Illustrazione Ticinese n. 6 - 2007

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DON RAMON FERREIRA BENITEZ, DAL PARAGUAY A BELLINZONA “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15 9). “San Giovanni mi insegna l’amore che ricevo e l’amore che posso donare. Solo così posso vivere come persona e compiere la mia missione”. La vocazione di Don Ramon “è nata durante una messa, durante l’eucarestia. Quando avevo 15 anni ho sentito dentro di me una forza che mi spingeva a fare qualcosa per chi fosse nel bisogno”. Inizia il percorso coi sacerdoti di Don Guanella, prestando servizio agli anziani, agli ammalati e ai bambini andicappati, tra Asuncion e Buenos Aires. “Ma mi mancava qualcosa, e questo mi ha portato a vivere nei monasteri. Da Don Guanella, sono passato ai frati Carmelitani Scalzi, con spostamenti che mi hanno portato a Firenze, Londra, Monaco di Baviera, Israele, Cile e Uruguay”. Nel 2002 chiede un anno sabbatico, e la provvidenza vuole che egli giunga in Ticino, “ho una sorella sposata con un ticinese”, quale cappellano dell’Ospedale San Giovanni di Bellinzona.

DATI BIOGRAFICI Nome: Ramon Cognome: Ferreira Benitez Data di nascita: 22 luglio 1966 Paese e città di provenienza: Paraguay; Asuncion In Ticino da: 1. Settembre 2005 Attualmente a: Bellinzona

“Sin dall’inizio ho avuto un’accoglienza molto bella, dagli infermieri ai medici, alla gente. La mia parrocchia è l’ospedale. Il mio apostolato ha un colore particolare, seguo i malati terminali, le loro famiglie, cui cerco di dare una goccia di ascolto e di pazienza. È un compito difficile, entro nella camera sprovvisto di tutto, il mio stomaco si stringe, i malati vogliono una risposta da Dio, risposte che anch’io non trovo. Da loro ricevo molta forza, per me sono un libro vissuto, io do loro una goccia e loro mi danno di più”. La giornata di Don Ramon inizia alle cinque del mattino, alle 06.00 la prima messa alla Culla San Marco, “dove 12 suore custodiscono bambini da 0 a 3 anni. Lì è il mio Paradiso. Poi faccio un’abbondante colazione, e alle 07.30 sono in Ospedale, e, rispettando gli orari, faccio le visite. Vi sono poi le chiamate dalle cure intense e dall’Istituto oncologico della Svizzera italiana”. Un tempo pienamente dedicato alla vita in ospedale, che spinge Don Ramon a dirsi che “a volte avrei bisogno un po’ di me, anche quando esco dall’ospedale, con la testa sono sempre lì”. L’incontro quotidiano con la sofferenza porta Don Ramon a riflettere sull’uomo e sulla società, “che si fermano al lato esteriore delle cose”, dimenticando quello che già Confucio diceva: “chi è saggio cerca in sé stesso ciò che vuole”. Sempre che all’uomo non capiti di essere ‘catturato’ dalla divinità che “quando ti prende, allora ti lascia senza il male”. Il soggiorno in Ticino, in Europa, è vissuto da Don Ramon come una sfida, “in Sudamerica la religione ha un peso maggiore nella vita quotidiana. Qui, la sfida è quella di poter pregare accanto a un uomo protestante o islamico. Un giorno, una mamma musulmana mi ha detto, “tu, uomo della croce, vieni a pregare per mia figlia”, abbiamo pregato insieme”.

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