Libretto il piacere di scrivere

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ISTITUTO COMPRENSIVO “B. LORENZI DI FUMANE” Scuola Secondaria Inferiore di Sant’Anna D’Alfaedo Anno Scolastico 2014/’15

IL PIACERE DI SCRIVERE Insegnante Simonetta Marconi


IL MIO PRATICELLO Un luogo per me molto significativo è il prato accanto a casa mia. E’ particolare, non ha dimensioni regolari e di fianco si intravede una stradina, una strada che a prima apparenza porta nel Regno dei Sogni, dove tutto e tutti vivono meravigliosamente bene. Inoltre sembra una persona, a ogni cambiamento climatico, ne risente. L’erba cresce ogni giorno come se fosse una persona umana. Verso primavera appaiono le primule, margherite, mentre sugli alberi nascono i primi germogli. I ramoscelli sembrano segni d’inchiostro, che si riflettono nel cielo. A prima vista, sembrerebbe un campo di ciliegie, ma è così armonioso, vivo e pieno di spazio che assume un aspetto un po’ da parco giochi anche se non è dotato di giostre. Da esso è visibile il Lago di Garda. In inverno è il primo a risentire le variazioni del clima, infatti quando nevica, tutto è brillante e non sembra più lui, assomiglia ad un bambino solo, triste. In questa stagione, tutti i bambini vengono a sciare. In autunno cadono molte foglie e si depositano sul terreno. Quando piove, l’acqua si infiltra nel terreno, e il prato sembra piangere, ma fissandolo meglio sembra si stia dissetando. La stagione da lui preferita è l’estate, quando subisce “ un taglio di capelli”. E’ il luogo ideale per giocare, divertirsi, studiare, leggere e a volte dormire sotto l’ ombra di un ciliegio. Quando non posso uscire, lo guardo dalla finestra e rifletto. Il prato stesso e il luogo in generale in estate sono visitati da turisti, non da stranieri ma da persone che alloggiano al ristorante accanto a casa mia. Una caratteristica nota è la presenza di animali, come lepri, cervi in autunno, mentre merli e farfalle in estate. E’ un prato pieno di sorprese: il canto delle cicale e il lavoro delle formiche mi ricordano spesso la favola che mi raccontava da piccola la mamma. Frequentemente vengono a giocare i cani dei miei vicini diventando così un tutt’uno con la natura. E’ un ottimo luogo dove abbronzarsi sotto il sole cocente. SILVIA


“EL DISIOL DELLE COSTE” Io vedo quella chiesetta che mi fa pensare all’aldilà. Oltre il muro secondo me c’è un altro mondo. Penso che di là ci sia un altro mondo diverso da quello che vivo io . E’ un luogo di pace dove non ci sono imbrogli e guerre , la gente ragiona ed è sempre pronta ad amare. Giacomo Il mio Infinito Sempre caro mi fu questo monte, tanto importanti mi furono questi pini, che impediscono la vista, ma sedendomi e guardando mi immagino spazi infiniti e silenzi che sono al di là di ogni conoscenza umana, tanto che, non appena il vento soffia su queste piante, io le paragono a una pace infinita e mi viene alla mente l'eternità del tempo e dei suoi avvenimenti. Cosi tra questa immensità il mio pensiero sprofonda e in questo prato di neve mi rilasso. GABRIELE


LA MIA MALGA Un luogo particolarmente significativo per me, e' la mia malga chiamata "Pietà", a Sega di Ala, dove trascorro un po' di tempo in estate durante le vacanze scolastiche. Per me questo luogo è particolarmente significativo perché mi ricorda quando ero piccola e quando durante l'estate andavo a fare delle scampagnate con i miei genitori. La malga, una casetta in pietra, con all'interno un bellissimo camino vissuto, ha delle ampie stanze dove solitamente pranziamo, è circondata da immense distese d'erba che sembrano tappeti verdi, morbidi e spugnosi che ti fanno venir voglia di adagiarti sopra e farci un bel riposino. Poi, ad un certo punto , dopo quel bellissimo tappeto, si vede una fontana, o meglio un abbeveratoio, dove gli animali come mucche, cervi e cerbiatti possono dissetarsi, mentre a qualche passo da questo si può vedere uno stagno con acqua sporca e stagnante, ma molto significativo per me, perché mi ricorda quando da piccola io e le mie sorelle ci mettevamo a lanciare sassolini per vedere quale delle tre riusciva a lanciarli più lontani e quale riusciva a farli rimbalzare più volte nell'acqua. Io mi ricordo che quasi sulla cima di una salitona, una volta, dopo aver fatto una scampagnata, ho visto le marmotte in movimento. Erano marroni, chiare, piccole, molto sveglie e anche molto paurose, infatti quando ci hanno visto, è successo che la "sentinella", il capo delle marmotte, ha fischiato e loro come dei soldatini sono corse a riparo. Sul lato di quella salitona di tappeto verde c'è un bosco di abeti altissimi,di colore verde scuro e molto fitti come i bambini che si affollano e corrono tutti per prendere l'ultima confezione di caramelle. Sotto il bosco sempre a lato della salita e della malga, circondata da una stradina, di terra e ghiaino, di color marrone con sassi che spuntano all'improvviso, c'è una stalla dove le mucche vengono radunate e davanti a questa, invece, c'è un orticello dove solitamente verso la fine di Maggio io e la mia famiglia, piantiamo delle piantine e le coltiviamo per tutta l'estate fino a Settembre, quando poi raccogliamo le loro verdure. Qui si possono sentire i canti degli uccelli che volano alti nel cielo blu come il mare, il camminare degli animali, soprattutto in autunno quando le foglie sono a terra. Io preferisco questo luogo durante il periodo primaverile quando la neve candida, comincia a sciogliersi e a fare quel bellissimo rumore dell'acqua che scorre lungo i lati della montagna, trattenendo con se' qualche sassolino, preso dal versante, proprio come una mamma che si tiene stretto il suo bambino. Poi, il periodo primaverile mi piace molto anche perché quando la bianca neve si scioglie lascia intravedere dei magnifici fiori montani gialli e azzurri


come il cielo che in questo periodo,si fa più chiaro con nuvole morbide e soffici simili allo zucchero filato. La malga Pietà mi ha colpito fin da piccola perché li' mi sentivo e mi sento tuttora libera, felice, serena e perché li' non c'è nessuno che ti possa impedire di fare cose stravaganti proprio come quando io e mie sorelle ci avvolgevamo nelle coperte rotolando nell'erba. Insomma la malga è un luogo ideale per una passeggiata che consiglio a tutti, perché li' ci si sente davvero liberi e spero che sia ancora mia quando sarò più grande. ELISA Il campetto di Molina Il campetto da calcio di Molina è un luogo significativo per me perché ogni domenica mi trovo a giocare a pallone con i miei amici. Noi ragazzi di Molina siamo come una famiglia e ci conosciamo come le nostre tasche. Noi abbiamo un orario di ritrovo davanti alla chiesa, intorno alle 10.30 del mattino. Alle 10.40, circa, quando siamo tutti riuniti, andiamo insieme al campetto e giochiamo a calcio fino alle 12.15, ora di pranzo. Poi riprendiamo nel primo pomeriggio e continuiamo fino a sera. Il campetto purtroppo, l’anno scorso, è stato rovinato da alcuni ragazzi per motivi sconosciuti, questi ragazzi non sono stati indentificati ma se lo verranno, saranno presi seri provvedimenti. Questi ragazzi hanno tagliato tutte le reti della porta da calcio, rovinato il cemento del campetto e rotto le reti di protezione intorno al campo. Nonostante questi danni, noi continuiamo però a giocare con felicità. Il campetto di Molina è da calcio a cinque, cioè le dimensioni sono ben studiate per far giocare cinque giocatori per squadra. Ogni estate noi ragazzi organizziamo piccoli tornei e ci divertiamo da matti. Alcuni giorni però, quando piove, non possiamo giocare a calcio, ma noi non dimentichiamo mai questo sport e se non possiamo giocare concretamente lo facciamo virtualmente: ci troviamo a casa mia a giocare all’xbox 360 a Fifa 14 e ci facciamo di quelle risate da impazzire. Vicino al campetto, hanno costruito da circa sei mesi una toilette e una fontanella per rinfrescarci nelle giornate estive molto calde. Sempre vicino al campetto si trova anche la pizzeria, in cui ogni sabato e domenica, dopo una bella giocata, mangiamo la pizza tutti insieme. Dietro il campetto si trova una casa, un orto molto grande e un gigantesco prato. Il proprietario della casa è sempre arrabbiato perché, molto spesso, quando calciamo


troppo alto e troppo forte, la palla va a finire nel suo orto e a volte capita di rovinare l’insalata o il cappuccio. A venti metri dal campetto si trova un bellissimo parcogiochi molto frequentato dai turisti diretti verso il parco delle cascate. Anche noi ragazzini, quando eravamo piccoli, andavamo spesso in questo parcogiochi e per noi era come andare in paradiso. Adesso però siamo cresciuti e la nostra “vita” è diventata il campo da calcio in cui abbiamo provato le maggiori emozioni e passato più tempo. MARCO “IL MIO INFINITO” Sempre caro è il mio giardino dove sono cresciuta e diventata ragazza. Ma sedendo sull’erba, tappeto fiorito, e pensando, pace nel mondo e sincerità assoluta attraggono e fan viaggiare il pensier mio. Sdraiata in mezzo al giardino, ammiro i fiori in primavera, coriandoli appena lanciati da Dio. Penso all’autunno, che trasforma gli alberi in un’orchestra di vari colori. Forma un dipinto animato con tanti animali. Immagino il futuro, le decisioni che dovrò prendere e come cambierò. In quel giardino esperienze e sensazioni magiche ho provato. Il mio pensiero sogna e si perde “nel mio infinito”. ALESSIA


IL MIO INFINITO Sempre cara è stata per me questa fattoria con quest'albero, in mezzo al prato verdeggiante una palla arancione e rosacea splende all'orizzonte. Seduta e ammirando questo meraviglioso spettacolo, che sembra un'esplosione di colori una pace profonda mi rende felice. Però girandomi e guardandomi attorno vedo frutti colorati e diverse specie di animali. E come il maestro insegna al suo alunno, mio nonno insegna a me. E in ogni stagione che cambia, cambiano i colori nella natura. Così mi addormento negli immensi colori naturali, sognando sogni davvero spettacolari. Camilla Sempre caro mi fu questo campo e questa casetta in sasso, dove vado all’estate e guardo i piccoli alberi e le lucide ciliegie che il sole fa risplendere. Ogni volta che mi reco in questo luogo mi vengono in mente le bellissime giornate passate con i miei cugini e la mia famiglia a scherzare. Guardando questo campo riaffiorano anche le passeggiate nel bosco, in mezzo al profumo dei fiori selvatici ed il caro nonno, tutte le sue fatiche e la vita passata a lavorare, a volte questo mi rende triste ma penso anche ai momenti stupendi e alle risate fatte con lui.


Appena il vento muove i miei capelli ed il silenzio viene interrotto dai cinguettio degli uccelli e dal fruscio delle foglie ritorno piccolo, quando correvo nel campo e facevo le battaglie con le ciliegie. Cosi tra questa immensità mi libero di ogni dubbio e pensiero. ALICE RICORDI D ' INFANZIA... Molti sono i luoghi che hanno accompagnato la mia infanzia e sono diventati importanti per me; nella mia mente, pero', affiora il ricordo indelebile di un luogo dove da bambina trascorrevo gran parte delle mie giornate. L'elemento che meglio lo caratterizza e' la folta vegetazione: il territorio e' occupato da un vastissimo prato il cui verde così intenso e brillante lo fa assomigliare ad un grandissimo smeraldo. Assieme all'erba spiccano qua e la' tantissimi fiori variopinti che come sulla tavolozza di un esperto pittore riempiono il prato di colori vivaci. Una fitta boscaglia fa da cornice a questo bellissimo quadro e insieme al cielo, di un azzurro quasi irreale crea un'atmosfera magica. Era qui che insieme ai miei amici adoravo giocare con allegria e spensieratezza. Oltre alle corse e ai salti c'era un gioco che mi piaceva particolarmente:far volare gli aquiloni. Il vento che facilitava la buona riuscita del gioco era anche uno dei protagonisti delle nostre giornate all'aria aperta, il suo incessante sibilo cullava i nostri aquiloni come una mamma culla il suo bimbo. Ricordo le corse che facevo per arrivare nel “boschetto” in fondo al prato prima degli altri. All'arrivo il nostro respiro era affannoso e ansimante, la fronte imperlata di sudore, ma nonostante tutto eravamo pronti a ripartire. Le nostre grida riecheggiavano diffondendosi in tutto il paese come una contagiosa malattia. In fondo al prato ci addentravamo nel bosco: il crepitio delle foglie accompagnava i nostri passi, i raggi del sole filtravano tra i rami creando giochi di luce e di ombre; il fruscio del vento tra i rami sembrava parlarci. Nell' aria si diffondeva il caratteristico odore pungente del sottobosco: un miscuglio di muschio e corteccia d'albero. Il silenzio quasi irreale della boscaglia era interrotto dallo squillante cinguettio degli uccelli che insieme alle nostre grida creavano un grande coro. Nel ricordo di questo luogo, provo nostalgia per le bellissime giornate passate insieme ai miei amici ma allo stesso tempo felicita' perche' so che il suo ricordo rimarra' sempre in me MARTINA


L’INFINITO Sto seduta ai piedi di un albero in questo luogo a me gradito. Nel silenzio, nell’aria quel delicato profumo mi avvolge, mi entusiasma. Non sono sola, la Natura accarezzandomi mi fa sognare: un mondo migliore libero da guerre e fame dove regna la pace. Un rumore rompe la mia Illusione Ritorno nella realtà, nel mio rifugio segreto. ALESSIA


Il Ponte di Veja Nel piccolo paesino di Giare si trova il Ponte di Veja. E' una grande attrazione turistica. Io ci vado spesso. Qui sono venuti cantanti famosi per fare i loro video-­‐clip, tra queste ci sono Giorgia ed Emma Marrone. L'aria qui non manca mai. Il vento che accarezza le foglie dà vita ad un dolce fruscio, le gocce di rugiada si fermano sull'erba verde smeraldo. Tra i fili d'erba sbocciano dolci fiori di diversi colori, ci sono margherite, viole e primule. Si sente lo scorrere dell'acqua passare sopra le rocce, seguendo il suo corso, per poi arrivare al termine del suo “viaggio”. Nelle grotte e sotto il Ponte si accumula parecchia umidità, facendo così cadere delle limpide goccioline sulla testa dei visitatori. La vista dal Ponte è fantastica, si estende un verde brillante su tutta la vallata. Nelle grotte si nascondono piccoli pipistrelli neri, come il mantello di bat-­‐man. Quando scende la notte e la luna s'innalza nel cielo, i grilli iniziano a cantare, rendendo la notte meno oscura e tenebrosa. Quando la luna ci abbandona e il sole sorge, l'acqua comincia a brillare, i pipistrelli se ne tornano a riposo e gli uccellini tornano a svolazzare nel limpido cielo, sopra prati e fiori, cantando dolci melodie. In alcuni prati gli allevatori portano le mucche a pascolare. Nei prati e nei boschi si trovano grandi castagni, antichissimi, tanti sono anche malati. C'è un posto che nessuno conosce, a parte io e mio cugino. Per arrivarci saliamo su una piccola parete rocciosa, salendo lì, seguiamo un sentiero, dove ai bordi si trovano spine, fiori ed erba. Da lì si arriva ad una specie di grotta che si ricollega al sentiero. Vengono anche molti scalatori a scalare il Ponte. D'estate, io e delle mie amiche entriamo nel ruscello e seguendo l'acqua andiamo fino alla fine del suo corso. Al Ponte si sono trovati numerosi reperti storici. Nei boschi del Ponte, ci sono numerosi cinghiali. In 'autunno quando cadono le foglie il Ponte si riempie di colori spettacolari, che passano dal verde al rosso, per finire col marrone. Le foglie cadute sul terreno, formano un tappeto ricco di colori. Anche d'inverno la neve cade, formando un manto bianco, morbido e soffice come un letto. In primavera sbocciano parecchi fiori, con petali morbidi e vellutati, come la pelle di un neonato. D'estate invece, la temperatura sale, riscaldando i verdi prati. Ecco, qui è dove vivo.. Un posto ricco vita e sorprese. SOFIA


AL MULINO Nel piccolo paesino di Giare c’è un bellissimo mulino molto vecchio e inagibile con un fiumiciattolo in cui scorre l’acqua limpida come il cielo senza nuvole. Domenica scorsa sono andato a fare un giro in bicicletta ed ho pensato di andare a rivedere il mulino: il sole faceva brillare il fiume, l’acqua sbatteva contro i sassi. Il mese scorso sono andato a cavallo con mia zia Daniela con il mio adorato Camerun ed abbiamo fatto il giro del mulino, mi sono proprio divertito. Poi mia nonna mi ha raccontato della fontana vecchia e di quando lei era piccola e che sua mamma la mandava a lavare i vestiti. Mio nonno mi ha raccontato di quel vecchio mulino che una volta era splendido perchè la ruota girava che era una meraviglia e di quando lui e i suoi compagni di scuola andavano lì a giocare nascondino o a prendere e scappare e si facevano il bagno. Un mio vicino di casa mi ha raccontato che all’inizio l’acqua che scorreva sotto al mulino la prendevano da tutti i ruscelli di Giare per far funzionare una ruota che macinava il grano per la polenta o per la farina. In quella località abitava anche una famiglia soprannominata “i Mulinari”ma, con il passare degli anni, si è trasferita in un’altra contrada chiamata “Saleti”. In seguito, non potendo più vivere con quell’attività, si è trasferita a Milano. L’acqua che si usava per macinare il grano non è andata perduta ma è stata utilizzata per creare energia elettrica: la facevano andare in una prima vasca e poi in una seconda. Infine tramite un canale arrivava in un paese chiamato Lugo. Una volta il mulinaio andava in giro con un asino ed un carretto per passare tra le famiglie a prendere il frumento che loro conservavano nei granai. In cambio lui dava la farina. ANGELO


LETTERA AD UN TUO AMICO …. Caro Marco, ti devo raccontare tante cose, io abito a Cerna con la mia famiglia da tre anni: vado a scuola a Sant’Anna. Nella mia classe siamo in 14 alunni. Le mie insegnati sono gentili. Ti devo raccontare una storia, quella di una ragazza che si chiama Malala e di un bambino che si chiama Iqbal. CHI E’ MALALA? Malala è una ragazza di 17 anni, il 09 ottobre del 2012 le hanno sparato sul lato sinistro della fronte, perché aveva scritto sul suo diario “lo sfruttamento minorile è un male”. Malala diceva sempre: “Una penna e un libro possono cambiare il mondo”. Secondo me Malala ha ragione perché i ragazzi e i bambini devono andare a scuola, non lavorare; i grandi devono lavorare, i bambini devono andare a giocare con gli amici e anche studiare. Malala mi ha fatto capire che studiare è una cosa importante per i bambini e anche per i grandi. CHI E’ IQBAL? L’autore di questa storia vera, Francesco D’Adamo, racconta la situazione di tanti bambini costretti in schiavitù. Iqbal è un bambino che viveva in Pakistan, è stato venduto dai suoi genitori all’età di 5 anni a pochi dollari perché la famiglia aveva un debito. Iqbal lavorava in una fabbrica di tappeti, era incatenato ad un piede perché scappava sempre. E’ stato liberato grazie agli attivisti del Fronte del lavoro. Iqbal, ha aiutato molti bambini ad uscire dalla schiavitù. Iqbal, secondo me è stato un bambino coraggioso perché ha rischiato la sua vita per aiutare i bambini come lui. A 13 anni è stato ammazzato dai terroristi mentre giocava. Secondo me Iqbal è un eroe e mi ha insegnato che dobbiamo difendere i diritti dei bambini perché la libertà è un diritto importante per tutte le persone. TONI


“IL MISTERO DEI MARI” C’era una volta, in una cittadella piuttosto piccola, un vecchio cinema caratterizzato dalla continua sparizione di bambini dopo ogni film. Fin da piccolo, Jason, di dieci anni circa, ha sempre amato i racconti dei pirati e dei marinai. Jason aveva occhi azzurri come il mare, labbra morbide come perle e un naso piccolo e a punta, anche se lui si ostinava a dire che era ad uncino. I suoi capelli erano forse l’unica cosa che assomigliava veramente ai pirati e di questo Jason ne andava fiero. A carnevale l’unico vestito che voleva indossare era quello da pirata e per assomigliare ancora di più ad uno di loro si metteva 5-­‐6 maglie, in modo da mascherare il suo esile corpicino. Dopo poco tempo ero uscito il nuovissimo film “IL SEGRETO DEI MARI IN 3D” e Jason voleva assolutamente vederlo. Sua madre non gli disse niente, ma i biglietti per il cinema li aveva già comprati e voleva fare una sorpresa a Jason per il giorno del suo compleanno, e finalmente quel giorno arrivò. Era un giovedì, ma non come tutti gli altri, era il compleanno di Jason. Appena aprì gli occhi Jason vide i biglietti sul suo comodino, erano due, uno per lui e uno per Bak, il suo migliore amico, un ragazzino basso e cicciotto, pieno di lentiggini in faccia e con i capelli corti, ricci, e di color rosso fuoco, anche lui appassionato dei pirati. Jason afferrò i biglietti e guardò il giorno, era venerdì 13, Jason non credeva nel fatto che esistesse un giorno fortunato o uno sfortunato, a lui interessava soltanto andare a vedere quel film. Contava i giorni e le ore che mancavano a quel fantastico giorno e quando arrivò, Jason era pieno di euforia. Sua madre portò lui e Bak al cinema e disse loro che sarebbe andata a prenderli non appena il film fosse finito. Jason annuì e poi corse dentro per prendersi il posto migliore. Appena entrati i due ragazzini si sedettero in prima fila, si misero gli occhialini 3D e si misero a


guardare il film. Ai due ragazzi sembrava di sognare, sentivano l’acqua sotto i piedi e notarono di essere vestiti da pirata, era come se tutto fosse vero. Appena salirono sulla nave vennero aggrediti dai pirati, che li rinchiusero dentro uno stanzino, i due ragazzi erano felicissimi, non avevano mai assistito ad un film così reale. Ma ben presto se ne pentirono. Ad un certo punto arrivò a prenderli uno strano uomo, enorme e pieno di peli, il suo nome era Bruto, che li portò a fare un tour della nave. Jason rimase stupito da come tenevano la nave, era ancora in perfette condizioni, senza nessun graffio o crepatura, senza rum o whisky rovesciato sul pavimento e senza quell’odore di pesce marcio, che di solito raccontano i libri. “Mi scusi signore, chi è che tiene così pulita la nave?”, chiese Jason “Lo scoprirai presto ragazzo, forse ancor prima di quanto ti immagini …”. Jason non fece molta attenzione a quello che disse Bruto, perché era talmente affascinato dalla nave che la sua mente stava da un’altra parte. Finito il tour completo, Bruto portò Jason e il suo amico dal capitano, un uomo alto e grosso con una pancia enorme, una gamba di legno e un occhio di vetro. “Chi siete?”, chiese con tono scontroso, “Jason e Bak, signore” risposero i ragazzi impauriti, “Portali dove sai tu, Bruto, e costringili a fare il loro dovere” disse il capitano. Bruto li portò in una stanza piena di ragazzini, “Aspetta, io ho già visto lui, è Harry, il bambino di dieci anni scomparso la scorsa settimana! E lei è Janel, anche lei di dieci anni scomparsa da poco” disse Bak, “Ma che ci fanno qui?” chiese Jason, “Non ne ho idea, ma questo film non mi piace per niente Jason, voglio andarmene” replicò Bak. I due ragazzi erano terrorizzati, chiesero agli altri ragazzi per quale motivo si trovavano lì, ma l’unica risposta che ricevettero fu: “Ci piace stare qui, il capitano è buono”, sembravano ipnotizzati. “Jason, forse non sono scomparsi, sono stati rapiti” disse Bak. A quel punto i due tentarono di togliersi gli occhialini dalla faccia, ma non ci riuscirono, erano come incollati alle loro facce. “Jason, ho paura, aiutami!” disse Bak, il ragazzo era terrorizzato. “Non preoccuparti, ce la faremo!”.


Passarono giorni dentro quello stanzino e ogni giorno venivano chiamati ragazzi nuovi per la pulizia della nave, ma ne tornava indietro la metà di loro, continuando a ripetere che dovevano obbedire al capitano e che a loro piaceva stare lì. Arrivò il turno di Bak. Bruto lo chiamò, ma lui fece finta di non esserci. A quel punto con forza brutale, Bruto sollevò da terra Bak e lo portò via. Jason riuscì a seguirli di nascosto e vide che Bruto posizionò Bak davanti a un secchio di acqua sporca, e gli ordinò di guardarci dentro. All’interno di esso si poteva vedere la propria casa e tutte le cose a noi più care, però erano davvero piccole e difficili da vedere, così Bak avvicinò la faccia per vedere meglio e a quel punto il secchio gliela risucchiò, di Bak si sentivano solo le urla. Appena ritirò fuori la testa Bak cominciò a dire la stessa frase che i ragazzi ripetevano di continuo, era stato ipnotizzato. Ormai era arrivato il turno di Jason, che venne portato davanti al secchio. Al suo interno il ragazzo vedeva la sua famiglia e tanti ragazzi che lo chiamavano, Jason era tentato ma si ricordò di quello che era successo al suo amico e scappò. Bruto non se lo lasciò scappare, lo prese e lo portò dal capitano. “Bene, bene” disse il capitano con aria tranquilla, sembrava che sapesse già quello che era successo ancor prima che Bruto glielo dicesse. “Tu devi essere Jason … ah caro mio, so cosa vuoi fare, non credere di poter riuscire a fregarmi”. Jason a quelle parole tentò di liberarsi dalla presa di Bruto che lo teneva stretto tra le sue enormi mani, ma senza alcun risultato. “Esci Bruto! Qui ci penso io!” disse il capitano. Bruto uscì, nella stanza ci fu silenzio per un po’, poi si sentirono delle urla seguite da un silenzio assoluto. Di Jason e Bak non se ne seppe più nulla. Le famiglie mandarono volantini con le foto dei ragazzi in tutta la città, ma dei due non c’era l’ombra. Il cinema venne chiuso e con esso anche tutti i casi di scomparsa dei bambini. ANGELA


RACCONTO SURREALE… Chissà come deve essere passare una vita ad aspettare chi non tornerà mai. Nessuno lo sa. Nessuno. Nessuno, eccetto la Signora Martens, la vedova che viveva in una casetta porpora nella radura lombarda. La sua vita, trent’anni fa, era perfetta: aveva una bella casetta, un marito che l’amava e stava per costruirsi una famiglia. Quanti figli avrebbe avuto? Quanto amore avrebbe provato per loro? Quante aspettative doveva avere! Tutte eliminate velocemente da una misteriosa malattia che aveva divorato suo marito, uccidendolo dall’interno. Era la sera del 3 novembre 1987, e la donna, dopo anni e anni di assenza in cui nessuno l’aveva più vista in paese, né dal panettiere, né dal bottegaio, ora se ne stava seduta nell’università del suo paese, accomodata su una grande poltrona rossa sangue con contorni in oro laccato. Alla vista ora la poltrona pareva vecchia e consumata, ma un tempo sarebbe dovuta essere meravigliosa, proprio come la Signora Martens. Se ne stava lì seduta, con la fronte sudata e gli occhi piccoli e stanchi incorniciati da tante sottili rughe, sempre mantenendo una grande dignità. Portava di tanto in tanto alla bocca un bicchierino di Rum giallognolo, che teneva saldamente nella mano destra, assaporandolo lentamente con le grandi labbra rosse. I capelli, la Signora Martens, non li aveva ormai più. Ma nessuno lo sapeva, eccetto lei: la parrucca bionda era ben fatta e raccolta con un veloce chignon sulla nuca. Da lì a poco la donna avrebbe iniziato a raccontare la storia della sua vita, ma per il momento si versò in gola l’ultimo goccio di Rum, che al suo passaggio lasciò un leggero pizzicore. Poi corrugò la fronte, sulla quale diede vita a numerose increspate onde. Prese a parlare. “Tutte le mattine, dopo la morte di mio marito Carl, presi a svolgere una strana routine. Mi svegliavo all’alba, mi lavavo e truccavo, e poi mi sedevo su questa poltrona, un tempo posta sulla finestra principale di casa mia, accanto alla porta d’ingresso. E li aspettavo, fissando l’orizzonte, il ritorno dell’amore della mia vita. Così, passata un’ora ritiravo il pane, passavo in bottega a fare la spesa, e iniziavo a cucinare per gli ospiti che aspettavo giornalmente a pranzo; prima un amico, poi una zia e dopo ancora un parente lontano: non ero mai sola. La sera, invece, quando nessuno era disposto a salire fin su nella radura in montagna, cenavo da sola. Preparavo, però, ostinatamente due piatti: uno per me e uno per Carl. Sapevo non sarebbe mai tornato eppure ricordarlo era un dolore quasi piacevole. Dopo cena mi sedevo alla poltrona e aspettavo nuovamente un suo ritorno, seduta al lume di candela fino a mezzanotte. All’udire dei rintocchi delle campane del paese, mi alzavo, spegnevo le luci e mi recavo a dormire. Esattamente tre anni fa, la sera del 3 novembre 1984, mi


trattenni sulla mia fedele poltrona anche dopo il dodicesimo rintocco. L’aria era calda e attorno a me regnava il buio più completo. Fuori, le foglie cadevano e l’erba si seccava ma il viale di ghiaia rimaneva sempre inalterato, uguale, ad ogni stagione. Come se il tempo per lui si fosse bloccato. Ad un tratto, da lontano, sbucò una figura. Si avvicinava a passo lento e sicuro, sempre di più. Riconobbi il volto solo quando fu abbastanza vicino da essere colto dalla luce della candela. Non ci crederete, eppure era lui, era Carl. Incerta sul da farsi, con il cuore in gola e gli occhi che pizzicavano, non sapevo che cosa fare. Ero e sono tutt’ora credente, e sapevo che Carl era morto, non potevo negarlo. Ma nemmeno gli occhi mentivano: era proprio lui! I grandi occhi neri e misteriosi come la notte, la mascella sporgente, gli zigomi alti. Perfino la barbetta incolta. Non potei fare a meno che farlo entrare. Aperta la porta, mi guardò e sorrise. E che sorriso! Il più bello che avessi mai visto. “Sono tornato, amore mio”, la sua voce era ancora più dolce di quanto fossi riuscita a ricordare. E quelle parole! Oh, quelle parole! Erano la conferma, più sicure di una carta d’identità, che quello era proprio lui: Carl Martens, nato il 26 gennaio 1941, morto il 5 maggio 1981. O almeno di ciò ero convinta, fino a quel momento. Non sapevo se essere felice o spaventata del suo ritorno, ma bruciavo ancora di un fortissimo amore per lui, che ebbe la meglio. Riscaldai il secondo piatto che era sul tavolo, e lo ammirai finché mangiava lentamente. A tavola, gli parlai. Gli chiesi di lui, della sua assenza. Gli raccontai quanto avessi sofferto senza di lui! Rispose che era tornato per riprendersi la sua vita, che era tornato per me. Traboccavo amore da ogni poro della mia pelle, e lo guardavo silenziosa. Aggiunse però che tutto aveva un prezzo, e che avrei dovuto pagare il tempo passato con lui scalandolo dal tempo in cui io avrei dovuto vivere. Risposi che non mi avrebbe importato, che avrei dato tutto per lui. Lo amavo. Andai a dormire, e mi lasciai cullare dal dolce pensiero del suo ritorno. La mattina mi svegliai con la colazione pronta, i panni stesi, la casa lavata. “Nessun ospite a pranzo oggi! C’è una gita in programma”, disse Carl, che scovai in giardino disteso sotto alla macchina d’epoca gialla che aveva insistito per comprare poco prima del matrimonio. Stava cercando di ripararla, e mi stupii quando, terminato il suo lavoro, la macchina si accese veramente: insomma, erano vent’anni che non l’utilizzava nessuno. Partimmo per il lago e ci comportammo come due adolescenti sdolcinati e innamoratissimi. Fu una giornata perfetta, con tanto di bagno nell’acqua gelata e luna park, con zucchero filato, merendine e ruota panoramica. Il mio Carl, finalmente era tornato! Riprendemmo la nostra vita da dove l’avevamo lasciata alla sua morte: ristrutturammo insieme la casa, acquistammo nuovi vestiti e riprendemmo perfino i nostri lavori! Alcuni giorni Carl si


allontanava per riunioni e congressi, poi tornava con il consueto e splendente sorriso e un mazzolino di margherite o rose rosse. Come non adorarlo? Adoravo i suoi sorrisi intelligenti, il suo affascinante accento americano. D’un tratto mi ricordai perché l’amavo, ricordai che avrei voluto scoprire il mio mondo con lui. Ogni attimo della mia vita, come avevo dichiarato nelle promesse matrimoniali. Così passarono tre magnifici, meravigliosi, indimenticabili tre anni. Durante l’arco di questi mi diagnosticarono la stessa malattia che anni prima me l’aveva portato via, ma non ebbi il coraggio di rivelarglielo. Glielo dissi solo oggi, stamattina. Gli spiegai che il pomeriggio avrei avuto una visita molto importante, e gli chiesi se avesse voluto accompagnarmi. Accettò. Ma, quando all’ora prevista andai dal dottore, lui non c’era. Dapprima ci rimasi malissimo, ma poi sospettai in una delle sue solite sorprese e mi calmai. Proprio oggi, 3 novembre 1987, mi sono stati diagnosticati tre restanti anni di vita. Il tempo che ho passato con Carl fino ad oggi, corrisponde a tre anni. Domani non ci sarò più. Non pensate che non abbia lasciato nessun segno della mia vita su questa terra! È solo che non ho avuto il tempo di completarlo. Voglio che là, nella casa sulla radura in montagna, venga costruito un orfanatrofio. L’orfanatrofio “Martens”. I soldi necessari sono nascosti sotto il cuscino di Carl, quelli che avanzeranno dateli pure in beneficenza, a me e a mio marito non serviranno. Carl ha già fatto i bagagli, li ha caricati sulla macchina gialla mentre il dottore mi visitava. Lui sapeva già cosa sarebbe successo”. Un clacson piuttosto vibrante si udì dalla finestra. La Signora Martens sorrise, di un sorriso di quelli veri. “Non sempre si aspetta invano. Ora scusatemi, ma io e Carl dobbiamo proprio partire”. L’ultima cosa che vedemmo fu la Signora Martens salire sulla macchina gialla,e poi scomparire nel buio, via col vento, ridacchiando con Carl, l’amore della sua vita. LUCIA


Commento un libro Uno degli ultimi libri che ho letto è “Diario di una schiappa” di J. Kinney, un libro molto bello e divertente. La storia è narrata in forma di diario in cui il protagonista è Greg Hefley, un ragazzino di 11 anni che scrive le sue disavventure delle medie, del rapporto con il fratello che gli fa scherzi e della sua vita quotidiana. Ho scelto di leggere questo libro perché molti dei miei compagni me lo consigliavano, così ho approfittato della Primavera del libro per comprarlo per la prima volta. Ho acquistato il secondo libro alla Mostra del libro verso l’estate. Questo libro è stato un po’ la mia ascia (come direbbe Kafka) perché, attraverso le emozioni che mi ha regalato, mi ha fatto scoprire un nuovo genere che mi ha appassionato alla lettura. Sono d’accordo con quello che dice Kafka perché un libro deve emozionare, sorprendere ed insegnare, liberandoci dalla barriera che non ci permette di far passare le emozioni e le sorprese. PIETRO LA MIA CONTRADA La foto è stata fatta dalla mia camera che si trova all'ultimo piano della mia casa. In basso nella foto c'è il tetto del mio garage e vicino passano i fili della luce. Ancora ,in basso, circa al centro c'è una zona con l'erba più alta, questa parte è stata fatta così per non provocare frane . Dentro il recinto ci sono le pecore , due nere, tre bianche e una a macchie. In alto , a destra c'è la chiesa sfumata come se ci fosse la nebbia ma in realtà non c'è. Circa a metà del prato è presente un sentiero che percorro la domenica quando vado a messa. Io e mio cugino andavamo a giocare con il bob quando c'era la neve. Una volta da piccolo sono caduto con la mini moto. In alto a sinistra c'è un albero dove c'è un altalena, vicino alla quale ci sono delle rocce su cui giocavo quando avevo sette anni con i miei cugini di Brindisi, giocavamo a nascondino ed eravamo veramente felici, ci sentivamo liberi…. Questo posto è molto significativo per me, è il luogo in cui ho passato più tempo….

MICHAEL


IL TELEFONO SQUILLANTE

È mezzanotte. Tutti in casa dormivano, ad un certo punto il telefono iniziò a squillare fino a svegliare il signore che scendendo dalle scale, arrivò al telefono e rispose. Nessuno rispondeva. Ritornando a letto il telefono risquillò. Il signore ritornò giù e si mise vicino al telefono per aspettare che qualcuno telefonasse. Arrivate le tre il telefono cominciò a suonare all’impazzata cadendo dal mobile, ad un tratto si mise a saltare come una “rana” di qua e di là, su e giù. Il signore si spaventò, si mise a correre per tutta la casa gridando e svegliando sua moglie. Lei scese per vedere che stesse succedendo. Arrivata non c’era più niente. Il telefono si era messo sul mobile e il signore si era messo in un angolo a dormire. La moglie ritornò a letto. Fino alle quattro rimase tutto calmo, nessun rumore. Alle cinque e mezza il telefono senza squillare cominciò a saltare fino alla mensola che era posta sopra al signore, ad un tratto cadde sopra la testa del signore, che si svegliò e disse:”Ahiaaa ”urlando. Alle otto di mattina l’uomo prese il telefono, staccò la spina dalle presa e andò al negozio dove lo aveva comprato, nel frattempo la casa, quando la moglie e i figli andarono via, cominciò ad allagarsi. Il signore arrabbiato e spaventato chiese al negoziante che difetto aveva il suo telefono, il venditore gli rispose che non sapeva nulla. Ad un tratto il telefono si mise a suonare nonostante la spina fosse staccata. Il signore rispose e disse con la voce tremolante:-­‐“Pronto!” , questa volta era la vicina che gli disse urlando:-­‐“La sua casa è allagata!” Il signore spaventato ancor di più ritornò a casa, aprì la porta e vide che la casa non era allagata, era completamente asciutta, e disse arrabbiato:-­‐“Che cosaaaa!?Non vedo niente di allagato bahhh!”Lui ritornò verso il negozio per prendere il telefono che non c’era. Di corsa andò verso casa e vide che il telefono stranamente era sul mobile. Sorpreso correndo verso la cucina vide il telefono che gli stava scaldando la camomilla, come se fosse una persona. Il signore salì per andare a sdraiarsi sul letto, accese la TV e vide una mosca e un uccellino che ballavano, il signore si chiese che cosa gli stesse capitando. Ad un tratto vide il telefono che aprì la porta con un vassoio in mano, con sopra la sua camomilla, il signore spaventato disse:-­‐“ Che cosa?!” Il telefono gli rispose:-­‐“ Sono venuto a portare la sua camomilla!!!!” Il signore ribattè:-­‐“ Che mi sta capitando!, Forse è meglio che vada da un dottore!” Alle tre del pomeriggio andò dal dottore per spiegargli che cosa era successo a mezzanotte. Il dottore gli rispose che doveva solamente stare calmo, fare una dormita e prendere sempre le sue medicine. Appena arrivato a casa, disse che secondo lui era tutto surreale. Entrando in casa prese le sue medicine come gli aveva detto il dottore e andò in camera a dormire. Dopo due ore circa il telefono si mise a suonare, il signore si svegliò e rispose, dicendo :-­‐“ Pronto, ora mi può rispondere?” e nessuno rispose, il signore disse di nuovo:-­‐“Allora? C’è qualcuno?” La vicina bussò, il signore aprì :-­‐“Mi dica?”, ”Vorrei chiederle, ma che cosa ha? Perché urla?” Il signore:-­‐“ Oh niente, solo che il mio telefono continua a squillare! Adesso resti qui e ascolti!” Dopo un’ora il telefono non squillò più, il signore disse che questa cosa era impressionante, la signora se ne andò senza dir nulla. GIORGIA


TESTO ESPOSITIVO: LA GLOBALIZZAZIONE Il termine “globalizzazione” deriva da “globo” che significa mondo. E’ un processo che ha conosciuto un grande sviluppo grazie all’espansione dei mezzi di comunicazione (internet, tecnologia....). La globalizzazione è stata favorita dall’eliminazione dei dazi doganali, dal crollo dell’Unione Sovietica, dall’invenzione di nuove tecnologie. Essa ha determinato il potere delle multinazionali, grandi società che creano stabilimenti spesso in zone del sud del mondo, dove riescono ad avere manodopera a basso costo. Essa favorisce la crescita dell’economia di molti stati industrializzati e provoca anche una crescita in stati del sud del mondo. Tuttavia molti studiosi ritengono che non sia del tutto positiva perché aumenta il divario tra i paesi ricchi e poveri che spesso vengono sfruttati. Molte fabbriche sono state trasferite nei paesi del sud e dunque in quelli del nord aumenta la disoccupazione. I paesi del sud si stanno accorgendo di questo divario. Secondo me la globalizzazione è un bene perché fa lavorare più persone, ma è anche un male perché le sfrutta. Purtroppo nel mondo ci sono tanti bambini sfruttati e costretti a compiere lavori molto pesanti. NICOLA Una giornata come tante altre Caro diario, “Una giornata come tante altre”, questo è il titolo che ho voluto dare alla mia pagina di diario. Io sono Had Baba, sono un bambino musulmano e non posso andare a scuola perché i miei genitori non hanno i soldi per mantenermi e quindi mi mandano in strada vicino a un semaforo per chiedere l’elemosina. Quando è rosso devo infilarmi tra le macchine e chiedere qualche soldo. Se alla sera non torno a casa con almeno 10 euro mio papà mi picchia. In famiglia siamo in cinque e lavora soltanto mio fratello maggiore in una miniera, perché mio padre lavorava in un magazzino edile e l’hanno licenziato. Mia madre, caro diario, è in carrozzina perché a trent’ anni le è venuto un tumore alle gambe e quindi gliele hanno dovute amputare. Le altre due mie sorelle sono gemelle e hanno undici anni, devono andare nei campi di patate e raccoglierle e vengono pagate pochissimo. Io spero che la mia vita cambi e diventi migliore. DENIS


GELOSIA FATALE Erano le 10 del mattino, mi ero appena svegliata, mi ero stiracchiata ed ero sdraiata

sul mio caro divano, in cerca di una posizione abbastanza comoda per cercare di rilassarmi. La sera prima ero stata per le vie di Los Angeles per indagare su un furto commesso lo stesso pomeriggio, e quel giorno non avevo nessuna intenzione di muovermi da casa per indagare su un altro crimine. Stavo guardando la tv, comodamente sdraiata sul divano giallo e blu, con motivi floreali bianchi, regalatomi dalla mia cara bisnonna. Ero appoggiata con la testa su un cuscino bianco e soffice, indossavo un bel pigiama verde mela, largo e comodo, riscaldata da due coperte adagiate sul mio corpo che diffondevano quel calore piacevole e rilassante. Stavo guardando una trasmissione riguardante gli omicidi più brutali commessi in tutto il mondo negli ultimi cinque anni. Circa dopo dieci minuti dall’inizio del programma suonò il telefono, proveniente dalla cucina. Mi sistemai i capelli, li raccolsi in una coda spettinata, mi alzai e andai a rispondere. –“Aiuto! Aiuto! Signora Lambert!! Venga al più presto nel mio studio, sono il chirurgo estetico Marco Friccadori, è successa una cosa spaventosa, si affretti a venire!!” disse il signor Friccadori con voce stridula e terrorizzata. Senza nemmeno aver avuto il tempo di fare qualche domanda, il chirurgo aveva già riattaccato. Sbuffai. Stanca e spazientita, salii le scale, per raggiungere l’armadio della mia camera e cambiarmi. Indossai dei lunghi jeans chiari e attillati, una camicia bianca di seta e una giacca nera cenere, molto formale per completare l’outfi; mi misi un filo di mascara sulle ciglia per far risaltare i miei occhi . Corsi in cucina, afferrai la borsa di pelle marrone, posta sulla sedia del tavolo di legno scuro, e partii. Arrivai dal chirurgo in meno di quindici minuti ed entrai nell’edificio. Marco, un uomo robusto, alto, con i capelli mori e con degli occhi grigiastri, mi raggiunse ansimando. “La..Laggiù.. C’è una donna.” “Una donna?!” chiesi io. “Sì, una donna, l’ho trovata questa mattina mentre aprivo le tende per far penetrare la luce, dietro di esse, ho trovato lei.” Rimasi in silenzio e mi diressi verso le tende e, spostatele, vidi la donna. Era Jennifer, una donna molto famosa nella città di Las Vegas. Aveva un bisturi conficcato nella mascella. Era una signora sulla cinquantina, che ogni giorno andava a fare shopping, era abbronzata, con dei corti capelli neri, alta, magra, con un vestito rosso che si abbinava al rossetto che aveva sulle labbra. “Tornerò tra mezzora, aspettami qui” , dissi al chirurgo mentre uscivo dalla porta. Accesi il motore della macchina e mi diressi verso la casa di Jennifer, per trovare il marito il quale mi accolse in modo cupo e spaventoso, immaginai subito che sapesse dell’accaduto. Ci sedemmo attorno al tavolo. Orazio era un uomo


cinquantenne, con i capelli e il pizzetto grigiastri, con un camice bianco che ricopriva l’intero corpo fino al collo. “Mi dica signore, ultimamente Jennifer era strana?” chiesi. “Effettivamente sì, si lamentava del fatto che un uomo la tormentava, ma io non ero così preoccupato, ero occupato dal lavoro.” “E da quanto era tormentata?” “Non so, circa due settimane”-­‐ rispose lui, in modo secco. “Per caso Jennifer gli aveva detto chi era quest’uomo?” “No, ma diceva che era alto e robusto e con dei capelli neri, sa signora, adesso sono molto preoccupato, voglio sapere chi ha ucciso mia moglie”, rispose lui con le lacrime agli occhi. “Capisco signore. Oggi sua moglie aveva qualche impegno?” domandai. “No, ha detto che andava dal chirurgo estetico per qualche minuto, ma niente di più.” “Mh, capisco, beh ora vado, le farò sapere il prima possibile.” Mentre risalii in macchina cominciai a riflettere su quell’uomo alto e robusto, con i capelli neri che tormentava Jennifer. Mi si accese la lampadina. Il chirurgo era alto, robusto e con i capelli neri, proprio quella mattina Jennifer doveva andare dal chirurgo estetico. L’avevo incastrato. Mi serviva solo la prova del DNA di Marco, sul corpo della signora, così il signor Friccadori sarebbe finito in carcere, con una pena di 8 anni, per omicidio e perseguitazione. Ritornai nello studio estetico, entrai, guardai Marco sulla poltrona che riposava. “Ti ho incastrato”, dissi io mentre Marco si girò spaventato e con il terrore che si celava nei suoi occhi. “Mi servono le prove del DNA e poi ti sbatterò in prigione.” Afferrai da un braccio la povera Jennifer e la trasportai nella mia macchina. Quando tornai a casa mi misi a studiare il corpo della donna. Dopo due ore di studi, trovai quello che stavo cercando. Le impronte di Marco Friccadori erano impresse su tutto il corpo della donna. Stranamente non trovai solo il DNA di Marco, ma anche quello di un’altra persona, di un’altra donna: la signora Giusy, la donna delle pulizie dello studio estetico. Orgogliosa per aver risolto un altro caso andai subito da Giusy e Marco. “Vi ho scoperti ragazzi. Non dovete più fingere, ditemi perché avete ucciso Jennifer” , li intimai con sguardo accusatorio. “Per gelosia” rispose il chirurgo. “E va bene, confesso, ero geloso di Jennifer perché da giovani eravamo fidanzati, Orazio però, il marito di Jennifer, mi ha rubato la mia ex ragazza. Quindi per gelosia ho voluto ucciderla.” “Ma, cosa c’entra allora la signora Giusy, in tutta questa storia?” chiesi io, alquanto confusa. “L’ho pagata, altrimenti non sarei riuscito ad ucciderla da solo. Mi sono pentito e sono pronto a scontare la mia pena.” “Benissimo signori. Venite con me.” Ci dirigemmo verso il carcere. NOEMI


L’ “H” incisa nel cuore Metà mattina. Sono a casa, intento a fare colazione. Ammiro la mia collezione di foto scattate per risolvere i delitti più inquietanti. Mi rilasso con una tazza di caffè e una bella trasmissione televisiva. Sono pronto per la riunione di metà mattina che si terrà in piazza dove si parlerà della festa di Natale e di come allestire il paese. Sono vestito elegantemente ma comodo (proprio come mi piace vestire): giacca nera con cravatta grigio scuro, pantaloni abbastanza larghi, neri e adatti ad ogni occasione. Indosso scarpe eleganti, nere con lacci. Intento ad alzarmi dalla sedia, sento squillare il telefono. Prima di rispondere, spengo la televisione e mi reco nel soggiorno dove si trova il telefono. Alzo la cornetta e sento una voce maschile all’altro capo del filo; un famoso chirurgo della città, il signor Fraccaroli Andrea, ha un’aria spaventata e cerca di spiegarmi un fatto. Velocemente, mi spiega che nel suo ambulatorio è successo qualcosa di grave ma, senza spiegarmi di cosa si tratta in particolare, mi chiede di poterlo incontrare all’istante. Non posso lasciare il signor Fraccaroli in quello stato. Da solo, quindi, decido di recarmi da lui saltando la riunione per le feste natalizie. Arrivo dall’altra parte della città, al quarto piano nel corridoio dove si trova l’ambulatorio del chirurgo. Non c’è anima viva, non si sente nessun rumore, oltre alla chiusura della porta d’ingresso. Vado nell’ambulatorio dove si trova Andrea, camera C16 al quarto piano, dove distinguo subito la sagoma del chirurgo: un uomo alto, magro, spalle larghe e magre e volto scarno. Siamo sempre stati amici sin dai tempi della scuola; a tutti e due è sempre piaciuta l’idea di diventare chirurgo ma io sono sempre stato più indirizzato nel diventare investigatore, anche dal momento che la logica, il ragionamento e l’intelligenza sono sempre stati i miei “punti forti”. Ammiravo davvero molto i racconti di Agata Christie, mi piacevano tantissimo! Vado verso di lui, ci salutiamo e inizia a raccontarmi i fatti in modo preciso. Mi racconta che all’alba di quella mattina, nel suo ambulatorio, la donna delle pulizie ha trovato il cadavere di una donna. La vittima era seminascosta da una tenda e si notavano molto chiaramente dei segni, dei “colpi” effettuati sul suo corpo con strumenti da operazione. Andrea mi racconta che, prima di avermi telefonato, aveva contattato la polizia per raccontare l’accaduto ma essa non aveva fatto altro che incolparlo dell’omicidio senza avere prove concrete. Lui dichiara di non aver mai visto la donna prima di quel momento, ma la polizia stenta a crederlo. L’unica cosa certa riguardante il delitto è l’arma: un bisturi. Faccio alcune domande ad Andrea per capire meglio che cos’è successo, ma non sa dirmi molto. Esamino il cadavere e noto subito che una delle ferite sembra essere fatta a forma di “H” … perché? Mi reco a


casa, appendo il giubbotto all’ attaccapanni e mi siedo sulla scrivania del mio studio, riflettendo sulle parole del chirurgo e a ciò che ho visto la mattina stessa. Penso, ripenso e ripenso ancora al delitto, ma possiedo poche prove, pochi indizi per arrivare al colpevole. Decido di farci una dormita sopra sperando che mi si rischiarino le idee. Sono le 14,16, sento nuovamente squillare il telefono, mi alzo e vado a rispondere. E’ una voce maschile ma questa volta non è Andrea, bensì Stefano Hundson, il chirurgo che lavora con Andrea. Mi stupisco della telefonata, dato che è da molto tempo che non lo sento, ma lo saluto e lo ascolto. Mi spiega che il giorno del delitto, all’alba, il chirurgo Andrea stava entrando e aveva notato in lui un’espressione molto strana. Resto zitto a pensare che tra la lettera trovata sul corpo della donna e l’iniziale del cognome di Stefano ci sia un collegamento… iniziano tutti e due con la lettera H. Strana coincidenza, oppure un vero e proprio indizio. Decido di riandare nell’ambulatorio dove si è compiuto l’omicidio per sottoporre Stefano a delle domande e per vedere se la mia intuizione è giusta. Arrivo e chiedo se c’è il signor Hundson ma non c’è, dicono che è da questa mattina che non entra in ospedale per problemi familiari. Sottopongo il signor Fraccaroli ad un interrogatorio e riesco a capire che Stefano aveva avuto dei problemi con la sua compagna, una certa Denise, la quale è stata assassinata proprio questa mattina, un altro indizio! Sto uscendo dall’ospedale e incontro la signora delle pulizie la quale ha un’aria seria e stranamente impaurita. Mi avvicino a lei e cerco di parlarle, ma lei mi prende per mano, con le lacrime agli occhi e mi spiega come stanno le cose. Quando il dottor Andrea stava iniziando ad operare la signora, Stefano gli chiese se poteva fare lui l’operazione e Andrea accettò la proposta. Andrea era appena uscito dall’ospedale, non c’era anima viva oltre la signora delle pulizie e il dottor Stefano. Dopo pochi istanti si sentirono delle urla e Stefano corse fuori dall’ospedale lasciando la signora dalle pulizie da sola. Poche ore dopo si trovò il cadavere della donna con l’iniziale del cognome di Stefano “incisa” sul cuore. Capisco, ora capisco chi può essere il colpevole ma, prima di dire alla polizia con certezza il nome del colpevole, vado un attimo nel famoso ambulatorio C16. Prelevo del sangue dal cadavere e un capello. Corto, nero, un capello di un uomo. Prova schiacciante! Dopo 3 ore arrivo a casa, stanco ma felice di aver, ancora un volta, risolto un caso molto complesso. Non so dire se questa sia stato il più difficile tra tutti, ma certamente non è stata una passeggiata arrivare alla conclusione. EMMA


IN CLASSE All' interno di una classe della scuola elementare si trovavano undici bambini e una maestra di lettere. La maestra disse ai bambini di leggere la pagina dieci dove si trovava un testo lungo . La maestra cominciò a leggere la prima pagina e tutto andava bene. Finito di leggere questa, fuori cominciò un fortissimo vento, le foglie dell' albero cominciarono a cadere fino a creare un tappeto pieno di colori. La maestra continuò la lettura pensando che fosse un vento normale. Ma dopo cominciò a tremare il lampadario e anche i tavoli. A questo punto la maestra si spaventò molto e disse ai bambini di andare nell' atrio. La maestra pensava che ci fosse il terremoto. Arrivati nell'atrio non vedeva nessuno oltre la sua classe allora andò a cercare Paola, la bidella, per chiederle se c'era stato il terremoto. Ma Paola le disse:"Guarda che non è successo nulla,non c’è stato il terremoto". La maestra rispose:"No no, sono sicura,in classe nostra tremava tutto,c'era il terremoto e forse ritornerà".Allora la bidella le disse:"Ora vada in classe,non è successo niente"Allora la maestra si mise calma e andò in classe, continuò la lettura, andava tutto bene perciò la maestra non pensò più a quello che era successo prima, però quando cominciò a leggere la quarta pagina sentì un forte suono: era cascata la lavagna. Impaurita andò immediatamente dalla bidella con la classe per dirle di recarsi subito nella classe dove stava insegnando. La bidella senza sapere il perchè ascoltò la maestra e andò con lei e gli alunni. La maestra ricominciò la lettura. Finita la lettura la maestra doveva lasciare la classe perchè aveva finita la sua ora. Dopo, lasciata la classe prese la macchina e se ne andò a casa. Arrivata entrò e si mise a dormire sul divano. La sua casa era molto piccola e graziosa, si trovava accanto ad un boschetto , la casa era fatta di pietra ,sopra la porta si trovava una piccola tettoia, accanto alla stradina che portava alla casa si trovavano tre alberi e tre piccole piantine di pino. Gli alberi erano circondati da fiori colorati,sembrava un arcobaleno.La casa aveva sei finestre ,in una c’era sopra una tettoia di forma rotonda. All' interno invece si trovava al piano inferiore la cucina, un piccolo tavolo e un piccolo divano e al piano superiore si trovavano il bagno e la camera da letto. Da fuori sembrava molto accogliente e ci stava tutto quello che serviva. La donna però dopo mezz' ora di riposo si svegliò per iniziare a correggere i compiti , mentre li correggeva cominciò un’ alluvione e un fortissimo temporale. La donna aveva molta paura, allora si mise a letto a dormire ma dalla paura non riuscì nemmeno a chiudere gli occhi. Alle nove di sera circa andò giù per sgranocchiare qualcosa ma


si accorse che fuori c’era qualcosa, era un lupo tutto nero come il carbone, aveva anche dei denti aguzzi e bianchi come il latte. Allora la donna cominciò a chiudere tutti gli scuri e la porta ma nella finestra dove aveva visto il lupo c'era la tapparella. Era l'unica finestra che non aveva lo scuro, allora la lasciò socchiusa . Si prese velocemente una sedia e si mise alla finestra , dopo un 'ora e mezza aveva sonno ma decise di rimanere lì, circa dopo dieci minuti crollò dal sonno. Il mattino seguente non lo vide più allora tranquilla aprì gli scuri e la porta e se ne andò a scuola, a fare grammatica nella classe 3°A e portò le verifche agli alunni. Così la donna si tranquillizzò …. MICHELA LE APPARIZIONI Era sera e il piccolo Jo se ne stava tutto solo nel suo letto,mille pensieri gli affioravano alla mente,ma soltanto uno continuava a farsi largo nella sua testa. Il ricordo del suo amato nonno e il pensiero che il giorno seguente avrebbe assistito al suo funerale lo rattristavano profondamente. Jo era un bambino come tanti altri,a cui piaceva giocare con gli amici a pallone, andare in bicicletta e correre a perdifiato nei grandi prati del paese. Inoltre gli piacevano le coccole che ogni giorno gli faceva il nonno e che ora però pensava di non poter ricevere più. I suoi occhi erano scuri come la pece e le sue guance paffute e lentigginose erano morbide,portava gli occhiali. Quella sera si addormentò tranquillamente,cullato dal dolce ricordo del suo amatissimo nonno. L'indomani mattina,fu svegliato dalla voce sqillante della mamma che lo invitava a prepararsi. Jo allora corse a vestirsi e poi si precipitò in cucina per la colazione. Circa un'ora dopo,lui e tutta la sua famiglia si trovavano davanti al cimitero. Jo aveva una certa paura ad aprire il cancello e questa era probabilmente data dalla consapevolezza che proprio lì, dove lui stava per entrare,vi si trovavano tutte le persone che avevano terminato la loro vita terrena. Nonostante ciò, spinto dal desiderio di rivedere il nonno, o perlomeno ricordarlo, si fece coraggio ed entrò. Quando fu davanti alla tomba del nonno, si avvicinò e lesse la lapide dove erano scritti a caratteri grandi, il nome e cognome del nonno. Jo, incuriosito, toccò la pietra che era liscia e levigata al tatto. Appena alzò lo sguardo però fu sorpreso da una visione straordinaria:il suo carissimo nonno era l ,davanti a lui e sembrava volergli esprimere tutto il bene che gli voleva. Dopo poco quella strana figura che gli era apparsa scomparve e Jo fu colto da una terribile ansia. Raccontò tutta la storia alla mamma che lo rassicurò dicendogli che tutto ciò che aveva visto era soltanto frutto della sua immaginazione. Al termine della celebrazione,Jo fu quasi contento di andarsene da quel luogo di paura. Tornato a


casa si chiuse in camera dove si mise a pensare a ciò che gli era successo poco tempo prima. Da quel giorno, tutte le mattine prima della scuola appariva a Jo,per pochi minuti,la figura, non ben definita del nonno, a lui tanto caro:era un uomo non molto alto,tozzo e paffuto,aveva una lunga barba brizzolata di cui pareva avere una particolare cura. Il suo volto,ruvido e rugoso contrastava con quello liscio e morbido di Jo, inoltre aveva un bastone in ricurvo in legno d'acero. In questi giorni, la sua ansia era sempre più forte,lui provò a dare una sua spiegazione a queste continue apparizioni pensando che l'unica intenzione del nonno era quella di trasmettergli affetto. Nonostante ciò,nemmeno sa spiegarsi il perchè decise di porre fine a questa terribile storia tornando sul luogo dove tutto era cominciato. Lì il nonno gli apparve per l'ultima volta e lo salutò,poi scomparve... MARTINA VENDETTA A GUSTO AMARO Sono una donna sulla quarantina d’anni, alta, in forma e atletica. Fin da piccola ho sempre amato i giochetti di logica e gli enigmi da risolvere. Ho i capelli neri, di un nero spento, gli occhi azzurri, azzurri limpidi. Il mio viso è ricoperto da due labbra carnose che coloro sempre di un rosso fuoco. Abito a Parigi, in un attico sopra la città, dalla mia finestra riesco ad intravedere la Tour Eiffel. Il mio attico è composto dalla mia stanza da letto, molto ordinata, un bagno abbastanza spazioso, la cucina, il salotto, con un divano color nocciola, una poltrona comodissima ed una scala a chiocciola che porta al piano superiore dove si trova una stanza preziosa: il mio ufficio! Lì dentro c’è una grande scrivania ricoperta di libri, di diverse dimensioni e documenti, con un armadio pieno di armi da difesa e costumi. Come lavoro faccio il detective, lavoro in un dipartimento chiamato CSI, assieme a Amy, Rebecca, Omar, Johnathan ed il nostro capo Meet. La mattina del ventiquattro novembre ero a casa, stavo facendo colazione, più tardi del solito perché la sera ero tornata a casa tardi a causa di un’indagine finalmente conclusa. Mi misi una giacca color rosa pastello con sotto una camicia a fiori e con dei pantaloni color carbone e delle scarpe con il tacco completavo il mio outfit, quando ad un certo punto suonò il telefono, sentii la voce di un famoso chirurgo estetico della città che parlava in modo spaventato e mi chiese se potevo incontrarlo subito. Di fretta presi l’ombrello, perché quel giorno pioveva e mi affrettai nel raggiungere l’ambulatorio. Appena arrivata una donna che dal volto sembrava terrorizzata mi incitò a seguirla nello studio del chirurgo. Entrata trovai molta confusione e in mezzo alla stanza c’erano Amy e Johnathan che mi stavano aspettando con le mani piene di oggetti da lavoro. Dietro di loro si nascondeva uno


spettacolo orribile: il cadavere di una donna coperto in parte da una tenda, con un livido al collo come se un uomo con un’arma l’avesse ferita con ferocia in un luogo sconosciuto e poi l’avesse trasportata e scaricata qui. La donna impallidita mi disse che l’aveva trovata qui la mattina mentre faceva le pulizie. Io, Johnathan e Amy ci mettemmo subito al lavoro: Amy prese delle impronte dal cadavere, Johnathan analizzò tutti gli oggetti che si trovavano sulla scena del crimine ed io trasportai in una barella il cadavere per portarlo al nostro dipartimento e farlo analizzare. Tornata sulla scena del crimine analizzai ogni prova possibile, ogni oggetto, ma niente, poi trovai dietro ad una tenda una pozza di sangue ed un bisturi, lo presi e lo portai al dipartimento. Interrogai il chirurgo, gli chiesi dov’era quella sera e che rapporti aveva con la vittima, lui mi rispose che era al bar con gli amici e che la vittima non l’aveva mai vista prima di quel momento. In fretta e furia tornai a casa per riposare un po’ ma fui svegliata dal telefono che squillava, era Omar, mi disse che dovevo tornare subito al dipartimento perché aveva trovato delle cose interessanti riguardo il cadavere. Mi vestii e quando arrivai, Omar mi prese con sé e mi portò nella stanza dove si analizzavano i cadaveri, mi disse che l’arma del delitto era un bisturi e che c’erano dei segni di lotta che mostravano che la donna aveva lottato con l’assassino. Omar prese un’impronta digitale dal cadavere e si venne a scoprire che la donna si chiamava Rosy Simbol ed era alta, bionda, sui 35 anni ed abitava in un vicolo di Parigi. Chiamai sua madre che in lacrime raggiunse il dipartimento, le feci un paio di domande e lei mi disse che Rosy non aveva nemici, anzi, e che lei non c’entrava niente con l’omicidio perché quella notte era in aereo in ritorno da un viaggio. Prima di uscire però mi chiese se avevano interrogato Robert, il chirurgo, perché mesi prima era stato il fidanzato di Rosy, poi lei l’aveva lasciato e lui si era arrabbiato molto. Quindi Robert mi aveva mentito, conosceva la vittima ed anche bene. Andai in quell’aeroporto e tutto si fece più chiaro, ora sapevo chi era l’assassino, era il chirurgo! Con un mandato, entrai con ferocia nell’ambulatorio, presi Robert, lo ammanettai e lo portai al dipartimento. Arrivati lo scaricai nella sala interrogatori e gli chiesi quasi urlando dov’era quella sera e che rapporti aveva con la vittima. Lui decise di non rispondermi e di stare zitto con gli occhi socchiusi. Poi dopo dieci minuti di silenzio si decise a rispondermi e mi disse che lui non c’entrava con l’omicidio perché quella sera era in un bar con gli amici, gli dissi che poteva usare tutte le scuse che voleva, ma Omar aveva trovato le sue impronte sul cadavere e sull’arma del delitto. Lui


cercò di scappare, quando io mi girai, ma degli uomini lo fermarono, così Robert si mise a piangere dicendo che voleva vendicarsi su Rosy in qualche modo perché l’aveva fatto soffrire. Senza esitazione lo portai nella cella B71. Andai dalla madre di Rosy, le feci le condoglianze e mi scusai per averla in qualche modo incolpata. Tornai a casa, distrutta da quella giornata, mi buttai sul divano e mi addormentai in un attimo. ALESSIA La finta gelosia della moglie Metà mattina. L’investigatore è a casa, intento a far colazione. E più tardi del solito, ma la sera è rientrato a casa a tarda ora a causa di un’ indagine finalmente conclusa. Suona il telefono: all’altro capo del filo c’è un famoso chirurgo estetico della città che parla in modo concitato, è spaventato e chiede di poterlo incontrare subito. L’investigatore si chiamava George ed era un uomo di media statura, paffutello, con la nuca pelata ed i capelli solo sulle tempie, aveva occhi scuri, naso aquilino e una sottile bocca coperta interamente dai dei lunghi baffi alla francese. L’investigatore indossava quasi sempre le camicie color pastello, un maglioncino in lana e i pantaloni neri con delle eleganti scarpe nere in vernice. Entrò nell’ambulatorio che era un luogo molto grande con un’ immensa vetrata, a destra della porta d’entrata si trovava il bagno, a sinistra c’era una specie di sgabuzzino dove il chirurgo si cambiava. I muri erano dipinti di un giallo chiaro con le tende bianche e dei drappeggi. L’investigatore vide il chirurgo tremante con le lacrime agli occhi e le mani sporche di sangue. George si avvicinò, notò che la vittima era una donna molto giovane con una folta chioma di lunghi capelli ricchi, il mento sporco di lucido di rossetto rosa. La ragazza indossava un vestito blu ricoperto di macchie di sangue. Non ci fu il tempo di osservare la scena del crimine poiché fu chiuso dai poliziotti in modo affrettato lo studio. Nel ritorno a casa l’investigatore ripensava e poi ripensava al chirurgo e con quale scopo il giorno dopo il delitto sarebbe tornato sulla scena del crimine e avrebbe cercato di salvare la donna priva di vita già da tempo, con quale furbizia l’uomo incolpato che affermava la sua innocenza sarebbe tornato su quel luogo. Un uomo che voleva passare la vita in prigione? No, George aveva capito che c’era qualcosa di sospetto, così decise di far visita al sospettato; andò in quel piccolo e tranquillo viale di Parigi, suonò alla porta e gli aprì una donna con i capelli alle spalle neri come l’ebano, gli occhi chiarissimi e si presentò come la moglie del chirurgo. Entrato chiese il permesso di parlare con il dottore, il quale giaceva sulla poltrona con aria triste a addolorata, George gli pose qualche domanda. “Mi scusi, dove si trovava all’ora dell’omicidio?” “Mi trovavo qui, ero appena tornato a casa dopo una lunga giornata di lavoro.” “Signore sa se qualcuno aveva un conto in sospeso con lei? Non so, un paziente? Una persona del passato?” chiese l’investigatore.


“No, vede signor George ho sempre avuto ottimi risultati nel mio lavoro, nessun cliente insoddisfatto, per quanto riguarda il passato: no, non ricordo, forse qualche bravata ma niente di grave” -­‐concluse il chirurgo. “Le porgo l’ultima domanda e mi scusi se sono indiscreto ma in che rapporti era con la vittima? La conosceva? Era un’amica?” “No, non avevo mai visto quella donna prima di questa mattina!” rispose in modo brusco l’uomo. L’investigatore lasciò la casa del chirurgo e nella strada del ritorno ripensava a che senso avesse che rispondesse cosi in malo modo ad una domanda scontata. C’era qualcosa che non andava. Passarono i giorni e l’investigatore non aveva ancora niente in mano e così passò di nuovo a casa del sospettato per porgergli qualche domanda. Il giorno seguente decise di andare nello studio per osservare con calma la scena del crimine. Vide che il lavandino aveva tracce di sangue, ne prese un campione, poi prese un campione di capelli che si trovava sulla tenda, ed era sicuro che non fosse stato della vittima, poi vide un bottone di una camicia. Portò tutto ad analizzare e nel frattempo tornò a casa del chirurgo per cercare gli abiti che in teoria avrebbe dovuto indossare il giorno del delitto ma non trovò niente, nessuna macchia di sangue su nessun indumento. Dopo un paio di giorni arrivarono i risultati e si scoprì che il sangue trovato in bagno e il capello trovato sulla tenda erano di una donna: la moglie del chirurgo e che il bottone era sporco del sangue della vittima. Ma perché la moglie avrebbe dovuto uccidere una donna ed incolpare il marito? George pensò e andò dai poliziotti per spiegare quello che era accaduto. Loro si precipitarono a casa del chirurgo, l’investigatore entrò e riunì la moglie con il marito ed iniziò a spiegare come era stato commesso il delitto. “Non è vero che non conosceva la donna, dopo varie indagini sono venuto a sapere che la ragazza era una sua paziente e siete stati avvistati in un ristorante anche la settimana scorsa, lo so benissimo che era solo un’ amica, solo che sua moglie non la pensava così, credeva che lei fosse la vostra amante. Caro chirurgo, la sera dell’omicidio vostra moglie appena lei era rientrato a casa le ha preso le chiavi dello studio, sapeva benissimo che quella sera avreste dovuto incontrare la ragazza ma a causa di un malessere non siete potuti andare . In ogni caso vostra moglie alla vista della ragazza nel vostro studio pensò al peggio, così impugnò il bisturi e cercò di colpirla, però ci fu una lotta, per quello si spiega il bottone caduto e i capelli sulla tenda, durante la lotta vostra moglie si ferì. Tornando a noi vostra moglie per rabbia colpì la ragazza e quando troveremo la famosa camicia vedremo degli schizzi di sangue. Dopo essersi resa conto di quello che aveva fatto ha cercato di mettere la donna dietro la tenda ed era sfrecciata a casa, non si era preoccupata più di tanto, mise le chiavi al suo posto, si cambiò e buttò gli indumenti nella lavatrice. Mia cara sembrava il delitto perfetto e se non fosse per la lotta lo sarebbe anche stato”, cosi concluse George. La donna scoppiò in un pianto liberatorio e disse al marito avvilito e deluso che aveva frainteso il rapporto che c’era tra la donna e lui, il fatto è che la vittima era giovane, bella al contrario di lei. Il marito non disse niente e lei fu condannata a quindici anni. Un paio di settimane dopo il chirurgo partì perché ebbe una promozione e non tornò più a Parigi dimenticandosi di tutto. Non voleva ricordare quella brutta esperienza e non voleva ricordare la moglie, sapeva che quando sarebbe tornato nello studio si sarebbe ricordato di tutto. ALICE


I MURATORI E L’ ALTRO MONDO Era una giornata d’ ottobre, molto calda, più del solito. La scuola di Cambridge era ancora in fase di costruzione. Girotta Costruzioni era il nome della compagnia che si occupava della costruzione della scuola, conosciuta come un gruppo di muratori strani ma molto seri nel proprio lavoro. La scuola era situata vicino al municipio di Cambridge, noto come uno dei più decorati della regione e apprezzato per l’allegria del paesino. La scuola, per più della metà era terminata e i muratori lavoravano sodo, arrivando la sera a casa bianchi di polvere come la lana della pecore. Bisogna sapere, inoltre, che a Cambridge non esiste solo il bellissimo municipio che dava gioia al paese, esisteva anche una parte buia, definita dagli abitanti “la parte dimenticata”. Qui era stata situata una giostra di oltre 40 anni, fatta portare per volere dell’ ex sindaco di Cambridge per far divertire i bambini, che ogni giorno arrivavano in gruppo, introducendo la monetina e giravano, cavalcando cavalli e carrozze in ceramica. Dal 1998, in un freddo giorno invernale, i bambini non si vedevano più da quelle parti. Il giorno stesso, la sera, verso l’ imbrunire, la giostra era stata coperta da un telo bianco panna. Da quel giorno questa parte diventò la parte buia del paese. Ogni sera la giostra veniva frequentata da un gruppo di muratori che lavoravano alla scuola di Cambridge, dopo una giornata di intenso lavoro. Alla stessa ora, né prima né dopo, i muratori alzavano una parte del telo, diventato ormai nero carbone dopo anni e anni, e si infilavano sotto, tra i cavalli e le carrozze. Tutto ciò veniva sempre osservato attentamente con il binocolo da Billo, dalla finestra dell’ appartamento dei suoi genitori. Vedeva questi muratori infilarsi sotto il telo, fino a quando la sua curiosità raggiunse un limite tale da spingerlo ad andare a vedere che cosa succedeva. Cosi la sera del giorno successivo con un’ ora prima dell’arrivo dei misteriosi muratori, a passi di volpe Billo si infilò dentro e rimase bloccato quando aveva visto una specie di portale sulla grande colonna che reggeva la giostra a forma di cerchio, realizzato con stampi di zampe di gatto. Si era avvicinato ancora di più, quando però sentì il crepitio delle foglie e si nascose dietro a un cavallo della giostra e con il capo appena sopra di questo spiò i muratori. Incredibilmente vide le mani di essi, consumate dal duro lavoro, trasformarsi in zampe di gatto finissime e ognuno dei muratori appoggiò la zampa a un’ impronta di un gatto sulla colonna e si aprì un portale viola e uno a uno i muratori gatto saltarono dentro a esso. Billo vide un libro per terra, lo raccolse e una volta che i muratori entrarono nel portale viola, lo portò a casa. Una volta aperto il libro, rimase sorpreso e vide tutto un linguaggio codificato dei muratori e così non riuscì a scoprire che cosa ci fosse al di là del portale e ancora adesso è un mistero, “ il mistero del portale di Cambridge”. BOGDAN


Lo specchio maledetto È mezzanotte. In casa dormono tutti, tranne Harry: è troppo curioso di visitare la villa in cui aveva traslocato quel giorno. Ieri non ha avuto il tempo necessario, perché doveva aiutare mamma e papà a sistemare i mobili e gli utensili nella loro nuova residenza. Harry è un ragazzo di quattordici anni, statura media, occhi azzurri, capelli castani ed un’ incontenibile curiosità. I suoi genitori avevano ricevuto la villa in eredità da un loro antenato, conosciuto da tutti in paese per la sua ricchezza e per quell’ombra di mistero che portava dietro di sé; e, proprio nel mistero, scomparve, la notte del lontano 17 Marzo 1980. La villa era piuttosto grande, molto ordinata e con mobili antichi e pregiati. Come dicevo, Harry non riusciva ad addormentarsi, e così saltò giù dal letto, si vestì e, in punta di piedi, passò una ad una tutte le stanze della nuova casa. Stava per tornare a letto, quando vide una piccola porticina in fondo al corridoio, che non aveva notato. Così Harry si avvicinò e si accorse che era molto diversa dalle altre: prima di tutto era molto piccola, costruita con legno di noce, aveva una maniglia d’oro massiccio e una targa con scritto: “NON ENTRARE”. Harry non ascoltò quell’avvertimento e provò ad aprirla, ma si accorse che era chiusa a chiave, così andò in cucina e, da un cassetto della credenza tirò fuori un mazzo con molte chiavi, e le passò ad una ad una, finchè non trovò quella giusta; la infilò nella serratura e girò. Appena l’aprì, Harry fu investito da una sensazione di freddo, e un brivido gli percorse tutta la schiena. Il ragazzo fece finta di niente ed entrò: all’interno, con suo grande dispiacere, c’era solamente un grande specchio. Harry si girò e fece per tornare indietro, ma, improvvisamente la porta si chiuse: il ragazzo provò ad aprirla, ma invano. Provò anche a chiamare i genitori, ma era troppo lontano perché lo sentissero. Ad un certo punto Harry sentì delle urla, dei gemiti, provenire dallo specchio e, contro la sua volontà, qualcosa lo stava attirando verso quest’ultimo. Subito Harry pensò che fosse uno scherzo ben architettato, ma cambiò idea non appena vide l’immagine nello specchio: non era la sua, ma quella di un’altra persona la cui faccia era familiare; ci pensò un attimo e poi esclamò: “Ma certo! E’ il mio antenato scomparso, l’ex proprietario della villa!”. Harry riflettè sul da farsi e, involontariamente, appoggiò la mano sullo specchio e, con sua grande sorpresa, si accorse che la mano non restava salda allo specchio,


bensì lo attraversava. Allora Harry pensò “Così potrò salvare il mio avo e riportarlo alla vita reale!”. Presa questa decisione immerse prima la mano, dopo la gamba e, proprio quando stava per immergere anche la testa, sentì un rumore di passi veloci e decisi. Poco dopo sua mamma entrò sbattendo la porta e disse urlando: “No, figlio mio, non farlo, quello è uno specchio maledetto, costruito dal nostro antenato per usarlo come prigione, ma qualcosa è andato storto durante la sua costruzione, e lo specchio lo ha risucchiato in un'altra dimensione, la dimensione inversa, ed è impossibile tornare indietro!”. Harry provò a tornare indietro, ma ormai era troppo tardi: provò a tirare con tutte le sue forze e in suo soccorso venne anche sua mamma, ma ormai non c’era più niente da fare: lo specchio risucchiò non solo Harry ma anche la mamma. Il giorno dopo il padre di Harry, non trovandoli, chiamò la polizia, ma non trovarono niente e nessuna prova. Questo caso è tuttora aperto, nella speranza che qualcuno scopra la verità che cela lo specchio… Davide Cara AMICA , è da tanto che non ci sentiamo e oggi ho proprio voglia di scriverti. Voglio farti sapere che cosa penso riguardo l'amicizia. Essa si può paragonare all’amore , perché se l’amico che hai è un vero amico ti vorrà bene anche quando lo farai arrabbiare . Per me l’amico è una persona affidabile , che non dirà mai i tuoi segreti ad altra gente , è sincero perché se sentirà della gente parlare male di te , te lo dirà subito . Il vero amico è quella persona che ti aiuterà anche nei momenti più difficili della vita . L’amico è simpatico e divertente, è una persona molto speciale, la più importante che esista . In questo periodo ho molta voglia di divertirmi con gli amici , in particolare io ho tre amiche molto speciali , i loro nomi sono Noemi , Alessia e Michela, con loro mi trovo sempre bene, perché sono simpatiche, divertenti e a volte anche un po’ pazze . Noi siamo cresciute insieme , ci conosciamo dalle elementari , ci vogliamo molto bene e spero che la nostra amicizia duri molto . Se devo dire la verità mi manchi molto, a volte penso all’amicizia e mi faccio delle domande come per esempio << Come si fa a capire quali sono i veri amici e quali invece fingono di esserlo e poi parlano male di te ? Esiste qualcosa che hanno solo i veri amici ? >> Se hai la risposta a questa domanda per favore dimmela . Sai, a volte penso anche a noi, penso a quando mi venivi a trovare e giocavamo a diversi giochi come : Le Olimpiadi in cui facevamo i giochi fatti alle olimpiadi , le sfilate ….. Adesso


ci vediamo massimo due o tre volte l’anno e questo mi fa sentire triste perché non abbiamo neanche il tempo di parlare di noi e di giocare . Mi manchi molto , spero che tu mi venga a trovare presto !!! GLORIA STORIA DEL PICCOLO GOBBO …..Termina il racconto “C'era una volta a Gasgar, ai confini estremi della grande Tartaria un sarto,il quale aveva un moglie bellissima,che egli amava assai e dalla quale era molto amato. Un giorno,mentre lavorava,un piccolo gobbo venne a sedersi sull'ingresso della bottega e si mise a cantare,suonando un tamburello. Il sarto ebbe gran piacere nell'udirlo e decise di condurlo nella sua casa per divertire sua moglie. Il gobbetto aveva delle gambe corte e piene di nei, gli occhi neri come la notte, i suoi capelli erano rossi come il fuoco, aveva delle orecchie piccolissime che appena riuscivi a vederle e delle manine piccole. Quando il gobbo entrò nella casa del sarto vide tantissimi abiti di varie forme e di vari colori. Il piccolo gobbo pensava che non avrebbe mai potuto fare questi lavori,perché le sue mani erano piccolissime,ma il sarto voleva un aiutante che avesse le mani minuscole. Il sarto chiese al gobbo se voleva lavorare per lui. Il gobbo quando senti questa domanda dal sarto rispose un sì con tutta la sua felicità. Il secondo giorno il gobbo tornò e cominciò a lavorare. Dalle sue mani uscivano abiti straordinari di varie forme e di vari colori. Il sarto era felice di avere questo aiutante speciale .Tutti gli abitanti venivano a comperare questi abiti fatti dal gobbetto che era il più famoso sarto della regione. Ma,in un giorno,un gobbo malefico apparve nella città per tagliare le mani al gobbetto. In una notte tranquilla il gobbetto malefico andò alla casa del gobbetto buono e ad un certo momento tirò fuori dalla sua tasca una forbice grandissima parlante per tagliargli le mani. Quando il gobbo malefico appoggiò la forbice sulle piccole manine del gobbetto ,lui si sveglio e tirò una pacca al gobbo malefico che svenne. Il secondo giorno il gobbo malefico si svegliò,e dalla paura che aveva del gobbetto scappò via da lì. Il gobbo buono dopo aver visto che il gobbo malefico era scappato via trovò la forbice parlante dell'altro gobbo. Così continuò il suo lavoro…. GABRIEL


Santa'Anna d'Alfaedo

Caro Pietro, ti scrivo questa lettera per spiegarti quali attività suscitano maggiormente il mio interesse. L'attività che mi piace di più è una piccola recita che prepariamo in classe, che fra qualche settimana sarà vista dagli alunni di prima elementare. In questa recitina partecipa tutta la classe, io svolgo il ruolo di un sarto che cerca in ogni modo di far diventare sua moglie una donna felice e buona, con l'aiuto di un povero gobbo che suona il flauto. Il gobbo gli indica di andare nel deserto dove c'è una capanna viola in cui ì troverà la pozione arcobaleno, che cambierà la vita di sua moglie. Così il sarto parte e arriva a destinazione, ma per portarsi via la pozione dovrà saper indovinare tre indovinelli che la maga gli sottoporrà. Il sarto indovinerà tutti e tre gli indovinelli e avrà la pozione arcobaleno e tornerà felice a casa. Darà questa pozione a sua moglie che diventerà gentile, quindi lui organizzerà una festa dove ci saranno pagliacci, ballerini e maghi; dopo questa festa la recitina finirà. La seconda attività di cui ti voglio parlare e che mi piace è un gioco antico di nome s-­‐cianco che ci ha proposto la prof. di educazione fisica. Questo gioco, in cui io gioco malissimo, consiste nel tirare un rombo di piccole dimensioni, più lontano possibile dalla base con un manico di 40cm. Il rombo si chiama s-­‐cianco e il manico si chiama manego. In seguito ci sarà anche un torneo di questo gioco. Sono contentissimo di svolgere queste attività!!! Con Affetto IVAN



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