Puzzle di pietra ii

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Puzzle di pietra

cappo dalla città (l’arte, il torrente e la vacca pazza) Forse un gene da buon selvaggio (quello del Rousseau) si è attivato nel mio DNA, forse è una reazione alla tragica combinazione cellulare-computer che mi ossessiona dieci o dodici ore al giorno, o forse è il nuovo stile sociale i cui strumenti offrono sempre più spazio alla stupidità generalizzata a danno della conoscenza, il fatto è che da qualche uscita il torrente Ospitale mi sembra il più bel posto del mondo. Non siete d’accordo con la stupidità generalizzata? Poco male. Chiedetevi come mai ci terrorizzano quotidianamente con la SARS quando gli incidenti stradali nei fine settimana, solo in Italia, uccidono quattro volte di più. Chiedetevi perché un fenomeno di involuzione

psichica come il Grande Fratello venga sbandierato come una conquista dello spettacolo o uno studio antropologico. Chiedetevi come mai una vacca pazza (le sarà giusto mancata qualche rotella) in Canada riesce terrorizzare il pianeta, neanche fosse l’asteroide di quella idiozia di Armageddon. Ora è maggio, forse in luglio non la ricorderete più. Volete sconvolgere il mondo, scombussolare la borsa, imbottire giornali e TV di puttanate e riempire di clienti le pizzerie? Andate nella stalla più vicina, fate tirare una sniffata di coca al bovino più imbambito e poi inviate una e-mail ad un giornale: c’è una vacca pazza! Se la coca costa troppo usate un flacone di Roipnol, ma va bene anche un litro di grappa, il più è fargliela bere. Non è finita: in futuro ne faranno un film, poi una serie televisiva ed infine una teleno-

In verticale: scorcio del torrente. Difficile trovare qualcosa fuori posto: niente note stonate, niente macchie nel paesaggio.

Subimago maschio di Epeorus sylvicola, vedi il capitolo “La mia ala sinistra”. Che qui manca. Questa effimera è diventata immortale.

Roberto Messori

L’erba del vicino è sempre più verde, lo sappiamo, specie se l’erba è quella dei prati che circondano il Green River. Ma c’è anche Hannibal Lecter che suggerisce “Desideri quello che vedi, tutti i giorni”. Certo non era un torrente. Nel torrente ci siamo invece stati noi, ed inconsapevolmente il simpatico ruscellone ha deciso di aprirci un po’ gli occhi, anche se lo abbiamo avuto sotto il naso per trent’anni. Non è necessario che sia proprio questo, qualunque torrente di aspetto metafisico ed ambientazione surreale va bene. In pratica lo sono quasi tutti, se non hanno troppe briglie e cementificazioni. Insomma, in questa uscita il torrente non mi ha dato trote, ma solo dei pensieri e saranno questi che vi toccherà leggere. Non aspettatevi un senso. E neppure una morale.

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stupire. Un solo termine risulta perfetto per descriverlo: euritmia*. É un vero puzzle di pietra, acqua e legno. Manca il fuoco, per fortuna. L’artista che li ha posti in quel modo dopo averne scelto le forme dev’essere un genio. L’armonia degli spazi, delle masse di duro calcare, delle superfici ricoperte di muschio, della vegetazione che a impulsi si apre e si chiude sopra di loro possiede qualcosa di trascendentale. Qui capite come mai presso antichi popoli alcuni luoghi diventavano sacri. Qui capite come mai un gruppo di rocce veniva prescelto dagli aborigeni per tramandare le memorie del tempo del sogno. Il sentiero appena percorso diventa la via dei canti e se non fossi pateticamente stonato cercherei una melodia per perpetuare questo luogo. È lungo le vie dei canti che le litanìe degli aborigeni eternano i luoghi che dal principio dei tempi contengono tutto ciò che serve loro.

Enzo Bortolani, inconsapevole soggetto fotografico, affronta una buca appena approntata l’attrezzatura. I grandi macigni che ha di fronte sembrano materializzare la gravità.

vela bovina. Forse metteranno un vitello deficiente nella casa del grande fratello. Ma perché porsi domande quando conosciamo benissimo le risposte? Al potere fa comodo un popolo terrorizzato e preda dell’angoscia. Il terrore è vulnerabile alla demagogia e l’angoscia fa vendere qualunque cosa i mass media dicono che la fa passare. Oppure si tratta di business: l’oriente è troppo competitivo? Mettiamoci un virus. Il Canada rompe le scatole? Aggiungiamo al sarsavirus una vacca pazza. Il mondo è impazzito, come fare a capirci qualcosa? Tuffarsi nella natura non è una fuga

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dalla realtà, è un luogo dove trovare risposte, ma scritte nel libro più bello. Inoltre la cosiddetta natura selvaggia non è solo in Alaska o in Patagonia, la possiamo ritrovare in un torrentello dell’Appennino come in un fossato autostradale. Ma è meglio il primo. Non so cosa gli sia successo, non so neppure se gli è successo qualcosa, ma all’improvviso la bellezza di questo modesto ruscellone è diventata straordinaria. L’Ospitale è un torrente né grande né piccolo e ne ho parlato in più occasioni, poi piccolo è di moda: in Men in Black la galassia che tutti cercano è grande come una biglia, la NASA ha miniaturizzato ambizioni e veicoli spaziali interplaneta-

ri, l’astronave di MIB 2 è più piccola di un cagnolino, insomma, sembra proprio che il paese dove tutto è più grande abbia ridimensionato parecchio i propri criteri. Anche l’esercito in Iraq era piccolino. Per contro, l’ossessione di e-mail-spazzatura che offrono prodotti penis larger fa presumere un nuovo timore USA del troppo piccolo… La valle dell’Eden – L’ultima uscita di pesca mi ha aperto il cuore. È stata anche la prima del 2003. Un sentiero porta in un punto che vi costringe a sedere su un sasso per guardarvi attorno. Il motivo è la bellezza. Enormi macigni formano alcune buche, ma è la loro disposizione a

* armonica distribuzione delle varie parti di un’opera d’arte.

Ciò che serve a me l’ho intorno. Il vento degli ultimi tre giorni ha reso il cielo cobalto chiaro, un colore perfetto se non fosse troppo simile allo sfondo del mio computer. L‘acqua è trasparente come “L’uomo senza ombra”, se avete visto il film, altrimenti va bene anche “L’uomo invisibile”. La chiazze colorate sui macigni sembrano dipinti di Kandinsky: non ce n’è una fuori posto. Chi ha realizzato questo torrente ha curato anche che ogni colore fondamentale sia accostato al suo complementare e da questo reso più vivo. Toni, vivacità e sfumature si accostano perfettamente ai bordi netti ed alle ombre. Un tronco argenteo di betulla attraversa lo spazio rendendo più cupa la buca più profonda, mentre un ramo fa illuminare le foglie sullo sfondo rosso di una lastra di calcare permeata di solfuri ferrosi. Il tronco fa pensare al mantello azzurro che domina il torrente nel Trionfo di Galatea con Aci trasformato in fonte di Luca Giordano (Uffizi). Il ramo e la roccia riprendono i colori del cespuglio circondato dalla terra rossa in Idillio a Tahiti, di Gauguin. Questo scorcio di torrente potrebbe ispirare artisti per generazioni, insegnare loro come accostare


A sinistra: ecco cosa intendo per armonia. Trovate, se ne siete capaci, qualcosa fuori posto in questo puzzle di pietra, acqua e legno. Sotto: L’amore effimero, ecco l’orgia mortale dei Leptophlebidi peccatori (vedi testo).

i colori e come riempire gli spazi di forme armoniose. Questa è davvero l’opera d’arte primaria. E potremmo trasformarla in musica. Ma è già in musica: il trillo di un cardellino, lo scroschio dell’acqua, il rimbombo cupo di una cascata potrebbero ispirare un musicista come le immagini ispirano me. Un macigno, un accordo di chitarra; una fronda, una nota di violino: se anziché un torrente fosse una melodia farebbe evaporare di piacere l’anima di Beethoven. Un genio musicale afferra una matita e traccia una fila di note nel pentagramma, un pianista interpreta lo spartito e a tutti noi viene la pelle d’oca. Un magico artista satura una tela di forme e colori, ma non tutti verranno incantati dallo straordinario dipinto. Qui si richiede già un più evoluto livello di sensibilità e conoscenza. È raro che la musica trovi orecchie refrattarie, mentre

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l’arte figurativa è di più difficile impatto. Dio, artista e musicista supremo, ha creato lo spazio ed il tempo modellando innumerevoli atomi ed ha programmato questo torrente, con un cielo cobalto chiaro e me seduto sopra un sasso, ma questo è accidentale. Secondo i libri ha fatto tutto in 18 miliardi di anni, ma per lui, citando Einstein, potrebbero essere passati cinque minuti. La musica, l’arte figurativa, la natura… Tre porte che possiamo aprire con la stessa chiave: quella dell’entusiasmo per la vita. Il paradiso perduto - Nel film “Z la formica” quello che a un commandos di imenotteri appare come un immenso UFO gelatinoso il cui raggio di fuoco incenerisce all’istante è la lente di un bimbo che si diverte a bruciacchiare insetti. L’ho fatto anch’io a 8 anni. Il nonno, tornato dalla Germania dove lavorò in tempo di

guerra, tra le varie cose portò a casa una lente d’ingrandimento di una ventina di centimetri di diametro. Immaginereste un oggetto più affascinante per un bimbo? Non c’erano plastica e videogiochi e neppure soldi per le pistole di bachelite. Con la lente bruciai giusto alcune formiche, ma mi pentii presto. Preferisco considerarlo un colpo di coda della ferocia nazista: la lente era stata fatta a Lipsia. E sempre in “Z la formica” il fantastico paese multirazziale di Insettopoli, il paradiso delle formiche dove incredibili alieni dispongono di cibi a non finire, in realtà, nella nostra realtà, è un cassonetto dei rifiuti troppo pieno. Nel contesto del film sono due spunti geniali ed inquietanti. Come l’intelletto delle formiche non consente loro di comprendere il vero senso del micidiale alieno distruttore e del paradiso-immondezzaio, il nostro

non solo non ci fa comprendere il paradiso dell’alto dei cieli, ma non ci fa comprendere neppure il paradiso in cui viviamo. Comunque a trasformarlo in immondezzaio ci pensiamo noi. Chissà poi cos’è il nostro paradiso dell’alto dei cieli? Una discarica no di certo, nella natura non esistono rifiuti, a parte i nostri. Chissà, forse Dio è un bambino che gioca con un computer un po’ più potente dei PC. Il suo codice binario, ben combinato, anziché dall’unità e dallo zero è formato da due impulsi primordiali, due energie conflittuali e allo stesso tempo complementari che non possono fare a meno l’una dell’altra, un po’ come certi mariti e certe mogli, e produce l’illusione di particelle atomiche che, invece di finire su un monitor a cristalli, formano complessi spazio-temporali pieni di galassie e tutto ciò che ne consegue, dalle trote marmorate al virus della SARS. Ma la nostra mente è come quella delle formiche e non può comprendere un simile livello di grandezze. Non stupiamoci se con l’energia in concetti il dio bambino forma galassie, materia e vita: non sono i nostri stessi scienziati a dire

che la materia è formata da… vuoto? I poveretti indagano e indagano, ma non sanno ancora da cosa è formata la materia. L’unica cosa che hanno saputo ricavare di davvero impressionante è la bomba atomica, subito usata con ansia ed estrema gioia di molti colonnelli. Il torrente comunque gli è venuto bene, almeno questo che mi scorre sotto il naso. Bravo Dio, sei in gamba. Anche se a noi formiche comprendere la tua essenza richiederà qualche altro miliardo di anni. Dio quindi ha creato quest’opera senza confini e poi in una galassia, la nostra, ci ha infilato un pianeta dove la turbolenta crosta terrestre ha formato gli Appennini e tra essi, in una piccola valle, si è evoluto il torrente Ospitale. I dipinti li conserviamo nei musei, la musica la fruiamo nei concerti, perché i torrenti li distruggiamo? Tutti siamo incantati dalla musica, in parte siamo attratti dall’arte, ma sembra che ben pochi siano sensibili all’opera primaria che contiene ed ispira tutto. Fa niente, godiamoci questa cominciando col legare una Yellow Sally sul finale.


L’amore effimero – Da seduto sbircio la prossima buca, poi osservo alla mia sinistra una superficie di pietra parzialmente ricoperta di muschio. Riceve qualche schizzo dalla vicina cascatella. Nel muschio cerco insetti, ma non ne vedo. Osservando meglio comincio a distinguere piccole tipulidae che fanno la spola tra il muschio e la superficie dell’acqua. Osservo ancora. Ora vedo anche un paio di piccoli plecotteri molto tranquilli, uno s’invola. Sembra incredibile, ma insistendo con lo sguardo individuo ancora un paio di effimere: hanno tre cerci, sono Leptophlebiidae, le conosco bene per averle raccolte più volte, la specie è H. modesta. Ora le vedo bene, nella zona buia presso la superficie alcune volano in modo geostazionario a pochi centimetri dalla superficie, sembrano in orbita, è facilissimo afferrarle con le mani. Piano piano lo sguardo si allena e scopre nuove cose. Ne vedo altre a lato del macigno, verso il terreno sembrano infittirsi. Mi alzo e vado a vedere. Per la miseria: un’orgia entomologica! Un punto del terreno raccoglie centinaia, forse migliaia di effimere brulicanti che

atterrano e s’involano. Sono tutte immagini e formano uno strato consistente largo una spanna in un avvallamento umido tra i sassi, con al centro un focolaio “rovente” di insetti agitatissimi. È difficile dire cosa stanno facendo, ma è più facile immaginarlo: cosa volete che facciano le effimere dopo essere diventate immagini? Resta l’ipotesi di una sorta di cimitero delle effimere, ma data l’abitudine di amoreggiare e morire, potrebbe essere entrambe le cose. Nessun libro di entomologia parla di questo curioso fenomeno. Cercate anche voi, dalla foto, di capire che diavolo fanno nella loro celebrazione di nozze e di morte. Morte di un tricottero viaggiatore - Ora sul muschio vedo anche due tricotteri scuri punteggiati di giallo. Con ogni probabilità sono della specie Phylopotamus montanus, o P. ludificatus, che volete che ne sappia? Volano agitatissimi bassi sull’acqua a gruppi. Sembrano commandos nelle retrovie afgane, fatico anche a prenderli col retino, poi uno rimane catturato. Lo imprigiono in un piccolo barattolo e lo osservo dopo averlo rimbambito con una sbuffata del mio toscano. Non si riprenderà più. Il fumo nuoce alla salute ed accoppa i tricotteri, dovrebbero scrivere sulla confezione. Sedia elettrica per le formiche e camera a gas per i tricotteri: amo davvero la natura? Diciamo che amo la conoscenza, anche se da dilettante allo sbaraglio. Così confortato, decido di fotografare alcuni particolari del tricottero, almeno la sua morte sarà utile a qualcosa. Se è davvero della famiglia Phylopotamidae deve avere l’ultimo articolo dei palpi lungo e A sinistra in alto: ecco i genitali dell’Epeorus (vedi testo). Non gli saranno di grande utilità. Sotto a sinistra: da “Morte di un tricottero viaggiatore”: poveretto, asfissiato e decapitato (qui la testa ce l’ha ancora). É triste che gli insetti non abbiano diritti. Li concederemo loro quando saranno bestiacce alte tre metri. In questa pagina: uno dei rari raggi di sole ha utilizzato il biancore della cascatella per illuminare un angolo cupo alla base di rocce calcaree.

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sottile e sopra il capo devono esserci tre piccoli ocelli. Lo decapito per comodità fotografica (sedia elettrica, camera a gas ed ora la ghigliottina: dovevo fare il boia, non l’editore) e monto due anelli di prolunga sull’obiettivo macro della mia Nikon. Le foto, verificate sul display, non lasciano dubbi e posso mostrarle anche a voi. La chiave per la discriminazione delle famiglie dei tricotteri recita, estrapolando i dati utili per la famiglia

Phylopotamidae: - Dimensione oltre i 5 mm; ultimo articolo dei palpi mascellari più lungo o lungo come l’assieme degli altri articoli, comunque due o tre volte più lungo del quarto; ocelli presenti. Ecco, almeno la famiglia è determinata, il sacrificio del piccolo alieno non è stato vano e posso legare al finale una Yellow Spotted Sedge (yellow spotted = punteggiato di giallo) che non ho.

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ocelli

Palpi mascellari ultimo articolo

In alto: Enzo risale alla prossima buca. Al macigno sulla destra è appoggiato il retino che catturerà il tricottero. Qui sopra e a sinistra: palpi e ocelli del tricottero Phylopotamus. Pagina a fronte: una fenditura nella roccia accompagna la discesa dell’acqua, ma per l’armonia dell’immagine la natura ha pensato bene di far cadere un parallelepipedo di calcare che ha lasciato un vano quadrato, un geometrico bassorilievo a compenso armonico. La semplice geometria fa pensare ad un intervento umano: Dio ha il senso dell’humor. 24


Nelle foto: altri esempi di armonia. Ma c’è qualche trota dentro l’armonia? E che ci sta a fare? Ecco i veri quesiti esistenziali. Nell’immagine a sinistra i macigni asimmetrici realizzano il “terzo auro” ed un ramo fluttuante sembra dominare il vuoto centrale.

La caduta degli dèi Come l’astronave Auriga di Alien la clonazione, anche questi devono possedere un silenziatore di rotta. Se fossero rumorosi come zanzare, dovremmo infilare tappi nelle orecchie. Sono gli Epeorus sylvicola. All’improvviso sono apparsi a migliaia, enormi, sopra ogni zona libera del torrente e sono diventati padroni assoluti dello spazio aereo. Con i loro cerci lunghissimi, le ali invisibili se non per una debolissima sfumatura bluastra ed i loro lunghi corpi ocra, bruno e ruggine, sembrano una silenziosa e micidiale armata d’invasione di elicotteri. Forse le formiche li considerano dèi, il dio Epeorus, fratello di Anubi e cognato di Vulcano. Del resto le formiche vivono in terra e vedono questi esseri passare miracolosamente dall’aria all’acqua e viceversa, come astronavi che si spostano tra le galassie. Forse parte delle bricioline che le formiche raccolgono servono per i sacrifici al dio Epeorus che, così soddisfatto, non le divora. Solo noi sappiamo che il dio Epeorus è privo di bocca e delle bricioline non gliene potrebbe fregare di meno. Osservo gli Epeorus compiere i loro voli nuziali mentre penso a tutte le ricchezze e le vite umane bruciate dall’umanità sugli altari degli dèi: … tutta l’aria sul felice paese odora per i fumi perpetui di mille sacrifici misti al fuoco vistoso sulle are degli Dei (Pindaro)

Con tutti quei soldi potrei girare in Porsche, apprezzare finalmente le autostrade e abbandonare questi claustrofobici torrenti. Ora l’armata volante degli Epeorus è pronta per l’attacco finale. Deve riuscire a superare l’esercito delle fario, che sta aspettando oltre il campo di forze e depositare gli embrioni di un nuovo, potentissimo esercito di cloni. É il momento, per noi parassiti ecologici, di insinuare l’inganno. Ho una mosca perfetta per questa occasione, la mia Large Red Spinner montata a palmer. La mia ala sinistra – Sul bordo di un alto macigno triangolare che spezza una furiosa corrente localizzo l’unica subimmagine tra tanti spinners. La catturo delicatamente e senza difficoltà. Sembra depressa, non cerca neppure di dibattersi sbattendo le ali e lo credo bene: ne ha una sola. L’altra l’ha lasciata nell’esuvia, oppure l’ha persa poco dopo. In effetti è strano che sia arrivata così in alto sul sasso. Guardate la foto della poveretta in apertura di articolo. È una diversa, offesa dalla sfortuna, discriminata dai suoi simili, non può far altro che osservarli dal basso e chiedersi “perché a me?” É sconcertante considerare che milioni di antropoidi stanno peggio di quest’insetto, ma al momento non suscitano altrettanta pena.

Comunque è una subimmagine maschio di Epeorus sylvicola, utile per il mio archivio fotografico. Per l’ala mancante pazienza, anzi, meglio così: le venature non si confonderanno con quelle dietro. Anche questo fa parte delle crudeltà della natura. A parte gli Epeorus, non ho visto nessun’altra effimera in giro di questa dimensione. La riprendo in alcune pose e ne fotografo l’addome, importante per la discriminazione: le macchie degli uroterghi sono tipiche e la foto della subimago mi manca. Mi mancava, ora ce l’ho. Dopo le foto infilo l’Epeorus in un flaconcino di alcol che tengo in un taschino. Questo mi ricorda la vecchia barzelletta di Pierino, quella col padre in galera, la madre puttana, la sorella drogata e… un fratello all’università. Alla maestra appare un barlume di speranza e chiede cosa fa suo fratello all’università, “Niente”, risponde Pierino, “È in un’ampolla perché è nato con sei coglioni”. Forse allora non lo ricorderete, ma le foto dei peni di Epeorus subimago che vedrete nel prossimo libro “Gli insetti di Fly Line” saranno di questo sfortunato esemplare. Ora è immortalato. Nonostante un’ala spezzata vivrà molto di più dei suoi consimili, anche se probabilmente avrebbe preferito una sana scopata. Mi sento molto vicino a questo insetto, forse anche a me manca una metamorfosi. E una sana scopata.

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