Speciale "Natale di Roma"

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Centro Studi Aurhelio Idee e materiali per la cultura tradizionale

Speciale XXI Aprile 2766 a.V.c. - Natale di Roma

Roma incarna il modello della spiritualità ardente e virile, portatrice di luce e rappresentata dai valori di Ordine, Eroismo, Virilità, Volontà, Gerarchia, Aristocrazia e Impero. Roma, prima ancora di vincere la piccola guerra santa sul piano militare, aveva vinto la grande guerra santa tracciando un modello di uomo e di Stato fondati su vincoli di ordine spirituale quali l’Onore e la Fedeltà. Noi facciamo riferimento a questo modello!


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Elementi di Stile Romano Articolo Tratto da Azione Tradizionale.com

“Gli elementi di Stile, hanno una propria evidenza, non sono legati a tempi trascorsi, possono in un qualsiasi periodo agire come forze formatrici e valere come ideale, non appena si desti una vocazione corrispondente”. Questo brano di Julius Evola, presenta con chiarezza la necessaria corrispondenza che vi deve essere tra lo Stile e colui il quale intende assumerlo come Ideale. Data l’evidente distanza spirituale che vi è tra l’uomo moderno ed il “Romano”, sarebbe vano ogni intervento formativo o politico senza assumere interiormente una virile disciplina che dia modo da un lato a “superare la modernità” e dall’altro a ricollegarsi alla tensione spirituale che anima, da sempre, l’azione dell’Uomo della Tradizione. Occorre, innanzi tutto, sgomberare il campo da alcuni equivoci e contraffazioni che con lo Stile romano non hanno nulla a che vedere, se non per rappresentarne una volgare parodia. Un esempio al riguardo, può essere quella consuetudine ormai diffusa di ritenere di “carattere romano”, qualsivoglia elemento della religiosità, della cultura o del costume, per il solo fatto di essersi manifestato anche in terra romana. La dottrina tradizionale ci insegna che una Civiltà può dirsi tale solo quando pone al suo centro il Sacro, quindi l’elemento spirituale. La centralità che assume questo elemento ci consente di intenderlo come carattere assoluto a cui fare riferimento, ed è attraverso questo che intendiamo approssimarci alla romanità o più precisamente al “carattere

romano”. Fatta questa precisazione necessaria, non si può ridurre la Romanità ad uno sterile aspetto esteriore, quasi da collocare in un posto o in un momento qualsiasi, evitando di equivocare ciò che appartiene alla Romanità viva, perché manifestazione di ciò che è eterno, quindi incorruttibile, a ciò che appartiene alla Romanità morta, perchè somma di residui e rovine non più in grado di ridestare forze pure, nella migliore delle ipotesi. Per altre vie, del resto, assumere in sé “elementi di Stile” dell’autentica Romanità, ha in realtà la funzione di ricondurre a quella originarietà dello stile, che nella fisionomia e nell’essenza del carattere romano, è riconducibile ad un più alto modo d’essere che fu quello delle genti Arie. Attraverso queste brevi ma opportune distinzioni, diviene più comprensibile come al posto di vani atteggiamenti esteriori, vi sia la necessità di una severa ascesi per estrarre dalla romanità quel senso vivo ed immortale, senza acrobazie intellettuali, slogan o nostalgiche interpretazioni fuorvianti. Intendere la Romanità come fucina di elementi di stile significa quindi, volerne assumere lo Spirito e la viva essenza; prenderne l’impronta disponendo il proprio cuore in armonia con quella vibrazione della “AETERNITAS ROMAE”, che pone in essere l’Uomo nel suo senso più alto. E con ciò allontanando qualsiasi riferimento neo pagano1. Nel Romano ciò che emerge con forza, prima di ogni altro elemento, sono la Pìetas e la Religio,


che a differenza delle successive forme di religiosità, significano l’attitudine ad una rispettosa e dignitosa venerazione, ed al tempo stesso, di fiducia nei riguardi delle “Cose Divine”, sentite come presenti ed agenti relativamente a quelle umane sia individuali che collettive. La consapevolezza dì ciò, rende chiara al Romano l’importanza della Virtus, non intesa come vuoto moralismo, ma come ideale da perseguire e da raggiungere; la Fortitudo e la Costantia, come invincibile forza d’animo; la Sapientia, la Disciplina e la Humanitas come senso di controllo e di riflessione, uniti ad una spiccata volontà di pienezza di vita e di approssimazione al Sacro; la Fides e la Dignitas come tenuta dell’animo e calma interiore, in una lealtà e fedeltà innanzitutto alla propria natura, che nei tipi umani superiori si traduceva in Solemnitas, cioè in una seria e misurata solennità. Tutto questo, che a prima vista potrebbe sembrare un freddo elenco di qualità, in realtà ha sempre avuto un preciso riflesso pratico, riscontrabile in un agire preciso e senza gestualità scomposte, di mediterranea memoria; un amore per l’essenziale che non significa affatto materialismo e la diffidenza per ogni abbandono dell’anima o confuso misticismo.2 Nello “Stile romano”, nelle parole e nel linguaggio come nelle espressioni e nei gesti, vi è castità, unita ad una insofferenza verso la tortuosità e la capacità di coordinare anziché confondere, al punto di amare il limite3 in vista di un’idea e di un Ordine superiore. L’inutilità di particolari elucubrazioni intellettuali, per approssimarsi a questo Stile, rende più chiara la necessità di un preciso e coerente lavoro su se stessi. Il Romano “Giudice e non difensore di sé stesso”, attraverso un freddo dominio di Sé, senza personalismi e fatue vanità si erge ancora oggi aldilà delle contingenze, a

rappresentare un ideale, che secoli di decadenza e false interpretazioni storiche non riusciranno ad offuscare mai. Tentare di emularne il suo esempio ed avvicinarsi alla sua altezza, dipende solo da noi stessi. NOTE 1: Circa gli equivoci del paganesimo moderno e la velleità di un recupero archeologico di forme spurie di ritualità, è necessario soffermarci. A parte l’evidente cialtroneria dì alcuni rappresentanti del “magico”, è necessario sottolineare che l’andare a ridestare forze occulte sia del tutto inopportuno. Se poi vi si aggiunge l’estrema pericolosità a cui si può sottoporre, nel migliore dei casi, il profilo psichico, si consiglia agli aspiranti “maghetti” di lasciar stare da subito gli pseudo-maestri con le “pezze al culo” che girano, notare la coincidenza, in questa fine di ciclo. Al riguardo possono venirci in aiuto gli scritti di due autorevoli interpreti della Tradizione, J. Evola e R. Guènon. Del primo segnaliamo il fondamentale articolo “L’equivoco del neo-paganesimo” ripubblicato dalla rivista Heliodromos (n.6, nuova serie, interamente dedicato ad Evola) e per un approfondimento ulteriore il testo “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo” Ed. Mediterranee. Del secondo, oltre ai primi due capitoli de “Simboli della Scienza Sacra” Ed. Adelphi, possono essere segnalate le pagine 163, 164, 165, 169, 176, 177 e le pagine da 181 a 186 e da 211 a 249 dei capitoli n. 26 e n. 27 in “Regno della quantità e segno dei tempi” Ed. Adelphi. 2: Per una corretta interpretazione del termine “misticismo” è necessario, nell’ambito dell’esperienza spirituale, distinguere due modi di viverla, due atteggiamenti di fronte ad essa. Per misticismo o per atteggiamento mistico, si intende un modo soggettivo, irrazionale e di estasi, che caratterizza l’esperienza per il suo valore di sensazione e di senso emotivo. Di fatto ogni esigenza di controllo lucido del sé, ne rimane esclusa. Quanto l’esperienza mistica è passiva ed estatica all’opposto, si può indicare la “spiritualità eroica” come atteggiamento attivo di fronte al mondo spirituale. Essa, indicata da Guénon come “intuizione intellettuale”, coglie il contenuto spirituale dell’esperienza, oggettivamente, secondo chiarezza, senza sentimentalismo devozionale. 3: Nell’ambito della vita e della cultura romana, il valore del Limite ha rappresentato un simbolo la cui origine può ricondursi alle ritualità che appartenevano alle popolazioni Arie ed alle grandi civiltà solari. Il concetto di limite, confine o recinto, era rivestito da una profonda sacralità (già nel rito di fondazione dell’Orbe è evidente), probabilmente in relazione al rito arcaico della realizzazione degli altari. Il “Limes”, quindi, creava una differenza non solo di spazio tra territorio e territorio, ma soprattutto di qualità. Nel caso del perimetro della città eterna, esso ne designava la consacrazione e ne qualificava la sua successiva edificazione. In relazione al tempo, sacro o profano, il Limite ne indicava specificatamente la differenza di qualità, attraverso i riti e le celebrazioni. Durante il rito si distingueva un momento particolare, l’attualizzazione dei mito che, in quanto tale, non è soggetto alla corrente dei divenire.


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Fedeli a Roma, all’Impero, alla Gerarchia, alla Virtu’ Articolo Tratto da RAIDO n.19 - Equinozio di Primavera 2000 (Azione Tradizionale.com)

Nel riaffermare la nostra adesione ai principi che caratterizzano l’universalità di Roma, in occasione della sua fondazione, non possiamo esimerci dal sottolineare l’estraneità verso qualsiasi sentimento retorico. Ogni nostro riferimento a Roma, alla civiltà romana, allo stile e all’etica che hanno contraddistinto l’uomo romano, è privo totalmente di nostalgia. Per noi la nostalgia, il riferirsi alle vestigia dell’Aeternitas Romae, è un sentimento “incapacitante” che non porta a nulla e che, nella migliore delle ipotesi, rappresenta uno sbandamento dell’anima. Esso conduce all’inerzia e all’archeologia. In questo 21 aprile, dinanzi al millennio che si chiude ed al nuovo che si affaccia, Raido contro ogni ideologia riafferma la sua fedeltà al mondo della Tradizione e a Roma. Siamo coscienti del fatto che oggi Roma è diventata solo una informe megalopoli, che affoga nei liquami della società moderna, un triste teatrino di ruderi di ciò che fu la capitale di un antico impero, ma questo scenario non ci spaventa. Per l’uomo della Tradizione Roma è stata, è e rimarrà il preciso punto focale della visione sacra, che non può confondersi con i volgari sedimenti che sopra di essa sono stati depositati. Fino a quando Roma – omphalos mundi – non ritornerà ad essere il collegamento tra le forze di luce del cielo e quelle della terra, il mondo non vedrà il riscatto dell’uomo, ma solo sciagure e ingiustizie, frutto del continuo allontanarsi dal Sacro. Roma è il simbolo, è il cardine, fisso ed eterno, lontano dal quale vi sono solo le tenebre della civilizzazione, il disorientamento e la barbarie. È solo attraverso questo simbolo, da vivificare quotidianamente nella propria esistenza, che il militante della Tradizione potrà recuperare equilibrio e stabilità. Al tempo stesso, per mezzo dei valori incarnati dall’uomo romano – il Vir – il giovane combattente dello Spirito “buca” i secoli e riafferma con la propria esistenza e quella della sua comunità la volontà di riconvertire alla normalità questa civilizzazione moderna giunta al suo massimo grado di decadenza. Il mondo attuale può e sarà sostituito da una civiltà Tradizionale. Se sapremo resistere alla marea montante, rimanendo fedeli con coraggio, sacrificio, a volte con dolore, ma sempre con gioia, all’eredità dei nostri padri, all’esempio di Roma e ad i suoi Valori. Questi valori, risiedono nel binomio Vis et Amor, forza ed amore, elementi

essenziali, dotati di una potenza irriducibile a qualsiasi mistificazione moderna. Per questo motivo riteniamo che una rinascita visibile della eternità di Roma dipenda esclusivamente dalla capacità di far rivivere in noi stessi, il mistero della nascita di Roma, una nascita e una grandezza che si può inquadrare in ambito storico e geografico, ma che si pone per la sua profondità ben aldilà di essi, collocandosi per la sua peculiarità sia in via metastorica, che mitica. Il Mito è sempre presente in ogni istante della nostra vita, perché si pone al di sopra della storia e sta a noi farlo rivivere in ogni momento della giornata. È nostro compito dunque, farlo riemergere dai nostri cuori con impeto in ogni nostro atto, per l’affermazione della Tradizione contro la falsità della realtà che ci circonda. È proprio il destino ineluttabile di Roma, di quella forza che fa vincere in sé la battaglia interiore: lo scontro tra le forze opposte che vede da una parte la luce vivificante e dall’altra la mortifera tenebra. Anche per questo 21 aprile non intendiamo abdicare dinanzi ai tentativi di stritolamento della moderna società dei consumi e rimaniamo indifferenti alle lusinghe di un mondo totalmente falso, fin dalle sue fondamenta. Sappiamo bene, che dinanzi ai militanti della Tradizione il potere mondialista abbassa la maschera per mostrare il suo vero volto, osceno e criminale, poiché non tollera la resistenza delle comunità tradizionali. Il militante della Tradizione, riconosce in Roma e nello stile romano, la propria aspirazione più profonda e originaria, può capitare di sentirsi a disagio, ma non è mai spaventato, vinto o addirittura “convertito”, nonostante qualcuno con le sue lusinghe ci possa far credere di essere diventati ricchi ed importanti. Può capitare che qualcuno in questa parte ci si identifichi e si creda realizzato nel lavoro, nella società avendo a disposizione soldi, macchine e ogni altra comodità. Per noi questi sono e restano strumenti, niente altro. Questa società non ci rappresenta, è solo una oscura diatriba tra mercanti e plebei.È per tutto questo, che rimaniamo fedeli all’Universalità di Roma. Siamo coscienti che se la degenerazione dell’uomo occidentale è iniziata con il venir meno della centralità dell’idea di Roma, solo il restaurarsi della Tradizione romana consentirà il rifiorire della civiltà. Perché là dove c’è Roma c’è l’Impero, l’Ordine, la Gerarchia, la Virtù ed il Rito, e lì vogliamo essere anche noi.


La Razza di Roma

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Brano estratto dall’opera di Massimo Scaligero L’essenza del segreto può intravvedersi soltanto se, giovandosi di una visione non scolastica e non razionalistica della storia si tien conto che Romolo, pur adottando l’arcaico rito della fondazione, innesta ad essi atti che presentano significati nuovi. Non è sufficiente riconoscere che tale rito, per quanto di origine etrusca, era comune anche al Lazio e alla Sabina. Nel rito del mundus si realizza il principio della eternità dell’Urbe, in quanto nuovamente lo spirito si traduce in azione, in realtà gerarchica. Per chi se ne interessi, rimandiamo a simboli, come le visioni augurali di Romolo sul Palatino, e poniamo in rilievo che Remo, il quale sta a simboleggiare l’elemento «antigerarchico» proprio al periodo decadente del «matriarcato», viola la intangibilità del solco e Romolo lo punisce. Ciò vuole significare la inviolabilità di ciò che ritualmente è consacrato e l’affermazione del nascente spirito guerriero, «olimpico», antiugualitario, sul vecchio spirito orgiastico, comunistico, anarcoide: è il primo atto di giustizia inesorabile, di un senso di subordinazione assoluta ad un ideale superiore di cui da quel momento la civitas sarà la manifestazione vivente. Occorre saper vedere in tutto questo la morale profonda cui sarà conforme la razza di Romolo: quella stessa

gerarchia spirituale che governerà l’associazione sacrale/guerriera, si rifletterà nella vita degli individui, per virtù del continuo imperio del principio cosciente, del nous, della mens, sulle attività esterne, sulla pratica della vita. Secondo l’arcaico rito etrusco, gli àuguri dovevano levarsi dopo la mezzanotte, in silenzio, e attendere l’aurora. Anche Romolo e Remo dunque si levano post mediam noctem: salgono sulle due alture (tabernacula capiunt, templa capiunt): da questo momento il destino di Roma e della sua razza sta per essere segnato. Gli storici e i poeti qui quasi totalmente concordano nel dirci che Remolo salì sul Palatino e Remo sull’Aventino: due luoghi diversi, due simboli opposti, due tradizioni che si scontrano, epperò ancora due razze. Occorre decidere del nome della nuova città: si chiamerà Roma o Remora? Sarà re Romolo o Remo? Tutti sono intenti, in attesa del responso che deve venire dalla forza stessa del fato. Il disco bianco della luna tramonta: si soffonde il chiarore dell’alba ed ecco il più perfetto degli augurii: l’aquila di Giove si mostra a sinistra - è già il simbolo della regalità «olimpica» proprio alla razza «solare», che si manifesta ai padri dei futuri dominatori dell’Occidente - e mentre si affaccia il


disco del sole, ecco volare rapido uno stormo nero. Chi avesse veduto prima dodici avvoltoi, quegli avrebbe regnato. Primo è Romolo, al biancheggiare del giorno; il popolo esulta: Romolo è consacrato re, sacerdote e duce: è il lare primo, il padre della nuova razza. E che sia un autentico capostipite lo dimostra la tecnica sacerdotale della fondazione. Egli, consapevole dell’antico rito etrusco, appreso attraverso i segreti libri liturgici - come si legge in Catone, in Servio, in Festo e in Gellio - iniziato a una spiritualissima scienza sacra che completava in lui il guerriero e il fondatore di civiltà, tratti gli auspici, offerto il sacrificio, acceso il fuoco rituale, scavata la fossa circolare, il mundus, e gettatovi il pugno di terra cui era simbolicamente e realmente legata l’anima degli avi, iniziava la possente e misteriosa vita della terra patrum, della terra dei padri, della patria, ossia della terra cui sarà legato il destino della razza. A suggellare il legame del nume indigete con il centro spaziale della nuova città, ossia a fine di legare al luogo la forza dello spirito, onde il luogo contenga una sua forza «demonica» di patria, di luogo sacro, di effettiva eternità, una larga pietra, il lapis manalis, chiude la bocca della fossa. Viene così costituito il «mondo-infero», che deve accogliere le anime, non i corpi dei trapassati, e donde tre volte l’anno essi emaneranno nel mondo della vita. Allato al mondo infero, vengono erette una colonna di forma conica ed una piramide: ambedue sono sacre ai manes del capostipite e vengono consacrate ai suoi eroismi. È dunque una forza immortale che si sposa alla terra la quale perciò sarà anch’essa immortale. Dopo l’assunzione nel ciclo divino, il fondatore, spiritualmente vivo nel mondo infero, sarà venerato dalla città quale figlio degli Dèi, nume tra i numi, auctor, eroe e parente della nuova stirpe. Consacrati il mondo infero e quello superno, si procede alla costituzione rituale della topografia della città, sempre in ordine a un antico segreto cerimoniale che Romolo ben conosce. Del cerimoniale non conosciamo che la modalità esteriore, ma anch’essa, per chi sa intendere, ha un linguaggio. Il duce, in candida clamide e il capo velato, secondo il costume sacerdotale, aggiogati all’aratro un bue e una vacca bianchi e robusti, discende dalla collina, seguìto dai compagni silenziosi, ed invocando con misteriose formule di propiziazione il favore delle forze divine comincia a tracciare il solco rituale, badando che all’interno, dalla parte della città, sia la vacca, immagine della fertilità, e fuori, dalla parte della campagna, il bue, emblema della forza. Nel condurre il solco egli, là dove vuole le porte, alza l’aratro, così che non tocchi terra. Poi alzerà le mura di cinta, seguendo la linea del solco, e fuori, rasente le mura, scaverà il fosso di circonvallazione: di qua e di là i due pomeri: uno interno e l’altro esterno: due spazi di terra che non

si possono arare né abitare, voluti sgombri e liberi, a scopo di vedetta e di difesa. Le mura sacre qui sorgeranno e nessuno potrà da allora modificarne l’ampiezza e restaurarle senza il permesso dei Pontefici. Ai confini si porranno i titoli dedicati al Dio Termine. Tracciati i limiti della città, date ai padri le case secondo la designazione della sorte, divulgati i diritti, il duce, seguìto da tutti i compagni, riguadagna la sommità. Indi, gridato il nome divino della città che viene ripetuto a gran voce tre volte dai padri, immola il bianco giovenco con la vacca sull’ara del sommo Giove. Imbandiscono poi le mense e le feste durano nove giorni. Gli oggetti adoperati nel rito della fondazione dell’Urbe si ripongono come sacre nel mundus. Questo complesso rituale onde Roma, a detta di Ennio, viene fondata con «augusto augurio», contiene i motivi fondamentali che daranno senso d’eternità alla razza, alla città e al suo imperio: esso è l’aspetto cerimoniale di una tecnica segreta mirante ad aggiogare gli eventi secondo un’unica direzione, quella dell’Urbe nascente. È l’iniziale vittoria della razza di Roma sul fato, per un ciclo nuovo dell’Occidente. Tale sarà da allora il significato del Dies natalis Urbis Romae. La fondazione di Roma è dunque un atto costruttivo che muove da un ordine di interiore necessità: essa, mentre è la conseguenza di un trattato religioso tra coloro che dovranno abitarla, in quanto rappresenterà il santuario del culto comune, deve ritualmente costituirsi come causa di cause, come punto di partenza, come motivo radicale di un organismo futuro. È un seme nel seno della terra e, come seme, deve contenere la forza della generazione.


21 Aprile - Natale di Roma

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azionetradizionale.com Il mito è la forma umana per esprimere una realtà metafisica che altrimenti il nostro linguaggio non sarebbe in grado di comunicare. Con Roma il Mito si fa “forza formatrice della realtà e si palesa in gesta, avvenimenti ed anche istituzioni le quali per tale via assumono un significato simbolico” (J.Evola). Il valore simbolico di Roma -e della sua origine- consiste nell’essere il tentativo di restaurare l’Unità delle origini, attraverso una spiritualità virile e dominatrice che sa arrestare il processo di decadenza spirituale che caratterizzava l’umanità. Roma è il luogo fatidico, raggiante di luce, espressione sensibile del Centro, dell’ORIGINE, da cui derivano tutte le cose. E’ il luogo dove le tendenze contrarie si armonizzano, neutralizzandosi in un perfetto equilibrio. Compito di Roma è quello di ristabilire l’ORDINE (cosmos) in un mondo in preda al disordine (caos). Tramontati gli antichi imperi mesopotamici, il regno egiziano, quello persiano e terminata la breve ed esaltante epopea di Alessandro Magno, il mondo era privo di un centro sacrale e militare irradiante i valori di Ordine, Eroismo, Virilità, Volontà, Gerarchia, Aristocrazia e Impero. In quest’opera di riordinamento gerarchico dell’esistenza, sono state vinte, dalle- legioni romane, le popolazioni latine, etrusche, cartaginesi, galliche, greche e semitiche. Roma ha riportato la luce di una spiritualità virile, essa “non avrebbe potuto assurgere a tanta potenza se non avesse avuto, in qualche modo, origine divina, tale da offrire agli occhi degli uomini, qualcosa di grande e di inesplicabile” (Plutarco). L’origine divina dell’Urbe è testimoniata dal mito di Romolo e Remo. Virgilio individua in Enea il progenitore dei Romani. Enea sfuggito all’incendio di Troia approda, dopo sette anni di navigazione, sulle coste del Lazio, dove sposa Lavinia la figlia del Re Latino. Dopo la morte di Enea, il figlio Ascanio fonda sui Colli Albani una nuova città, Alba Longa, dove regneranno 19 suoi discendenti. L’ultimo di questi, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio, che, per assicurare ai suoi discendenti il trono, costrinse l’unica figlia di Numitore, Rea Silvia, a farsi sacerdotessa di Vesta. Rea Silvia viene scelta da Marte per continuare la stirpe d’Enea, da cui sarebbe stata fondata la CITTA’ ETERNA. Dall’unione del Dio e della giovane vergine nascono Romolo e Remo. La nascita non passa inosservata al perfido Amulio che strappa i due gemelli al seno materno, ordinando di buttarli nel Tevere e di far murare viva Rea Silvia. La nutrice a cui i piccoli sono affidati non se la sente di ucciderli, e li deposita in una cesta che abbandona alla acque del Tevere e al volere degli Dèi. La cesta viene trasportata a riva dalla corrente, i due gemelli trovano rifugio presso l’albero di fico “Ruminal”(1) e vengono svezzati da una lupa, per poi essere cresciuti da una coppia di pastori (Faustolo e Acca Larenzia). Una volta adulti Romolo e Remo, venuti a conoscenza delle loro origini si pongono alla guida di un esercito, uccidono

Amulio e i suoi seguaci e reìnsediano Numitore, che per riconoscenza concede loro di fondare una città. Per stabilire quali dei due fratelli dovesse tracciare il solco sacro e dare il nome alla città, i due gemelli consultano il volo degli uccelli: Remo dal colle Aventino vede sei avvoltoi, Romolo dal Palatino ne vede dodici. Aggiogando due buoi bianchi(2) viene tracciato il perimetro di Roma, vengono fatti sacrifici agli Dèi e viene acceso un fuoco sacro. Remo sorpreso a saltare per scherno il solco sacro, viene ucciso da Romolo. Era il 21 aprile 753 a.C., NATALE di Roma. II Mito di Romolo e Remo testimonia l’origine sacra di Roma e Indoeuropea dei romani, restauratori del sacro ordine della Tradizione. Roma nasce sotto il segno del Dio guerriero Marte, e tale paternità sigilla il carattere guerriero e marziale della romanità. L’unione di Marte, espressione dell’aspetto maschile fecondatore dell’esistenza, e di una vergine vestale, espressione dell’aspetto femminile generativo dell’esistenza, testimonia il ritrovato equilibrio fra i due poli opposti ma complementari -maschile e femminile- e l’inizio di un nuovo ordine che avrà come fondatore un eroe divino: Romolo. La nascita di un eroe divino dall’unione fra un Dio e una mortale è un mito ricorrente nei popoli indoeuropei: Zeus e Latona generano Apollo, Zeus e Alcmene generano Eracle, etc. L’abbandono dei due gemelli(3) alle acque e la loro sopravvivenza ripropongono il simbolo dei “Salvati dalle acque”. Ciò rappresenta il superamento del flusso del divenire che travolge e affoga gli uomini deboli, ma che è indifferente a colui che supera la propria natura mortale. Egli è l’EROE, il messaggero della Tradizione, che ha il compito di ristabilire l’Ordine Divino nel mondo.I! fico “Ruminal” presso il quale i gemelli trovano rifugio simboleggia “l’albero del Mondo”, espressione della vita universale da cui traggono nutrimento Dèi ed Eroi (Odino, Eracle, Gilgamesh). Il Lupo rappresenta la forza primordiale e selvaggia della natura ma anche la semplicità, l’asprezza, la forza virile dei conquistatori: è la potenza che rigenera il mondo.I due gemelli rappresentano la lotta fra il principio ordinatore – Romolo - e il caos - Remo.(4) Gli Dèi attraverso il volo dei 12 avvoltoi testimoniano la designazione di Romolo quale fondatore di Roma. Il volo degli uccelli rappresenta la lingua dell’umanità primordiale, la voce degli Dèi. Inoltre il numero 12 è significativo, perchè ricorrente in vari Centri che hanno incarnato e diffuso la Tradizione solare: 12 adityva solari della tradizione Indù, le 12 tappe del cammino del Dioeroe Gilgamesh, le 12 fatiche di Eracle, i 12 discepoli di Lao-Tze, i 12 Dèi dell’Olimpo greco, le 12 verghe del fascio littorio, i 12 cavalieri della Tavola rotonda, i 12 apostoli, etc. La ritualità seguita da Romolo nel tracciare i confini dell’Orbe, i sacrifici offerti agli Dei indicano il rispetto che il Romano nutriva per le leggi che regolano l’universo. Remo prendendosi gioco del solco sacro sfida presuntuosamente la divinità e ritiene di poter superare i limiti e le facoltà che sono proprie di un comune mortale. Romolo espressione del principio olimpico si oppone alla


prevaricazione titanica di Remo, e uccidendo quest’ultimo garantisce il rispetto dell’Ordine. NOTE 1: Questo nome rimanda all’idea di nutrire: l’attributo di Ruminus riferito a Giove, nell’antica lingua latina designava la Sua qualità di “nutritore”.2: “II duce (Romolo) … comincia a tracciare il solco rituale, badando che all’interno, dalla parte della città, sia la vacca, immagine della fertilità e fuori, dalla parte della campagna, il bue, emblema della forza”. Da “La razza di Roma” di M. Scaligero, pag. 81.3: Il tema dei Gemelli o dei Fratelli si ritrova in numerose tradizioni, come ad esempio in quella egiziana o in quella ebraico-cristiana. E’ il tema di un unico principio dal quale si differenzia una antitesi raffigurata dall’antagonismo tra i due. Uno

incarna la potenza luminosa del Sole, l’altro il principio oscuro. In riferimento a Romolo e Remo, il primo è colui il quale traccia il solco e stabilisce così un Limite, l’Autorità, la Legge. II secondo è colui che tale Limite oltraggia, e per questo viene ucciso.4: “Remo, il quale sta a simboleggiare l’elemento antigerarchico, proprio al periodo decadente del matriarcato, vìola la intangibilità del solco e Romolo lo punisce. Ciò vuole significare la inviolabilità di ciò che è ritualmente consacrato e l’affermazione del nascente spirito guerriero olimpico, antiegualitario, sul vecchio spirito orgiastico, comunistico, anarcoide: è il primo atto di giustizia inesorabile, di senso di subordinazione assoluta ad un ideale superiore di cui da quel momento la Civitas sarà la manifestazione vivente”. Da “La razza di Roma” di M. Scaligero, pag. 78.

The Eagle - CineAurhelio Un film di Kevin Macdonald. Con Channing Tatum, Jamie Bell, Donald Sutherland, Mark Strong, Tahar Rahim. Drammatico, durata 114 min. - USA 2011. – Bim. Marcus Aquila nel 140 d.C. giunge in Britannia come giovane comandante al suo primo importante incarico. Sulle sue spalle grava un pesante fardello. Suo padre tempo prima era alla guida della Nona Legione composta da 5.000 uomini tutti scomparsi. Insieme a loro è andato perduto anche il simbolo dell'orgoglio di Roma: il vessillo con l'aquila. Marcus, dopo aver mostrato sul campo il proprio coraggio ed essere tornato ferito a Roma ospite di uno zio, assiste a un combattimento nell'arena in cui ammira lo sprezzo del pericolo di uno schiavo britannico, Esca. Lo salva da morte certa e lo prende con sé. Insieme torneranno in Britannia alla ricerca dell'aquila. Rosemary Sutcliff nel 1954 pubblicò “The Eagle of the Ninth” che divenne subito un best seller. In esso si romanzava un dato che sta fra la storia e la leggenda. C'è chi legge la scomparsa della Nona Legione romana come un segno della vittoria del Davide indipendentista sul Golia imperiale e c'è chi ritiene invece che la Legione fu semplicemente trasferita dal nord dell'attuale Inghilterra al Medio Oriente. Il dato storico però poco interessa a Kevin McDonald il quale, spesso in equilibrio tra documentario e finzione, questa volta si lascia andare al narrare in un film di confronto virile aderendo e al contempo evitando gli stilemi del genere. Perché se i guerrieri autoctoni ricordano quelli di Apocalypto, nella loro fantasmatica tribalità siamo però lontani dalla ricostruzione alla Valerio Massimo Manfredi così come dall'epicità de Il gladiatore o dall'esibizione muscolare di Spartacus: Sangue e sabbia. È un film di attese The Eagle. Attesa di una dimostrazione di coraggio. Attesa di un riscatto morale. Attesa dello svilupparsi di un relazione padrone/schiavo che potrebbe giungere anche al ribaltamento. Non mancano gli scontri fisici ma non assumono mai la dimensione dell'iperrealismo a cui 300 sembra avere sottomesso una parte dell'immaginario cinematografico-televisivo. È una ricerca di ruoli oltre che di un simbolo di potere e di onore il percorso che i due protagonisti compiono (a proposito: le promesse che avevamo visto nel Jamie Bell di Billy Elliot sono state mantenute). Così formazioni a testuggine e sottogola che lasciano cicatrici indelebili diventano occasioni per raccontare di uomini che credono in ciò che fanno anche se la vita è pronta ad offrire loro punti di vista inattesi che potrebbero mutare il senso stesso del loro agire. Che cosa è Aurhelio? E’ una iniziativa di formazione no-profit che oltre ai momenti di studio, al suo interno ha dato vita ad un laboratorio creativo per la realizzazione di attività artistiche. Quest’ultime intendono valorizzare le energie inespresse dai giovani, le eccellenze del territorio e la traduzione in oggetti concreti le idee che sono alla base della sua attività. In questo modo Aurhelio, oltre che con i contributi dei suoi soci, riesce ad sostenersi con le sue stesse energie. La sede del Centro Studi Aurhelio si trova a Santa Marinella in Via Aurelia 571A blog: aurhelio.blogspot.com - mail: cst.aurhelio@gmail.com www.facebook.com/Centro Studi Aurhelio - Tel 0766511781


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