Pagina del pollo 50

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I T A N O ! B AB Y LINE A FL

Copertina dell’uscota maggio-giugno 2015

L A PAGINA DEL POLLO 50 Questo articolo è per i neofiti che, pescando a mosca, affrontano fiumi e torrenti per le prime volte, e che come bagaglòio hanno solo la conoscenza dell’ambiente ed i ricordi della precedente tecnica di pesca.

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L A PAGINA DEL POLLO 50 Roberto Messori

Cinquantesima uscita della famigerata Pdp. Ora non è più proibita a nessuno, i commercianti ed i giornalisti tradizionali sono in estinzione, i catturatori di trote non esistono quasi più, e neppure le trote sotto misura, giacché si ripopola con iridee gigantone, ed infine non è più vietata neppure ai fenomeni, altrimenti nessuno, me compreso, vi potrebbe accedere. Questa uscita è dedicata ai novellini appena usciti dal corso, che dopo ore di pseudo-volteggi in palestra, lezioni di entomologia, tecniche e strategie apprese a tavolino, finalmente legheranno al finale una mosca vera, con l’amo e tutto il resto, e proveranno a lanciarla in qualcosa di differente dal pavimento della palestra o dell’erba del prato.

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Pollo con pesce, 2014. Pixel su monitor 4961 px x 3543 px Fly Line & Picasso.

Primi passi lungo il fiume, naturalmente. In particolare quelli che il neofita azzarda armato, per la prima volta, d’una canna da mosca pronta al volteggio, con la mosca in canna. Di principianti ne esistono di vari livelli, da quelli che per la prima volta si trovano nella condizione di “pescatori” senza la benché minima conoscenza in merito, a quelli che hanno pescato per una vita, ma mai a mosca. Poi ci sono quelli che hanno pescato tiepidamente con diverse tecniche senza mai arrivare a livelli importanti, ed ora tentano anche la mosca, oppure i teorici totali che, avendo letto una bibliografia imponente, sanno già tutto, ma non hanno la benché minima esperienza pratica. Vantaggi e svantaggi si compensano. Chi non ha mai preso una canna in mano non sa nulla del fiume e dei pesci, però sarà avvantaggiato nell’apprendere la tecnica di lancio, mentre chi è avvezzo a lanciare con altre tecniche parte da un movimento “sbagliato” che è diventato una sorta di riflesso condizionato. Chi è già pescatore, inoltre, conosce il fiume, ma deve apprendere un meccanismo di lancio che gli darà filo da torcere, per arrivare allo stesso livello di bravura al quale era abituato pescando, ad esempio, a spinning. Poi vi sono vantaggi collaterali inaspettati: i principianti sono bravissimi a deporre finali “collassati”, il sistema massimo per combattere il dragaggio. Funziona così: il principiante si dispera perché paragona i suoi lanci, collassati, a zig zag, curvi, mal stesi, a quelli dell’istruttore, perfettamente lineari, ma ancora non sa che l’abilità del pescatore

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diale che provoca rifiuti a non finire, poi inzuppa la mosca che ben presto affonda. Insomma, pescando a mosca secca la capacità di ridurre il dragaggio della mosca, allungando quindi la deriva utile di questa, è direttamente proprorzionale alla probabilità di ottenere bollate. Ecco perché un finale “mal steso” è preferibile, pescando a secca, di un finale steso perfettamente. Stabilito quanto, passiamo ad analizzare, appunto, i primi passi. La Pagina del Pollo, per una volta, servirà davvero solo ai “polli”, e a tutti

a mosca consiste proprio nel saper lanciare bene in palestra o nel prato per poi “lanciare male” in azione di pesca, per consentire alla mosca di derivare senza dragare immediatamente, dragaggio che vanificherebbe l’insidia, ecco quindi che il bravo pescatore effettua pose curve, a zig zag o con finale collassato, ma consapevolmente. Ciò che distingue il bravo Pam dal principiante è quindi solo la consapevolezza: il primo fa errori voluti, il secondo li fa perché non riesce a far meglio, ma il risultato in termini di catture, diciamo di abboccate, è praticamente lo stesso.

Introduzione al dragaggio - Il tutto parte dal presupposto che una coda perfettamente stesa è alterata nella sua lunghezza da ogni onda, increspatura, flusso diverso di corrente, gradiente di velocità, eccetera, ed ognuno di questi effetti agisce con un piccolo o grande strattone sulla mosca, che quindi striscia (draga) sull’acqua formando una scia che la rifrazione rende assai visibile al pesce. Salvo casi particolarissimi (alcuni insetti nuotano producendo una piccolissima scia, sono i tricotteri), il dragare della mosca è un deterrente miciSopra: primi passi in assoluto. A destra: primi passi di una futura terribile pescatrice che ha visto una trota. Il passo successivo sarà quello del novello Pam.

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coloro, polli o meno, che vi troveranno note interessanti. Ricordo al lettore il grande equivoco: il nome della rubrica è tale perché, essendo la mia pagina, il pollo sono io. È la pagina del pollo, infatti, non dei polli.

Sopra: consigli ai principianti. Sotto, l’effetto schematizzato del dragaggio: la linea gialla rappresenta la lenza ben stesa che si adagia in acqua in modo perfettamente lineare; la linea rossa è come potrebbe essere dopo pochissimi secondi che resta in balia delle correnti.

La prima volta del Pam - Chi non la ricorda? Io feci il mio primissimo esperimento in Panaro, zona ciprinidi, forte della tecnica di lancio spiegata nel famoso manuale del Ramusino in modo incomprensibile, mentre le parti comprensibili erano errate, ritenni fosse giunto il momento dell’esordio. Nella primavera del ‘74 non conoscevo nessuno che pescasse a mosca, quindi dovetti far tutto da solo. In piedi su un sasso lambito dall’acqua lanciai dove vedevo le bollate dei cavedani. Il più cretino, o il più pietoso di questi, abboccò. L’istinto fece il resto. Come quando un ostacolo improvviso si para davanti all’auto ed il piede zompa sul freno con tutta la forza di una mostruosa scarica di adrenalina,

il braccio scattò, il cavedano mi arrivò in faccia seguito da dieci o dodici metri di coda che mi finirono addosso legandomi come un salame. Non riuscii mai a capacitarmi di come le spire della coda mi si avvolsero alle braccia, al collo e alle gambe. Il pesce, ovviamente, per completare lo sketch del quale fruirono gratis alcuni pescatori a passata che stavano lì nei pressi con le loro lunghe bolognesi, cadde in acqua. Fui felice, anni dopo, della loro estinzione. Inventai così anche il no kill, seppure inconsapevole. Anche qui sussiste un problema di consapevolezza, ma al pesce che gliene frega? Come fa a sapere se è libero per caso, per regolamento, o per il buonismo del predatore? Decisi che non avrei fatto un secondo tentativo prima di chiarire alcune faccende, pertanto mi informai nel negozietto di pesca se tra i clienti c’era qualche pescatore a mosca. Conobbi così Enzo Bortolani e la mia carriera di comico inconsapevole non ebbe futuro. La mia prima uscita a trote l’ho già raccontata, ma la ricorderò breve-

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da me in Italia, ed il record regge ancora. La Peter Ross complice del crimine me l’aveva data Enzo, tra l’altro l’aveva legata lui al mio finale. Per la verità mi aveva anche dato il finale. La trota venne trattenuta, cucinata e mangiata. Secondo voi potevo raggiungere Enzo senza il pesce e raccontargli la mia prodezza confidando nella sua credulità? Non me ne sono mai pentito. Ho dovuto riesumare questo ricordo per entrare nei panni del neofita e rivivere le difficoltà, il senso di frustrazione, la consapevolezza dell’incapacità e l’assoluta inadeguatezza che si prova a fronte di qualunque banalità da compiere per lanciare proficuamente una mosca in acqua. Lo so, ho messo troppi aggettivi, ma danno l’idea.

Ed eccoci al dunque - Se il novello Pam s’è ricordato come fare i nodi, si troverà tra i sassi del torrente con la canna in mano, alcuni metri di coda fuori

mente. Andammo nello Scoltenna, dove ora si trova il no kill del ponte della Fola. A quel tempo poteva esserci un locale col verme, o qualche cittadino a spinning di domenica. Per non dover sfoggiare la mia primordiale tecnica di lancio di fronte ad un autentico pescatore a mosca, una volta raggiunto il torrente me ne andai a valle, ben lontano dal mio compagno di pesca, che non sapeva ancora con chi avesse davvero a che fare. Alla prima profonda buca mi resi conto che la mia tecnica ramusinica da prato non valeva una caccola, pertanto lasciai semplicemente filare la coda a valle, aiutato dalla corrente. Ci si attaccò la più grossa trota mai presa

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A sinistra: livelli alti di aprile, la pesca è quasi impossibile a mosca, la mosca secca non ha spazi per galleggiare e la sommersa verrebbe trascinata a valle troppo velocemente, inoltre il pesce è tutt’altro che attivo. Al centro: i livelli iniziano a calare, i pesci iniziano a cercare alimento, la mosca secca ha ancora spazi ridotti, ma la sommersa e la ninfa possono iniziare a rendere, nelle zone più calme. A destra: è la stessa briglia della foto in alto, ma con livelli di primavera inoltrata, si pesca ovunque, tranne che nelle zone schiumose.


dall’anellino (l’ultimo, quello all’apice della canna) ed un finale di circa tre metri terminante con una mosca artificiale, che ora tiene tra indice e pollice della sinistra, mosca che ora osserva perplesso. Fin qui ha avuto le necessarie istruzioni, ora deve addocchiare una zona d’acqua dove lanciarla. Ci prova, e capisce subito che un conto è lanciare in palestra un fiocchetto di lana ed un conto è far volteggiare una mosca circondati dalla vegetazione. La vegetazione è subdola e poco sportiva, sta sempre alle spalle e colpisce a tradimento nei momenti più delicati. La mosca volteggia benissimo per tre falsi lanci, al quarto, quando la si vuole deporre in acqua, il braccio si blocca all’indietro, trattenuto da un cespuglio. Nel caso questo non succeda, la lenza viaggia verso l’acqua, si distende perfettamente, ma il Pam non riesce a vedere la mosca, la cerca con lo sguardo, rilancia, la depone in una lama non increspata, ma continua a non vederla, e continuerebbe all’infinito se un dubbio non gli facesse ritirare la coda per verificare che la mosca non c’è più. Da

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quando? Boh? Ecco che ora capisce bene perché alle spalle la lenza deve viaggiare alta, sopra la vegetazione riparia e senza toccare il terreno. I sassi del torrente sembrano lisci e rotondi, ma la loro superficie in realtà è quanto di meglio la tecnologia geologica abbia prodotto per spezzare le punte degli ami in modo impercettibile. Perse le prime mosche sui rami e spuntate le altre, prezzo che tutti abbiamo pagato per comprendere l’importanza di non piegare il polso all’indietro nel back cast, resta un ultimo problema, e non abbiamo ancora deposto la mosca in acqua. Ora ci ricordiamo meglio le raccomandazioni in palestra, cerchiamo di non flettere il polso, di attendere il giusto timing, tre volteggi ci consentono di allungare la lenza quanto basta, la misura è presa, ci siamo, nell’ultimo lancio in avanti scopriamo il problema: produ-

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ciamo istintivamente il piccolo scatto in più che dovrebbe portare la mosca sul bersaglio, ma si forma un tailing loop, la mosca si attacca alla coda o al finale e, invece di smettere immediatamente il volteggio per sistemare la cosa, eseguiamo qualche falso lancio in più sperando di sbrogliare la situazione nello stesso modo in cui l’abbiamo incasinata. È come voler aggiustare un vetro rotto da una pallonata tirandogliene un’altra dalla parte opposta. Fermandoci subito potremmo ridistendere il finale risolvendo la moderata parrucca, insistendo ci troveremo ben presto con due possibilità: a - Il finale, trasformato in un gomitolo astratto, va rifatto di sana pianta, almeno la parte conica ed il tratto terminale. b - Miracolosamente si ridistende, ma il minuscolo nodino che s’è formato nell’ultimo tratto si romperà alla cattura di un pesce (vedi leggi di Murphy).

Scegliete voi la possibilità preferita. Eppure in palestra ve l’avevano detto: – Niente scatti nel volteggio, ma una progressiva accelerazione, specie nell’ultimo lancio per depositare la mosca, dove si tende istintivamente ad aggiungere un scatto di troppo. Perse le prime mosche sui rami, spuntate le altre, rimesso a posto il finale imparruccato, finalmente si sono realizzate tutte le condizioni per un lancio corretto e funzionale.

Sopra: ecco le derive ideali che dovrebbe percorrere una dry fly per saggiare ogni zona utile dello specchio d’acqua preso in considerazione; davanti e dietro i sassi sporgenti o sommersi, nelle fasce tra corrente e zone più calme, sopra tutti i pertugi sommersi dei macigni ed in tutti gli anfratti tra i sassi.


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Incredibilmente succede: finalmente osservate la vostra mosca ballonzolare nell’acqua, ma dura poco. Accade un assurdo fenomeno: vi viene incontro! E quel che è peggio anche la coda viene verso di voi in spire disordinate, trascinata da una corrente che non avreste mai pensato così veloce. Ecco che con la sinistra cercate di recuperare la coda in spire come v’era stato insegnato in palestra, dove il pavimento, nonostante le teorie Einsteniane e l’espansione dell’universo, è più immobile della roccia sotto la quale s’è ora incastrata la coda. E la mosca? Non la troverete mai più. Ma prima o poi, pur tra altre mosche perse sui rami, altre tra i sassi ed alcune (successivamente) in bocca al pesce, ci riuscirete. Lancerete dopo un

approssimativo volteggio la mosca nel posto più o meno giusto, recupererete con la sinistra la coda in spire aiutati dal progressivo sollevamento della canna, poi la farete asciugare con qualche falso lancio e la lancerete di nuovo. Vedrete anche le prime abboccate, le prime ferrate a vuoto, le prime trote catturate, poi le altre, quelle piccole che farete volare nel bosco e quelle grosse che se ne andranno con la vostra mosca in bocca, così imparerete anche a dosare la ferrata. Chi dice che non servono gli errori? Sono loro ad insegnarci tutto. Non esiste un sistema di apprendimento che non contempli la progressiva remissione degli errori e dei peccati. Una volta convinti della vostra capacità di lanciare la mosca più o meno

Un ghiareto facilmente accessibile dove tutti invariabilmente pescano, stante la promettente zona profonda della lama spezzata da grandi macigni dell’opposta riva. Nessuno prenderà niente di decente, meglio cercare zone più anguste, faticose e difficili da raggiungere.

dove vorreste, arriva il primo, terrificante problema.

La distanza di pesca - Se quel co-

glione dell’istruttore che vi ha introdotti alla tecnica di lancio non si fosse esibito mostrando tutta la sua bravura ora non sareste così frustrati e con un’autostima bisognosa dello psicanalista. D’altra parte non sareste neppure consapevoli che in futuro anche voi arriverete, e più rapidamente di quanto potreste temere, a distanze importanti, cosa che conferisce maggior fiducia nel sistema che avete scelto. Allo stato attuale delle conoscenze non sappiamo ancora cosa sia meglio. Ma quali sono queste distanze? Nel mondo biologico molti esseri viventi vivono mangiandone degli altri, sono i predatori, e voi fate parte di questi. Una volta addocchiata la preda, il fondamentale problema del predatore è portarsi a distanza tale da attaccare in modo efficace. È vero, noi umani abbia-

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mo creato armi da getto sia a pesca che a caccia, ma la distanza utile per l’attacco resta il principale nodo da affrontare. La vera abilità non è quindi la possibilità di colpire a grande distanza con precisione, ma quella di portarsi a distanza utile, e la distanza più è breve più è utile. Più il predatore è bravo nell’avvicinarsi alla preda senza allarmarla, maggiori saranno le possibilità di successo, poiché sarà più rapido e preciso. Nel nostro caso, inoltre, meno lenza in acqua significa meno dragaggio e maggior controllo dell’esca. Ecco quindi il primo, vero conflitto: avvicinarsi alla preda presume il nascondersi tra macigni e vegetazione, o star bassissimi rispetto alla superficie dell’acqua, il che significa trovarsi tra ostacoli che potrebbero rendere problematico il lancio, d’altra parte mettersi in spazi aperti agevolerebbe il lancio, ma ci farebbe scoprire. La “moda” dei waders e la rappresentazione del Pam assimilato ad un trampoliere perennemente immerso al centro del fiume non aiuta, inducendo ad un comportamento spesso demenzia-

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le, se riferito al principio primo: quello che il pesce selvatico non ci deve percepire. Ecco quindi la prima vera norma: stabilire da dove lanciare in base alle seguenti tre regole d’ingaggio: 1 - portarsi più vicino possibile senza allarmare il pesce; 2 - stare più lontano possibile in relazione alla capacità di lancio. 3 - collocarsi nella migliore posizione per ridurre il dragaggio. È come se questi fossero assi cartesiani da far collimare in un unico punto di compromesso. Relativamente al problema distanza ed alle tecniche di pesca consiglio la lettura de “La Pagina del Pollo” pubblicata nell’uscita 4/2006 titolata “Fronti di guerra: il torrente”, che troverete nel sito web di Fly Line. Oltre alle tecniche di pesca in torrente vi leggerete un’importante speculazione sulla distanza in pesca. Spendiamo ora due parole sulle principali differenze che possono riscontrare i novelli Pam che provengono da altre tecniche di pesca. Sapranno così

di essere perlomeno compresi, poi saranno comunque cavolacci loro.

Ex pescatori a spinning - Chi prima pescava trote a spinning è nella situazione psicologica peggiore: la sua arma migliore, la distanza di lancio praticamente illimitata, è sostituita dal cruccio di doversi portare mediamente più vicino per lanciare la mosca, e contemporaneamente collocarsi in spazi privi di ostacoli alle spalle. Tutt’altra geometria e prospettiva.


Pescando a mosca non si potrebbe lanciare da così distante: la mosca dragherebbe immediatamente, trascinata a valle dalla coda preda delle correnti. Ma c’è un secondo problema col quale essi debbono fare i conti: il drastico calo della dimensione media dei pesci che abboccano, se abboccano. È vero che di tanto in tanto capita che una micro-trotella di mezza spanna tenti di aggredire un rotante da 5 grammi, ma con la mosca questo caso isolato diventa una pratica comune. Che dire? Se non le avete decapitate nella ferrata, cercate almeno di slamarle con perizia. Se vivranno a lungo ingrasseranno anche loro. Il terzo stress deriva dal fatto che che le esche da spinning non vanno cambiate solo per il fatto di andare a fondo, le mosche secche sì. La mosca secca va sostituita con un’altra ben secca non appena perde la capacità di galleggiare. Non ci sono sali disidratanti o volteggi che tengano, quando ormai è imbibita d’acqua. Per molti è una pena, almeno i primi tempi. Che dire? Se non lo sopportate pescate a sommersa. Ma a questo punto c’è un quarto problema. Recuperare un rotante, o un rapala, o qualunque diavoleria moderna di metallo, plastica o silicone, vi fa percepire una certa resistenza, resistenza che vi consente di controllare l’esca in velocità e profondità. Ebbene, scordatevi una simile percezione pescando a

mosca sommersa. Un conto è un rotante di 3, 5 o più grammi, ed uno una March brown od una Partridge & Orange di 14 milligrammi. La loro “resistenza” è inesistente, ciò che è possibile percepire è solo la resistenza della coda, che oltretutto non va recuperata controcorrente come un rotante (anche a sommersa di regola si pesca a risalire), ma addirittura vi viene incontro portata dalla corrente. Pescando a mosca secca è sufficiente recuperare la coda in modo da poter ferrare in modo efficace, insomma, la ferrata deve piantare l’amo in bocca al pesce, e non sollevare dall’acqua spire non recuperate, l’abboccata è visibile e non richiede altro. Pescando a sommersa invece le abboccate si percepiscono come nello spinning, ma la tensione da mantenere nella coda, che non dev’essere tesa tanto da condizionare la mosca e neppure lasca tanto da non percepire l’abboccata, è debolissima e va coadiuvata visivamente osservando coda e finale visibili: occorre imparare a mantenere una tensione appena sufficiente per percepire l’abboccata non appena il pesce prende la mosca, poiché sarà abbastanza rapido a sputarla. In compenso le ossessioni delle

Sopra a sinistra: questa foto apparve in Fly Line 4/2006 nella pagina del pollo “Fronti di guerra: il torrente”. Il tentativo è di identificare la cosiddetta “onda d’urto” di un pescatore che procede senza troppe attenzioni a non perturbare l’ambiente. Nella zona rossa potrà catturare piccole trotelle certamente sotto misura, nella fascia verde catturerà trotelle di poco più decenti, in quella gialla potrebbe catturare trote decenti, ma più si muove visibile e rumoreggiando e più le fasce lo precederanno ampliandosi. Risultato: si convincerà che nel torrente non ci sono più belle trote, ma solo minutaglia e qualche esemplare appena in misura. Qui a destra: niente rimpianti, dimenticate lo spinning!

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palette dei rotanti a pois rossi o gialli, oppure a bande orizzontali e le infinite varianti cromatiche o morfologiche delle palette o dei pesciolini di silicone che tanto fanno discutere da sempre questa categoria di pescatori, sono roba da ridere se confrontate con le psicosi dei pescatori a mosca sugli aspetti imitativi delle mosche artificiali dei circa 2000 insetti che vivono o finiscono in acqua in almeno tre forme diverse, spesso differenti tra maschio e femmina. Ragazzi miei, ora sono cazzi! Nelle prime serate al club dove qualche volenteroso vi ha insegnato a montare una mosca arificiale vi sarete certamente divertiti, forse un po’ meno quando la settimana successiva un altro volenteroso vi ha introdotto all’entomologia, ma di certo non vi siete accorti che questa malsana passione vi trasformerà in tempi brevi in una tipologia umana ancor più folle delle casalinghe frustrate iscritte ad un circolo di cucito. E quando qualcuno lungo le rive vi dirà: – Ma cosa stai facendo? Non vedi che stai usando una Dusky Yellowstreak durante uno sfarfallamento sporadico di Paraleptophlebia submarginata? Ma chi ti ha insegnato a pescare? Ricordate sempre che nessuno vi ha mai obbligato. E che l’omicidio preterintenzionale è punito duramente. Poi c’è il problema di dove far agire la mosca. Un’esca rotante può essere lanciata ovunque, anche in zone d’acqua turbolente, increspate e velocissime, al

di là di flussi vorticosi nelle zone calme del sottoriva opposto... Insomma non c’è tratto di torrente che sfugga all’insidia. Ora no. La mosca secca deve agire in zone d’acqua che ne consentano, anche brevemente, il galleggiamento e/o la deriva, pertanto zone con superficie non increspata, zone che sono sempre circondate da altre a corrente veloce, con gradienti tali da mettere la lenza in tensione e far dragare rapidamente l’artificiale. Ah, ve n’eravate già accorti? La mosca sommersa permette già di affrontare acque più mosse, pertanto aumenta lo spettro di utilizzo, e può rappresentare l’unica tecnica possibile con le acque alte e veloci di inizio primavera.

Ex pescatori col verme - Chi

prima pescava col verme e confidava nell’acqua velata o sporca, ora necessita di acqua limpida per poter pescare proficuamente a mosca. L’acqua sporcata dai temporali e dalle piene in genere non è più una bella cosa, per chi è migrato alla mosca. Dovrà andare a pescare quando prima tornava a casa, e tornare a casa quando prima andava a pescare. Il principale consiglio che mi sento di dare è di far capire molto bene alla moglie questo sostanziale cambio dei tempi alieutici. Questa tipologia di pescatore vivrà le problematiche citate per il pescatori a spinning in modo praticamente

Per trovare qualche immagine di “vecchio pescatore col verme” ho dovuto rispolverare vecchi libri o immagini nostalgiche infilate in Internet. D’altra parte il vecchio montanaro che “rimedia proteine” in torrente è di regola un tipo schivo, sia per i pesci che per gli uomini, ed è quasi impossibile riprenderne uno dal vero, sempre nascosto lungo le rive da alberi, cespugli e macigni. Quelle in alto sono immagini “vintage”, quella a destra è più recente, ma la tecnica è sempre la stessa: lasciare derivare l’esca sul fondo di regola sotto la canna trattenendola quanto possibile nelle buche e nelle pozze, o in correnti e lame non troppo veloci. A sinistra: trota ingorda.

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rovesciato. Chi pesca al tocco col verme usa di regola lunghe canne che insinua tra ostacoli e vegetazione per far scendere quasi in verticale la propria esca, un lombrico o un verme di letame, nelle buche più o meno profonde che si formano dietro i sassi, negli anfratti dei macigni, nelle pozze delle cascatelle, a valle delle briglie o degli ostacoli naturali o nelle lame con massi che ne spezzano la corrente. Ben difficilmente lancia lungo, pertanto è già avvezzo ad avvicinarsi all’area di pesca tenendosi nascosto il più possibile. Inoltre l’esca dovrà perdurare a lungo nello stesso punto, o percorrere lentamente la fascia di gradiente che la riporterà nella corrente viva, dove una trota non starà mai, con acqua sporca e livelli alti, se non rifugiata in tane formate da grandi macigni. La preoccupazione di questo pescatore è di far scendere l’esca sul fondo, aiutato da spirali di piombo, olivette o pallini in funzione dei fondali. Ora deve agire negli stessi posti, ma facendo in modo che la mosca stia a

galla, in acque ben limpide o comunque poco velate. Invece di raggiungere con l’esca le trote nei pressi della tana deve farle salire a prendere un insetto, quindi deve agire soprattutto quando il pesce è stimolato dalle condizioni a muoversi a caccia di alimento.

Non vorrei essere frainteso: non si pesca nei torrenti davvero in piena, né a mosca né col verme, giacché nessun pesce pensa ad alimentarsi. Semplicemente nel caso di temporali primaverili, estivi o autunnali nei quali l’acqua dilava le sponde aumentando moderatamente i livelli, facendo finire nel torrente i vermi che se ne escono dalla terra e vengono trascinati in acqua, la pesca con verme funziona, perché sfrutta una pastura naturale. Questo almeno è il tipico pescatore montanaro, che si muove solo se le condizioni sono positive, e che utilizza spesso una semplice canna fissa. Sono rarissimi gli appartenenti a questa tipologia alieutica che si iscrivono ad un corso Pam. Ma c’è anche il pescatore al tocco moderno, dotato di tecnologia attuale con la quale cerca di scimmiottare il classico montanaro. Questo pescatore non rinuncia a pescare se il torrente non è nelle condizioni ottimali per il verme, essendo libero solo nei fine settimana, ed ansioso di provare la nuova canna Shimano, il nuovo nylon dicroico, i nuovi ami chimici e l’ultimo grido in tema di mulinelli a bobina fissa. Esiste anche il modello ibrido, il pescatore che ha riesumato un tocco di tradizionalità ed utilizza come esche gli invertebrati che reperisce nel torrente e nei suoi pressi, quindi larve di friganee, di tipula, di plecotteri, oppure insetti veri, quali grilli, coleotteri o cavallette.

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Il modello ibrido è quasi in estinzione, credo sia rimasto solo qualche nipotino di 60 anni di nonni montanari che nel dopoguerra cercavano di pareggiare il conto delle proteine risparmiando i soldi dei vermi. Questi sarebbe il più vicino al Pam, poiché è quello che più si adatta alle leggi del torrente, usa quasi gli stessi insetti, ma veri. Imparerà a costruirseli finti, al circolo di cucito. Il pescatore col verme conosce il torrente, sa dove si trova il pesce, sa che di tanto in tanto bolla ad insetti in superficie, che dà la caccia alle larve, insomma, ha il vantaggio di conoscere il terreno, gioca in casa. Se è avvezzo all’uso della canna fissa non avrà gran difficoltà ad apprendere una discreta base della tecnica di lancio, non soffrirà il problema della distanza, ma dovrà imparare a non attendere dopo l’abboccata: il verme di solito viene ingoiato con filo e tutto, ma la mosca viene sputata all’istante. Dovrà anche imparare a dosare bene la ferrata, che comunque produrrà in modo istintivo, almeno alla mosca secca, ricordando che non sta pescando con un filo del 30 o del 35, ma con uno del 14 o del 16. I fili che recuperavo

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in torrente a fine primavera, con acque basse, dai rami sommersi ora di nuovo emersi, tra i sassi o dai rami sporgenti sull’acqua, fili strappati dai montanari ad inizio stagione, andavano dal 28 al 45 di ø e spesso avevano ancora attaccato l’amo, un poderoso gancio arrugginito con, talvolta, il residuo di un verme rinsecchito o semi-mummificato. Ma la massima perplessità dell’ex pescatore con verme e novello Pam è rivolta alle esche. Egli è convinto che le

esche naturali siano assolutamente superiori a quelle finte, e ritiene le mosche più limitate che bizzarre, funzionali solo negli sfarfallamenti. Pensa, giustamente, che negli sfarfallamenti possano in effetti ingannare qualche pesce, ma è dubbioso relativamente al resto. Se poi ci mettete che le sue prima catture, salvo eccezioni, saranno di trote piccole e piccolissime, ecco che la sua fiducia subirà un altro duro colpo. Ma non tema, le mosche artificiali,


secche o sommerse che siano, da sempre denotano buona efficacia, che diventa straordinaria quando, nelle opportune situazioni, s’intuisce quella giusta. La mosca giusta è quella che prende i pesci, e la spasmodica ricerca della mosca giusta è la principale ossessione di ogni pescatore a mosca certificato. Anzi, se serve a dar fiducia al principiante, sappia egli che l’attuale fenomeno alieutico è proprio quello della virulenta divulgazione della pesca a

ninfa appesantita con la tecnica della pesca al tocco. Se vermi e larve vere prendessero di più, questi sedicenti Pam utilizzerebbero quelle. Abbiate quindi fiducia estrema nelle mosche artificiali: se una donna può ingannare un uomo, se un assicuratore può ingannare un imprenditore, se una compagnia telefonica vi regala un computer che pagherete carissimo, se un venditore d’auto vi rifila un dragster che usava una povera vecchietta per andare in chiesa la domenica, una mosca finta può benissimo fregare un pesce.

Pescatori novelli totali - Chissà perchè ad un certo punto della vita uno (o una) decide di giocare la carta della pesca dilettantistica, ed al massimo livello di fascino e difficoltà. Status symbol? Delusione d’amore? Ripescaggio genetico? Ritorno all’infanzia?

Ecco le tipologie di artificiali galleggianti da preferire riferite alle condizioni di acqua e meteo, ed ovviamente in assenza di sfarfallamenti (vedi testo). A sinistra, acqua limpida cielo sereno (mosche esili, hackle scarso e luminoso, corpo sottile in quill di ogni colore). In alto, acqua limpida cielo nuvoloso (mosche coi colori della terra). Al centro, acqua velata tempo sereno (mosche scure). A destra in basso, acqua velata cielo nuvoloso (mosche grosse, scure con spot vivace).

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Amore a prima vista (di un torrente)? Comunque benvenuti, i fiumi hanno bisogno di anime pure, specie se non sanno proprio come prendere un pesce, e neppure dove sta, e neppure cosa fa sott’acqua. È una categoria di pescatori che i pesci adorano. Cosa volete che faccia? Mangia, se può, si nasconde, se ha paura, tromba, una volta all’anno e se gli va bene, e cerca perennemente di stare lontano dalle padelle e dai pesci più grossi di lui. Ci sono pesci furbi e pesci stupidi, rispettivamente i più grossi ed i più piccoli, i primi non abboccano quasi mai e si slamano quasi sempre, i secondi sembra che vadano a caccia solo di mosche artificiali, specie se li hanno appena messi dentro. Ora sui pesci sapete già parecchio, in pratica quasi tutto. Cosa ora non sapete? I dettagli. Tuttavia ecco tre regole pragmatiche che sostituiscono tutte le altre: 1 - Quando i livelli lo permettono iniziate a pescare a mosca secca, se non prendete niente passate alla mosca sommersa, spider o alata, se neppure questa funziona pescate a ninfa appesantita.

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2 - Cercate di far galleggiare la mosca secca in tutte le zone d’acqua dove s’intravvede o si vede il fondale, o anche dove non si vede causa la profondità, evitando quindi tutte le zone schiumose. Con la sommersa provate ovunque, poichè anche lanciando nelle zone schiumose, prima o poi la mosca finirà in acque più tranquille, e qui farà il suo lavoro. 3 - Ad inizio stagione, prima dell’acqua di neve, insistete nelle zone d’acqua più calme e con fondale minore. A stagione più inoltrata, dopo la sfuriata dell’acqua di neve, portate l’insidia anche nelle zone più profonde, ma sempre fuori dai flussi veloci. Successivamente valgono le regole n. 1 e n. 2. Con l’acqua di neve state a casa. La scelta della mosca? Non angustiatevi più di tanto, è un problema che vi ossessionerà per tutta la vita, ed ogni volta che vi parrà di aver finalmente capito qualcosa, la volta successiva capirete di non aver capito nulla. Anche qui, in torrente, esistono tre regole pragmatiche che sostituiscono tutte le altre.


Per inciso: il “tutte le altre” non significa qualche decina o qualche centinaia, ma diversi miliardi, quindi optate per il pragmatismo. Ecco le regole: 1 - Mosca grossa, pesce grosso. Se non funziona c’è un trucco: montatela più piccola, purchè regga l’acqua, cioè galleggi quel tanto che basta per consentirvi di pescare. 2 - Acqua limpida con cielo azzurro: mosca coi colori dell’acqua e del cielo, quindi eterea, corpo sottile, hackle lungo, rado e luminoso, verdolina o azzurrognola. Acqua limpida con cielo coperto: mosca più grassoccia coi colori caldi della terra, Sopra a sinistra: ambiente piccolo, infrascato, richiede una canna corta, un finale corto e mosche grosse, sconsigliato al principiante. Al centro: modesto torrente facile da affrontare, richiede lanci corti e precisi ed alterna spazi aperti a zone fagocitate dalla vegetazione. Sopra a destra: torrente di maggiore portata, ottimo per il principiante, ha spazi ampi per il volteggio, ma richiede lanci più lunghi ed una buona capacità di compensare il dragaggio.

ocra, marrone, bruno. Acqua velata con cielo azzurro: mosca scura e grassoccia. Acqua velata con cielo coperto: mosca grande, scura, con contrasto cromatico di due colori, ad esempio giallo nero, o rosso nero. 3 - La terza regola è la più importante: se applicando le prime due non prendete nulla, mescolatele tra loro variando le combinazioni. Assimilate bene questi tre più tre principi, poi, magari, aggiungendo un relativo interesse per gli insetti che vedrete in giro, potrete assimilarli alle imitazioni che, appunto, li rappresentano, più o meno. Aggiungerete così una nota di interesse in più, una nota prettamente umana, una nota che vi spingerà ad interessarvi di entomologia, ad acquistare libri sugli insetti, poi di dressing classici e moderni, quindi di tipologie costruttive, tutte cose utilissime per arricchire le conversazioni in trattoria, dopo la pesca, od al club, quando racconterete le vostre avventure, e che, soprattutto, vi regaleranno la splendida percezione di diventare sempre più bravi. E nessun pesce potrà mai smentirvi.

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