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IL GELSOMINO

Rivivo il fischio, e il canto, della mia antica e bianca nonna, quando indaffarata stava, nella sua casetta. Una gonna la sua vestaglia aveva, e quando stirava, la sua voce langueva, come un pianto. Io ero piccino, ed ero lontano. Dall'altra stanza sentivo il suo fischio, mentre giocavo, e mi chiedevo: "mia aspra nonna, che maledici il mondo, e ogni sua donna, ed ogni tuo avo: perché regali la voce del tuo cuore più puro al creato? E perché questi bianchi fiorellini ami così tanto, da farne il teatro?" Seguitavi, mentre capavi i fagiolini, ed io pure fischiavo sul balcone, e mentre t'ascoltavo, soffiavo bolle di sapone. Con loro io volavo nell'immenso, e nel vento più fresco! Tu pure giocavi, e stornelli arditi al sole levavi, in un bel romanesco! Quando muovo il mio sguardo in alto, verso il blu, io ti sento ancora. In ogni bolla di sapone che il codardo vento sfida, lassù, la tua voce riaffiora.

Ma è quando vien la primavera che il ricordo mio di te sgorga al mattino, nell'ora sua più vera.

È qui che io riscopro quel bambino, ammaliato dal tuo lontano canto, pieno d'incanto, fra il gelsomimo.

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