Nel regno delle ninfe

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Nel regno delle ninfe è un articolo di Paolo Bertacchini estratto dal III Speciale Attrezzature 2006 dal titolo “Speciale campioni”

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Se con la fantasia abbandonate le rive del fiume per scendere sotto la superficie, microscopici ed invisibili, inizierete la discesa forse incrociando piccoli esserini che, come minuscoli serpentelli agitati, nuotano verso la superficie, veloci ed ansiosi di fuggire da essa. Più giù, incontrerete flussi di ninfe che si spostano veloci, corrono sulle superfici delle pietre in barba alla corrente alla ricerca di nuove superfici da raschiare, ma sempre attente ai predoni che si aggirano tra i sassi ed ai terribili, giganteschi pesci, orchi immensi che le risucchiano a migliaia. E qui vi scappa un sorriso: vorreste che anche le vostre ninfe fossero risucchiate dagli orchi, le stesse ninfe che create con fili di seta, piume d’anatra ed una ricurva anima d’acciaio.

S

Paolo Bertacchini

ono nato a poche centinaia di metri dalla confluenza di due fiumi, in quel lungo casermone, rimasto immutato sino ad oggi, che s’incontra all’inizio dell’abitato di Aulla. Mio padre usciva spesso di casa per andare a lanciare le proprie moschette finte nelle limpide acque poste ad un tiro di schioppo dalla nostra abitazione. La sua, me lo diceva con orgoglio, era stata la licenza di pesca numero due della Provincia di Apuania, poiché quella di Massa Carrara non era ancora stata istituita. Mi raccontava anche che all’epoca la gente catturava le trote con le reti. Era un appassionato pescatore, ed in particolare fu uno dei pionieri della “pesca con la mosca finta” in Lunigiana. Costruiva i propri artificiali con il semplice ausilio delle mani, e so per diretta esperienza cosa ciò possa significare. Forse è logico il fatto che io abbia seguito le sue orme. Di certo, lui non fece mai nulla per influenzarmi o per indirizzare la mia attività alieutica in una determinata direzione. Stava semplicemente a guardare, pronto ad offrirmi il suo aiuto quando glielo chiedevo espressamente. Ho iniziato pescando a sommersa, poi in rapida successione la secca e la ninfa hanno saputo esercitare su di me il loro irresistibile fascino. Successivamente ho acquisito la consapevolezza delle reali virtù della sommersa, sono quasi tornato alle origini, e l’ho necessariamente dovuta riabilitare. Benché abbia trascorso anni lanciando le mie moschette finte sull’ampio fiume, perché la portata d’acqua del Magra a volte incute quasi timore, in realtà l’ambiente che prediligo è rappresentato dal medio torrente alpino o appenninico. Sotto un certo punto di vista, poi, il fatto di essermi dovuto trasferire in Liguria per motivi di lavoro mi è servito. L’Aveto, infatti, è una realtà. Ti entra nel sangue per motivi oscuri, e ti strega. Ma per avvicinarlo correttamente occorre un pizzico di umiltà e, di certo, l’esperienza di chi già lo conosce è importante. Di tutti questi anni trascorsi lanciando le mie moschette mi è rimasto molto, non solo i ricordi, ma anche le convinzioni e le certezze che mi sono creato persino mediante un sereno confronto con gli altri. Né, d’altro canto, ho mai sottovalutato l’importanza delle nozioni apprese dalla lettura delle cose scritte in tema di pesca. In tutti i casi, tuttavia, ritengo opportuno che le varie tematiche proposte vengano esaminate accuratamente, prima che una determinata teoria possa essere tranquillamente sposata ad occhi chiusi. L’acqua che scorre è la nostra vera maestra ed il pesce, in ultima analisi, il nostro miglior giudice.

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La mosca sommersa - Penso che un buon compromesso per la canna polivalente, ossia da utilizzare indifferentemente per la secca, la sommersa e la ninfa, sia rappresentato da una 8’ 5” per coda del n° 5. Non mi va di sbracciarmi per un’intera giornata quando posso ottenere il medesimo risultato con un’attrezzatura più equilibrata, tale da consentirmi un minor dispendio di energia. Tutt’al più, visto che utilizzo prevalentemente code galleggianti a doppio fuso del n° 5, posso benissimo intervenire sulla lunghezza del finale. Solitamente quando si parla di pesca con la sommersa ci si riferisce esclusivamente ad un treno di mosche lanciato a scendere, mantenendo il tutto in lieve trazione in modo da consentire una ferrata quasi automatica quando il pesce ghermisce uno degli artificiali. Non è affatto così, quantomeno non esclusivamente. Ma facciamo un passo indietro. Di solito, la miglior strategia nell’avvicinamento della trota si concretizza risalendo il corso d’acqua, e questo sia per una maggior discrezione nei confronti del campo visivo del pesce che per consentire la deriva naturale dell’esca. Il gioco esercitato dalla forza delle varie correnti, poi, riesce a far compiere all’artificiale movimenti assai verosimili. Il vero punto di forza nell’elaborazione di una moschetta sommersa è rappresentato dalla mobilità dell’hackle impiegata. Le sue morbide barbe devono rappresentare il contorcimento dell’insetto, di un esserino che muove freneticamente le zampette e l’abbozzo alare nel disperato tentativo di oltrepassare la pellicola superficiale dell’acqua. Il pesce conosce benissimo questo meccanismo ed è consapevole del fatto che in pochi attimi la preda non sarà più alla sua portata, quindi agisce velocemente per una sorta di riflesso condizionato. Quindi, il primo vero grande segreto di questa tecnica consiste nel pescare anche e soprattutto a monte, setacciando meticolosamente tutti i settori del corso d’acqua con una serie di pose delicate, senza alcuna fretta. Ho una particolare predilezione per le piume di pernice, quindi ritengo che modelli tipo Italian Partridge and Yellow (Fly Line n° 3/2006), oppure la

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classica Partridge and Orange, vadano benissimo. Tuttavia sono altrettanto validi artificiali realizzati con piumette di gallina tinta in grigio, soprattutto per la rappresentazione di baetidi in schiusa. Solitamente adopero due artificiali contemporaneamente, mantenendo tra loro una distanza di circa 80 cm. Non è, quest’ultima, una regola assoluta in quanto la situazione ambientale e la conformazione del corso d’acqua non sono, ovviamente, sempre le medesime. Di conseguenza mi capita anche di dover accorciare la loro distanza o di adoperare una sola mosca sommersa, soprattutto su pesce selettivo oppure quando voglio disturbare il meno possibile la superficie dell’acqua. Un altro utile accorgimento che adopero spesso consiste nell’appesanti-

Mosca sommersa a risalire: si lancia a monte di ogni zona o spazio ove si presume il pesce, si mette in debolissima tensione la lenza e la si recupera in modo da lasciar derivare la mosca (o le mosche) a velocità identica o appena superiore a quella dell’acqua. Si percepiranno le abboccate col tatto, e talvolta visivamente, se le mosche derivano presso la superficie. La mano sinistra recupera la lenza a spirali, senza mai lasciarla molle tra l’anello di punta e la mosca, pena la perdita della percezione degli abbocchi. I falsi lanci devono tendere a zero ed il finale non deve mai essere troppo lungo, specie nel tratto terminale, o risulterà impossibile mantenere il contatto con l’esca.


re i medesimi modelli con qualche giro di filo di rame. Il risultato ottenuto non dovrà essere dissimile dal medesimo artificiale privo di qualsiasi forma di appesantimento, pertanto evito accuratamente la formazione di un corpicino eccessivamente tozzo. Per distinguere i vari modelli a colpo d’occhio mi limito a differenziarli esclusivamente per il colore del filo di montaggio con cui realizzo la testina, in modo tale che ad un sommario esame i medesimi esemplari possano apparire identici. È, inoltre, opportuno che l’artificiale di punta sia più pesante di quello posto sul bracciolo, questo nel caso in cui si utilizzino modelli caratterizzati da un diverso peso. Come detto, l’azione di pesca più interessante si esercita a risalire, ed i confini con la pesca a ninfa di concezione classica diventano in tal modo quanto mai labili, soprattutto nel caso in cui venga utilizzata una sola sommersa, ed a maggior ragione se appesantita. Le morbide hackle, giunte a contatto con l’acqua, iniziano a pulsare e la nostra imitazione acquisterà vita propria, an-

che senza il nostro intervento. Sono contrario all’utilizzo di una mosca secca sul bracciolo, a guisa di strike indicator o di ulteriore chance per ingannare un pesce recalcitrante. L’artificiale galleggiante ha un proprio spazio ed una dinamicità particolare, di conseguenza il più delle volte il suo dragaggio, anche se impercettibile, genererà l’immediata diffidenza del pesce. Tanto di cappello alla pesca con la mosca secca nella sua accezione più classica, tecnica che non merita assolutamente di essere sminuita da connubi che ne sviliscono lo spirito! E poi il medesimo risultato si può benissimo ottenere con ben altre soluzioni. Il mio accorgimento preferito, in simili circostanze, consiste nel collocare una sommersa chiara sul bracciolo, ed un collarino realizzato con una piumetta di pernice screziata bianca e nera si vede benissimo. Se mi rendo conto che questo artificiale compie anche il minimo scarto, ferro immediatamente ed il più delle volte ho la conferma che il pesce ha ghermito l’invisibile mosca di punta.

In torrente la pesca a risalire con la ninfa non è dissimile dalla pesca a sommersa, finchè si utilizzano ninfe poco o nulla appesantite. Se il pesce non le aggredisce presso la superficie o poco sotto, occorre cercare di farle derivare a maggiore profondità e, se necessario, radenti al fondale. Ancor più importante, ed impegnativo, sarà riuscire a mantenere coda e finale abbastanza tesi da percepire i tocchi, ma sufficientemente “molli” da non condizionare troppo l’esca, almeno finché non si desidererà imporle un cenno movimento, come un impulso a risalire. La pesca a ninfa - Per affrontare adeguatamente questo argomento non basterebbe un libro, anche perché la letteratura in materia è quanto mai vasta e, talvolta, ripetitiva. D’altro canto è pur vero che ne esistono tante e tali differenziazioni per cui vi sono effettivamente parecchie tematiche da analizzare. Nel

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caso di un pescatore che si avvicini per la prima volta alla pesca a ninfa, tuttavia, il mio consiglio più spassionato consiste nel suggerirgli l’assimilazione delle due tecniche fondamentali, ossia la pesca a risalire con una ninfa non appesantita, stile Skues, e quella a mezz’acqua, stile Sawyer. Tutto il resto in materia non è che la diretta conseguenza degli studi eseguiti da questi due grandi personaggi. Il finale - Ritengo che nelle formule di Charles Ritz vi sia veramente tutto. I suoi finali, allungati o accorciati semplicemente di qualche centimetro, continuano ad essere quanto mai funzionali. Di conseguenza ho estrapolato le formule a me più congeniali basandomi su criteri di lunghezza o sulle varie situazioni ambientali che posso incontrare, come la presenza di vento. Li ripongo all’interno di bustine in materiale plastico trasparente, assieme ad un foglietto elaborato in excel in cui ho annotato scrupolosamente la loro composizione. A colpo d’occhio, infatti, voglio immediatamente individuare la loro lunghezza ed il diametro dei vari spezzoni, sino all’anellino cui annoderò il vero e proprio tratto di punta. Posso pertanto prelevare, ad esempio, un finale caratterizzato da una “base” di 230 cm, cui annoderò uno spezzone di diametro 0,14 oppure 0,12 lungo un metro. In tal modo pescherò sempre con il medesimo finale, sempre ben equilibrato anche dopo ripetute sostituzioni del tratto di punta. I miei anellini sono piuttosto piccoli e non disturbano assolutamente il pesce. Li ricavo dalla catena di un’ancora usata nel modellismo, commercializzata dalla ditta Amati, art. n. 4360/02 tipo F . Si tratta di anelli in ottone saldato, quindi non corro il rischio che si possano aprire, ed hanno un costo irrisorio. Le ninfe - I miei modelli di base sono essenzialmente tre: la Sawyer’s Phesant Tail Nymph, la Gold Ribbed Hare’s Ear e la mia Blue Dun Nymph (Fly Line n° 2/2003). Ad essi devo necessariamente aggiungere la rappresentazione di qualche effemerottero di maggiori dimensioni, su cui sia altresì possibile intervenire per ottenere un maggior grado di appesantimento. Quindi ritengo indi-

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spensabile anche una rappresentazione della March Brown Nymph ed, infine, tanto per variare le possibilità cromatiche all’interno della medesima famiglia, un’Alezane (Speciale Fly Line 1/2001). Sono state elaborate infinite rappresentazioni di ninfe, pari forse al numero dei sassi presenti in un corso d’acqua. Una cosa è certa, ossia che alcune imitazioni rendono più di altre, di modelli che in tutta sincerità mi forniscono la convinzione di essere riusciti ad ingannare un numero estremamente esiguo di pesci. Vi sono poi le mode e le esigenze commerciali, talvolta abbinate alla volontà di proporre qualcosa di nuovo, che poi spesso rivela di non essere particolarmente originale. Esistono, infatti, artificiali come quelli summenzionati che hanno ampiamente dimostrato il loro potere attrattivo, come le loro infinite varianti, quindi non vedo proprio perché non possano continuare a costituire un sicuro punto di riferimento. Un esempio? Le ninfe con pallina dorata in testa rappresentano una delle ultime novità in materia e, benché abbiano anch’esse i propri spazi e limiti, come d’altro canto avviene per tutti gli artificiali di questo mondo, esse dimostrano effettivamente di essere credibili agli occhi del pesce. Ebbene, fra i modelli più collaudati compaiono le ninfe Pheasant Tail e Gold Ribbed Hare’s Ear cui si è semplicemente provveduto ad aggiungere l’aureo accessorio in prossimità dell’occhiello. Il colore - Contrariamente a quanto alcuni hanno ripetutamente sostenuto, io sono fermamente convinto che il pesce ci veda benissimo, e che sia altresì perfettamente in grado di distinguere le varie sfumature di colore presenti in un artificiale. La resa stessa del medesimo modello varia a seconda del materiale utilizzato nella sua costruzione. Per il concetto appena espresso, ad esempio, non conosco penna superiore a quella blue

dun dell’airone per la realizzazione di ninfe di colore grigio. Già, come dico spesso io, con una ninfa grigio scuro ed una marrone si può tranquillamente girare tutto il mondo. Anche perché, come è stato argutamente osservato da Roberto Messori, da qualche milione di anni gli insetti sono rimasti più o meno gli stessi. Nymphing - Vi sono momenti, nel passato di ogni pescatore, che rimangono impressi indelebili nella sua memoria. Si tratta, talvolta, di piccoli episodi che l’ hanno aiutato a crescere, a compenetrare ancora di più nell’ambiente naturale alla scoperta dei misteri che circondano le forme di vita presenti nell’elemento liquido. Quel giorno mi bloccai immediatamente, rimasi immobile ad osservarla per parecchio tempo e, se avessi potuto, avrei persino cessato di respirare. Era una gran bella bestia, ferma a mezz’acqua, a circa mezzo metro dalla pila del ponte di Aulla, a poca distanza dall’abitazione in cui ero nato. Si spostava lentamente, quasi con pigrizia, e ghermiva indubbiamente qualcosa, poi tornava nell’identica posizione. Mi feci coraggio e lanciai nella sua direzione, ma molto più a monte, la mia mosca secca.

Era come pestare l’acqua nel mortaio. Voleva qualcosa alla sua portata, qualcosa di molto simile alle bestioline di cui si stava cibando. Avevo con me alcune ninfe appesantite, riposte alla rinfusa in mezzo alle moschette sommerse. Non avevo ancora capito perfettamente come funzionassero, ma le avevo costruite io stesso, più o meno come certi esemplari che avevo visto nella fotografia di un libro. Ne legai una al posto della mia mosca secca preferita, e lanciai quell’oscenità in verticale sul pesce, ma questa volta un poco meno a monte di prima. Non so bene cosa successe, ma come vidi il pesce spostarsi ferrai energicamente, e ci fu quasi un’esplosione. Mi ritrovai, inebetito, a guardare il moncherino del mio finale, con il cuore che galoppava come se volesse scoppiarmi in petto. Più tardi, quando riuscii a calmarmi un poco, pensai che avrei dovuto a tutti i costi studiare quella tecnica di pesca. Ecco, è in una situazione analoga a quella narrata che si concretizza l’azione di pesca, così come imposta dalla fase di attività alimentare del pesce. Era inutile continuare a bombardare quella trota con una mosca secca, così come sarebbe stato inutile farlo con una ninfa

Doppio cono dei colori. L’asse centrale determina la gradazione chiaro/scuro, il raggio descrive il grado di saturazione delle tonalità, la successione cromatica indica il variare delle tonalità nella loro miscelazione. É un modo originale per rappresentare i principali fenomeni che, originando dall’interazione cromatica, pervengono all’occhio umano. Così è come lo vediamo noi, ma come lo vedono i pesci? Questo rimarrà, probabilmente, sempre un mistero, ma anche un fatto opinabile. Non sono pochi i pescatori definiti “grandi” che attribuiscono grande importanza anche alle minime sfumature, Riccardi ad esempio, e l’Autore di questo articolo, in seconda istanza. Poi mille teorie si collegano anche alla luminosità del giorno, all’effetto dello sfondo (cielo o vegetazione?), al colore del cielo e “dell’atmosfera”. D’altra parte vi è chi, accampando l’anatomia dell’occhio dei pesci, afferma che non vedono i colori, come altri sostengono che non proverebbero dolore ai fori nel labbro. Sono opinioni strane, che vanno contro logiche naturali, ma soprattutto privano, senza diritto, il mondo liquido della possibilità di assaporare la bellezza e di conoscere, col dolore, la gioia.

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naturale avviene pescando a monte, lasciando semplicemente derivare l’artificiale mediante la forza esercitata dalla corrente. Questa è l’azione classica e più propria, maggiormente identificativa di una tecnica di pesca che appare simile ad una vera e propria caccia alla ricerca del pesce. Ma le stagioni hanno il loro ritmo, come pure i pesci. Non conosco terminologia migliore dell’assioma, caratterizzato da una certa irriverenza, che venne coniato in proposito da parte di un mio caro amico prematuramente scomparso: “Ad inizio stagione alle trote bisogna menarglielo”. In questo periodo spesso il pesce è poco disposto a compiere scarti per afferrare le nostre esche. É opportuno che la nostra ninfa gli giunga a portata di bocca e che si muova più lentamente della forza della corrente. Di conseguenza, questa volta l’azione di pesca si svolgerà a valle, esercitando una vera e propria trattenuta del finale in modo che la ninfa sondi accuratamente e più a lungo tutti i settori ritenuti produttivi. In questo caso, ovviamente, occorrerà intervenire sulla taglia ed il peso dell’imitazione proposta, in modo tale che l’artificiale possa quasi scorrere sui sassi. Questa continua trazione, inoltre, agevolerà la percezione della presa da

se si fosse cibata, ad esempio, di piccolissime spent adagiate sull’acqua. Il ritmo delle stagioni - Comunque, anche la pesca a ninfa deve seguire il ritmo delle stagioni. Il medesimo corso d’acqua non avrà nel periodo estivo le medesime caratteristiche d’inizio stagione, così come gli insetti presenti nelle due diverse situazioni non saranno necessariamente gli stessi. Il grande segreto sotto gli occhi di tutti consiste nell’interrogare la natura. Più che smuovere il letto del corso d’ac-

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qua per poter reperire le ninfe appetite dal pesce, una rapida cucchiaiata nella sua gola risolve velocemente, e con certezza, l’amletico dubbio. É possibile anche costruirsi questo piccolo accessorio da soli, come ho fatto io, ricavandolo da un cucchiaio di legno. Non pesa nulla, né ingombra il giubbino. Volendo, un flaconcino contenente alcol a 75º ci potrà consentire, a casa, un più analitico studio del materiale raccolto, magari con il conforto del testo Gli insetti di Fly Line. Come detto, l’azione di pesca più

Sopra: box delle ninfe dell’Autore, questa è solo una, naturalmente, delle tante. Qui a destra, inizio stagione, con acque ancora fredde, sensibilmente alte ed un poco velate. In questa situazione è più produttivo pescare a discendere, in tal modo sarà possibile trattenere le mosche presso il fondo anche in barba alla corrente. L’azione va rivolta principalmente alle piane, specie dove la corrente si placa.


parte del pesce. In tali circostanze è opportuno collocare una seconda mosca sul bracciolo, e per una serie di motivi alquanto validi. Deep nymph - Entriamo a questo punto in un campo assai ampio, nel quale si ha talvolta la tendenza a rendere le cose più complicate di quello che effettivamente siano. Ma procediamo con un certo ordine. I pesci sono spesso sotto i nostri piedi, anche ad un palmo dalla riva. L’importante è non spaventarli. Sembrano due affermazioni lapalissiane, ma si tratta di due aspetti spesso sottovalutati, come dimostrato da certi pescatori che, appena giunti in riva al fiume, entrano immediatamente in wading per poter agevolmente proiettare il proprio artificiale sulla riva opposta. Quando è possibile, soprattutto in presenza di acqua mossa, è possibile esplorare il sottoriva esercitando una sorta di pesca al tocco, lanciando leggermente a monte e lasciando derivare le ninfe con la coda di topo tenuta oltre la superficie dell’acqua. Le ninfe devono muoversi liberamente, senza che su esse venga effettuata alcuna trazione, e per un breve tratto. Occorre controllare accuratamente la curva formata dal finale che fuoriesce dall’elemento liquido: la sua minima tensione deve essere immediatamente seguita da una rapida ferrata. Se ciò non avviene, dopo che le ninfe hanno oltrepassato la nostra posizione è opportuno eseguire una secca trazione, quindi si richiama il tutto lentamente per un’altra proiezione a monte. É quasi incredibile il numero di pesci che risultano allamati da quest’ultima ferrata alla cieca. Il fattore principale che interviene in questo aspetto è rappresentato dal limitato periodo di permanenza degli artificiali in acqua. Inoltre le prese del pesce non sempre sono brutali, talvolta prende e ri-

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Due Baetis rigurgitate da una trota, magari un po’ aiutata: il contenuto stomacale del pesce catturato risolve ogni quesito relativamente alla mosca da legare al finale, almeno in quel tratto del corso d’acqua. Sotto: March Brown nymph di Riccardi nel flusso di una cascatella.

temporaneamente, servono per le motivazioni espresse in precedenza, oppure per raggiungere una maggiore profondità quando entrambi risultano particolarmente appesantiti. Vi è, inoltre, un particolare da tenere in debita considerazione. Facciamo, però, un passo indietro. Nella pesca a ninfa profonda, il fatto di tenere la coda di topo sollevata rispetto alla superficie dell’acqua ha un altro scopo, oltre a quello di visualizzare le prese del pesce. Si tratta, infatti, di voler limitare anche l’attrito provocato, per forza di cose, dall’elemento liquido al nylon. É addirittura possibile usare un finale di circa 2,5 metri interamente costituito da nylon del medesimo diametro, quindi sputa senza che il pescatore possa minimamente rendersi conto dell’ accaduto. Il movimento ascendente finale, infine, è l’ultima chance possibile prima del lancio successivo, una diversa azione delle esche che può stimolare la reazione di un pesce indifferente sino a quel momento. In questa tecnica è possibile adoperare una sola ninfa, ma l’impiego di due artificiali posti ad una distanza di circa 50 cm o anche inferiore, è maggiormente consigliabile. La ninfa più pesante verrà collocata in punta, mentre l’imitazione di minori dimensioni potrà ondeggiare sul bracciolo. Tra l’altro, questo è il sistema più idoneo per consentire ad un minuscolo artificiale di raggiungere i livelli più bassi in presenza di acque vorticose e profonde. Down stream - Benché, come detto, soprattutto ad inizio di stagione sia consigliabile con la ninfa esercitare un’azione di pesca a valle, ciò non significa che questa tecnica non possa

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essere praticata in altri momenti. Così come per la sommersa, una o due ninfette in coppia possono tranquillamente essere adoperate nel medesimo modo. In quest’ultimo caso può anche essere collocata una sommersa sul bracciolo, in modo da poter proporre al pesce un’imitazione in grado di simulare una diversa fase vitale dell’insetto. La scelta della ninfa, in tali circostanze, è molto importante. L’esperienza, ad esempio, mi ha dimostrato una redditività enormemente superiore della mia Blue Dun Nymph e della Gold Ribbed Har’s Ear rispetto alla classica Pheasant Tail Nymph usate a scendere. Probabilmente la presenza ed il conseguente movimento sia del pelo di lepre che delle corte barbe dell’hackle di gallina in tale tecnica incrementano il potere attrattivo degli artificiali. Up stream - Ma la vera pesca a ninfa, secondo me, si esercita pescando a monte. Se mi è possibile, utilizzo una sola mosca. Due artificiali, usati con-


0,14 oppure 0,16. Ciò rappresenta, in ultima analisi, un procedimento analogo alla pesca con il lombrico “a struscio”, come l’abbiamo sempre chiamata ad Aulla. Un piombino cilindrico, tenuto in tensione da una lunga canna, deve rotolare sul letto del fiume facendo muovere l’esca, posta a breve distanza, tra i sassi. Per la trota si tratta di un boccone prelibato che giunge alla sua portata trasportato semplicemente dalla corrente, quindi in maniera naturale. É anche questo il motivo per cui la principale variante di questo sistema di pesca a ninfa consiste nel collocare sul bracciolo la ninfa più voluminosa e maggiormente appesantita. Si cerca, in entrambi i casi, di ottenere una passata più lenta della forza della corrente. Un po’ come l’azione provocata da una ballerina nella pesca con le camole artificiali. A quanto pare, le tecniche di pesca a ninfa possono benissimo essere influenzate, più o meno direttamente, da altri metodi di pesca. Non è, d’altro canto, una cattiva idea dare un’occhiata agli artificiali privi di nome, o pedigree, adoperati dai pescatori con la camolera, e riprodurli coscienziosamente sui nostri preferiti ami ad occhiello. Ma torniamo alla pesca a ninfa up stream. In questo caso l’artificiale sul bracciolo causa un attrito al finale, tale da impedire il corretto affondamento della ninfa di punta. I movimenti di quest’ultima, inoltre, saranno sensibilmente influenzati da tale trazione. Il pesce non è spesso selettivo solo nei confronti di un artificiale galleggiante, ma anche verso tutto ciò che si muove all’interno dell’elemento liquido. Come vede qualcosa di strano si spaventa, e con un pesce insospettito rimane ben poco da

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Partridge & Yellow “trattenuta” in corrente in una zona turbolenta; si noti l’effetto sfumato dei bordi del corpo, conferito dalle barbule del quill tinto giallo. fare. Da ciò consegue che, soprattutto quando le acque sono basse o in tutti i casi in cui si desidera ottenere la massima discrezione possibile, una sola ninfa è esattamente il massimo che ci si possa permettere. Valgono, in tale situazione, le medesime considerazioni espresse per la pesca a monte esercitata con una sola mosca sommersa. Per la coda di topo, nulla di meglio di una doppio fuso galleggiante, che tra l’altro va benissimo per tutte le tecniche di pesca a ninfa. Il finale, a nodi, può subire variazioni tanto in termini di lunghezza della “base”, che limitatamente a quella del tratto di punta. Ciò varia in funzione delle caratteristiche proprie dell’ambiente che stiamo affrontando. Si tratta, in ultima analisi, di una

tecnica che può essere complementare alla pesca a mosca galleggiante effettuata a risalire. Può essere praticata alla cieca, sondando ogni settore ritenuto valido, esattamente come se si adoperassero mosche secche da caccia. Soprattutto in tal caso occorre riflettere sulla scelta dell’artificiale da provare. É, infatti, inutile insistere più di tanto con esili ninfette dotate di codine, ossia imitazioni di piccole effimere, quando il pesce sta ghermendo qualcosa di diverso. Il ventaglio di possibilità che si apre a questo punto è alquanto vario, ma un Camolone (Fly Line n° 3/2002), oppure una Killer Bug (Fly Line n° 6/2004), artificiali concettualmente opposti anche sotto il profilo imitativo, vanno provati con la massima fiducia. Penso, tuttavia, che il massimo della soddisfazione si realizzi nella pesca a ninfa su pesce visibile. Paragono tali circostanze ad una vera e propria lezione sulla vita degli abitatori dei corsi d’acqua. In questo campo si concretizza tutto quanto è insito in materia: dalla scelta dell’artificiale in grado di riprodurre convenientemente ciò di cui si sta

nutrendo il pesce, o quantomeno che è in grado di suscitare la sua reazione, alla corretta presentazione della nostra ninfa attraverso quella che è la terza dimensione, ossia la profondità. Talvolta, infine, anche ad inizio stagione le trote fanno la loro comparsa ad un palmo dalla superficie dell’acqua. Non è detto che in tale periodo il pesce debba sempre essere cercato sul fondo del fiume. Le trote, infatti, afferrano ninfe in agitazione, in procinto di compiere la loro trasformazione in insetto alato. A questo punto possono essere efficacemente tentate sia con una ninfetta leggera che con un analogo artificiale leggermente appesantito. Si tratta di momenti che non durano un’eternità, la vita deve seguire il proprio corso anche nell’elemento liquido e di conseguenza, secondo la mia concezione, il pescatore deve essere in grado di sapersi adattare alle mutate condizioni ambientali. É importante solo quel determinato pesce che si è riusciti a visualizzare, è importante solo il fatto di aver saputo rendere credibile la nostra imitazione.

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