La violenza contro le donne d'ingeo roberta 3a

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Roberta D’Ingeo III A


Lei mi odia maledettamente, e mi piace Aspetta, dove stai andando? Ti lascio No, non lo farai, torna qui Stiamo tornando indietro, eccoci di nuovo è pazzesco, perché quando tutto va bene, va alla grande io sono Superman con il vento dietro di me, Lei è Louis Lane, ma quando va male è terribile Mi vergogno così tanto, mi chiedo in modo seccato: chi è quel tizio? Non so neanche il suo nome, ho messo le mani su di lei Non mi ero mai abbassato così tanto, credo di non conoscere nemmeno la mia forza. (Tratto dalla canzone “Love the way you lie”)


Secondo uno studio del 1999 basato su 50 ricerche svolte in tutto il mondo, almeno una donna su tre, nel corso della sua vita, è stata picchiata, costretta a rapporti sessuali o maltrattata.


Il fenomeno non riguarda solo un determinato sistema politico o economico, ma è presente a livello mondiale in qualsiasi società , indipendentemente dal grado di benessere, dalla razza e dalla cultura.


Le violenze di cui sono vittime le donne possono essere raggruppate in tre grandi categorie a seconda dei luoghi in cui si esercitano, e cioè la famiglia, lo Stato e la collettività . Per ciascuna di queste categorie le violenze possono essere di tipo fisico, psicologico o sessuale.


La violenza all’interno della famiglia comprende le percosse da parte del partner e le violenze psicologiche, ma soprattutto le violenze a carattere sessuale: abuso sessuale di bambine, stupro da parte del coniuge.


La violenza istituzionale comprende tutte le forme di violenza esercitate o tollerate dallo Stato. In molti Paesi le leggi e la mentalità sono apertamente discriminatorie. Le donne non hanno il diritto di guidare, di votare, di scegliersi il marito, di ereditare, di aprire un conto in banca. A volte devono anche subire pratiche stabilite dalla tradizione: mutilazioni genitali, crimine d’onore, infanticidio selettivo, che priva innumerevoli donne della vita stessa.


La violenza sociale ed economica è quella esercitata sul luogo di lavoro, a scuola, nella collettivitĂ in generale. Anche quando sono protette dalla legge e non subiscono alcuna aggressione o pratica discriminatoria ufficiale, nella vita quotidiana le donne sono sottomesse a violenze meno visibili ma che rivelano ugualmente delle ingiustizie connesse alla loro appartenenza al genere femminile, contrapposto a quello maschile: possibilitĂ diverse di accedere all’educazione e al mercato del lavoro, disuguaglianza dei salari, dei contratti e delle carriere, ripartizione ineguale dei compiti domestici.


La Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne adottata dalle NAZIONI UNITE nel 1993 stabilisce che “sono violenza contro le donne tutti gli atti di violenza diretti contro il sesso femminile, che causano o possono causare alle donne un danno o delle sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, l’assoggettamento o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata”.


Secondo la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne, questa violenza “è la manifestazione di un rapporto fra uomini e donne storicamente disuguale che ha condotto gli uomini a prevaricare e a discriminare le donne, frenando la loro emancipazione, ed è uno dei principali meccanismi sociali ai quali è dovuta la subordinazione delle donne agli uomini”.


Questo tipo di violenza è ciò che si chiama violenza di genere, praticata cioè sulla base dell’appartenenza al genere maschile (che la esercita) e al genere femminile (che la subisce). La sua enorme diffusione non significa che è naturale o inevitabile, ma piuttosto che è l’espressione di valori e tradizioni storicamente e culturalmente radicati, alla base dei quali c’è la volontà da parte dell’uomo di affermare e mantenere il proprio dominio sulla donna, e la difficoltà da parte di quest’ultima di ribellarsi.


Povertà, emarginazione, analfabetismo, ma anche paura, vergogna, prostrazione, perdita di autostima, sfiducia nella giustizia, impediscono a molte donne di difendersi o di reagire agli abusi. Per uscire dal circolo vizioso della violenza bisogna fornire alle donne i mezzi per riappropriarsi dei loro diritti, ma soprattutto abbandonare l’ideologia della supremazia maschile. L’intervento di organismi internazionali, governi locali e associazioni per la difesa dei diritti umani sono importanti, ma fino a quando gli schemi di pensiero dominanti saranno quelli che legittimano queste violenze, non potranno agire diversamente, non solo gli uomini, ma nemmeno le donne. L’evoluzione delle mentalità passa per una presa di coscienza collettiva, uomini e donne insieme, e attraverso l’educazione delle generazioni future.



Una famosa sentenza indiana recita: “Quando è ragazza, dipenda dal padre; dal marito quando è giovane; dai figli alla morte: la donna non sia mai indipendente”. La negazione del valore della donna in quanto tale, e non solo per la sua posizione di moglie e di madre, consentì la diffusione della pratica del suicidio rituale compiuto dalle vedove che spesso si immolavano sul rogo del marito.


Il buddhismo considera la violenza contro le donne un atto gravissimo. Le donne danno la vita e in questo senso sono superiori agli uomini.


Nella tradizione confuciana la donna non gode di una grande considerazione. Così dice un antico proverbio cinese: “Quando torni a casa la sera, picchia tua moglie. Tu non sai perché lo fai, ma lei si”.


Nel CORANO si legge: “Gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle; le donne sono dunque devote a Dio e sollecite della propria castità, così come Dio è stato sollecito con loro; quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele; ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per maltrattane; ché Iddio è grande e sublime:’ (Sura IV, 34).


Nell’ebraismo permangono, derivanti dalle tradizioni arcaiche, prescrizioni e tabù relativi alla sessualità, sentita come impura e peccaminosa. In una società maschilista il sospetto e il timore della carne si traduceva in sospetto per la donna: l’uomo viene sollevato dalle sue responsabilità con la scusa della provocazione della donna, ed è su quest’ultima che si scarica la colpa. Nella tradizione ebraica gli uomini si rivolgevano in questo modo a Dio: “Che tu sia benedetto, Signore, perché non mi hai fatto gentile, donna o ignorante!”, mentre le donne si rassegnavano a dire: “Che tu sia lodato, Signore, perché mi hai fatto secondo il tuo volere!” Eppure nella RIVELAZIONE divina si afferma con chiarezza che l’uomo e la donna hanno pari dignità davanti a Dio: “E Dio creò l‟uomo a sua immagine. A immagine di Dio lo creò. Maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). Ciò significa che la dignità dell’uomo e della donna è determinata dal fatto di essere immagine di Dio, indipendentemente dalla loro caratterizzazione sessuale.


Considerando la tradizione antifemminista propria delle società arcaiche filtrata nell’ebraismo prima e nel cristianesimo poi aggravata dall’esegesi del primo capitolo del Genesi che vedeva nel peccato originale un peccato di sesso e ne addossava la responsabilità primaria alla donna si comprende perché Tertulliano parli della donna come di porta dell’inferno e Clemente d’Alessandria affermi “Ogni donna dovrebbe essere oppressa dalla vergogna, al solo pensiero di essere donna”. Naturalmente il pensiero della Chiesa si è evoluto in direzione di una maggiore apertura nei confronti della donna: fino a non molti decenni fa alle donne non era consentita la lettura del Vangelo durante la Messa e il semplice accesso al presbiterio. Rimane ancora aperta la questione dell’esclusione dal sacerdozio, che impedisce tuttora alla donna di avere una posizione di reale parità nell’ambito ecclesiale. Eppure ecco ciò che si legge nel Catechismo: “L‟uomo e la donna sono creati, cioè sono voluti da Dio. in una perfetta uguaglianza, per un verso, in quanto persone umane, e, per l‟altro verso, nel loro rispettivo essere di maschio e di femmina. „Essere uomo‟, „essere donna‟è una realtà buona e voluta da Dio: l‟uomo e la donna hanno un „insopprimibile dignità, che viene loro direttamente da Dio, loro Creatore. L‟uomo e la donna sono, con una identica dignità, „a immagine di Dio Nel loro essere uomo ed essere donna riflettono la sapienza e la bontà del creatore (Catechismo della Chiesa cattolica n 369).



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