Pagina del Pollo 59 - Pesci chiacchieroni

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L A PAGINA DEL POLLO 59 Roberto Messori

La scienza ormai ne ha la certezza: i pesci parlano, o almeno comunicano, di certo con suoni gutturali, ma anche con altri mezzi che noi umani, spesso inconsapevolmente, utilizziamo. Questa comunicazione li aiuta a sfuggire alle nostre insidie, specie se ripetitive.

Thorax Spinnerino

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S S

appiamo che le specie del mondo biologico vivono in funzione della scomoda abitudine di mangiarsi a vicenda. C’è ben poco da fare: alla stregua delle galassie, della forza di gravità e di altre cosette delle quali siamo ben poco consapevoli, questo mondo ce lo siamo trovato così, che ci piaccia o no. Non sappiamo neppure cosa ci stiamo a fare. O meglio, noi pescatori a mosca lo sappiamo benissimo, ma gli altri? Ci va di lusso che, tra erbivori e carnivori, noi stiamo tra i secondi, anche se certa gente vuole mangiare solo radicchi, soia e melanzane. Non che ci sia qualcosa di male, ma non potrebbero sgranocchiare sedano e finocchio, fatto già di per sé rumoroso, senza troppo proselitismo? L’istinto innato del predatore

Scarpantibus alata

porta noi pescatori lungo le rive dei fiumi e i cacciatori in boschi, brughiere e radure, noi almeno siamo più silenziosi, e molto più subdoli. Ma c’è dell’altro. Una palla di fucile è una palla di fucile, come ci ha insegnato Robert De Niro nel film “Il cacciatore”. – Stan lo vedi questo? Questo è questo è un proiettile non è un’altra cosa! Ficcatelo ben in testa! Infatti il suo scopo è uno solo: portare la morte, ma non si potrebbe dire lo stesso per le mosche artificiali. Intanto non portano la morte, semmai la vita, beh, l’illusione della vita, per essere pignoli: se il pesce le prende, le crede vere, anche se per poco, vere e vive. Ma è solo il suo punto di vista, d’accordo, lo credo io, ma potrebbe esserlo.

Scarpantibus non alata

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E poi, la morte... Ma quale morte? Ci sono no kill dappertutto! Semmai un forellino nel labbro, giusto per fare incazzare gli animalisti. Ne conosco uno, anzi, una, che non schiaccia neppure le zanzare, lascia che le succhino il sangue: “Sono creature di Dio ed anche loro hanno diritto di vivere”. Vegana, animalista e fanatica religiosa. Quando ruberà un camion per spiaccicare i commensali di un Hard Rock Cafè? Ma torniamo al proiettile. Una mosca artificiale non ti entra nelle carni a 1800 piedi al secondo dilaniandoti gli organi interni, ma deriva fluttuando allegramente sopra o sotto la superficie dell’acqua, sta al pesce decidere se prenderla o no. La sua efficacia è demandata ad imitare un insetto piuttosto che un altro, e con indubbia arte, estro, inventiva ed abilità. Non so voi, ma quando guardo un proiettile ho un fremito di inquietudine, mentre se guardo una mosca

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ben fatta ho un moto di ammirazione ed entusiasmo. Ma non è finita qui. Cervi, lepri, fagiani & C. per difendersi dai proiettili dei cacciatori hanno ben poco da fare. Possono nascondersi o fuggire alla percezione della minaccia, tecniche invariate dal primo ominide che imparò a colpire a distanza con un’arma: una lancia, una freccia, un sasso... Ma provate a colpire una trota con una Greenwell’s Glory: al massimo provocate uno schizzetto d’acqua mentre la trota se ne va scuotendo la testa. Con le nostre insidie invece sono i pesci a dover scegliere se suicidarsi o meno, i suicidi finiscono in padella, alla faccia degli animalisti, ma i sopravvissuti, fortunosi o per nostro volere, imparano. I pesci non hanno mai smesso di evolvere le loro difese. Imparano, giorno per giorno, volta per volta, eperienza

dopo esperienza. Se i meccanismi evolutivi hanno impiegato milioni di anni per fornire ai ghepardi uno sprint da Formula 1 o lo straordinario mimetismo ad un fasmide, bastano pochi giorni, pochi mesi o pochi anni a certi pesci per imparare ad evitare determinate esche. A questo proposito i no kill ci hanno insegnato parecchio, ma soprattutto hanno insegnato ai pesci. Vediamo ora cosa possiamo imparare noi, così abbondantemente intelligenti. Sopra, caccia e pesca: un proiettile non lascia scampo, la scelta di uccidere è del cacciatore, le prede possono solo cercare di prevenire fuggendo, come da milioni di anni. L’esca no, il pescatore può solo cercare di offrirla con abilità ed astuzia, sarà il pesce a decidere se prenderla o meno, e il maledetto non la smette mai di imparare.


meno efficace in tutte le acque di una regione? O di un paese? Senza poi considerare che ciascuno se la costruisce a modo suo.

Pesci ed esche

Mosche e mode

Se ben ricordo il primo articolo in Fly Line a toccare direttamente questo argomento uscì nel n. 4 del 1988, il titolo era “Dal punto di vista del temolo”, a firma di Guido Bissattini. Ne estrapolo una frase: “... Ma torniamo all’atteggiamento del pescatore nei confronti del temolo: dieci anni fa c’erano le “scarpantibus” e tutti usavano le scarpantibus, poi fu la volta delle Thorax, e tutti usarono solo Thorax, negli ultimi 4-5 anni venne il cul de canard...” Dopo di che Guido suggerisce, per spiazzare il temolo, di proporgli “un bello spinnerino di una volta”, con la ali in penna o in punta di hackle ed “i suoi giri di piuma di collo di gallo”. In effetti le scarpantibus (una sorta di sottile formica rossa), le thorax ed il Cdc hanno davvero identificato dei periodi, non tanto perché le trote, una volta esperte, le rifiutavano, ma perché erano mode perfette per sopire la “frustrazione di fondo del pescatore”.

A titolo di curiosità, oggi abbiamo la moda dei perdigones e delle chernobyl ant, che con le ant hanno ben poco da spartire. Ora, martellare continuamente un ambiente fluviale circoscritto con le medesime mosche, specie se si tratta anche di un no kill, è ovvio che quel pesce, per quanto zuccone, impari a rifiutarle, specie se percepisce la presenza del pescatore. Ma è possibile che una certa mosca, pur utilizzata da un gran numero di pescatori, diventi progressivamente

Da ragazzino, prima di iniziare a pescare a mosca, per un certo periodo pescai a spinning. Ebbi l’occasione fortuita di incappare in laghi popolati da bass praticamente (e incredibilmente) sconosciuti. Come mentore avevo il libro di Albertarelli “Enciclopedia pratica del pescatore” e lì scoprii le tecniche per il bass, mentre in un negozietto di pesca di Pinarella scoprii i plughi della Heddon, allora misconosciuti, il negoziante me ne rifilò uno scatolone per quattro soldi, non sapendo a che accidenti servissero. Li ho ancora, un vero capitale. D’altra parte era il ‘67, avevo 17 anni. Cercai di leggere tutto il possibile sul bass e trovai uno scritto relativo alla capacità di quel pesce di ricordare i vari tipi di esche. Toccai in modo tangibile la capacità di apprendimento di quei bass che, al mattino presto e alla sera, andavo ad insidiare: magari era tutto dovuto al caso, ma quella mezza estate continuai a prendere (ed anche a perdere) bass sempre più sporadicamente e sempre con esche diverse finchè nessuno abbocco più.

Sopra: plughi della Heddon, da cambiare di volta in volta, non solo per prendere il pescatore negli shop, ma anche per aggirare le memorie del pesce. Sotto: il Diablo prende la prima cubera, poi, il passaparola ittico...

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Albertarelli nei suoi libri, dove portava l’esempio dei cavedani che, sottoposti alla terrificante pressione di pesca della “bolognese”, arrivavano a girare intorno all’esca per verificare che non fosse attaccata al filo. Più vicino a noi è il fenomeno definito “monte court” in francese o “rising short” in inglese, identificante le giornaVoglio ricordare qui, brevemente, un episodio che ho già raccontato (Fly Line 5/2009 da pag 54). Io e il Diablo, alias Angelo Presazzi, durante una settimana di pesca a Cuba, ogni giorno passavamo un’ora di attesa presso un piccolo imbarcadero in legno dove da lì a poco (o a molto) sarebbero arrivate le lance a prenderci per uscire dal canale verso il mare aperto. Il Diablo ha questo soprannome per la sua incapacità di starsene tranquillo dieci minuti senza pescare o cacciare, con tutto. Davanti al molo girovagavano dei banchi di piccole cubere, una vera provocazione. Dal nostro pranzo al sacco il Diablo prese alcuni cubetti di carne (che non avremmo mai mangiato, avendola assaggiata il giorno prima) e li gettò in acqua: le cubere si avventarono e nessun cubetto arrivò alla vegetazione acquatica, circa ad un metro di profondità. Da una borsa estrasse una montatura con amo e filo, all’amo infilò un cubetto di carne, poi lanciò a mano la lenza in acqua. Subito le cubere accorsero e la prima afferrò il boccone, venne salpata e subito liberata. Al secondo lancio l’entusiasmo era già calato, si avvicinarono al boccone in affondamento, un paio di pesci lo toccarono a fior di labbra, poi lo scemo del gruppo rimase agganciato, ma si slamò nel tirarlo su. Gioco finito, non si fecero più prendere. Piano B - Venne studiato un piano di riserva: gettammo in acqua una manciata di cubetti compreso quello con amo e filo e, nell’entusiasmo della mattanza, agganciammo un’altra cubera, poi liberata. Fu l’ultima: il piano B si rivelò un’arma ad un solo colpo. Ci parve incredibile: ogni boccone veniva analizzato e quello con la fregatura rifiutato. Ricordo bene i racconti di

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te, o i momenti, nei quali il pesce sale a prendere di tanto in tanto la mosca, ma quasi mai resta agganciato, la ferrata va a vuoto o al massimo si conclude con uno strappetto, quello che noi definiamo “foratura”, e pochissimi pesci restano agganciati, e sempre a fior di pelle. Io ritengo che la cosa sia dovuta al fatto che in quella zona i pesci abbiano già subito di recente il passaggio di pescatori a mosca, ed il ricordo dell’esperienza li spinga ad una conseguente prudenza portandoli ad “assaggiare” l’esca con estrema cautela, e giacchè l’unico loro organo prensile è la bocca...

Risoluzione del problema: 1 - Cambiare posto. 2 - Cambiare fiume. 3 - Cambiare sport.

I pesci (si) parlano?

È come se tutto il banco delle cubere avesse condiviso la medesima esperienza in tempo reale. I pesci sono muti, almeno così crediamo, come comunicano simili eventi? Hanno un gruppo in WhatsApp? La scienza qualcosa da dire ce l’ha, ma non tanto, sa solo che comunicano con suoni a bassa frequenza, un mondo di suoni e di codici. Comunque i pesci non sono muti, anzi, ecco un paragrafo estrapolato da uno studio in tal funzione: “Pochi sanno che anche i pesci sono in grado di scambiarsi informazioni attraverso un linguaggio acustico, udibile anche dall’orecchio umano. Sono particolarmente chiacchierone le specie della famiglia dei Batrachoididae, a cui appartengono il pesce rospo e il pesce cadetto, su cui sono stati compiuti gli studi. Questi abitanti dei fondali oceanici possono pro-

Nei fumetti da Internet: come vedete i pesci parlano, ma a quanto pare non solo nei fumetti, che sono più realistici di quanto avremmo immaginato. Pagina a lato in basso: nel film Predator, Billy, dotato di un istinto eccezionale, è il primo ad avvertire la presenza del terrificante predatore alieno, e questo senza nessun contatto.


durre grugniti, versi sordi e gutturali, simili a quelli dei rospi, per spaventare nemici o scacciare intrusi dal proprio territorio. Per attirare le femmine nella propria tana invece emettono un ronzio basso e continuato...” Scrive Valentina Tubino nel “Corriere della Sera” presentando una ricerca del neurobiologo Andrew Bass (Cornell University di Ithaca, NY) pubblicata in “Science” nel 2008. Tale studio ha evidenziato come la vocalizzazione dei viventi, dai fringuelli a noi, possa essere nata dai pesci, avendo individuato in un pesce fossile di 400 milioni di anni fa la stessa zona nel cervello che nelle moderne specie di pesci è deputata a coordinare i “grugniti” che emettono grazie a muscoli che controllano la vescica natatoria.

“In questi animali [pesci ndr] tutta la vita sociale ruota intorno all’emettere ed ascoltare suoni”, dice il neurobiologo Andrew Bass, dell’Università Cornell di Ithaca, New York. “Il suono è il loro mondo”. D’altra parte i suoni nell’acqua si propagano più efficacemente e velocemente che nell’aria, e se l’acqua è salata ancor più. Per dare un’idea ecco i valori: - aria a 20° C, v = 340 m/s - acqua a 20°C, v = 1480 m/s - acqua marina a 20°C, v = 1510 m/s Non solo, la velocità aumenta con l’aumentare di temperatura e densità. Le equazioni secondo cui la velocità del suono varia al variare della temperatura sono: - V. aria= 340 m/s + 0,6•Temp. - V. acqua= 1480 m/s + 4,2•Temp.

Non so immaginare qualche applicazione pratica nella pesca a mosca, comunque ora siete avvertiti. Volete saperne qualcosa di più sui pesci parlanti? Leggetevi “Sound Communication in Fishes” a cura di Friedrich Ladich. Lo trovate online, digitando il titolo e l’autore. È in inglese. Bene, che i pesci parlino pare assodato, ma comprendere la loro lingua non sarà facile, poi chissà quanti dialetti avranno. Ma non è finita qui. Potrebbe essere che, avvertendo un pericolo, i pesci possano liberare ferormoni o endorfine percepibili dalla linea laterale, ma, per quanto ne so, è solo un’ipotesi. A tal proposito ricordo che, come gli animali, anche gli esseri umani sono in grado di recepire “l’odore” della paura o della repulsione, una capacità che può essere utile in situazioni di imminente pericolo. Ecco un breve paragrafo estratto dal sito “http://www.stateofmind. it/2013/09/naso-odore-paura/”: “Questa scoperta dimostra che l’odore della paura possa innescare una risposta del cervello emotivo in assenza di consapevolezza cosciente, dunque potrebbe contribuire a spiegare perché siamo a volte mossi da paure apparentemente senza senso, senza registrare alcuna esperienza sensoriale di accompagnamento. Responsabile della percezione olfattiva inconscia nel senso di timore

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sono i ferormoni, sostanze rilasciate per mezzo della sudorazione che segnalano a chi ci sta accanto quali emozioni stiamo provando. Infatti il senso dell’olfatto umano è molto più sensibile di quando finora si pensasse, e può contribuire a spiegare perché le sensazioni di panico si diffondono rapidamente in gruppo, dove alcuni individui sono particolarmente impauriti. Si è concluso che il cervello umano orienta automaticamente le regolazioni fisiologiche ai segnali di ansia chemosensoriali, senza dipendere da mediazione cosciente.” Se funziona con noi esseri umani, dimentichi dei fondamentali meccanismi istintuali che stiamo perdendo da migliaia di anni, figuriamoci tra gli animali, continuamente martoriati da nuove e sempre più potenti insidie e modifiche ambiantali. Alle attuali conoscenze i risultati degli studi suggeriscono che nelle prede si sia evoluto un sistema generale per la percezione del predatore, costituito da un circuito che include l’organo vomeronasale, del quale si conosceva solo

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il ruolo fondamentale nella comunicazione chimica fra i membri della stessa specie. Le applicazioni pratiche nella Pam? Non saprei dire, cercate di non sudare. Oppure strofinatevi con una sardina.

I pesci e la Pam

L’embrione di questa discussione, qui dilatata in articolo, è nato domenica

1° ottobre al meeting di Porretta Terme, io e qualche Pam, dopo il pranzo, ci siamo persi in chiacchiere e bicchieri di vino. È vero che il vino annebbia la mente, ma in una prima fase la eccita e la lubrifica. Le chiacchiere della fase nebbiosa ve le risparmio. Nella fase di lubrificazione s’è affrontata la “degenerazione “della Pam praticata col filo e la conversione generalizzata verso la pesca a ninfa sul fon-


dale. Ovviamente è anche uscita la frase “non ci sono più schiuse”, ma è anche vero che se ci sono larve e ninfe sul fondo è perché le immagini ne hanno deposto le uova e per far ciò è inevitabile che abbiano sfarfallato, pertanto la scusa delle schiuse non funziona, semmai è tutta la massa biotica ad insetti acquatici che sta riducendosi sempre più. D’altra parte è pur vero vero che la maggior parte di alimento si trova sul fondo, dove il pesce pascola quasi continuamente, o almeno quando si alimenta, mentre a mezz’acqua o in superficie A fronte sopra: la scarpantibus, con ali e senza. Sotto: la Thorax. Bruttissima, ne convenite? Qui sotto: la Thorax del dressing. Mi sembra già meglio, ma forse è perché l’ho fatta io.

caccia solo durante le fasi di sfarfallamento, e non sempre. Ricordiamo la famosa frase che paragona il cibo sotto la superficie al manzo, e quello sopra al caviale. Con la ninfa si hanno di certo maggiori chances, e quella sul fondale rende davvero tanto, non v’è dubbio. Poi si è passati ai vari racconti di pesca nei no kill, con pesce che, o accorre verso i pescatori confidando nella fornitura di pellet, oppure è talmente selettivo che è quasi impossibile farlo abboccare e, se succede, si lascia trarre a riva senza difendersi, sapendo che verrà rilasciato immantinente. Dopo di ché s’è passati al processo evolutivo delle esche, accennando all’iter delle mode: scarpantibus, thorax, cul de canard, chernobyl, ninfa col filo... e mettiamoci pure Tenkara e Valsesiana, che riesumano la pesca a discendere col trenino di spider... È a questo punto che, al terzo bicchiere di vino, sono sbottato

con:

– Vedrete, tempo qualche anno di pesca intensiva a passata sul fondo con le ninfe ed il pesce diverrà talmente selettivo che si dovrà tornare alla mosca secca, e del tipo più classico, che di certo non ricorda più. Speriamo solo che i pescatori se le ricordino ancora. Comunque al successivo bicchiere di vino è calata la nebbia e l’indagine s’è fermata lì. Nel frattempo, in attesa di cambiare l’olio ed incorrere in una nuova e stimolante fase di lubrificazione dei neuroni, e confidando che oggi la maggior parte dei ninfomani e delle (poche) nuove leve nate come Pam all’ombra della ninfa iper-piombata non conosca i modelli citati, propongo i dressing delle loro tipologie; quando la pesca a ninfa non funzionerà più sui pesci chiacchieroni e ferormonizzati, avrete già l’arsenale pronto per le nuove armi.

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Scarpantibus

Certamente fu un fenomeno di moda, ma la mosca è accattivante. Ha tutte le caratteristiche di un buon modello: è piccola ed esile, il modesto rigonfiamento in herl di pavone alla fine dell’addome potrebbe rappresentare il grumo di uova di una femmina in ovodeposizione, ma ben più probabilmente imita l’esuvia di un’emergente (a suo tempo misconosciuta ai più come modello consuetudinario), una still born o cripple che dir si voglia. Il sottile addome rosso rosato è certamente uno spot cromatico di alta funzionalità, seppur empirica, ma assodata e lo scarso hackle luminoso sul grigio o dun è perfetto per riprendere zampe ed ali. Può rappresentare benissimo le red ant, tra l’altro. Inoltre ci sono una miriade di piccole e medie effimere, oltre che un’altra miriade di ditteri NBI (non ben identificati), Inoltre vorrei rilevare la notevole

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somiglianza nella silhouette (e, volendo, nei colori, realizzandola in verde anziché rosso) con la Ribnik Fly di Walter Luzi pubblicata in FL 5/2016. Manca l’hacke ed ha i filamenti dell’esuvia, ma il concetto costruttivo è molto simile, se vogliamo considerarne l’ipotesi di imitazione di un emerger con esuvia a rimorchio. Tra gli infiniti modi per realizzarla ho scelto questo dressing (vedi step costruttivi), assai simile all’originale, nonostante le piccole licenze, nel risultato finale: il rigonfiamento posteriore è in herl di pavone naturale, dosato in modestissima quantità; il corpo è ottenuto con due filamenti, uno in filo di montaggio di nylon bianco ed uno di filo di montaggio rosso vivo, in funzione di una relativa trasparenza il rosso diventa leggermente rosato. Niente ali, ma solo qualche giro in testa di hackle grigio violetto molto luminoso, i cui riflessi imitano le ali degli spinner, ma

anche quelle delle subimago, non credo che i pesci facciano troppe distinzioni entomologiche. L’ho provata sul pesce rosso che ho in redazione da almeno un lustro: è una delle pochissime dry fly che ha aggredito. E aveva già mangiato. Comunque l’ha risputata all’istante.

Thorax

Questo modello proposto nel ‘50 da Vincent Marinaro non solo è un po’ l’invenzione dell’acqua calda, ma è anche brutto da vedere, con ali ed hackle dietro al trorace e sull’addome, se vogliamo essere pignoli sulle proporzioni tra le tre parti del corpo, testa, torace e addome, delle effimere; ed è anche scomodo da realizzare, con l’hackle che, dovendo essere incrociato attorno alle ali ad X, le piega e distorce da tutte le parti, poi non si sa dove chiuderlo, se davanti alle ali si viene a formare una brutta strozzatura a metà della mosca, se in testa molte barbe scappano in


avanti rendendo scomodo il nodo finale e antiestetica la mosca. È vero che è il pesce che deve dire l’ultima parola, ma anche l’occhio vuole la sua parte. Guardate un modello trovato online nel sito della Orvis (pag 28 in basso). Vi piace? Eppure nelle fasi costruttive il flytier mostra un’ottima manualità, ma quell’hackle incrociato... Tuttavia questa tipologia di montaggio apporta un probabile vantaggio grazie all’ampiezza ed alla centralità delle barbe, che riprendono bene gli appoggi dell’insetto in acqua, e che la rendono un buon modello in acque selettive... statunitensi.

Cul de canard

Non credo proprio che vogliate vedere un dressing di questa mosca, proposta e riproposta all’infinito da tutti i media, tutti i libri, tutte le riviste, qualche milione di siti web di flytier ed in tutte le forme possibili. Ricordo solo che in origine la F-Fly, cioè Fratnik Mariano Fly, la ideò e la fece conoscere

al mondo utilizzando il Cdc come punte di hackle semplicemente legate in testa alla mosca e leggermente verticalizzate, senza corpo, né hackle, né code. I pesci apprezzarono ed apprezzano ancora.

Chernobyl ant

Vale quanto detto per il cul de canard inteso come mosca: ne trovate ovunque in infinite combinazioni, ecco il kit di costruzione: qualche pezzetto di foam di diverso colore, qualche elastico sottile in diversi colori, un amo a gambo lungo di qualunque dimensione, forbicine, filo di montaggio, fantasia malata. Il pesce farà il resto, ma per lanciarla non scendete sotto la coda # 5, se l’amo supera il n. 10.

Spinnerino

Agli albori della mia trasformazione in flytier mi esibii in un modello esile quanto i piccoli spinner di baetidi realizzando un banale, semplice, classico, etereo, sparuto montaggio su amo

16. A quel tempo per me era una vera sfida, con morsetto Veniard per mosche da salmoni (l’unico trovato sul mercato nel 1975), bobinatore gigante a ferro di cavallo, filo di montaggio Veniard in seta (l’unico possibile in quel periodo) e terrorizzato dalla frase ben presente nella mia mente letta nel libro del De Boisset: “Ma quale difficoltà per ben riuscire in questi piccoli modelli (...) il montaggio è una vera acrobazia”. Quando lo mostrai ad Angelo Gariboldi durante uno dei pellegrinaggi a Milano al negozio Garue questi ebbe un vero moto di meraviglia ed i suoi complimenti mi stupirono: – Ohe! Questa è buona! Perfetta per il Nera, con lanci lunghi e finali sottili. Il Nera, a quel tempo, dai pochi che lo conoscevano era considerato un torrente esotico, selvaggio, difficile, con pesce selvatico e selettivo, affrontabile solo dai pochi che sapevano il fatto loro. Io non ero certo tra questi, ma almeno la

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mosca ce l’avevo. Era già qualcosa. Non posso resistere: devo replicare il dressing. Ho ancora quella mosca, la vedete a pagina 31 in basso, non ebbi mai il coraggio di presentarla alle terribili trote del Nera, e oggi è troppo tardi: sono tutte finte, le trote, la mosca lo è sempre stata. Mostro gli scontati step di montaggio, unica piccola variante: la lunghezza delle code e delle ali, che ne accentuano un carattere importante e ne aiutano il galleggiamento, rendendola

anche un po’ più eterea. Naturalmente ne feci nel tempo infiniti esemplari, trattandosi di una iper-classica imitazione di Baetidae, ma quella che esibii ad Angelo l’ho sempre conservata dai pesci e dalle tarrme. Era una medium olive, con occhi rossi, quella che costruisco qui è sempre una olive, ma con occhi gialli, così, giusto per cambiare specie. Nei maschi dei Baetis, come sapete, gli occhi a turbante sono grandi, grandissimi, ben evidenti,

un vero spot cromatico e possono essere, in funzione della specie imitata, gialli, arancioni o rossi, anche bruni, ma assai meno sexy. Gli occhi azzurri e verdi sono prerogativa di noi umani, di qualche boxer e degli husky. Un’ultima riflessione: in estate, si sa, i cappotti in torrente sono facili e nelle sorgive sono quasi scontati, e in estate, si sa, si suda tanto. Occhio ai ferormoni.

Dressing della scarpantibus - amo 16 1 - Con filo di montaggio bianco si ricopre l’amo e si fissa posteriormente una barba di herl di pavone. Si realizza un nodo e si recide il filo.

3 - Per un breve tratto si avvolge l’herl di pavone, si blocca e si taglia l’eccedenza

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2 - Per ottenere un corpo più rosato (questione di gusti o semplice mania di protagonismo), si ricopre l’amo con filo rosso (oppure si fa tutto col filo rosso).

4 - Si riavvolge in modo compatto il filo riportandolo nel punto di fissaggio delle ali e dell’hackle, a circa 1/4 dell’amo.


6 - Si verticalizza il Cdc con avvolgimenti del filo di montaggio.

5 - Volendo un modello alato, che offre il vantaggio di una migliore viìsibilità, si fissa un tuft di Cdc grigio chiaro.

8 - Si vvolge l’hackle con 3-5 giri in funzione del galleggiamento e dell’ambiente di impiego. Nodo e colla a completare. 7 - Si appone una hackle di gallo grigio con barbe lunghe come l’amo, ma più corte delle ali.

9 - Si spalma sul corpo rosso un po’ di vernice. La Scarpantibus è finita.

10 - Questa è una versione senz’ali. Per ottenerla si omettono i passaggi 5 e 6, mi pare.

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Dressing della Thorax - amo 16 Foto 2 - Si forma un’asola che servirà per il dubbing, poi col filo ci si porta a metà amo. Foto 1 - Si fissano le code nel modo classico. Ho usato alcune barbe di collo di gallo grigio.

Foto 3 - Si preparano e si fissano come in foto due punte di hackle di gallo grigio.

Foto 5 - Si fissa una hackle, io ho utilizzato un collo grigio brunastro. Si porta il filo presso la testa, a 2-3 mm dall’anello circa.

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Foto 4 - Le si drizzano con avvolgimenti alla base del filo di montaggio e ad X attorno alle rachidi per aprirle a 30°.


Foto 7 - Si forma il corpo in dubbing cercando di non danneggiare le ali, si fissa presso l’anellino e si recide l’eccedenza. A voi il piacere di raderlo per assottigliarlo sagomandolo a piacere. A me piace già così. Poi ho le forbicine poco affilate.

Foto 6 - Si prepara un dubbing nell’asola e lo si ritorce con la trottola, o con le dita, o come vi pare.

Foto 8 - Si avvolge l’hackle ad X attorno alle ali, due X da un lato e due dall’altro, o come vi pare. Lo si blocca in testa, si recide l’eccedenza e le barbe troppo irregolari.

Ecco la Torax Olive Dun terminata con nodo e colla. Non piace neanche a me, ma ne ho viste di peggio. Comunque non deve piacere a voi, ma al pesce, sapete come chiederglielo? Il mio pesce rosso la adora.

La Thorax vuole solo essere una metodologia costruttiva adatta ad acque difficili, ove dosare l’hackle in base alla situazione che dovrà affrontare. Colori e materiali andranno adattati ai bisogni imitativi, salvo un unico, necessario accorgimento: la parte centrale dove sono fissate le ali dovrà avere un rigonfiamento in morbido dubbing o altro, altrimenti sarà impossibile avvolgere l’hackle ad X. Chi ha il libro “Ephemeridae nuptialis volatus” potrà vedere una più razionale soluzione nel dressing della Blue Quill Spent, col montaggio dell’hackle alla pag. 149.

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Dressing dello spinnerino - amo 16

Step 1 - Con filo di seta gialla della Veniard (o quello che vi pare), percorrete l’amo fissando prima le code in gallo grigio chiaro, poi un quill di pavone verde oliva.

Step 2 - Formate il corpo in quill e bloccate.

Step 3 - Scegliete e preparate come nella foto due punte di hackle grigio lunghe poco più dell’amo.

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Questo modello sarà vecchio, sarà ortodosso, sarà anche superato, sarà discutibile la sua presunta imitatività relativa agli spinner, ma una cosa è certa, in presenza di piccoli baetidi giallastri o olivastri, che siano subimago o immago poco importa, questo vi assicuro che funziona, sia in torrente che in sorgive ed acque del piano. Dun o spinner? Credete davvero che trote e temoli si pongano questo problema? L’argomento è eccezionale per le nostre discussioni, davvero intrigante e foriero di stroncare consolidate amicizie, ma lungo i fiumi scordatevelo.


Step 4 - Fissate le ali con un paio di giri di filo.

Step 5 - Drizzate le ali con pochi giri di filo sul retro, divaricatele di poco ed eseguite un passaggio per parte ad X tra le ali, tenuto morbido. Se nel verticalizzarle si sono già aperte a 30° potrete evitare il passaggio.

Step 6 - Fissate una hackle bruno grigiastra chiara dietro alle ali. Barbe lunghe come l’amo.

Io considero questo dressing, oliva o nelle eventuali varianti cromatiche, un modello insostitibile. È possibile trasformarlo in una emergente semplicemente incurvando la code (da farsi tra gli step 1 e 2), a cappio e rilegandole all’amo: imiteranno l’esuvia. Step 7 - Avvolta la hackle, testa, nodo e colla completeranno la mosca. La trovate “ambientata” a pagina 30.

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