Campione a chi?

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ARTI COLO DAL III SP ESTRAT TO ECIA 2006 L DI FL E Y LIN E


Campione a chi? Roberto Messori

Quest’opera, La douche, 1961, di Daniel Spoerri (Musée national d’Art moderne, Centre Pompidou, Parigi), sembra perfetta per rappresentare ciò che vediamo nei fiumi: acqua da usare a nostro uso e consumo e poi lasciar fluire nelle fogne. Ben diverso dovrebbe essere invece l’atteggiamento del Pam, che in essa

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cerca soprattutto il mistero e l’avversario da battere in astuzia, la natura selvaggia e incontaminata, il liquido simbolo della purezza e della vita. Nella foto a destra, Enzo Bortolani salpa una fario da sogno. Come fare per catturare simili pesci? Di solito non basta aprire il rubinetto.


Conosco pescatori con una preparazione teorica straordinaria, accidenti sanno tutto, altri con ottima tecnica di lancio, altri capaci di realizzare mosche così realistiche da far pensare ad un patto col diavolo, altri ancora che trascurano o limitano all’essenziale queste discipline, ma prendono pesci dove i più falliscono. Non c’è niente da fare, in una passione come la pesca a mosca, la tecnologia non può nulla contro chi possiede la vera foga predatoria ed il senso dell’acqua: gli basta una qualsiasi canna, una manciata di mosche artificiali, una coda ed un paio di accessori per aggirarsi lungo le rive dei fiumi più micidiale d’uno squalo. L’ideale sarebbe essere bravissimi in tutti i contesti, ma va sempre a finire che ciascuno è portato a preferirne uno. Io ad esempio ho sempre avuto un debole per la tecnica di lancio, ma ad essere sincero credo che ben poche volte ciò mi abbia nettamente favorito. Quando prendevo pesci lontanissimi, i miei compagni li prendevano sotto i piedi, con le ovvie eccezioni. Credo non sia onesto attribuire il successo alieutico alla tecnica di lancio, anche se in tante circostanze favorisce, pertanto in questa esposizione scriverò degli accorgimenti e degli accadimenti che hanno catalizzato, ripetendosi e confermandosi, belle prede, focalizzando alcuni degli aspetti nei quali credo fortemente, e riassumendo rapidamente il solito, si fa per dire, elenco di trucchi triti e ritriti che ormai tutti hanno almeno letto.

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i nomino campione e scrivo un articolo in questo speciale solo perché ho il potere di farlo, ma oggi non ne avrei nè i titoli nè i meriti, se mai li ho avuti, fatto sul quale è meglio non indagare. Infatti oggi in me scarseggia la dote fondamentale: la foga predatoria. A sua volta la foga predatoria porta alla costanza e la costanza inevitabilmente premia. Premia chi non sa pescare, figuriamoci uno bravo. Per la verità la FP (Foga Predatoria) ha caratterizzato parecchio della mia “carriera”, massima agli inizi, conservatasi a lungo nel tempo, ha poi iniziato a scemare con l’accrescere dell’esperienza. Si sa, come disse quel gillie amico di Fumolo: entusiasmo ed esperienza sono due aspet-

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In queste due foto: la cupa buca di un torrente e, al pagina 8, la profonda lama di un fiume del piano in un tratto abbastanza veloce. É qui che il cuore del Pam ha un sussulto, è qui che immagina un trofeo, un grosso pesce che ha scelto queste zone come regno. É qui, infatti, che si fantasticano le catture migliori: come fare per trasformare le fantasie, almeno una, in realtà?

ti contrapposti dell’esistenza. Tuttavia, se non sono un campione, devo almeno far finta di esserlo, del resto in alcune cose sono bravino ed il gioco potrebbe riuscirmi. Qualcuno, insomma, potrebbe prendermi sul serio. Tecniche e trucchi per catturare là ove tutto congiura per rendere impossibile un’abboccata li ho già descritti varie volte, sia nella rivista che negli speciali, descrizioni vere, autentiche, con la memoria viva di ogni cosa, ed anche di recente potrete leggerli, aggiornati, nelle puntate de La pagina del Pollo, ciò che

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invece potrei tentare qui, oltre a riparlare dei primi per l’ennesima volta, è affrontare la relazione tra foga predatoria e grossi pesci, combinazione che di rado mi è riuscita, ma giacché per lustri e lustri ho anteposto la preda, quella vera, ad ogni altra scelta in tema di tecniche di pesca (sempre Pam, comunque), se non ho imparato molto, almeno a tratti me ne sono convinto. Sì, perchè per tanti anni il mio desiderio non era quello di prendere tanti pesci, ma uno grosso, anche solo uno ad uscita di pesca, a fine settimana di pesca, a vacanza di pesca.

Quelli piccoli li ho sempre considerati un fastidio accidentale. E sempre ponendomi la stessa domanda: se Achab avesse catturato Moby Dick, cosa avrebbe fatto il giorno dopo? Andava a lavarelli? Guardando la cupa buca di un torrente, dove l’acqua diventa scura e nasconde misteriosi interstizi tra i macigni muschiosi, oppure la profonda lama di un lento fiume del piano, dove l’abisso veloce incute fascino e timore, la mia fantasia evocava chissà quali prede nascoste. Ebbene erano quelle che volevo catturare. Quando nel 1974, istigato a delinquere dagli scritti Pam di Albertarelli passai dallo spinning alla mosca, il primo shock da superare fu la drastica ed istantanea riduzione della taglia media delle trote. A spinning andavo solo a trote e lucci e lo scopo era sempre e comunque la cattura di un pesce record. Certo non racconto nulla di nuovo, chi non vorrebbe prendere un pescione? Io comunque, nell’aggirarmi tra i canneti del Mincio o i ghiareti dei grandi torrenti, consideravo tutti i pescatori a passata gente strana, che si accontentava di pighi ed alborelle quando in giro c’erano mostri da otto o dieci chili. Oppure, se è vero che negli abissi dell’inconscio fluviale cerchiamo un rimedio ai nostri desideri rimossi, ero semplicemente il più nevrotico tra loro. Questione di punti di vista. Ma allora, Achab cos’aveva nella testa? Lo shock venne superato solo in virtù della purezza della pesca a mosca, della sua interazione profonda con l’ambiente naturale, e della cattura di un


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desiderio rimosso (la mia prima preda Pam, catturata nello Scoltenna nel 1974) di circa, mah, quaranta? Cinquanta? Sessanta? Chi lo sa, ma era grossa, mamma mia s’era grossa, la più grossa fario selvatica presa da me in acque nostrane, la prima presa a mosca. Cominciai bene. Ovviamente, non venne più replicata. Iniziò quindi un iter di iniziale mosca secca ad oltranza, con fine settimana e vacanze sempre più frequenti oltre i confini jugoslavi ed austriaci. Ben presto la mosca secca mostrò i suoi limiti, quindi andava alternata prima alla sommersa, poi alla ninfa appesantita, ma frequentando fiumi con grandi predatori la frustrazione era grande nell’osservare certi pesci nei fondali, quindi ci fu il passaggio allo streamer. Ed ecco lo scatto: il gene ereditato da Achab (tutti noi ne abbiamo uno) fece capolino anteponendo il desiderio del grosso pesce alla tecnica di pesca, purchè praticata con la canna da mosca. Seguirono alcuni anni dove,

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solo che l’ambiente fluviale la giustificasse, la mia canna era una 9’ per coda 10, caricata con una shooting taper 10 del IV grado di affondamento, backing Cobra da 30 lb, finale conico con tip aggiunto nei diametri da 22 a 30 centesimi di millimetro. E solo una fly box, contenente streamer e qualche grossa ninfa o larva. Caccia grossa insomma. Naturalmente non pescavo solo così, il temolo mi ha sempre intrigato e spesso per catturare i più grossi devi agire al contrario, alleggerendo l’attrezzatura. Tuttavia ho passato anni capitalizzando esperienza con attrezzatura pesante, alternandola a tutto lo spettro di potenza, dalla 4 alla 12. Anche perchè, cercando grandi prede e con FP al 6° livello (l’ultimo), l’Europa diventa stretta: oltre ci sono i salmoni, le steelhead, i bonefish, i dorado, gli squali… Ed è così, con qualche bel pesce preso qua e là, più o meno come tutti gli altri, che uno potrebbe credere di essere un cam-

pione. Una cosa però è rimasta: la foga predatoria e la costanza riemergono laddove l’ambiente promette di nuovo grosso pesce selvaggio, e un po’ di mistero. Ormai capita di rado, ma capita, soprattutto capita di rado agire in fiumi con siffatte caratteristiche. Ma quando, vera o illusoria che sia, sento che quella vena fluida lancia una sfida vera, divento peggio di Predator e Alien messi assieme, con un tocco di Hannibal, specie se in frigo la maionese è prossima alla scadenza. É in questi stati di alterazione che si stimolano le intuizioni più diaboliche, gli stratagemmi, le soluzioni per trasformare una lotta d’astuzia in una gara di tiro alla fune. La mente va a caccia d’informazioni ed inconsciamente ripassa i vecchi libri letti anni prima alla ricerca di un trucco, un sistema, una soluzione proposta da un grande, o piccolo, pescatore. Le doti non si insegnano, lo sappiamo, ma possono essere d’esempio, sen-


Uno scarico refluo, una vera schifezza, ma le grosse trote hanno un debole per questi apporti, per il Pam che non disdegna olezzi e visioni poco edificanti, significano la elevatissima probabilità di impattare il predone della zona. Questione di gusti.

remo in qualità ambientale:

nò a che servono i campioni? Lo spunto che ha risolto un caso difficile è sempre legato al momento ed alla morfologia del fiume, e le situazioni difficilmente si replicano, ma è anche vero che arricchiscono l’esperienza. Bene, volete segreti? Nuovi non ne ho: li ho già scritti tutti. Volete trucchi? Sono sempre quelli, ve li ricordo soltanto, poiché sono già stati ampiamente descritti nelle uscite: Fly Line 4/99 e Speciale Attrezzature 2002, cominciamo dal più laido, poi migliore-

Pesci isolati - Un difficile pescione isolato in attività in corrente, protetto dall’onda di ritorno di un ostacolo, può essere ingannato da una sedge lanciata a monte, fatta dragare per un breve tratto, ma non più quando gli arriva a tiro. Deve vederla muovere solo quando non può ancora scorgere il nylon.

Scarichi - pescate nei pressi degli scarichi reflui, puzzano, ma le trote li amano. Quindi quando agite nelle acque pure di un torrente ed incappate in uno scarico vomitevole, se anteponete allo schifo la possibilità consistente di una bella preda pescate nei suoi pressi con qualunque mosca sommersa, se c’è una bella trota la troverete lì vicino.

Flussi lenticolari - Lenti d’acqua: fenomeno fondamentale per cercare grandi pesci in zone profonde con tane,

corrente veloce e superficie molto mossa. Con le lenti faremo un’eccezione: tra poco dedicheremo loro un capitolo. É grazie a loro che ho catturato (diciamo agganciato) buona parte delle mie prede migliori. Correntoni - Zone d’acqua turbolenta e schiumosa: si utilizza un’imitazione di larva di plecottero abbastanza realistica e moderatamente appesantita, la si lancia nella turbolenza e si cerca di mantenervela più possibile, poi la si lascia derivare a valle, dove il flusso si attenua. Le abboccate possono avvenire sia nella prima che nella seconda fase. Cadenza e allineamento - É il “timing” del pesce nelle bollate e la verticalizzazione della deriva in lame veloci. Sono due aspetti che spesso agiscono assieme, specie coi temoli. I temoli di un banco che bollano con relativa regolarità tendono ad osservare fa-

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sce ristrette di competenza individuale, pertanto la mosca va lanciata sull’esatto allineamento della bollata. Poi, giacché i temoli sfruttano i moti verticali dell’acqua, è anche opportuno individuare dov’è collocato sul fondale rispetto al punto di bollata, che potrebbero distare diversi metri, ed infine i tempi, in quanto il temolo, specie se il fondale è profondo, impiega un certo tempo per salire, bollare, ridiscendere e riappostarsi. Tre sono quindi i punti da individuare lungo l’allineamento: in che punto deporre la mosca, in che punto stazione il pesce ed in che punto la prende. Fascia veloce di fine piana - Dove una piana ampia finisce e sta per trasformarsi in una rapida, spesso stretta tra le rive, l’acqua, subito prima delle rapide, diventa meno profonda, più veloce e con superficie liscia. É necessario che tra la piana e le rapide resti un certo salto, originato da una fila di ostacoli come pietroni, una specie di accenno di briglia, spesso sono gli uomini a crearlo, se la piana finisce con una correntina larga e piatta, con poco fondo e nessun ostacolo è meglio utilizzarla solo per guadare nel caso di cambio di riva. É un luogo molto amato dai temoli, che si collocano davanti ai primi ostacoli che iniziano a rompere il flusso. Qui trovano concentrato in pochi decimetri di profondità tutto l’alimento della piana, che può essere profonda anche diversi metri, che passa velocissimo, ma loro sono dei professionisti nel prenderlo: stanno lì apposta. Anche i barbi amano questa zona. Il problema da risolvere è il dragaggio, poiché lanciando da valle la coda cade in corrente più veloce e la Dall’alto: questo ramo del Madison non inganni, quel correntone centrale è profondo anche un paio di metri, ma sfruttando le lenti d’acqua, ai limiti laterali del correntone, è possibile far salire fario da trofeo. Al centro: lama da temoli della Soca, qui è importante localizzare le bollate e le passate in un reticolo immaginario, se a bollare sono banchi di temoli. Qui a destra: ecco la tipica fascia di fine piana, luogo di grossi temoli.

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Qui a sinistra, Dino Roversi lungo l’Idrija, foto di Pietro Garbolino. Pescare in solitudine stimola le intuizioni, se avete senso dell’acqua ed istinto predatorio. Tutta l’attenzione sarà devoluta al fiume, non dovete più confrontarvi con altri o farvi condizionare dalle loro soluzioni. Sotto, certo che a pescare in branco c’è il vantaggio di poter circondare i pesci, oltre che controllare il diretto concorrente. Pagina successiva: è il futuro della Pam. Un sensore antigravitazionale sorvola il torrente analizzando tutti i dati, individuando il pesce, verificando gli insetti presenti, gli sfarfallamenti e consigliando tecnica di pesca ed imitazioni artificiali tratto per tratto. Al Pam basta dotarsi del nuovo cellulare Telepam, per ricevere gli Sms risolutori. Scherzi a parte, si tratta dell’opera “Maison de vacances volante”, 1964, dell’architetto Guy Rottier.

mosca compie passate troppo brevi, preda del dragaggio e disturbanti, ebbene, è qui che occorre praticare insistentemente ogni accorgimento possibile per ridurre il dragaggio, combinando lanci curvi e finali collassati. Pochi sono i Pam che dedicano tempo ed energie in questa breve e difficile fascia, anche perchè è uno spazio breve, e la piana chiama... ma chi riesce a farlo con efficacia, e soprattutto ci crede, ben sa delle sorprendenti catture di pesci che paiono usciti dal nulla. Passata esterna - Ormai lo sanno anche i sassi. In ambienti grandi, torrenti, fiumi, sorgive dove con un lancio si arriva si è no a metà del fiume, o poco oltre, con pesci in attività più o meno

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vicini alla nostra riva, occorre far passare la mosca (secca, wet o ninfa o quello che è) poco più al largo, verso il centro del fiume e non verso riva, il pesce sarà meno titubante. Il motivo chiedetelo al suo psicanalista. In ogni modo funziona. Io credo che il pesce, in alimentazione “allarmata”, nello spostarsi verso la riva dove girovagano i suoi aguzzini per prendere un boccone, sia maggiormente preoccupato. Finta schiusa - Per convincere un pesce apatico, oppure che ninfa, a prendere una mosca secca si può farla passare sopra la sua testa decine e decine di volte, così da convincerlo che a monte è in atto uno sfarfallamento e che dovrebbe approfittarne. Non si sa mai,

potreste catturare il pesce più deficiente di tutte le acque del pianeta. É la stessa tecnica di certi assicuratori, dei piazzisti e di molti vu cumprà. Mosca variata - Cambiate mosca ad ogni passata, ma non più di tre volte, alla quarta il pesce ha capito anche se è scemo. Se una mosca non ha funzionato, perchè riproporla? L’idea è la perfetta antitesi della precedente, ed entrambe ricordano i rimedi per il singhiozzo, ce n’è uno efficace? Sono accorgimenti che possono funzionare, ma in casi tutt’altro che generalizzati e comunque non vale la pena di perderci un secondo di più. Se non siete in grado di capire se è meglio cambiare mosca (se ha già avuto un rifiuto…), oppure riproporre quella (se capite che non è stata vista…) tornate ai


begattini. Sì lo so, è una frase cinica e crudele, ma prenderete più pesce. Un pesce in acque difficili che rifiuta più volte e poi resta indifferente necessita, prima di mitragliarlo di nuovo, di calma, riflessione ed osservazione. Dopo, forse, affiora un’intuizione, come cercarne un’altro... L’airone - Tecnica dell’airone. Per insidiare pesce che è a tiro solo stando in piedi in mezzo ad una piana, quindi in piena visibilità, esiste la tecnica dell’airone: raggiungete la postazione, vi preparate al lancio, poi vi immobilizzate finché il pesce riprende l’attività. Mettetevi i mutandoni di lana e non fatelo in tempo di caccia. Mosca cieca - Nelle buche di torrenti dove ormai conoscete ogni anfratto camminate senza il minimo rumore e lanciate nelle buche prima di arrivare ad osservarle, contate da 1001 a 1004 e ferrate senza vedere la mosca, al di là dei macigni. Potrete catturare gli esemplari

più scaltri, ma non ditelo in giro. Ninfe in coppia - Per insidiare pesce che si ciba in profondità di microinvertebrati legate in punta un’incudine travestita da ninfa, su filo del 22 (tutto il finale fatelo col 22, lungo come la canna), e a 50/60 cm legate su un bracciolo di 7/8 cm di diametro 16/18 una piccolissima ninfa. Concettualmente ricorda la pesca a piombo lungo, ed il concetto è giusto. Se il piccolissimo amo perde la presa, riaggancerete il pesce con l’incudine, che potrebbe essere un Lead Head su amo 10. Il problema etico è tutto vostro, io quando ho il naso umido perdo ogni scrupolo. Il vento in aiuto - Con vento frontale, se non è troppo, pescando a risalire non bestemmiate: è un’occasione perfetta per sfruttare i lanci curvi. La mosca che torna indietro di un paio di metri rispetto alla perfetta distensione vi farà prendere pesce ai bordi delle correnti, dietro gli ostacoli, nei pressi dell’altra

riva ed anche della vostra, nelle fasce di fine piana ed ovunque un lancio curvo sarebbe altrimenti difficile o impossibile. Penerete la prima ora, ma resistete: quando entrerete nel meccanismo sarete micidiali. Questo a patto che il pesce bolli nonostante il vento. Mosca perduta - Ormai, oltre ai sassi, questa la sanno anche i pescatori, o viceversa. Insetti sporadici - Imitatività di insetti sporadici. Senza sfarfallamenti e con pochi insetti in giro, se sotto il naso vi passa un piccolo plecottero giallo, montate una Yellow Sally. Se è una piccola sedge scura, montate una piccola Brown Sedge. Vi sembrerà azzardato, ma i pochi insetti sporadici sono tutt’altro che insignificanti. Per me hanno la valenza di uno sfarfallamento, giacchè passando da una qualunque mosca da caccia ad una mosca imitativa dei pur rari esemplari in giro nell’ambiente, ho spessissimo avuto l’impressione di un

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Lente d’acqua. Non so fino a che punto questa foto possa aiutare, ma il concetto dovrebbe essere espresso chiaramente nel testo. Nella foto la superficie non è particolarmente mossa ed avrei preferito un ambiente ancor più turbolento, come potrebbe essere con ostacoli ancor più importanti sul fondo, grossi macigni ovviamente, tuttavia un’idea la offre. La lente discenderà 7/8 metri prima di dissolversi, consentendo una visione più nitida del fondale. Lo stesso per i pesci, ma della superficie. Pagina a fronte. Il galleggiamento è uno degli elementi del successo, o almeno dell’efficacia di una mosca artificiale chiaramente definibile “Dry Fly”. Mentre le emergenti, le parachute, le ninfe di superficie non necessitano di tanto hackle, derivano semi-immerse o anche più ed appaiono più simili al reale, le dry fly devono esserne più dotate, ma riuscire a far galleggiare meglio una mosca con poche barbule ben disposte (o sostituendola spesso...) non c’è dubbio: le si conferisce maggiore efficacia. La foto mostra una March Brown per acque veloci.

salto di qualità. Su questo faremo un discorso a parte più tardi. Ipergalleggiamento - Perfetta galleggiabilità e carattere fondamentale nelle mosche secche: pure a questo argomento è dedicato un capitolo. Vediamo di seguito, dopo questa rapida carrellata su trucchi… di dominio pubblico, alcuni aspetti caratteriali e comportamentali, e poi approfondiamo alcuni dei trucchetti da acqua calda sopra descritti, quelli che possono davvero consentire un risultato importante. Pescate in solitudine – Non dev’essere una regola: siamo animali sociali e la solitudine è l’anticamera di

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molte patologie, ma di tanto in tanto andate a pescare da soli, specie quando l’istinto è forte, quando è l’acqua che chiama, più degli amici. Mettetevi di tanto in tanto in competizione col pesce, non coi vostri compagni. Prendetevi l’assoluta e totale libertà di movimento, liberatevi del senso del tempo e mettetevi nella condizione di dar fondo esclusivamente alle vostre capacità. Si può pescare in solitudine anche in compagnia, basta isolarsi, scegliere un tratto di fiume per sè, naturalmente se il fiume è abbastanza grande, e dire agli amici di non aspettarvi per cena, anche se poi ci andrete. Nei torrenti dove si pesca risalendo assieme su rive opposte, oppure ci si deve alternare, l’azione risente di rilevante superficialità per entrambi,

si pesca meccanicamente in modo più approssimativo di quanto si farebbe da soli. É un po’ come in Formula 1, se siete soli con pista libera potete fare un ottimo tempo, ma se un avversario vi tampina e dovete difendervi, ecco che i tempi di entrambi crollano. Foga predatoria e costanza – Se avete foga e costanza pescate inevitabilmente più degli altri, perché gli altri si riposano e voi pescate, fanno pipì e voi pescate, vanno a farsi una birra e voi pescate, poi si perdono in chiacchiere, si alzano tardi, fanno colazione, staccano per un panino, fanno una pennichella, rientrano presto, insomma alla fine della giornata hanno pescato la metà del tempo di chi non molla. Queste doti, se vo-


gliamo considerarle tali, non si possono insegnare, per fortuna, però, portano i cosiddetti campioni a inventare ogni sorta di trucco per prendere un pesce. Foga e costanza infatti non significa solo che uno pesca e lancia, lancia e pesca senza soste, ma che non perde occasione per tentare nuove strategie, nuove intuizioni, nuovi accorgimenti per il risultato. Le lenti del Madison – Immaginate un torrentone impetuoso, vario, dove tutto è più grande, con acque talmente mosse che anche nelle piane la superficie pulsa e fluttua senza posa, sia per la velocità che per il fondale di grandi macigni, perso laggiù, nel cupo delle acque. Iniziate con grandi palmer, ma va male, quindi vi raffinate e montate mosche sempre più piccole, sedge e un piccolo plecottero, imitazioni degli unici due insetti sporadicamente presenti, ma non vedete nulla, dopo ore temete che il fiume sia spopolato. È frustrante. Poi un piccolissimo schizzetto in un punto profondo vi stupisce. Possibile? Fosse stato sotto riva sarebbe stato un pesciolino, ma in quel fondale estremo? Forse

la cacca di un passero di passaggio. Ma dato che ormai da un paio d’ore tirate avanti con illusioni e fantasie lanciate la piccola sedge. E ci restate di cacca, non quella del passero, poiché sotto appare un rapido, giallastro, largo balenìo. Un rifiuto. Incredibile, un simile rifiuto si può ammettere in un chalk stream super-selettivo, ma in un torrentone gigante e ad una sedge nata per acque difficili è impensabile. Quella sì ch’è una sfida. Le lame, per quanto profonde, sono talmente mosse in superficie che sembra quasi impossibile far derivare una piccola mosca su amo 16 con hackle ridotto. Eppure insisto, e solo per seguire la mia regola principale: utilizzare assolutamente imitazioni di ciò che si vede volare, anche se sporadico, anche se raro, anche se strano. Devo quindi allungare il finale e poi il tip del finale, portandolo al diametro 0.14 ed alla lunghezza di circa un metro e mezzo. Pescare diventa un problema, sembra di costruire mosche con guantoni da box, ogni tre lanci è una parrucca per l’effetto elica, ma poi, sapete com’è, piano piano ci si adegua,

si lancia morbido e si aguzza la vista. A forza di osservare la superficie dell’acqua per tentare, tentare e basta, di vedere la mosca, mi accorgo di un fenomeno noto, ma pochissimo considerato: le lenti d’acqua. Le conoscerete anche voi: nei fondali profondi con superficie molto mossa, di tanto in tanto una colonna d’acqua in moto verticale forma una sorta di superficie lenticolare convessa attraverso la quale è possibile vedere con più chiarezza il fondo. Tale “lente” scende a valle per un certo numero di metri, infine si dissolve. Lanciando la mosca sopra la lente, col finale irregolarmente ammucchiato, si riesce a far percorrere una certa deriva all’artificiale, soprattutto lo si vede finalmente bene, ma decisamente lo si deve vedere bene anche da sotto. Infatti è solo in queste occasioni che ottengo abboccate o rifiuti: le abboccate se arrivano prima dell’inizio del dragaggio, in quanto la lente d’acqua è formata da una corrente radiale che dal centro va verso l’esterno, ed i rifiuti se la mosca inizia a dragare. La lente d’acqua agisce come uno stargate bidirezionale relativamente alla

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Che piaccia o no, il montaggio “palmer” non solo conferisce migliore galleggiamento del classico collarino tra addome e torace, ma anche migliore efficacia, poiché consente di ridurre i giri di hackle, quindi le barbule, quindi la massa deformante la silhouette: è il segreto della AK 47. Nel modello qui a sinistra e sotto per acque veloci i giri sono 6, da ridurre a 4 in acque difficili. Nella pagina a fronte in galleggiamento vedete una March Brown spinner. Questa mosca è micidiale, essa imita le immavisibilità, ma soprattutto forma un tunnel subacqueo attraverso il quale il pesce, dal suo rifugio, giunge in superficie senza faticare, inoltre la corrente verso l’alto forma inevitabilmente un flusso compensativo verso il basso, usato dal pesce per il ritorno. Il pesce è un sub professionista da almeno 500 milioni di anni, per quanto coglione, qualcosa avrà pure imparato. Ecco quindi che da quell’esperienza guardo le lenti d’acqua come una possibilità di pesca straordinaria. Ovviamente occorre il giusto ambiente, grandi fiumi con corrente impetuosa, nelle lame veloci e nei tratti dove il fondale è costituito da pietroni irregolari. Qui infatti si trovano le tane più sicure per i pesci. Ricordo di avere applicato con successo questo piccolo stratagemma in lame dell’Idrija, dell’Isonzo, della Traun, dello Steyr, e poi in fiumi nordici come il Pite Alv ed altri grandi torrenti. In tal modo è possibile insidiare pesci che di rado subiscono gli attacchi dei Pam. Spesso questi trascurano simili zone, magari provano a pescarvi con sommerse, streamer o ninfe appesantite, ma con rari successi, infatti in queste acque veloci e turbinose è difficile che un pescione si sposti per inseguire una velocissima sommersa che lo porterebbe a faticare parecchio, con tempi rapidissimi sia per vederla che, peggio, afferrarla. Invece so che questi pesci, quando su di loro si apre una lente, la seguono con lo sguardo, lì vedono be-

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nissimo eventuali prede, esse sono più lente e ben disponibili, la loro cattura è facile poiché la superficie è liscia, e per raggiungerle basta che si lascino andare nel flusso, che li porterà proprio sotto di loro. Anche i pesci isolati che individuate nei grandi fiumi, quelli che stanno in un flusso profondo, davanti ad un grosso macigno, in un giro d’acqua mossa o comunque in nicchie ampie e apparentemente perturbate, ma ben protette dall’onda di ritorno di un ostacolo, abboccano più facilmente se aspettate il formarsi di una lente o di un momento

gini di Ecdyonurus ed Epeorus con strema efficacia. Il corpo imita l’addome di queste grandi effimere rossastre, mentre l’hackle rado e sproporzionato in lunghezza consente per un limitato numero di lanci un buon galleggiamento di compromesso. É una mosca che non conosce rifiuti, bèh, si fa per dire, ma è certamente una tipologia vincente sul piano dell’efficacia, ma perdente su quello dell’indistruttibilità e dei continui cambi di mosca.


di superficie più liscia. Che è sempre il riflusso di un moto ascensionale più o meno regolare. Sulla galleggiabilità - Questo aspetto farà piacere agli amanti della dry fly. È vero che le emergenti stanno in parte sott’acqua, come le ninfe di superficie, che sono poi la stessa cosa, come le parachute, che di regola appoggiano le barbe sull’acqua ed il corpo sotto, tutto o in parte, come quasi tutti i terrestri, grassocci e spesso pesanti, come gli spinner spent, adagiati sulla superficie come quelli veri, insomma molti artificiali ambigui utilizzati come mosche secche o semisecche, sono decisamente efficaci anche, o soprattutto, in barba alla loro scarsa galleggiabilità. Occorre a questo punto una piccola dissertazione sulla galleggiabilità. Di solito si dice che un corpo galleggia quando, immerso in un liquido, non affonda, ma resta presso la superficie con una parte emergente, per quanto scarsa. Ciò che teorizzò Archimede lo ricordiamo tutti, ma quello che forse tutti non sappiamo è che il principio vale

sia per i corpi immersi, che ricevono una spinta verso l’alto pari al peso dell’acqua spostata, che per i corpi piccoli, leggeri e di regola idrofobici che rimangono totalmente o parzialmente sopra la superficie a causa del fenomeno della tensione superficiale. Essi pure ricevono una spinta dal basso verso l’alto pari al peso dell’acqua spostata, per l’esattezza quella che conterrebbe l’avvallamento del menisco superficiale che li sostiene, che è sempre acqua spostata. Chiarito ciò chiediamoci di nuovo cosa significa il termine “galleggiabilità” riferito ad una dry fly. Infatti una mosca artificiale può essere considerata galleggiante sia che rimanga tutta sopra la pellicola che sotto, ma senza affondare. Ma tra quei pochi mm di differenza c’è un abisso. Per lustri s’è cercato di realizzare mosche galleggianti che rimangano il più possibile sopra la superficie, ed è possibile se il modello è ben studiato, ben lanciato, soprattutto perfettamente asciutto e con le necessarie caratteristiche idrofobiche. Ricordo innumerevoli proposte costruttive, ami a filo spaven-

tosamente sottile (ricordate i Mustad 833? Si aprivano solo a guardarli male), teorie bizzarre ed altre interessanti per raggiungere lo scopo finale, quello che i fisici chiamerebbero la “teoria del tutto”: una mosca che galleggia perfettamente, vale a dire tutta sopra la superficie. Ne varrebbe la pena? E poi sarebbe sempre una tendenza: tra i due limiti esiste una scala di gradi di affondamento ed ogni artificiale va ad occupare sempre una posizione intermedia. Ben di rado una mosca galleggia in tal modo, e quando affonda al 50% diciamo… che è bagnata. Mosca secca, infatti, è una definizione più appropriata. Oggi con i modelli citati, emergenti, parachute e compagnia varia, la ricerca del galleggiamento assoluto sembra abbandonata, e questo è male. É male perchè rimango della mia convinzione: una mosca che galleggia meglio convince di più, ha un potere diabolico sul pesce, un potere che, a quanto pare, non tutti conoscono. Ma attenzione, si parla di galleggianti vere, dry fly a tutti gli effetti, emergenti & C. vanno benissimo così; semiaffondate.

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Una mosca che galleggia in buona parte fuori dalla superficie, ma con una scarsa dotazione di hackle, è micidiale. Il riscontro è empirico, ma assolutamente consolidato. Al di là dello sperimentale possiamo azzardare varie motivazioni, magari c’indoviniamo, dopo tutto siamo esseri intelligenti. Io credo che la vista del pesce, nel valutare un presunto insetto che galleggia sopra il menisco, denoti scarsa capacità discriminativa. Logica vorrebbe che la pellicola concava deformi l’immagine e la rifrazione la confonda ancor più, con la conseguenza di far presumere la realtà di un insetto per le pochissime possibilità visive di individuare il falso. Occorre però che la DF (dry fly) soddisfi alle condizioni descritte: poco hackle ben disposto e carattere fonda-

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mentale in evidenza. Io credo che il nocciolo del problema sia questo: una DF necessita di una certa massa d’hackle votata al solo galleggiamento, mentre nelle altre tipologie l’hackle è apposto in misura minima e solo per imitare zampette e/o conferire l’illusione del movimento. Pertanto mentre wet ed emerger mostrano silhouette imitanti, le DF sono più o meno occultate da numerose barbe apposte in tutte le salse. Il trucco consiste nell’apporre la minima quantità di hackle per ottenere il massimo sia di galleggiamento che di potere imitativo. Il potere imitativo poi non credo consista nel riprendere perfettamente silhouette e colore, ma soprattutto nel mostrare il principale carattere fondamentale. Quello e basta. Meno c’è, meno pesa, meglio

galleggia, Queste cose, molto di moda prima dell’avvendo delle emergenti, da molti sono state dimenticate. Ecco quindi che alcune mie imitazioni appaiono grossolane, squilibrate e fragili, e forse lo sono. Però sono efficaci: in esse solo poche barbe penetrano la superficie. Quando ho il naso umido come i predatori pronti al balzo, saturi di adrenalina e con i muscoli contratti, al finale ho sempre legata una mosca nuova, perfettamente asciutta, strutturata per un perfetto galleggiamento e sicuramente diversa dalla precedente, se aveva fallito. Nel finale non ho nodini malefici, perché l’ho appena verificato ed eventualmente rifatto, il mulinello ha l’avvolgimento compatto (così che non si inchiodino le spire, se troppo


Pagina a sinistra, l’evoluzione passata delle mosche artificiali ha anche prodotto montaggi bizzarri come questa “Utility”, credo che nessuno la utilizzi, eccetto il sottoscritto, e probabilmente ben pochi la conoscono. L’amo è un 16, il corpo in quill di pavone (malfatto, ma avevo fretta ed ero senza occhiali) e l’hackle in due giri di collo di gallo grigio molto luminoso. L’amo nei primissimi lanci “galleggia” almeno un centimetro sopra la superficie dell’acqua, inoltre possiamo “raccontarci” che il nylon si confonde con le barbule... Comunque si tratta di un modello micidiale in ogni acqua che riesce a reggere. Ecco, è uno dei piccoli segreti che conoscono tutti, ma pochi lo ricordano. É una mosca talmente stupida che nessuno ci crede, e chi ci crede prima di usarla la modifica per migliorarla: appone ali, Cdc, hackle più corto, un tocco di herl... L’unico, vero problema di questo artificiale è la fragilità dovuta alle rade, lunghe barbe, che la pressione dell’acqua flette all’indietro e le abboccate rovinano. Ma se ne fa una in un minuto, se non avete fretta. É perfetta per la società dei consumi: usa e getta.

lente, sotto l’improvvisa fuga di un pescione), il baking è verificato pure lui, ed ho controllato anche gli innesti della canna, che non siano lì lì per uscire. In queste situazioni divento maniacale, a cominciare dai nodi, che seguono rigorosamente la regola del sette, compresi quelli finale/coda e coda/baking (regola del 7: sette spire per parte nel blood knot, perfettamente accostate). Se invece pesco cazzeggiando (ho rubato la parolaccia al film Le iene di Tarantino, rende benissimo l’idea e da quando ha preso l’Oscar, credo, anzi forse no, comunque non è più una parolaccia) come faccio la maggior parte delle volte in un fiumetto da 4 soldi solo per passare un paio d’ore rilassanti tra un paio di trotelle e contemplazioni varie, se ho il naso umido è per il raffred-

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dore, e la mosca che pende dal finale è uno straccio. In due ore la cambierò sì e no tre volte. Insomma, dove davvero ne vale la pena, quindi in qualunque punto e momento un pesce importante può prendere in considerazione la mosca, questa dev’essere perfetta, almeno per ciò che dipende da me. Ed ecco quindi il mio stupidissimo segreto: pescare sempre con un perfetto artificiale ed un perfetto finale. Tutti sono capaci di farlo, ma chi lo fa veramente? Chi non fa un lancio in più con la mosca fradicia? E poi un altro, e un altro ancora? Chi non pesca ancora un pochino con un nodo parassita sul finale? Chi cambia il tip ogni volta che servirebbe un po’ più lungo per un problema di dragaggio o un po’ più corto per infilare la mosca in un pertugio? E così si perde un’abboccata qua, un’abboccata là… E forse un grosso pesce che non vedremo mai. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Se poi ci mettete le pause panino, sigaretta, relax, chiacchierata con montanaro, birra eccetera… Relativamente alle mosche artificiali, i miei concetti costruttivi tendono verso imitazioni incorporee, flou, fatte del minimo possibile, prettamente impressioniste. La stranota AK 47, l’Attila Killer, formata da pochi giri di hackle a palmer con corpo in filo di montaggio ed ala in Cdc è emblematica. É davvero fatta di niente, e già la conoscete. Cattura cavedanoni in Mincio nella piana di Goito, che è quasi come dire che prende salmoni nel Lambro, cavedanoni che hanno già rifiutato micro-chironomi ed esilissimi Cdc su finali capillari, figuratevi a trote e temoli. Un altro esempio è la March Brown spinner mostrata in Fly Line 4/06 alle pagine 27, 28 e 29, il carattere fondamentale, un appariscente corpo bruno rossastro, con rado, ma lunghissimo hackle nerastro in testa, è talmente identificativo del carattere fondamentale che riesce a convincere, oltre che trote in ogni torrente, anche i temoli in acque difficilissime, purché in giro ci siano Ecdyonurus venosus, E. helveticus oppure Epeorus. Sembra una balla da pesca, ma è come pescare con l’insetto vero. All’apparenza, i più le giudicherebbero mosche grossolane da torrente, fatte da uno che ha poca fantasia e fa

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mosche da tre mesi, e senza occhiali quando ne avrebbe bisogno. Sapore d’esapode – É l’eccitazione che dovrebbe caratterizzare il Pam nel momento in cui crede di aver capito cos’è ad eccitare (dal punto di vista alimentare) il pesce. É il fulcro della Pam. Ma l’avete mai assaggiato, un’insetto? Poco male, c’è chi l’ha fatto per voi. Leggete e stupite. Leggete lontano dai pasti, e non parlatene a pranzo e cena. Quando un pesce s’alimenta di regola s’aspetta di vedere arrivare un certo tipo di cibo. È un po’ come il gioco delle tre carte, se indovinate la carta, vincete. Ciò che si aspetta il pesce varia in funzione dell’ambiente, delle caratteristiche stagionali e delle condizioni meteo locali. Se è in atto uno sfarfallamento di O. albicorne che fa impazzire i pesci non c’è storia, occorre montare una Silver Sedge, è ovvio. La Silver Sedge in quel momento è la combinazione giusta,


Ecco qua due succulenti piatti fluviali, vere specialità della casa. Tra poco leggerete dei loro sapori, ma non ne comunicheremo le ricette, nè i vini per accompagnarli. A molti sembrerà folle ciò che leggerete alla prossima pagina, ma per comprendere un ambiente si può anche assaggiarlo. Come? Inserendosi nella catena alimentare due o tre anelli prima del nostro. Lo so, mangiare insetti non fa parte della nostra cultura, ma lo sapete che a livello planetario le persone che mangiano insetti sono la maggioranza? Perchè allora non cominciare? Aumenterete il senso dell’acqua ed avrete una possibilità in più per i tempi davvero grigi. Lasciate però qualche effimera nel fiume, anche i pesci hanno diritto di mangiare.

la formula risolutiva, purchè sia ingannevole come imitazione. Fin qui siamo più nel banale che nell’ovvio, come prendere il numero al banco dei salumi all’ipermarket. Il pesce può essere in attività in un flusso di alimentazione, può aggirarsi da sfaccendato in una zona d’acqua calma, può essere più o meno apatico e degnarsi di tanto in tanto di mangiare qualcosa, come può anche essere affamato, ma, trovando poco alla deriva, aggirarsi sul fondo a cercare ninfe, lumachine, tricotteri con l’astuccio e tutto, addirittura smuovendo la ghiaia per cacciare qualche invertebrato messo allo scoperto. La fame è brutta, credete che i pesci abbiano sempre la tavola apparecchiata ed il cibo pronto? O che gli insetti, se non sfarfallano, non sappiano difendersi? In ogni modo, come dice Hannibal Lecter, egli desidera, e cosa desidera? Buffalo Bill, lo psicopatico scuoiatore desiderava quello che vedeva tutti i giorni, come ogni essere umano, ma anche i pesci non devono essere dissimili. I desideri primordiali sono uguali per tutti. Quando abbiamo fame non stiamo a torturarci con cibi impossibili, io ad esempio ho un debole per le tagliatelle alla bolognese, reperibili in ogni ristorante, in alcuni meglio che in altri, ma io posso scegliere, devo anche pagare, i pesci no, ma è giusto, a loro arriva gratis. Il pesce, è inevitabile, dalla corrente si aspetta ciò che sa che può arrivare, non può mica ordinare il pasto, nella sua mente esistono le immagini di riscontro, come la mia, dopo 8 ore sul fiume ed un panino, forma un’immagine di tagliatelle affogate nel sugo di carne con su una spolverata di parmigiano. Ma in quelle 8 ore non devo pensare alle mie immagini, bensì a quelle del pesce. Devo cercare di capire che cosa si aspetta dal flusso alimentare, devo far sì che la mia mosca corrisponda ad una delle icone dentro la sua testa, possibilmente a quella che desidera di più. Ma cosa preferiscono i pesci? A questo proposito riporto una curiosa esperienza slovena, un dialogo, più una chiacchierata dopo un paio di bottiglie, forse erano tre o quattro, accaduto tra me, qualche amico e Branko Gasparin, titolare della pensione per Pam di

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nome Vila Noblesa, a Most na Soci, sull’Idrija. Branko è un Pam assatanato, un predatore totale, un killer alieutico come pochi, bravo flytyer e ideatore di ottime mosche. Ebbene, in quella chiacchierata Branko ha spiegato in dettaglio i sapori degli insetti dell’Idrija, del Baca e della Soca, affluenti compresi, quelli più dolciastri, quelli amari da fare schifo, quelli leggermente acri, ma niente male, quelli inaspettatamente gustosi, quelli che sanno di cetriolo, di betulla, di stalla e così via. Purtroppo ho ricordi frammentari, ero troppo impegnato a controllare che nei piatti non ci fossero resti di esuvie, ma con un po’ di pazienza tutto il dialogo è stato ricostruito. Ecco quindi i sapori degli insetti secondo Branko Gasparin. Gustatevelo (si fa per dire), solo qui potrete leggere una simile, assolutamente autentica, testimonianza. Fatene l’uso che volete.

Gusti particolari - Ephemera danica: la regina dei nostri insetti, il simbolo, l’ideale di purezza assoluta ha sapore amaro e sgradevole, tutt’altro che gustoso, da stupirsi che a qualche essere vivente possa piacere. Ricordo però il mate in Argentina, quella specie di infuso che gli argentini succhiano per ore e ore portando in giro le curiose pipette come gli statunitensi i bicchieroni di Coca Cola. Sono convinto che a Branko il mate sarebbe sembrato ancor peggio delle delicate effimere colore avorio. Infatti è più amaro del fiele, ma agli argentini piace. I gusti sono così. - Ephemera vulgata, sempre amara anche la principessina, ma un po’ meglio della E. danica. - Effimere in genere: poco saporite, leggermente amarognole, specie i Baetis. Pensate quanto s’è scritto su insetti che sanno così di poco. - Ecdyonurus: questo importante genere degli Heptageniidae ha specie poco gradevoli al palato, con sapore di stallatico, anche se ai bovari potrebbe piacere: aria di casa, no? - Tricotteri: sia larve che pupe

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che adulti, i tricotteri assaggiati sono tutti buoni, gustosi come noccioline, spesso dolcissimi. Un buon cibo davvero. Provateli. Se mia figlia l’impara, l’Ospitale rimarrà senza tricotteri, va matta per le arachidi. - Gamberetti (Gammarus): buon sapore, dolci come i fichi. E questo possiamo capirlo tutti. Quando vado in Mincio, in un negozio di Goito compro spesso i salterei, piccoli gamberetti di fiume coi quali il riso diventa nettare. - Plecotteri gialli (Yellow Sally): saporiti, non sgradevoli, ma poco gustosi, come masticare foglie di betulla o di salice, o l’erbetta che nasce presso le rive. V’è mai capitato, mangiando radicchi, di masticare qualche filo d’erba accidentale che ha passato i filtri della cuoca? Stesso sapore. - Piccoli plecotteri: tollerabi-

li, sapore curioso, sembra di masticare pezzetti di formaggio vecchio, ammuffito e leggermente piccante. - Grandi Plecotteri (P. maxima): sapore decisamente amaro, sgradevole, acre, scricchiolano sotto i denti. - Terrestri: questi Branko non li ha assaggiati, e non lo biasimo, ma la sfida è aperta. Branko non è certamente stato il primo a indagare questo settore, come dire, particolare, anche se non ho notizie di assaggiatori così perfezionisti. Ad esempio in Les mouches du pêcheur de truites di L. de Boisset si riportano ipotesi fatte da pescatori famosi e relative al perché il pesce preferirebbe catturare insetti alati in superficie invece di approfittare dell’abbondanza di prede sommerse, e qui tra varie teorie s’è ipotizzato anche il sapore. Il colonnello Vavon


Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei. Probabilmente vale anche per i pesci. Ecco dove reperire il menu della casa. Nelle zone d’acqua ferma, negli interstizi tra i sassi, nelle piccole fosse isolate, nei giri d’acqua presso riva galleggiano esuvie, spent, terrestrial sfortunati, still-born, insetti sciancati (cripple), che oltre a mostrare di che specie si tratta, mostrano anche lo stadio da imitare. La ricerca deve poi proseguire nelle ragnatele della vegetazione di ripa, nei parassiti di alberi e fogliame sospeso sull’acqua e presso ogni tipo di vegetazione sporgente. Non è strettamente necessario assaggiare tutto, ma il vero predatore alimenta il suo senso dell’acqua anche cibandosi delle stesse cose delle sue prede. É vero, siamo tra la deformazione professionale e la psicosi, ma sapete tutti che il genio vanta un corridoio preferenziale con la follia.

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L’indagine continua. Osservando tra i sassi nelle zone più calme, anche sollevandoli per osservarne il lato inferiore immerso, si vedono tante cose, tra queste importantissime sono le ninfe di effimera con teche alari nerastre: ecco cosa sta per sfarfallare, o cos’è già sfarfallato di recente. Le zone d’acqua calma, oppure un po’ mossa, intrappolata tra i sassi per qualche istante o... a tempo indeterminato mostrano esuvie e spoglie di insetti sfortunati, come questa immagine di Baetis giallastro o questa subimago di S. ignita.

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affermò, dopo esperimenti di accrescimento (di ingrasso sarebbe più appropriato) che le immagini di insetti acquatici ingrasserebbero il pesce ben più di vermi e vaironi, probabilmente per l’alto contenuto di sostanze nutritive. Per certuni i pesci non avrebbero il senso del gusto, ipotesi tentata dopo aver provato a spalmare mosche artificiali di mostarda piccante e pepe di cayenna, ben prese dai pesci, esperimento ovviamente tentato in Inghilterra. Strano che non abbiano provato col Ketchup. Per altri invece i pesci gradirebbero, nell’ordine, prima la E. danica, poi la Serratella ignita ed infine gli Ecdyonurus, ovviamente per questioni di sapore. Insomma, c’è di tutto ed il contrario di tutto. Credo che l’unica cosa utile sia che, con queste esclusive informazioni alimentari che Fly Line si pregia finalmente di fornire, il Pam ha l’opportunità di catturare solo le trote con le quali condivide il gusto. Ad esempio, se vi piacciono le arachidi, pescate solo con sedge fly. Nel film, portate pazienza, lo sapete che mi piace il cinema, Spy Game Brad Pitt in Vietnam mangia cibi vietnamiti, lontano dalla truppa un po’ schifata (come se il food Usa fosse meglio), Robert Redford, agente Cia operativo, decide di assoldarlo come killer proprio perché il puzzo del cibo è osceno, ma non per il nemico, commenta. Ecco quindi che condividere i gusti del nemico, per quanto sgradevoli, serve a conoscerlo meglio, e solo conoscendolo puoi batterlo, specie se è diverso da te. Non per niente Robert Redford era un pezzo grosso della Cia ed ha visto giusto: Brad Pitt diverrà un agente micidiale. Io spero ardentemente che una simile procedura alimentare resti senza applicazioni, così da non dover mai sostituire le mie tagliatelle alla bolognese con un soufflè di Caenis. Ma le sedge voglio assaggiarle, mi piacciono le noccioline. D’altra parte sono convinto che simili esperienze culinarie alimentino non poco il cosiddetto senso dell’acqua. Quando si interagisce con un ambiente in modo così profondo si trascende (colui lo cui saver tutto trascende, Dante) la propria essenza e le percezioni travalicano i sensi. Ecco che alla vista affian-


Qui sopra. Ecco un problema più difficile della bella e promettente apparenza. Una lama da sogno (alto Baca) degradante da un ghiareto e sovrastata da salici, con tane profonde nell’opposta massicciata e pesce, temoli e trote, che si alimenta salendo ritmicamente dagli ostacoli del fondo. Avvicinarsi nella ghiaia è come suonare le sirene per un attacco aereo, mentre i lanci lunghi e tesi farebbero subito dragare la mosca in quanto la corrente radiale si “apre” verso valle. Qualunque Pam si avvicinerebbe progressivamente lanciando ed iniziando a compiere passate, magari potrebbe catturare subito un pesce, ma innescherebbe una reazione a catena che farebbe scomparire le prede migliori. Miracoli non se ne possono fare, ma si può tentare un avvicinamento meno rumoroso possibile, rompendo la cadenza dei passi, stando comunque più bassi che si può e lontani dall’acqua quanto possibile. Si deve lanciare con falsi lanci sulla ghiaia per allungare il tiro quanto basta, e poi tentare un lancio curvo, o almeno molle, poco a monte del primo cespuglio. Queste precauzioni potrebbero bastare, se i pesci fossero davvero così abili non se ne catturerebbero mai.

chiamo l’intuito, ed alla fine vediamo meglio, vediamo meglio un insetto, un pesce, quello che fa e addirittura quello che desidera. Sentiamo quello che desidera. Occhio che non sia uno psicopatico. Consigli spicci da torrente – Cosa bisognerebbe fare in un torrente per pescare con la massima efficacia ormai lo sanno tutti, il problema non è saperlo, ma farlo. Perturbare l’ambiente è la cosa più dannosa. Che significa? Muoversi rumorosamente è il danno percentualmente maggiore, dopo gli schiamazzi tra Pam, demenziali, sono i passi, i passi nella ghiaia, soprattutto in acqua, i sassi smossi, poi i rami spostati, la nostra visibilità, il volteggio di coda e finale e pose disturbanti della lenza. Ecco che siamo preceduti da un’onda d’urto, come analizzato in Fly Line 3/06 (Pagina del Pollo). Le grosse trote ci avvertono per prime e da lontano, quindi arriviamo a pescare solo le trotelle, oppure i pollastri di semina pronta pesca. Quindi siamo alle solite: evitate la ghiaia, specie in acqua, state bassi e nascosti, non effettuate volteggi dove poserete la mosca e via dicendo. Tutte cose trite. Pescando in due lasciate perdere, e accontentatevi di quello che passa il convento. Una volta che finalmente agirete in un ambiente indisturbato, resta la scelta della mosca. Sì lo so, sapete cosa usare, le vostre due o tre mosche da caccia vanno benissimo, ma

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andrebbero meglio se imitassero, tratto per tratto, gli insetti che notate, sia in volo che tra la vegetazione. In questa ricerca vi sono alcuni trucchi da applicare, trucchi che servono ad individuare le famose icone nella mente del pesce (icona: segno visivo che ha un rapporto di somiglianza con la realtà esterna, in quanto presenta le stesse caratteristiche dell’oggetto denotato, Zingarelli. Icona è certamente il termine più adatto). Le effimere ad esempio tendono, dopo lo sfarfallamento e se il vento non cambia le carte in tavola, a volare verso monte, pertanto se vedete passare qualche

subimago e state pescando a risalire, è quella la mosca da usare nelle successive due o tre buche, anche se avete visto un solo esemplare. Seguite ciecamente questa indicazione. I plecotteri invece li si vedono spesso volare verso valle, oltre che in ogni direzione. I tricotteri non li vedrete mai compiere lunghi voli, con poche eccezioni, voleranno presso la vegetazione con brevi tragitti. Non cambia niente: imitateli immediatamente. Non trascurate gli insetti acquatici che vedete volare, mai, anche un solo insetto è una traccia importante, magari è l’ultimo

dei mohicani, e potrebbe stare ad indicare che qualche tempo prima c’è giusto stata una piccola schiusa di mohicani. Vanno certo bene le mosche generiche da caccia, in torrente le trote non vanno tanto per il sottile, specie le più sottili,

Qui a sinistra, un sito privilegiato. Certamente c’è almeno un bel pesce, ma di rado si riesce a catturarlo. In queste zone è opportuno investire un po’ di tempo. Missione: Occultamento e Osservazione. Ci si mette in osservazioni dopo essersi occultati. In queste nicchie il menu può essere particolarissimo e prima di lanciare una qualsiasi mosca è bene cercare di osservare se ci gironzola qualche insetto particolare, come Melasoma vigintipunctata, un banalissimo coleottero con pois neri su fondo giallo.

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poi metamorfosano. Diverse specie del trio ETP (effimere, tricotteri e plecotteri) si comportano così. Non è un’indicazione da poco, ci dice che ninfe si stanno muovendo nelle zone più calme, che dun (nel caso di effimere) s’aggirano nell’aere e che spinner potrebbero essere più catturanti all’imbrunire.

Ecco una cartina invertebratica di fine primavera in pieno pomeriggio per il tratto del torrente Leo dalla piana di Fanano alla fine del campo di ruzzola. Occhio perchè al momento è zona di ripopolamento. Se questa mappa fosse esatta non dovreste fare null’altro che montare Winged Black Ant all’inizio del tratto, e bruchi verdi nel sottoriva opposto, dove dai salici cadono in acqua, poco più a monte una piccola colonia di plecotteri gialli ha deciso di sfarfallare sporadicamente, mentre 50 metri dopo uno sciame di piccole cavallette spinte dal vento saltella e cade dal ciglio erboso della scarpata erosa dall’acqua, margine estremo del prato del campo di ruzzola. La successiva piana sembra dominata da una buona colonia di S. ignita, le cui dun si alzano qua e là dall’acqua per volare verso monte, ma nelle rapide sono più frequenti gli ultimi Ecdyonurus di tarda primavera.

ma sempre e solo in seconda istanza, la prima dev’essere una scelta “ambientale”. Come farla? Questo sì, che possiamo razionalizzarlo. Ragnatele – Guardate tra i sassi e nella vegetazione di ripa che insetti sono finiti nelle ragnatele. I ragni mangiano quello che scappa alle trote. Piccole pozze - Osservate le piccole pozze d’acqua ferma, possono mostrare che insetti si stanno suicidando in quel momento, oppure esuvie di invertebrati acquatici sfarfallati di recente, ma soprattutto qual è preponderante, soprattutto i terrestri sugli acquatici o viceversa. Fascia bagnata - Osservate dove l’acqua lambisce i massi. È qui che si notano le “righe” umide lasciate dalle ninfe degli insetti acquatici che per sfarfallare nuotano verso riva, risalgono per qualche centimetro i massi affioranti e

Substrati - Fondamentale è l’analisi dei fondali. Niente tuffi, basterà sollevare qualche sasso del fondo (ruotandolo in modo che il lato inferiore rimanga girato verso valle o la corrente spazzerà via gli insetti, che si lasceranno andare) per vedere se, quali ed in che stadio sono le larve e le ninfe ETP. La prima cosa da verificare sono le ninfe delle effimere con rigonfie teche alari nerastre, segno inequivocabile del prossimo sfarfallamento. Ecco che potremmo scegliere se utilizzare emergenti e ninfe di superficie di effimera anziché qualunque altro ammasso di peli. Attenzione, sotto i sassi potremmo anche osservare l’apparentemente strana presenza di adulti di tricotteri o effimere. Come diverse specie per sfarfallare vanno a riva, altre lo fanno direttamente sott’acqua, e molto più frequentemente di quanto immaginate. In simili casi si impongono le sommerse alate ed addirittura potreste utilizzare una sedge con pochissimo hackle come fosse un ministreamer, facendolo muovere nelle correnti. Vi sembra strano? Non fatelo. Vegetazione riparia - È ovvio, scontato e spesso inevitabile scuotere la vegetazione e vedere ciò che vola via. Ma attenzione, vi sono altri messaggi da cercare. Bruchi, parassiti, formiche, ragni, coleotteri di ogni foggia, cimici ed altri eterotteri, cicadelle, ortotteri, sono innumerevoli gli insetti che possono cadere in acqua dalla fascia arbustiva, dai rami degli alberi e dai prati prospicienti l’acqua. Aere - Gli insetti si vedono di solito volare, è facile e banale osservarli e trarre le opportune deduzioni, ma possono sfuggire cose importanti. Di solito si osserva poco lo spazio circostante e se si nota un insetto è perché ci vola sotto il naso mentre peschiamo. Ecco, in torrente, tra cose da non trascurare: piccoli

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sfarfallamenti localizzati, di regola sono effimere di modesta e piccola dimensione. Ad esempio alcuni Leptophlebiidae possono formare sciami di poche decine di individui che si producono nei voli nuziali in zone ristrettissime, ad altezza d’uomo, spesso all’ombra di alberi. Alcuni Heptageniidae durante il pomeriggio mutano da subimago a imago e possono iniziare a volare assestandosi altissimi sulle zone aperte del torrente, così alti che a volte è difficile individuarli, poi nel tardo pomeriggio e verso sera s’abbassano, fino a produrre voli nuziali di sparuti gruppetti che volano bassissimi, oppure si notano a pelo d’acqua. A volte nei pressi della riva, su alberi o macigni muschiosi, si possono trovare piccole colonie di tricotteri adulti che s’involano con rapidi e piccoli spostamenti senza abbandonare la zona, fanno così ad esempio i Philopotamus, imitati dalla Spotted Yellow. Ad un certo punto, sul finire della giornata, si trasferiscono sull’acqua, volando in modo caotico sulla superficie delle pozze e degli anfratti. In casi come questi, ma non sono gli unici, le imitazioni da utilizzare sono delle certezze, se il pesce si attiva. La regola del tratto - Ma soprattutto ciò che vale è quella che potremmo definire la regola del tratto, oppure l’insetto del tratto. Insomma, vi sarà capitato di notare che un piccolo sfarfallamento può interessare un piccolo tratto, e poco oltre è un altro l’insetto più frequente. E così, in una visione “geografica”, potremmo frammentare il torrente in numerosi tratti e ciascuno con una classifica di invertebrati presi dai pesci. Se avessimo una cartina “invertebratica” del genere avremmo certo vita facile: in ogni buca, in ogni lama, in ogni correntina od anfratto del torrente lanceremmo sempre la mosca raffigurata nell’icona presente nella mente del pesce. Nella cartina leggeremmo che dal salice che stiamo osservando calano sull’acqua piccoli e molli bruchi verdi, nella buca subito a monte stanno sfarfallando poco appariscenti Leptophlebiidae, poco dopo un prato rifornisce i pesci di piccole e numerosissime cavallette, poi la buca sotto la briglia è stata spolverata da un bracconiere e possiamo saltarla, nella successiva lama le trote hanno la

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bava alla bocca perché sanno che all’imbrunire arriveranno gruppetti di E. venosus ad ingrassarli, e via dicendo. Non sarebbe male, ma disporne dipende solo dal nostro spirito di osservazione, e per il bracconiere pazienza. Salvo chiare indicazioni contrarie, pescate con effimere in superfici aperte del torrente, e con terrestri o tricotteri sotto la vegetazione, specie in quelle buche difficili, perché nascoste o parzialmente ricoperte da alberi caduti e rami bassi. Il bruco fa magie in queste pozze, se riuscite ad infilarlo tra i rami. Insomma, questa indagine, se ben condotta durante tutto l’arco dell’azione di pesca, passa oltre l’esigenze dei riferimenti stagionali: offre già indicazioni sufficienti. Comanda la fame - In Gacka una trota cresce da 800 grammi/anno a 1200 a seconda che sia fario o iridea, questo perchè l’acqua di questa sorgiva è un brodo d’acqua calcarea gelida satura di forme viventi alimentate da grandi massi

di vegetazione acquatica. In un torrente dell’Appennino una fario può impiegare tre anni per arrivare a 18 centimetri di lunghezza ed alla soglia della maturità sessuale, in un torrente dolomitico, con acque bioticamente povere, o nei laghi d’alta montagna le trote possono soffrire di nanismo e i 18 centimetri di lunghezza diventano un traguardo davvero lontano anche dopo 5 anni di vita. Nei torrenti le trote molto lunghe sembrano poi anguille, tanto sono magre. Insomma, il torrente non è un ristorante aperto 24 ore. L’alimento è scarso, abbondante a tratti, ma rimediarlo è sempre una lotta ed una fatica. Se nelle sorgive del piano il pesce si permette di salire a galla quasi (quasi!) solo negli sfarfallamenti, nei torrenti vige un’altra legge, un proverbio africano recita “quello che si muove mangialo, altrimenti fanne un fuoco”, nel torrente potrebbe essere “quello che si muove mangialo, se sta fermo mangialo lo stesso”. Insomma, qui comanda la fame, bilanciata solo dalla paura. Paura delle piene, delle secche, dei vele-


Ecco due zone spesso trascurate, se non addirittura saltate dal Pam, che preferisce la piana con pesce che bolla e non sa resistere ad andarci subito. É sempre la famosa fascia di fine piana, qui ben identificata subito a monte delle rapide dall’ultimo tratto di acqua liscia e veloce. Ma nella zona turbolenta che segue, dove l’acqua salta tra i sassi ed in superficie forma schiuma e turbolenza, ci sono pesci, non solo, ma se il fondale crea pertugi abbastanza fondi tra i sassi crea anche tane e buche. Sono rifugi piuttosto sicuri per i pesci, ma come insidiarli? Un’ottimo artificiale è la ninfa di stonefly di dimensioni importanti, meglio se con silhouette abbastanza somigliante, e moderatamente appesantita. La si lancia direttamente nelle cascatelle per tenerla quanto possibile nelle zone schiumose e poi lasciarla derivare dietro i massi dove l’acqua è più calma e profonda.

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Tecnica di lancio. Meglio cominciare per tempo: la grinta di Carlotta. ni, degli aguzzini con la canna, dei predatori, del cemento, ma quando il pesce ha fame non c’è pezza, mangia di tutto, se appena ci crede. La conseguenza più diretta è che in torrente la scelta tra ninfa, sommersa e secca è prettamente questione di gusti, del Pam, con le eccezioni del caso, dovute ai livelli ed alle condizioni meteo. Tecnica di lancio – Saper proiettare 27 metri di lenza senza trazioni e 33 in doppia trazione, saper stendere perfettamente il finale a 20 metri con un loop impressionante, saper effettuare dosati lanci curvi a 12, 15 e 18 metri (si parla di coda 5/6), indica che siete un bravissimo lanciatore. La tecnica di lancio, se è evoluta, certamente aiuta a risolvere con efficacia i tre problemi Pammici: dragaggio, distanza, precisione, il famoso DDP. Aiuta un pochino in torrente e molto nel piano, un pochino con attrezzature leggere e moltissimo con quelle pesanti, ed è indispensabile per pescare a streamer con efficacia. Ma volete sapere che penso davvero della tecnica di lancio? Farò un solo esempio: Enzo Bortolani. Pesco con Enzo dal 1974, i primi lustri con regolarità, oggi di tanto in tanto. Enzo utilizza una 9’ per coda 5 ovunque, pur possedendo più canne di me e, credetemi, non ne ho poche. Ha il suo stile, molto classico. Non ha mai curato il lancio e non l’ho mai visto lanciare in doppia trazione se non quando assieme

si provava, o si prova, qualche canna su prato. Non l’ho mai visto adoperarsi per raggiungere distanze al limite, come non l’ho mai visto eseguire un lancio curvo dei tipi descritti, osservandolo, sembra un lanciatore mediocre, ma se anziché osservare lui tenete d’occhio la sua mosca, ebbene, la vedrete sempre cadere nel punto perfetto, e derivare senza dragare ben più in là di dove l’avevate immaginata preda dei flutti. Non si è mai preoccupato di indagare la moda dei lanci speciali (sottovetta, sovrapposto, radente, spiralato, angolato...), perchè, nel suo stile, risolve gli stessi problemi col mestieraccio, semplicemente non s’è mai preoccupato di dare un nome

a tutte le volte che ruota appena di più il polso, abbassa la traiettoria, infila la mosca sotto i rami o nel pertugio tra due sassi con un serbatoio di alcuni metri di lenza nella corrente. E da tanti anni, quando si pesca con la stessa passione (aspetto che vale soprattutto per me: lui non l’ha mai perduta e macina ancora i torrenti come un caterpillar) si catturano pressoché gli stessi pesci. Sì, lui racconta ancora di quando in Isonzo io catturavo temoli presso l’altra sponda (il fiume era molto basso...), come io racconto di come mi stupivo quando lui, invece, li prendeva sotto i piedi, i miei. C’è qualcos’altro, quindi, prima della tecnica di lancio. fine

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