Magie immerse - Anteprima

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Un pescatore che avesse utilizzato una mosca diversa per ciascun giorno dell’anno, a suo dire, avrebbe catturato le stesse trote di un altro che si sarebbe accontentato di tre o quattro modelli, ma il primo di costoro si sarebbe basato su un principio erroneo ed avrebbe perso tempo e fatica inutilmente. Nella pratica della pesca, quindi, era stato indiscutibilmente dimostrato come quattro mosche: una nera, una bruna, una rossa ed una di colore bruno grigiastro (dun coloured), usate simultaneamente, ma con l’accortezza di cambiare la taglia secondo le circostanze, fornissero gli stessi risultati, se non migliori, delle selezioni meglio assemblate e previste per ciascun mese dell’anno. Niente che dire, si tratta di argomentazioni discutibili, ma che, tuttavia, poggiano il loro fondamento su fatti reali, tali da fornire parecchi spunti di valutazione. A questo punto mi sembra quantomeno doveroso citare i dressings dei tre spiders da lui preferiti, precisando che gli stessi possono essere realizzati su ami n° 12, 13, 14 oppure 15 e che il nome di queste sommerse fa riferimento non al colore del corpo, ma a quello dell’hackle utilizzata per realizzare le zampette dell’insetto. Gli spider di W.C. Stewart - Il più micidiale, a suo dire, è rappresentato dalla Black spider (pag. 51), un modello onnipresente sui suoi finali. Gli venne confidato da JaTorrente: mosca sommersa a risalire

TECNICHE

DI PESCA

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Si lancia a monte di ogni zona o spazio ove si presume il pesce, si mette in debolissima tensione la lenza e la si recupera in modo da lasciar derivare la mosca (o le mosche) a velocità identica o appena superiore a quella dell’acqua. Si percepiranno le abboccate col tatto, e talvolta visivamente, se le mosche derivano presso la superficie, oppure dall’improvviso fermarsi della lenza, visibile dalla congiunzione coda-finale o dalla rapida diminuzione della “pancia” che fa pendendo dal cimino. La mano sinistra recupera la lenza a spirali, senza mai lasciarla molle tra l’anello di punta e la mosca e tra il primo anello e la mano, pena la perdita della

mes Baillie, considerato all’epoca il più abile pescatore a mosca di tutta la Scozia. Questa sommersa viene realizzata con una piccola piuma nera (con le punte delle barbe chiare) di stornello maschio. Il corpo è in seta bruna. Il secondo modello è il Red spider, ottenuto con una piuma prelevata dalla parte esterna dell’ala di un re di quaglie. Il corpo è in seta gialla. L’ultimo artificiale è il Dun spider, realizzato con una piccola morbida piuma di colore bruno o bruno cenere prelevata dalla parte esterna dell’ala di piviere. In alternativa può essere utilizzata una piccola piuma situata all’interno dell’ala di uno stornello. Il corpo è rosso o bruno rossastro. Il processo costruttivo a pag. 51 è identico per tutte tre, variando solo i componenti. Diverse opere contemporanee propongono immagini fotografiche dei suddetti spiders consigliati da Stewart, e la loro caratteristica comune è rappresentata dal fatto che si tratta di ami con occhiello sui quali l’hackle è stata avvolta a palmer da circa la metà del corpo sino alla testa vera e propria dell’artificiale. Ma in realtà il procedimento costruttivo da lui impiegato merita, a mio avviso, un’analisi più accurata, e per evidenti motivazioni. Uno dei più profondi conoscitori delle tecniche costruttive di mosche artificiali,

percezione degli abbocchi o di una ferrata efficace. I falsi lanci devono tendere a zero ed il finale non deve mai essere troppo lungo, specie nel tratto terminale, o risulterà impossibile mantenere il contatto con l’esca. La mosca deve imitare un insetto inerte alla deriva, inerte perché travolto dalle correnti, alato o no che sia, oppure perché impegnato nella metamorfosi, oppure per drifting spontaneo. Con mosche non appesantite una certa profondità può essere raggiunta grazie alle cascatelle od ai moti discensionali delle correnti, che convogliano la mosca negli stessi “canali alimentari” ove transitano gli insetti alla deriva.


1 - Si inizia fermando con spire sovrapposte il filo sull’amo e poi bloccando con una breve serie di avvolgimenti il rachide di una piuma screziata scura di pernice. 2 - Ora con un’opportuna lunghezza di seta floss arancione si procede al bloccaggio ed alla formazione, avvolgendola a spire affiancate, del semplicissimo corpo dell’imitazione.

3 - Ecco come appare il corpo terminato. Il leggero ingrossamento del torace è dovuto allo spessore del rachide.

4 - Si completa l’artificiale avvolgendo la piuma di pernice, bloccandola col filo di montaggio ed eseguendo testa e nodo finale.

PARTRIDGE AND ORANGE Amo. 12-14. Filo di montaggio. Arancione. Corpo. Seta floscia arancione. Hackle. Pernice di tonalità scura. Testa. Marrone. Imitazione di essenziale semplicità, realizzabile facilmente anche senza attrezzi. É un modello ancestrale, costruito oggi come mille o molti più anni fa. La sua efficacia è rimasta intatta, come la sua capacità imitativa e come, del resto, anche gli insetti che rappresenta. 41


2 - Si appongono lungo l’amo le barbe di penna di tacchino per il corpo, il tondino di rame per l’anellatura ed un tratto di filo di montaggio giallo.

1 - Si avvolge il filo lungo l’amo e si fissano le code in barbe screziate di pernice.

3 - Si realizza il corpo avvolgendo il tacchino in spire strette e compatte, poi lo si irrobustirà spiralando il filo giallo in senso inverso.

4 - Si formano gli anelli addominali con il filo di rame.

5 - Si appone fissandola per il calamo una piuma screziata di pernice di tonalità chiara, ed infine la si avvolge (pagina successiva).

ITALIAN PARTRIDGE AND YELLOW Amo. 12-14. Filo di montaggio. Fibre di pernice chiara. Corpo. Tacchino tinto giallo sporco, o ocra, anellato con filo di rame. Hackle. Pernice chiara. Testa. Nocciola.

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Henri Pèthe, in Montage des mouches artificielles – traditions, evolutions (1995) ha preso in esame il modo con il quale Stewart confezionava i propri artificiali, ed ha quindi posto l’accento su particolari interessanti. Innanzitutto la costruzione veniva effettuata su un amo privo di occhiello tenuto fra il pollice e l’indice della mano. Quindi, con una seta di montaggio ben cerata, partendo da metà torace e dirigendosi in avanti, veniva solidamente fissato il filo con il quale sarebbe stato realizzato il treno di mosche, e si formava la testa dell’artificiale. A questo punto si prendeva la piuma e si piazzava il calamo lungo il gambo dell’amo, la cui base era in direzione della curva, e lo si bloccava con due o tre giri di seta, quindi si tagliava l’eccedenza. Aveva quindi luogo la parte più delicata di questo tipo di costruzione. La seta di montaggio doveva essere posizionata al centro della piuma, quindi il tutto subiva una torsione effettuata con il pollice e l’indice della mano libera. Si procedeva quindi all’avvolgimento della piuma, che risultava arrotolata attorno alla seta, e si terminava verso la coda con il nodo di chiusura. La cosa importante consisteva nel lasciare fuoriuscire alcune barbe della piuma durante il suo avvolgimento, talvolta era necessario estrarne addirittura alcune con un ago per poterle districare meglio. Oltre all’abilità manuale necessaria per la corretta esecuzione di questo tipo di montaggio, è opportuno rilevare quanto sia difficoltoso rinunciare all’impiego di un morsetto nell’elaborazione di un artificiale. Parlo, in questo caso, per diretta esperienza pluriennale. Se a ciò aggiungiamo il fastidio causato da un filo che penzola all’altezza del punto in cui si dovrebbe trovare l’occhiello, pare ovvio come i problemi aumentino. Se poi, infine, consideriamo che il tutto avviene talvolta durante l’elaborazione di un artificiale su un amo del numero 15, ci possiamo facilmente rendere conto di come i procedimenti meccanici lascino in questo caso spazio ad una vera e propria arte di montaggio. Infine vorrei effettuare un’ultima ma non meno indispensabile osservazione.

6 - Avvolta la piuma, la si blocca con due/tre giri di filo di montaggio, si realizza la testa con un rigonfiamento del filo di montaggio e si conclude con nodo e colla sul nodo stesso.

Come si è visto Stewart poneva l’accento sull’importanza di taglia e colore dell’imitazione, nonché sull’utilizzo di morbide piume anch’esse in possesso di una specifica tonalità. Ma i suoi spiders forniscono quanto mai efficacemente anche l’idea di insetti emergenti, si tratta, probabilmente, di artificiali antesignani alle ninfe non appesantite che vennero successivamente elaborate da famosi pescatori, come avremo modo in seguito di vedere. Io credo con profonda convinzione, in definitiva, che la storia della pesca a mosca sia già stata scritta e che sia rimasto ben poco da scoprire. Molte delle soluzioni, anche in tema di costruzione degli artificiali, prospettate come il risultato di innovazioni contemporanee, trovano spesso un antefatto od un precursore nel lavoro di altrettanti pescatori del passato. Esiste, questo sì, l’abilità manuale dimostrata da molti costruttori contemporanei, talvolta esternata nella 43


1 - Dopo due passaggi di filo di montaggio si realizza un “debole” dubbing in pelo.

3 - Si fissa una morbida hackle di gallinella d’acqua, indi ci si accinge ad avvolgere l’hackle e a chiudere la mosca con testa e nodo.

2 - Si avvolge il dubbing a spirali distanziate, così da lasciare intravvedere il filo giallo del precedente avvolgimento.

WATERHEN BLOA (di Thomas Evan Pritt) Amo. 14-16. Filo di montaggio. Giallo. Corpo. Leggero dubbing in pelo di topo d’acqua oppure, in alternativa, sottopelo di topo muschiato. Hackle. Gallinella d’acqua. Testa. Marrone. 44

realizzazione di modelli molto accurati dal punto di vista imitativo dell’insetto che intendono rappresentare. Resta il fatto che non sempre queste riproduzioni riescono a convincere il pesce quanto altre in possesso di caratteristiche apparentemente meno realistiche. Le moschette dell’Ain - Un altro tipo di mosche sommerse su cui vale la pena di soffermarsi per un attimo è rappresentato dalle mouchettes de l’Ain (pag. 54), le moschette elaborate molto tempo fa dai pescatori francesi di temoli che frequentavano, per l’appunto il famoso fiume Ain, affluente di destra del Rodano. I vecchi pescatori di questo corso d’acqua adoperavano questi artificiali con canne a due mani da 6 a 7 metri e collocavano sette o otto mosche sul finale, come Léonce de Boisset ebbe modo più volte di illustrare sulla propria produzione letteraria. Tuttavia il primo autore a parlare diffusamente


di questa tecnica fu probabilmente Charles de Massas nel suo Manuel du pêcheur à la mouche artificielle et du pêcheur à toutes les lignes (1857). Questi riferiva, per l’appunto, che alcuni pescatori del fiume Ain elaboravano mosche da temolo su aghi da cucito, che venivano stemperati per conferire loro la forma richiesta, e quindi temperati nuovamente mantenendo una curva rientrante per compensare l’assenza dell’ardiglione. Tali artificiali erano quindi legati a crini di cavallo in serie di sei o dieci esemplari, e quindi proiettati in acqua per mezzo di canne a due mani lunghe da 6 a 6,50 metri, del tutto prive di mulinello. Detta tecnica venne quindi ripresa in esame da un anziano giudice istruttore in pensione, Louis Rouquet, in una serie di articoli pubblicati sulla rivista Le Chasseur Français, resoconti che vennero riuniti in un unico testo pubblicato nel 1924 con il titolo Au bord de l’eau. Persino Antoine Vavon parlò diffusamente delle moschette dell’Ain nella sua monumentale opera La Truite, ses mœurs, l’art de la pêcher (1927), e di questi artificiali ritenne doveroso fare menzione anche J. d’Or Sinclair in La Pêche de l’Ombre à la mouche (1929). Infine, come si è visto, un’analisi ancora più approfondita in materia venne effettuata da Léonce de Boisset circa un centinaio di anni dopo la pubblicazione del testo di Charles de Massas. Il modello di base, all’epoca di Léonce de Boisset, era quello utilizzato da papà Beau. Si trattava di una canna in tre pezzi, il primo di due metri e cinquanta, il secondo di tre metri ed il cimino, in bambù, misurava cinquanta centimetri. La struttura di questo strumento doveva essere rigorosamente in canna maschio del Fréjus, arbusto questo in possesso di caratteristiche ben dissimili dalla canna femmina, ad iniziare dai nodi che nel tipo preferito risultano più ravvicinati tra loro e dalla tinta calda giallo oro “come l’uva bianca di Virieu-en-Bugey quando è matura”. Naturalmente un attrezzo così congegnato aveva un peso piuttosto elevato, intorno ai seicento grammi, quindi venivano eliminate le ghiere e di conseguenza l’inne-

4 - Ecco la mosca terminata dopo l’avvolgimento dell’hackle.

sto avveniva innestando il pollone del pezzo superiore in quello inferiore, dal momento che entrambe le parti dovevano essere accuratamente levigate in modo da combaciare perfettamente. Le due parti della canna, corrispondenti alle ghiere così realizzate, venivano quindi rinforzate con due anelli di cuoio. L’attrezzo ottenuto doveva risultare nervoso e flessibile, soprattutto nella parte corrispondente al terzo superiore della canna, e doveva consentire di effettuare lanci intorno ai venti metri. Come detto, tali pescatori di solito distendevano agevolmente sull’acqua finali con sette o otto mosche, ma papà Beau, l’indiscusso maestro, riusciva tranquillamente ad utilizzarne anche quindici contemporaneamente, distanziate tra loro di circa cinquanta centimetri. La lenza era costituita da crini di cavallo intrecciati e veniva inserito un elastico di venti centimetri tra questa ed il cimino al fine di poter ammortizzare le reazioni di un pesce troppo brutale. Le migliori mosche venivano prodotte a Pont-d’Ain da Joseph Roussiller, anzi, per l’esattezza da Maria, sua moglie. Erano costruite su ami italiani bianchi a gambo medio e renversé, ossia con una curvatura ritorta e piuttosto ampia, nei numeri compresi 45


1 - É il semplice processo di ogni spider a due componenti: si fissa prima la piuma e poi il materiale per il corpo.

2 - Dopo il fissaggio, si inizia a realizzare il corpo dell’insetto.

3 - Terminato il corpo, si blocca e taglia l’eccedenza per poi avvolgere la hackle.

SNIPE AND PURPLE Amo. 14-16. Filo di montaggio. Viola. Corpo. Seta viola. Hackle. Beccaccino. Testa. Marrone. 46

fra il 10 ed il 14. All’epoca era piuttosto difficile reperire modelli che non si aprissero o non si spezzassero sotto la trazione operata dal pesce. I migliori ami in possesso delle caratteristiche richieste erano prodotti in Inghilterra dalla ditta Milward di Redditch e dalla società Edgar Sealey and Sons, anch’essa di Redditch, che li commercializzava con la sigla S 4320. Naturalmente anche queste mosche venivano costruite a mano, senza l’ausilio di un morsetto. Con un filo di seta di montaggio del colore desiderato veniva quindi fissato un crine di cavallo e si procedeva quindi alla realizzazione di un corpo anellato con un filo dorato o argentato, al termine del quale era realizzata una coda costituita da quattro o cinque fibre d’hackle. Il collarino era invece ottenuto con tre o quattro avvolgimenti di un’hackle di gallo sbarbata su uno dei due lati, quindi con un colpo di forbici le barbe venivano tagliate alla lunghezza desiderata. Il corpo in seta veniva quindi ricoperto con un leggero strato di vernice cellulosica. Ovviamente anche le moschette dell’Ain variavano, come tonalità, all’infinito, come d’altronde avviene per tutti i tipi di artificiali sui quali viene imperniato l’interesse dei pescatori. É tuttavia opportuno sottolineare sinteticamente le caratteristiche dei modelli di uso più comune, e quindi maggiormente apprezzate dal pesce: corpo rosso anellato d’oro, hackle e code rosse; corpo grigio cerchiato d’argento, hackle e code grigie; corpo giallo oro, hackle e code grigio chiaro; corpo nero anellato argento, hackle e code nere; corpo e hackle marrone foglia morta; e la famosissima mosca tango, di tonalità complessiva rosso chiaro, quasi dorata. Le mouchettes de l’Ain erano legate tra loro mantenendo una distanza di circa 70 centimetri l’una dall’altra e venivano utilizzate sia come sommerse vere e proprie, sia secondo una vera e propria tecnica intermediaria con la mosca secca. Si lanciava, infatti, a valle facendo ben attenzione a non far immergere gli artificiali, in modo che le moschette pattinassero quasi sulla superficie dell’acqua. Ad un certo punto la trazione della corrente costringeva il finale ad ef-


fettuare una sorta di arco di cerchio, ed era soprattutto in quei momenti che il temolo saliva, incurante del dragaggio effettuato dagli artificiali. Un’altra tecnica interessante praticata con queste lunghe canne consisteva nel far saltellare una o più mosche sulla superficie dell’acqua. In tal modo veniva efficacemente riprodotto il sistema di ovideposizione effettuato da molte effimere, che talvolta sembrano quasi bucherellare in rapida successione lo strato dell’elemento liquido a immediato contatto con l’aria. Viene a questo punto spontaneo domandarsi cosa sia rimasto, al giorno d’oggi, delle mouchettes de l’Ain e della tecnica di pesca ad esse correlata. Con l’avvento delle corte canne ad una mano e l’elaborazione di artificiali in possesso di caratteristiche innovative, credo che probabilmente la tecnica di quei pescatori francesi sia caduta nell’oblio. Ma è sempre importante analizzare accuratamente il lavoro degli altri, anche se sotto certi aspetti può ritenersi superato. In fondo, come pare evidente, l’artificiale di un determinato colore fornisce efficacemente l’idea di quel particolare insetto appetito dal pesce in uno specifico momento. Oppure, molto più semplicemente, il pesce quel giorno gradisce quel determinato colore, e per motivi che non sempre è agevole comprendere. In Les secrets du pêcheur à la mouche - Tome II: Mouche noyée, Streamer, Nymphe (1984), un testo breve ma indubbiamente parecchio interessante, Victor Borlandelli e Marc Sourdot hanno effettuato una pertinente sintesi di molti opportuni accorgimenti da adottare pescando sotto la superficie dell’acqua. A proposito della mosca sommersa hanno quindi sostenuto che l’ideale in materia, soprattutto per quanto concerneva la posizione maggiormente pescante assunta dall’artificiale, era rappresentato proprio dalle moschette dell’Ain di un tempo. Nel proporne, quindi, un’immagine fotografica, hanno concluso affermando che nulla impedisce di rifare questi montaggi. Per quanto mi riguarda, con il passare del tempo mi sono formato una serie di convinzioni e di certezze. Da queste ultime non mi smuovono neppure le cannonate, mentre

4 - Ecco terminata la mosca sommersa con l’avvolgimento dell’hackle, testa e nodo.

per le prime… beh, sono sempre disposto a rivedere le mie posizioni. Credo inoltre che in tutti i campi, e la pesca a mosca non è da ciò immune, occorra un pizzico di umiltà. Più passa il tempo, più mi rendo conto di essere riuscito a comprendere qualcosa, più mi rendo conto di quanto ci sia da imparare, da studiare. Ho i miei miti. Alcuni sono personaggi sconosciuti, che talvolta vivono soprattutto o solamente nei miei ricordi. Altri sono stati grandi pescatori o fini scrittori, ed a volte le due cose tendono a confondersi. Léonce de Boisset è, per l’appunto, uno dei miei miti. La sua produzione scritta, vastissima, non va solo letta. Va studiata. Collaborò con parecchie riviste, di una in particolare, la scomparsa Plaisirs de la pêche, fu anche l’editorialista. Scoprire alcuni suoi vecchi articoli costituisce un motivo di grande soddisfazione, e ciò mi accade talvolta anche nelle circostanze meno impensate. Ma i suoi libri rappresentano, e non solo per il sottoscritto, alcune fra le opere più interessanti che siano state redatte in tema di pesca a mosca. Non tutte sono re-

Si può affermare che tutti gli spider siano in qualche modo imparentati. Il colore viola ad esempio lo si trova tra le moschette valsesiane come tra altre innumerevoli serie locali di mosche similmente costruite.

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1 - Nella Blue Dun spider si inizia col fissare le corte code, dopo aver coperto l’amo con un primo avvolgimento di fio di montaggio.

3 - Sul filo di montaggio si appone con cera il pelo di topo muschiato (o altre fibre come talpa o foca) per realizzare il dubbing.

2 - Come secondo passo si appone e fissa il materiale per gli anelli addominali: pochi centimetri di seta floss gialla.

4 - Andando indietro e tornando in testa si forma il corpo, apponendo una quantità moderata di pelo, infine si blocca con due giri e si recidono le eccedenze.

6 - Si appone una hackle di gallina blue dun fissandola per la rachide spellata, andrà poi avvolta e fissata prima di tagliare l’eccedenza e di realizzare la testina. 5 - Si formano gli anelli addominali, paralleli sotto e spiralati sopra. Si blocca la seta e si recide l’eccedenza.

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peribili al giorno d’oggi, e la loro ricerca anche presso antiquari francesi può risultare alquanto problematica e dispendiosa. Il fatto che alcune di esse siano state tradotte in italiano, infine, la dice lunga su quanto apprezzato sia il lavoro di questo grande pescatore. Mi sembra doveroso, a questo punto, elencare le sue opere, o perlomeno quelle più conosciute, dal momento che, come affermato, fu un autore che seppe dare origine ad una produzione letteraria molto ampia: Les Mouches du pêcheur de truite (1939), L’Ombre, poisson de sport (1941), La Truite, poisson de grand sport (1942), Les Éphémères (1942), Plaisir des jours (1945), Poissons des rivières de France (1948), Réhabilitation de la mouche noyée (1949), Écrit le soir (1953) Femmes de Pêcheurs (1957), L’évolution de la pêche de la truite (1962). In queste pagine seppe rendere immortali parecchi personaggi ed a più riprese parlò anche di tecniche di pesca, alcune forse obsolete, ma anch’esse eterne. In fondo è pur sempre vero che pescatori di estrazioni ed origini diverse possano pervenire agli stessi risultati, anche senza conoscere la lingua di Dickens. I pescatori dell’Ain, gli uomini dalle lunghe canne, non fecero eccezione. Si guardarono attorno e scelsero fra la loro flora gli arbusti più consoni per proiettare le loro mosche. Scrutarono il loro corso d’acqua e la fauna che li popolava ed idearono una serie di moschette in grado di riprodurre le piccole effimere che danzavano sulla superficie stessa del loro fiume. In tutti i campi c’è sempre qualcuno più bravo degli altri. Può essere un artigiano in grado di elaborare sapientemente una canna migliore di altre realizzate utilizzando il medesimo materiale. Può trattarsi di un costruttore di artificiali. Le moschette dell’Ain non erano, tutto sommato, molto complicate, né più né meno che una sorta di spider con una piccola coda. Ma M.me Roussiller le costruiva meglio di tutti, e questo è un fatto innegabile. Nel citato Écrit le soir (1953) il grande De Boisset dedica un intero capitolo al mitico Roussiller. Sembra quasi rivivere in queste pagine il baffuto ex maresciallo dei

7 - Ecco l’imitazione terminata dopo l’avvolgimento dell’hackle ed il fissaggio. La testa è realizzata con filo marrone.

BLUE DUN Amo. 14. Filo di montaggio. Giallo. Code. Gallo o gallina blue dun. Corpo. Dubbing in rat musque (topo muschiato) anellato con seta floscia gialla. Hackle. Gallina blue dun. Testa. Marrone.

Dragoni, titolare del famoso negozio di pesca dalle imposte verdi situato a Pont d’Ain. Si sapeva bene a che ora si entrava nel suo negozio. Quanto ad indovinare, anche approssimativamente, quando se ne sarebbe usciti, nessuno riusciva a dirlo. Anche i clienti abituali non erano capaci di prevederlo. 49


TECNICHE

DI PESCA

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Furono, infatti, molti i pescatori che ebbero modo di giungere più preparati sul fiume dopo essere transitati nel negozio di Roussiller ed aver potuto beneficiare della sua sapiente eloquenza stando tranquillamente seduti sull’unica sedia del suo negozio, segnata dalle impronte di tante natiche illustri. Tuttavia non sono, non posso essere d’accordo con tutte le tesi sostenute dal grande Léonce de Boisset, come è ovvio che non tutti concordino con quelli che sono i miei punti di vista. Se così non fosse adopereremmo tutti la stessa canna, le medesime mosche e le identiche tecniche di pesca. In tal modo il vastissimo mondo della pesca a mosca risulterebbe, probabilmente, banale ed alquanto scontato. A proposito della scelta della mosca sommersa, infatti, De Boisset sosteneva che la riproduzione di un insetto alato è inutile per la pesca a mezz’acqua. Riteneva quindi logico offrire alla trota, quando pescata a mosca sommersa, un’imitazione di ciò che trovava in quello spazio circoscritto anziché sforzarsi di presentarle un artificiale che ricordava le sembianze dell’insetto di superficie. Per quanto mi riguarda non sarei tanto categorico in proposito. Innanzitutto bisogna distinguere le varie fasi di attività del pesce. Non è detto che durante una schiusa il pesce debba necessariamente essere

insidiato con mosche secche, anzi talvolta l’esperienza dimostra che la scelta azzeccata di una particolare sommersa fornisce efficacemente l’idea di quella particolare effimera in fase di mutazione. Inoltre una wet fly non impregnata d’acqua, magari mediante una serie di rapidi falsi lanci, una volta proiettata stazionerà per un certo tratto nelle immediate vicinanze della pellicola superficiale, e ciò è né più né meno quanto molti pescatori del passato intendevano realizzare prima dell’ideazione della mosca secca vera e propria. In altre circostanze, invece, sarà opportuno bagnare completamente la mosca sommersa, addirittura anche mediante la propria saliva, e questo per raggiungere una profondità maggiore. Il fatto, poi, di appesantire il corpo dell’artificiale con sottile filo di rame o di piombo rappresenta la volontà di far pervenire l’imitazione ad ulteriori profondità, ma in questo caso a mio avviso si entra in un campo più consono alla pesca a ninfa che a quello della mosca sommersa. Cercherò di essere più chiaro con un esempio. Se mi capita di pescare ad inizio stagione in un momento della giornata nel quale a breve dovrebbe avvenire la schiusa, ho la convinzione che l’utilizzo di due sommerse classiche, la March Brown e la Blue Dun possano rappresentare una buona scelta. Sebbene io non veda in quel momento mosche alate sull’acqua, ho tuttavia il con-

Mosca sommersa a discendere Si può suddividere in due situazioni totalmente differenti: la prima è quando si pesca a discendere con, di regola, più mosche sul finale in modo da setacciare ogni zona raggiungibile del fiume alla casuale ricerca di pesce che, vedendo le nostre moschette, le possa prendere. É anche il sistema più vecchio, applicabile con efficacia solo in ambienti di una certa dimensione, medi e grandi fiumi quindi, con corrente più o meno veloce. Si procede da monte a valle lanciando di regola a 45° accompagnando la deriva per un certo tratto in modo che le mosche non draghino troppo velocemente verso riva, ma presentino una forte componente

“assiale” nel senso della corrente. Questo sistema ricorda da vicino la tecnica di pesca al salmone atlantico in grandi fiumi, anche se può essere applicato in torrenti modesti, ove però è certamente preferibile pescare a risalire. La seconda situazione si verifica quando l’ambiente è difficile, o con corrente lenta e pesce smaliziato al punto che non è opportuno presentare il finale prima della mosca, o per particolare morfologia del tratto. In simili situazioni ci si porta a monte del pesce, ammesso che questi regga il traffico lungo le rive e non se ne vada, si lancia facendogli derivare l’insidia da più lontano possibile, relativamente alle possibilità visive ed operative.


1 - Si fissa ed avvolge il filo di montaggio fino a poco oltre la metà del gambo dell’amo.

2 - Qui si blocca una piuma di storno.

3 - Si avvolge la piuma sul filo di montaggio in larghe spire senza preoccuparsi dell’apparente disordine delle barbe.

Il processo di montaggio è identico per gli altri due spider del trittico: Red Spider e Dun Spider. I materiali utilizzati nei dressing originali sono riportati nel testo, a pagina 40.

BLACK SPIDER (di W.C. Stewart) vincimento che all’interno dell’elemento liquido le ninfe di Heptageniidae e di Baetidae siano in fase di agitazione e, quindi, prossime alla mutazione. Se poi intravvedo il chiarore di un pesce a mezz’acqua, ne ho quasi la certezza. Infine, nel caso in cui i risultati tardino a venire, sostituisco tranquillamente gli artificiali sui quali era caduta la mia scelta con altri, basandomi soprattutto sul colore, la taglia, e ciò che mi detta l’esperienza. In seguito, se non ho provato con le ninfette, ne provo qualcuna in grado di riprodurre adeguatamente gli insetti summenzionati. Nel caso in cui neppure a questo punto mi riesca possibile reperire il bandolo della matassa, non conosco miglior sistema di quello preconizzato da papà Beau: borbotto e mi gratto la testa. Tuttavia solitamente non tratto le trote da “donnacce”, ma provo ad ingannarle con qualche ninfa di concezione diametralmente opposta a quelle provate inutilmente. Sono tuttavia d’accordo con la tesi sostenuta da eccellenti pescatori, quali De Boisset e Skues, a proposito dei motivi che

Amo. 12-16. Filo di montaggio. Seta bruna. Corpo. Seta bruna. Hackle. Storno. Testa. Seta bruna. 4 - Ecco terminata, con bloccaggio della hackle e realizzazione del nodo, la Black Spider.

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1 - Si bloccano le code in punta di barbe di pernice.

2 - Tornando verso l’anello con filo si blocca la piattina dorata e si ingrossa leggermente la zona del torace.

3 - Si prepara il dubbing di pelo d’orecchio di lepre con cera liquida.

4 - Si realizza il corpo in dubbing e lo si anella con la piattina. Si tagliano le eccedenze.

6 - Si avvolge l’hackle di pernice, si blocca, si fa la testa e s’annoda.

5 - Si fissa una piuma di pernice screziata scura, scegliendo la parte distale.

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MARCH BROWN Amo. 12. Filo di montaggio. Giallo. Code. Pernice di tonalità chiara. Corpo. Dubbing in pelo d’orecchio di lepre anellato con tinsel piatto oro. Hackle. Pernice di tonalità scura. Testa. Bruna o nera.


La tipologia ed i materiali di questo artificiale si perdono davvero in tempi molto lontani. Non dovette essere difficile accostare le screziature brune e nocciola della selvaggina abituale dei cacciatori alle screziature degli insetti vittime dei pesci.

hanno spinto il pesce ad impossessarsi della mosca artificiale. Credo infatti che la fame rappresenti la molla principale in grado di far scattare l’istinto predatorio nei confronti di quel groviglio di peli e piume tanto simile agli insetti veri. Certo, possono giocare altri fattori nella presa di una mosca artificiale, quali la curiosità, il gioco o semplicemente la volontà di avere sotto controllo il proprio territorio di caccia. Chi può dirlo con certezza? D’altro canto è frequente assistere a piccoli episodi sconcertanti, tali da far riflettere su quelle che sono le proprie conoscenze in materia. A volte, ad esempio, capita di vedere banchi di vaironi situati a poca distanza da una trota immobile, quasi ferma sul fondale. I piccoli pesci se ne stanno tranquilli nel proprio settore, a breve distanza dal predatore, e compiono i loro lenti movimenti fornendo quasi l’impressione di non temere il pesce posto nelle loro immediate vicinanze. La trota, poi, sembra abulica. Ha lo stesso atteggiamento di quando è stata spaventata da qualcosa o qualcuno. Lo sanno bene i bracconieri per i quali, in questi casi, infil-

zarla con una fiocina è veramente un gioco da ragazzi. Improvvisamente parte come una saetta e punta un piccolo vairone. Lo insegue, nonostante i suoi cambi di direzione, finché riesce ad afferrarlo. Il dramma si è concluso, guardi il corso d’acqua, scruti il fondale e ti sembra di aver immaginato ciò che è successo. Anche perché dopo un certo lasso di tempo i vaironi riprendono la loro posizione come se niente fosse. Quali sono stati i meccanismi che hanno fatto scattare proprio in quel momento la trota? Non può di certo essere stato, perlomeno in questo caso, un improvviso ed irrefrenabile attacco di fame. Forse uno degli aspetti più affascinanti della pesca a mosca sta anche in questa mancanza di risposte certe, in un’infinità di variabili alle quali nessun pescatore potrà mai fornire esaurienti spiegazioni. Non a caso il grande Frank Sawyer sosteneva che avrebbe voluto trascorrere un anno sott’acqua come un pesce. In tal modo avrebbe potuto fornire a se stesso parecchie risposte. Un’altra tecnica costruttiva molto interessante nel campo in esame è rappresenta53


1 - Si blocca il filo di montaggio.

2 - Si lega il filo di nylon (bracciolo) ed il filo metallico per l’anellatura.

3 - Si blocca fortemente il nylon del futuro bracciolo e si torna in coda col bobinatore.

5 - Si tagliano le eccedenze delle code e si completa il corpo con la seta rossa (filo di montaggio). 4 - Si fissano le barbe che rappresenteranno le code.

6 - Si realizzano gli anelli addominali con tondino dorato, si blocca e si taglia l’eccedenza. Ora si vernicia il corpo.

7 - A vernice asciutta si procede fissando una hackle rosso naturale.

8 - Si avvolge l’hackle e si completa la mosca con testa, nodo finale e goccia di vernice sul nodo.

MOSCHETTA DELL’AIN (di Joseph Roussiller) Amo. 10-14, con filo di nylon. Corpo. Filo di montaggio rosso anellato con tinsel oro, quindi verniciato. Code. Gallo rosso naturale. Hackle. Gallo rosso naturale. Testa. Filo di montaggio rosso. 54


ta dal vecchio procedimento spagnolo, così come illustrato da Louis Carrère in Mouche noyée (1937). In questo piccolo volume, interamente dedicato alla mosca sommersa ed alla tecnica di pesca sportiva della trota in fiumi e torrenti, la prefazione venne effettuata a cura di Tony Burnand. Giornalista, fondatore e direttore della scomparsa rivista Au bord de l’eau, fu uno degli scrittori francesi più prolifici e di indiscussa cultura alieutica. Più che una prefazione la sua si rivelò un’accurata ed obiettiva analisi del lavoro di Carrère e della situazione della pesca a mosca in Francia, ancora eccessivamente influenzata dai testi inglesi e priva di quell’originalità che sarebbe successivamente esplosa nella produzione scritta di molti suoi connazionali. Mouche noyée, ossia mosca sommersa o annegata. Ma il confine tra ninfa e sommersa appare piuttosto labile negli artificiali proposti dall’autore. Per la verità questa considerazione può essere effettuata anche in presenza di parecchi modelli elaborati da altri pescatori, in quanto non sempre la realizzazione di una ninfa risponde ai requisiti capo - torace - addome - codine, ed inoltre l’eventuale appesantimento di taluni arti-

Cloni delle Mouchettes de l’Ain, in “style Roussilier”, realizzate dall’Autore.

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Malva Indio, mosca spagnola del Leòn consigliata per il mese di aprile, ma ottima per tutta la stagione con cielo nuvoloso. Le elastiche, luminose barbe d’hackle del gallopardo, tipico di questa regione della Spagna, sono montate a 45° sfruttando lo scalino repentino col quale termina il corpo. ficiali e l’azione di pesca contribuiscono a limitare ulteriormente questo confine. La particolarità immediatamente visibile negli artificiali illustrati da Carrère era rappresentata dal collarino realizzato con le barbe di una piuma di gallo. Queste, infatti, non venivano avvolte attorno all’occhiello, ma il loro corretto posizionamento costituiva l’aspetto più difficile della costruzione delle sue sommerse. Le punte dell’hackle dovevano essere allineate a gruppi di cinque o sei per volta al massimo, quindi recise in modo da poter ottenere fibre disposte perfettamente. Successivamente queste mèches venivano bagnate ed allineate su una superficie liscia, in modo da far toccare le loro punte. Quindi le punte dell’hackle venivano posizionate all’altezza dell’inizio della curvatura dell’amo e fissate in prossimità dell’occhiello per mezzo di un filo di montaggio molto sottile. Due erano gli accorgimenti da tenere nella massima considerazione. Il primo era rappresentato dall’angolo formato dalle fibre rispetto al corpo dell’artificiale, che doveva essere di circa 45 gradi. Per poter realizzare questa inclinazione Carrère suggeriva l’opportunità di ultimare il cor56

po in maniera netta, in modo da realizzare un angolo retto con il gambo dell’amo. In conclusione, tanto per sintetizzare, le barbe dovevano risultare posizionate quasi a tegola, o più propriamente come se dovessero rappresentare la metà di un cono. Nelle mosche di Carrère un altro criterio di primaria importanza era costituito dalla scelta dell’hackle. Solo i galli selezionati per la pesca, allevati in Spagna fra le province di León e delle Asturie, erano in grado di fornire le piume più idonee per la costruzione di questi artificiali. Ma della trentina di piume di gallo di colorazione diversa a lui note, in realtà quelle da lui utilizzate erano solo tre o quattro, e poneva fra le sue preferite quelle di tonalità blue dun o grigio fumo. Sebbene sia possibile realizzare sommerse secondo il montaggio spagnolo anche con un collo di gallo di qualità non eccelsa, il materiale ideale è rappresentato dalle pelles, le larghe piume prelevate dal dorso e dalla zona situata in prossimità delle ali dei summenzionati volatili. É opportuno, a questo punto, spendere un paio di parole a proposito della tattica di pesca così come interpretata da Carrère. Ca-


pita anche al giorno d’oggi di notare come la pesca a mosca sommersa venga talvolta giudicata con sufficienza, imputandole una facilità e monotonia non riscontrabili nella pesca a secca ed a ninfa. La visione di questa tecnica è per molti rappresentata esclusivamente dal lancio a valle di un “treno” di mosche in attesa dell’arresto, o meglio di un’autoferrata del pesce. L’intervento del pescatore parrebbe limitato al mantenimento in tensione del finale, nulla di più. Ma le cose cambiano diametralmente quando l’azione di pesca si svolge risalendo la corrente, tattica che Carrère giudicava la più bella e miglior maniera di pescare la trota. In questo caso suggeriva l’impiego di mosche montate con morbide piume di gallina o di pernice. É questo un concetto molto interessante, come si è visto già messo in pratica da Stewart e successivamente ripreso da altri autori nell’elaborazione dei loro modelli. Il potere attrattivo di un artificiale aumenta con il pulsare delle barbe fissate in prossimità dell’amo, si tratta in definitiva della componente che più di ogni altra fornisce l’impressione di un piccolo essere animato. In base alla posizione che dovevano assumere sul finale, Carrère aveva suddiviso i propri artificiali fra mouches de pointe e sauteuses, cioè sommerse il cui impiego

ottimale avveniva sulla punta del finale ed altre da collocare su un bracciolo lungo circa 15 centimetri. Pescava sia con tre sommerse che con due, per arrivare all’utilizzo di un solo artificiale nei torrenti più stretti o in periodo di acque basse. Naturalmente era consapevole del fatto che spesso la trota si ciba ad una profondità raggiungibile per mezzo di ninfe o sommerse appesantite con qualche giro di sottile filo di piombo, d’altronde alcuni dei suoi amici adottavano questo accorgimento, tuttavia preferiva limitare l’uso di artificiali così concepiti in quanto cercava di interessare il pesce lanciando le proprie sommerse molto più a monte della sua postazione. Anche questa rappresenta un’interpretazione personale e non priva di un certo fondamento. Si tratta, infatti, di una scelta soggettiva sulla quale non è lecito discutere più di tanto. Come vedremo più avanti, per interessare il pesce occorre talvolta scendere in profondità, in qualche circostanza molto in profondità. Artificiali privi di una qualsiasi forma di appesantimento, anche se lanciati molto a monte, non possono immergersi oltre certi livelli. Questo è un dato di fatto innegabile. Tuttavia è altrettanto vero, quantomeno secondo il mio punto di vista, che più un’imitazione è appesantita, meno piace“Carne Clara”, altra famosa mosca del León, da impiegare dalla fine del mese di maggio per tutta la stagione, insuperabile al tramonto, specie in torrenti tra i 600 ed i 1200 metri di quota.

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1 - Dopo aver bloccato il filo col solito sistema di qualche spirale sovrapposta, si bloccano le barbe di un collo di gallo blue dun (punte in avanti). Rimarranno così fino alla fase quattro.

2 - Si fissa il filo che completerà la Pallareta con i tipici anelli addominali, e si torna in testa ingrossando un poco il corpo.

3 - A mano o con un bobinatore, si fissa e si avvolge la filanca fino ad ottenere un corpo rigonfio rastremato agli estremi come nella foto. Indi si blocca e si recide l’eccedenza.

4 - Si realizzano gli anelli addominali e si vernicia il corpo così ottenuto. A vernice asciutta, si forma il tipico ciuffo di barbe rivolte all’indietro iniziando a sollevarlo come alla foto 5.

PALLARETA (di Louis Carrère) Amo. 12-14. Filo di montaggio. Bianco o crema. Corpo. Filanca giallo pallido anellata con sottile filo nero, quindi verniciata abbondantemente. Hackle. Barbe di gallo blue dun. Testa. Nera.

5 - Con ripetuti avvolgimenti a ritroso si drizzano le barbe correggendone la ripartizione con le dita.

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6 - Completata la “sistemazione” delle barbe si realizza il nodo di chiusura terminando poi con una goccia di collante.

Vedi la foto della Pallareta “ambientata” a pagina 62.


vole è l’azione di pesca vera e propria. La pesca con una mosca secca, quindi priva di peso, o con una sommersa classica oppure con una ninfetta in grado di penetrare attraverso la superficie dell’acqua mediante pochi avvolgimenti di filo di rame, mi procura il massimo delle soddisfazioni. La più conosciuta e famosa delle imitazioni di Carrère è rappresentata dalla Pallareta (pag. 58), che giudicava la più redditizia mosca di punta esistente. É stato sostenuto che possa rappresentare una larva di tricottero oppure una larva di mosca carnaria, ma credo che ciò abbia poca importanza. Ciò che conta è che costituisce un’imitazione d’insieme, atta a fornire efficacemente agli occhi del pesce l’idea di una moltitudine di prede acquatiche. Il fatto che continui ad essere presente in molti cataloghi anche al giorno d’oggi la dice lunga sul fatto che continui ad essere un artificiale redditizio. Vorrei infine sottolineare un’ulteriore argomentazione. Secondo una “scuola di pensiero” che anche attualmente conta molti adepti soprattutto in Francia e in Spagna, le sommerse usate a valle dovrebbero avere un’hackle in piuma di gallo, quindi barbe rigide per evitare che si possano “incollare” al corpo della mosca a seguito della pressione esercitata dall’acqua e dell’azione impartita dal pescatore. Pescando a monte, invece, per il motivo opposto vengono preferite piume morbide, quali pernice e gallina, molto imitative e maggiormente in grado di pulsare anche nel caso di deriva inerte, come d’altronde si è visto a proposito di quanto sostenuto da Carrère e De Boisset. Si tratta di un punto di vista interessante ed opinabile, che costituisce anch’esso una di quelle convinzioni proprie di ogni pescatore e parte del suo bagaglio alieutico. Per quanto mi riguarda uso indifferentemente gli stessi modelli sia a monte che a valle, artificiali che il più delle volte sono dotati di un collarino ottenuto con una morbida piuma. Ho una predilezione notevole per la starna, il beccaccino, la beccaccia, la gallinella d’acqua e la gallina. Tingo io stesso le piume di quest’ultimo volatile perché credo molto nell’esatta tonalità di colore ed ormai da troppo tempo mi sono formato le

mie idee in proposito. Ciò che conta è basare la propria azione di pesca alternando sia la deriva inerte che l’animazione dell’artificiale, e ciò a seconda della situazione di pesca che capita di dover affrontare. Il più famoso “sommersista” americano fu indubbiamente Jim Leisenring di Allentown in Pennsylvania, Big Jim, come lo chiamavano i suoi amici. Abile artigiano, riuscì a porre nella pesca a mosca e negli artificiali da lui elaborati quella precisione che sapeva riporre nell’espletamento della propria attività lavorativa. Studiava gli insetti dei fiumi da lui frequentati, analizzava il contenuto stomacale dei pesci che riusciva a catturare e prendeva addirittura appunti mentre stava pescando. I suoi studi si erano basati sul lavoro di G.E.M. Skues, con il quale corrispose per parecchio tempo, quindi nel 1941 si sentì pronto per illustrare il risultato delle sue esperienze in The Art of Tying the Wet Fly. Si tratta di un piccolo libro nel quale fornì le ricette ed il corretto sistema di montaggio degli artificiali che gli avevano dato le migliori soddisfazioni, quindi ninfe non appesantite derivate indubbiamente dalle indicazioni divulgate da Skues, ma soprattutto mosche sommerse con ali oppure con un semplice collarino realizzato solitamente con una morbida piuma. Artificiali semplici in definitiva, ma costruiti in maniera impeccabile, come la sua famosa Brown or Red Hackle (pag. 61). Naturalmente utilizzava anche la mosca secca, ma il motivo per il quale è passato alla storia è rappresentato dalla cura certosina con la quale realizzava i propri artificiali e per la tecnica di pesca che seppe elaborare. Molti dei suoi artificiali erano caratterizzati da un corpo in dubbing, per la realizzazione del quale poneva la massima cura al fine di ottenere l’effetto di traslucidità mediante un’accurata scelta fra il contrasto operato fra il pelo bagnato ed il colore del filo sul quale questo veniva impeciato. É questo un concetto elaborato in precedenza e ripreso successivamente da altri, sul quale d’altronde si basò Sawyer nel creare le sue magiche ninfette. Inoltre la scelta di un ingrediente anziché di un altro 59


piuttosto simile, quale l’herl di pavone che voleva di colore bronzeo anziché verdastro, rendeva il suo artificiale veramente credibile agli occhi del pesce. Inoltre sceglieva accuratamente le hackle in relazione alla velocità della corrente nella quale avrebbe dovuto far lavorare la propria imitazione. Tuttavia ciò per cui continua ad essere noto nel mondo della pesca a mosca è costituito dal suo Leisenring lift, ossia “il Sollevamento di Leisenring”, che costituisce anche l’unico metodo di pesca del quale parlò nel suo libro. Lanciava trasversalmente a monte, piuttosto distante dalla posizione della trota, quindi seguiva con la canna il movimento della coda mentre questa scendeva verso valle. Cercava di mantenere una certa tensione, ma in modo tale da non impedire la passata naturale del proprio artificiale. Per realizzare ciò, quindi, alzava la canna quando il tratto di coda ancora lenta si trovava davanti a lui, in seguito la abbassava alla stessa velocità della corrente onde consentire la deriva inerte della sua mosca. Quando la coda di topo giungeva a valle, teneva la canna bloccata affinché l’artificiale aumentasse la propria velocità ed iniziasse a salire verso la superficie dell’acqua. Quindi non impartiva alcuna animazione all’artificiale durante la sua discesa, e se questo non veniva ghermito prima era proprio il movimento ascendente, simile a quello di un insetto in schiusa, a scatenare la predazione da parte del pesce. Credo che soluzioni simili al Leisenring lift siano state, più o meno inconsapevolmente, poste in opera da pescatori all’oscuro del lavoro del famoso Big Jim. La stessa azione di pesca a valle “a ventaglio”, praticata spesso da ogni sommersista che si rispetti, ne è una chiara analogia. Ma è giusto attribuire a Leisenring la codificazione e la consapevolezza di un movimento ascendente a valle impartito al proprio artificiale al fine di provocare la presa da parte del pesce, un concetto che vedremo applicato nella tecnica di pesca a monte sviluppata da Sawyer. Successivamente il suo lavoro fu ripreso dal suo amico e pupillo Vernon S. Hidy il quale nel 1971, in occasione della 60

ristampa del testo di Leisenring, ne predispose una seconda parte con il titolo di The Art of Fishing the Flymph. Hidy, infatti, sosteneva che vi fosse una certa ambiguità e confusione fra i termini wet fly, nymph fishing, emerging nymphs e hatching insects, quindi nel 1963 era giunto alla determinazione di coniare un nuovo termine, flymph e quindi flymph fishing per identificare accuratamente la breve fase vitale dell’insetto nel quale ha luogo la metamorfosi da ninfa priva di ali ad insetto alato. Vi era bisogno di ricorrere a quest’ulteriore terminologia per identificare sia uno stadio dell’insetto che imitazioni in possesso di caratteristiche riproducenti questa fase? Direi proprio di no. Pur non intendendo assolutamente disconoscere il serio lavoro di Leisenring e del suo seguace, devo tuttavia ammettere come le loro mosche non siano innovative rispetto alle North Country flies o ad altre sommerse precedentemente elaborate, che tra l’altro venivano spesso utilizzate proprio per riprodurre la fase vitale in questione. Ha un senso, secondo me, denominare una singola mosca con uno specifico termine, ma classificare una serie di artificiali con un determinato nome non può altro che provocare l’effetto contrario a quello voluto nel caso in esame, ossia generare ulteriore confusione. Un altro autore, Witold Ziemacki, nell’interessante opera italiana Come pescare meglio con la mosca artificiale (1986) ha ripreso ed ampliato il lavoro dei due noti pescatori americani Dough Swisher e Carl Richards, i quali pubblicarono il risultato dei loro studi in Selective Trout (1971) e Fly Fishing Strategy (1975).

BROWN or RED HACKLE (di J.E. Leisenring) Amo. 12-13-14. Filo di montaggio. Rosso scarlatto o bordeaux. Corpo. Herl di pavone bronzeo anellato con tinsel piatto oro. Hackle. Gallina rossa con centro nero. Testa. Rosso scarlatto o bordeaux.


Ecco un altro esempio di stupefacente efficacia in vesti di estrema, apparente banalità.

1 - Si inizia fissando la piattina metallica dorata.

2 - Si procede fissando le herl di pavone e tornando in testa col filo di montaggio.

4 - Si avvolge a larghe spire la piattina metallica dorata e la si blocca poco prima dell’anello.

5 - Si appone l’hackle fissandola a ridosso del corpo.

3 - Si forma il corpo avvolgendo le herl di pavone.

6 - Si avvolge l’hackle, si forma la testina, si esegue il nodo di chiusura e lo si vernicia. La mosca è finita.

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AL (di Walter Bartellini). Amo. 12-14. Corpo. Filanca gialla anellata con tinsel piatto argento, quindi verniciata. Hackle. Pernice chiara. Testa. Filanca arancio fluorescente. Ziemacki ha quindi sostenuto che all’effimera in fase di schiusa, ossia mentre sale verso la superficie, sono già spuntate le alette, quindi il termine esatto per identificarla in questo stadio è rappresentato dal termine emerger. Da ciò consegue come sia opportuno realizzare due tipi di artificiali atti ad imitarla: il wet emerger (foto a pag. 65), che rappresenta la ninfa in fase di risalita, ed il dry emerger, corrispondente all’insetto galleggiante, ma caratterizzato da alette corte non ancora in posizione verticale. Tuttavia capita a volte che la ninfa in fase di schiusa non riesca a liberarsi dell’exuvia, quindi trascini con sé questo involucro che le impedisce di volare. Pertanto, secondo questi autori, è molto importante possedere imitazioni dell’emerger che si trascina dietro la spoglia, la quale viene a 62

sua volta definita con il termine stillborn (foto a pag. 65), che letteralmente significa “nata morta”, poichè è quello il suo prossimo, intuibile destino. Mi sembra, a questo punto, quantomeno doveroso riconoscere la validità degli studi effettuati dai suddetti pescatori ed ammettere che siano interessanti le soluzioni imitative proposte. Gli artificiali costruiti da Ziemacki, poi, sono a mio avviso meritevoli di considerazione, tuttavia secondo me vale anche per queste innovative classificazioni di artificiali il concetto espresso in precedenza. Abbiamo già visto, e questa panoramica per ovvi motivi è stata parziale, come le mosche sommerse nel corso del tempo siano state realizzate nelle maniere più disparate: con ali, senza ali, con hackle rigide, con hackle morbide, con un’hackle montata quasi a palmer... Credo che ciò basti ed avanzi. La semplicità e la chiarezza sono un fine da raggiungere. Le mosche, da parte loro, sono infinite come le gocce d’acqua di un fiume di ampia portata. Cerchiamo quindi, e non a torto, di classificarle in tre tipologie: mosca secca, mosca sommersa e ninfa. Per essere sincero, come sostiene un famoso autore straniero, la ninfa è in realtà né più né meno che un tipo particolare di mosca sommersa. Ma in quest’ultimo caso una differenziazione terminologica mi sembra quantomeno doverosa. Le mosche di Walter Bartellini - L’ultimo tipo di sommersa che mi preme esaminare è costituito dagli artificiali creati da un pescatore e commerciante italiano, Walter Bartellini. Costituiscono anch’esse un piccolo patrimonio culturale alieutico che non deve assolutamente essere dimenticato. É raro che le mosche realizzate da pescatori italiani abbiano la possibilità di assurgere ad una certa notorietà internazionale. Gli Inglesi, tra l’altro, solo recentemente hanno manifestato una certa apertura nei confronti di artificiali elaborati da pescatori stranieri, in quanto anche nel campo della pesca a mosca hanno dimostrato di essere particolarmente conservatori. Tuttavia fu proprio un famoso autore britannico, W.H. Lawrie, a prendere in esame le sommerse di Bar-


Tipico spider di Walter Bartellini, costruttivamente è una sorta di valsesiana particolarmente raffinata e ben caratterizzata.

1 - Si blocca il filo arancione e si realizza subito la testa.

2 - Si blocca una piuma screziata chiara di pernice.

4 - Con la filanca si fissa la piattina metallica per l’anellatura, indi si realizza un corpo moderatamente conico.

3 - Si avvolge la piuma, si fissa e taglia l’eccedenza, s’annoda e si recide il filo stesso.

6 - Si realizza il nodo con la stessa filanca cercando di pressare leggermente in avanti la barbe screziate di pernice. 5 - Ecco il corpo terminato, è il momento di anellarlo e bloccare la piattina con la stessa filanca.

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Pagina precedente in alto, tre spider di Walter Bartellini, rispettivamente da sinistra: AK, AX, AL; in basso: Pallareta (variante di Ghilardi). In questa pagina in alto: Wet Emerger, qui sotto: Stillborn.

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Ecco il Boietto Grigio terminato. É inequivocabile: forma e colorazione lo collocano certamente tra quelle sommerse destinate ad imitare con straordinaria efficacia i Baetidae tipici d’inizio e fine stagione. É un perfetto competitore della Blue Dun.

tellini in International Trout Flies (1969) ed a rendere loro, in tal modo, la notorietà che giustamente meritavano. Nella suddetta opera dedicò un intero capitolo a queste sommerse, sotto il titolo di Italian trout flies e quindi, oltre a fornire le ricette di ben 40 di questi artificiali, pubblicò una tavola a colori nella quale erano raffigurati tutti quegli esemplari. Ciò è ancora più encomiabile in considerazione del fatto che solitamente gli inglesi sono estremamente parchi di fotografie a colori nei loro testi dedicati alla pesca a mosca. Queste sommerse vennero riprese in altri testi britannici, quali Fly Patterns (1986) di Taff Price, The Shotheby’s Guide to Fly-fishing for Trout (1991) di Charles Jardine e Tying and Fishing the Nymph (1995) sempre di Taff Price, in cui l’autore parla addirittura di “Italian spider”. Attualmente gli ami con una curvatura particolare, detti comunemente grub, sono piuttosto noti e vengono realizzati da diverse case produttrici, ma quando Bartellini iniziò a creare i propri modelli dovette farseli realizzare in esclusiva. Lawrie affermava che quelli preferiti dal costruttore italiano venivano fabbricati da Edward Sealey. Si tratta di sommerse originali ed in 66

possesso di caratteristiche molto particolari. Innanzitutto il materiale utilizzato per la realizzazione del corpo e della testa dell’artificiale è rappresentato dalla filanca 60/2, ossia composta da due capi formati da 60 filamenti ciascuno. La costruzione (si veda il modello AL a pag.63), poi, avviene partendo dalla realizzazione di una testina per poi proseguire con la collocazione e l’avvolgimento della piumetta con la quale viene effettuato il collarino dell’artificiale. Le barbe vengono avvolte in avanti, cioè esattamente al contrario di quanto solitamente avviene. Quindi si procede alla realizzazione di un corpo conico ottenuto con più avvolgimenti di filanca, si formano gli eventuali anelli addominali con tinsel piatto o lamé, e si ferma infine il materiale con un nodo in prossimità della piuma avvolta. A questo punto il corpo viene verniciato per due volte, ed il fatto curioso è che la seconda verniciatura ripristina il colore originale della filanca utilizzata. Tuttavia, sebbene non sempre il materiale utilizzato per la realizzazione del corpo sia costituito da filanca, ma talvolta anche da vari tipi di quill quali pavone e condor, il procedimento costruttivo è il medesimo illustrato in precedenza.


2 - Si appone un quill di pavone privo di herl e si forma un corpo leggermente conico col filo di montaggio.

1 - S’inizia fissando le code.

3 - Si forma il corpo avvolgendo in spire regolari il quill di pavone e poi si lega la piuma di gallina blue dun.

BOIETTO GRIGIO (di Walter Bartellini) Amo. 12-14. Filo di montaggio. Nero. Code. Gallo o gallina blue dun. Corpo. Quill di pavone. Hackle. Gallina blue dun. Testa. Nera.

4 - Si completa la mosca con l’avvolgimento dell’hackle, la testa, il nodo e la vernice.

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