Sempre sola.

questa magica avventura alla ricerca del sole, da soli o in compagnia dei giovani della vostra famiglia o della vostra scuola. Vi assicuro che non rimarrete delusi. Parola di una lettrice che non ama particolarmente le biografie, eppure ha divorato questa in un baleno!

E se provi a prenderle quei gioielli che solo qualcuno dall’alto poteva donare.

Per portarli a chi ha più fame. Lei, immancabile egoista, prova a morderti, pensando di avere ragione.

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | associazione@prodigio.it 10 Febbraio 2023 - n.1 CULTURA
■ ALLA RICERCA DEL SOLE, ed. Curcu & Genovese, 2021 Pagine 176, prezzo 15 euro ■ Maurizio Panizza ■ Cristian Sighel

Questa è la storia di una tra le molte donne eccezionali che, spesso dimenticate da una Storia scritta al maschile, hanno determinato le conquiste dell’umanità.

Marie Curie nacque nel 1867 in Polonia da una famiglia amante dello studio e della scienza, ma senza molte possibilità economiche. Perciò, solo a ventiquattro anni ebbe la possibilità di realizzare il suo sogno di recarsi a Parigi e frequentare la Sorbona. L’incontro con Pierre Curie fu un amore a prima vista, accomunato da un profondo interesse per la ricerca. Il loro laboratorio era un cadente capannone annesso alla facoltà di chimica. Gli esperimenti li portarono ad individuare un elemento sconosciuto, trecentotrenta volte più radioattivo dell’uranio, ma instabile. Marie, fervente patriota, volle chiamarlo Polonio in onore della sua patria tristemente sottomessa alla Russia zarista. Fu di poco successiva la scoperta che valse loro il Nobel per la fisica: un altro, più stabile, elemento che chiamarono Radio in virtù del chiarore che emetteva al buio. In verità il comitato per l’assegnazione del premio fece il solo nome di Pierre. Ma lui si disse pronto a rifiutare se non poteva condividerlo con la moglie che aveva contribuito, anche più di lui, alla scoperta. E così Marie fu la prima donna a cui venne conferito il più prestigioso dei premi scientifici anche se, in quanto tale, le fu impedito di leggere dal palco il discorso che insieme avevano preparato. Nonostante la società maschilista e ottusa in cui si trovò ad operare, che relegava le donne ai soli ruoli di mogli e madri, Marie

era consapevole del suo valore e del contributo umano e scientifico che avrebbe potuto dare all’umanità intera. Emblematica è la risposta che diede ad un giornalista che scioccamente le domandava cosa si prova a vivere con un genio: «Non so, chieda a mio marito». Presto divenne evidente l’importanza del radio in ambito medico, soprattutto in relazione alla cura del cancro. Brevettare le loro scoperte avrebbe potuto sollevare i coniugi Curie dalla cronica carenza di fondi per le ricerche e renderli molto ricchi, ma loro non vollero mai farlo poiché ciò avrebbe implicato un aumento dei costi delle cure e degli altri impieghi che il radio aveva trovato in medicina e consideravano le scoperte scientifiche un patrimonio di tutto il genere umano.

Nel 1906 Pierre Curie morì, travolto da una pesante carrozza mentre si recava al laboratorio. Marie rimase sola con le figlie di due e nove anni, in una situazione economica non certo agiata. Grazie all’intervento di alcuni amici le fu proposto di ricoprire, in quanto vedova di Pierre e in assegnazione provvisoria, la cattedra che era stata del marito alla Sorbona, ma le sue lezioni richiamarono così tanti studenti e interesse da parte del mondo accademico che l’università si vide costretta a ufficializzare la sua posizione conferendole il ruolo di professore ordinario.

Fu la prima donna nella storia del prestigioso ateneo a ricoprire tale incarico e, cosa ugualmente importante, aprì la strada ad altre eminenti studiose che, nel corso del ventennio successivo, l’università incaricò

come docenti, superando finalmente le restrizioni di genere.

Verso la fine del 1910 si liberò un posto nell’autorevole Accademia delle Scienze di Parigi. Marie decise di candidarsi, dato il prestigio che ormai aveva raggiunto anche a livello internazionale, per le positive ricadute che la nomina avrebbe avuto, poiché il costante impegno nella ricerca di finanziamenti le sottraeva tempo allo studio e alla sperimentazione. Ma aveva sottovalutato l’ottusità degli accademici, i quali sentenziarono che mai una donna avrebbe messo piede in quel tempio sacro! La sua candidatura richiamò un folto pubblico che il giorno dell’elezione si assiepò ai cancelli dell’istituto. «Lasciate entrare tutti fuorché le donne» furono le parole del presidente! In un clima di agitazione e confusione si svolsero quindi quelle votazioni che (l’avreste mai detto?) la videro sconfitta. Marie non fece commenti, ma da allora in poi si rifiutò di concorrere ad altri seggi ed onorificenze.

Intanto nella sua vita privata, dopo quattro anni di lutto e depressione per la morte del suo amato Pierre, un altro uomo giunse a rasserenare i suoi giorni. Paul Langevin era uno studioso di fisica che già in giovane età aveva conquistato una certa fama. Marie e Paul si conoscevano da tempo poiché lui era stato un collaboratore di Pierre e spesso aveva lavorato con lei a preparare le lezioni alla Sorbona e gli esperimenti in laboratorio. Che stringessero un legame amoroso era quasi inevitabile. Ma Paul aveva un gran “difetto”: era già sposato e padre di quattro figli a causa dei quali, pur vivendo una tempestosa storia coniugale, non sapeva decidersi a divorziare e abbandonare la famiglia. Le relazioni, si sa, si intrecciano in due, ma fu solo Marie a subirne le conseguenze: fu violentemente accusata dalla stampa conservatrice di essere un rovina­famiglie, fino al punto di dover temere per la sua vita e per quella delle figlie, e ci furono anche duri attacchi nei confronti di amici che osarono ospitarle e proteggerle. Niente di tutto questo dovette subire Paul: per il fatto di essere un uomo veniva “giustificato”! Intanto era arrivato da Stoccolma il telegramma in cui le si annunciava la volontà di conferirle il Nobel per la chimica,

MARIE CURIE, UNA DONNA ECCEZIONALE PER UN 8 MARZO LUNGO TUTTO L’ANNO!

per essere riuscita a isolare un grammo di radio. Ma, quando l’eco dello scandalo che l’aveva travolta giunse in Svezia, con un secondo telegramma le fu richiesto di non accettare poiché se l’accademia ne fosse venuta a conoscenza prima con ogni probabilità non le avrebbe conferito l’onore. Marie, razionale ed orgogliosa, rispose: «Il premio mi è stato assegnato per la scoperta del radio e del polonio e credo non vi sia alcun rapporto tra la mia opera scientifica e le vicende della mia vita privata. In linea di principio non posso ammettere che le calunnie e le maldicenze della stampa influenzino l’apprezzamento accordato al mio lavoro scientifico».

Perciò si recò a Stoccolma per ricevere l’alta onorificenza dalle mani del re e nessuno si azzardò a parlare dei suoi fatti personali.

Quando scoppiò la Prima guerra mondiale la Francia si trovò impreparata a fronteggiare le cure per le vittime di nuove micidiali armi: soltanto in alcuni ospedali parigini era presente un servizio di radiologia necessario ai chirurghi per salvare la vita ai soldati feriti da pallottole e schegge. Marie, accesa pacifista e strenuamente contraria ad ogni azione bellica, ebbe l’idea di organizzare un servizio di unità mobili di radiologia da spostare sui vari fronti di guerra e negli improvvisati ospedali militari. Le cosiddette “petites Curie” erano grosse automobili riadattate e fornite di una strumentazione semplice ed essenziale per gli esami radiologici. Aiutata da molte volontarie pare che siano state fatte dai suoi laboratori mobili più di un milione di radiografie.

Marie morì nel 1934 per un’anemia aplastica dovuta all’esposizione alla radioattività che aveva caratterizzato tutta la sua vita di studiosa. Nel 1995 il presidente francese Mitterand, alla presenza di quello polacco Walesa, fece traslare le spoglie dei coniugi Curie nel Pantheon, dove giacciono quelle dei grandi di Francia.

Patriota, pacifista e grande scienziata, Marie Curie ha aperto la strada maestra verso la parità di genere, perché non esiste “l’altra metà del cielo” ma un unico cielo sotto il quale ognuno, donna o uomo che sia, ha il compito di collaborare allo sviluppo dell’umanità intera.

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | associazione@prodigio.it 11 Febbraio 2023 - n.1 RITRATTI
a cura di Stella Diluiso ■ Marie Curie

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