Zona SISMica - Febbraio 2015

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NUMERO 20|FEBBRAIO 2015

IL FUTURO NON È CHE UNA PROIEZIONE DEL PRESENTE SUI FONDAMENTI DEL PASSATO

Tucidide

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Numero 20 | Febbraio 2015

SISM Il SISM - Segretariato Italiano Studenti in Medicina è un’associazione noprofit creata da e per gli studenti di medicina. Si occupa di tutte le grosse tematiche sociali di interesse medico, dei processi di formazione di base dello studente in medicina, degli ordinamenti che regolano questi processi, dell’aggiornamento continuo dello studente e riesce a realizzare tutto ciò attraverso il lavoro di figure preposte a coordinare i diversi settori sopraddetti sia a livello locale che nazionale. Il SISM è presente in 37 Facoltà di Medicina e Chirurgia sparse su tutto il territorio. Aderisce come membro effettivo all’IFMSA (International Federation of Medical Students’ Associations), forum di studenti di medicina provenienti da tutto il mondo riconosciuto come Associazione Non Governativa presso le Nazioni Unite.

LA REDAZIONE Coordinatore di Progetto Maria Luisa Ralli - Sede Locale di Siena Redazione Ilaria Rossiello - Sede Locale di Ancona Carlo Chessari - Sede Locale di Catania Caterina Pelligra- Sede Locale di Parma Noemi Streva - Sede Locale di Siena Stefania Panebianco - Sede Locale di Messina Lucia Panzeri - Sede Locale di Monza Publications Group Coordinator Paolo Miccichè - Sede Locale di Palermo

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info: zonasismica@sism.org www.sism.org


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INDICE EDITORIALE di Maria Luisa Ralli IL SALUTO DEL PGC di Paolo Miccichè IL SISM CHE CAMBIA : LA RIFORMA DEI PROGETTI di Luca Tirloni e Marco Lamarmora DISASTERSISM OUTBREAK! TUTTO QUELLO CHE VORRESTE SAPERE SULLA MEDICINA DEI DISASTRI di Giancarlo Bruno WCD: WORLD CANCER DAY - GIORNATA MONDIALE DELLA LOTTA AI TUMORI di Mariangela Pasqualoni CLINICHE SOLIDALI DI SALONICCO: UN ESEMPIO DI ATTIVISMO POLITICO di Letizia Lorusso ERINNERRUNG MACHT FREI - LA MEMORIA RENDE LIBERI di Ilaria Ponziani e Pietro Simone Filitto MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI - THE CUTTING TRADITION

di Noemi Streva, Stefania Panebianco, Martina Manoli

HEALTH IS A HUMAN RIGHT: DO SOMETHING, DI BETTER, DO MORE di Claudia Marotta CARA ITALIA di Nadin Kanaa

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EDITORIALE Maria Luisa Ralli 3,2,1…il countdown è finito! La voce del SISM torna a farsi sentire” Vi siete persi l’ultimo Congresso e non sapete quali sono stati i cambiamenti attuati dalla Project Support Division? Niente paura il Segretario Nazionale Luca Tirloni e l’attuale Coordinatore Marco Lamarmora vi spiegano che cosa è successo con la Riforma dei Progetti mentre Giancarlo Bruno vi guiderà attraverso il magico mondo della “medicina dei disastri con “DisasterSISM out break!” Zona Sismica torna a “tremare” attraverso approfondimenti riguardanti gli ultimi due mesi! Il 27 Gennaio è ricorsa la 40° Giornata della Memoria ,Ilaria Ponziani e Pietro Filitto vi ricordano con un articolo le atrocità dei campi di concentramento per mano di medici. Sempre a Gennaio, in Grecia, è salito al governo Alexi Tsipras che avrà il compito di risolvere non poche problematiche di ordine socioeconomico,anche in materia di salute. Come già la nostra ex Norp ha scritto su Vox in proposito delle “cliniche solidali greche”, Giacomo Trento vi

aprirà le porte di una di queste spiegandovi da vicino la sua esperienza. Febbraio è un mese ricco di giornate tematiche. Se ve ne siete persa qualcuna, niente paura Mariangela Pasqualoni vi spiegherà quanto sia importante la prevenzione per la lotta contro i tumori nell’articolo “World Cancer Day” e Noemi Streva, Stefania Panebianco e Martina Manoli vi spiegheranno che cosa c’è dietro al mondo delle “mutilazioni genitali femminili”. Con questi articoli deve essere chiaro che la salute è un diritto inalienabile dell’uomo e che bisogna fare qualcosa per renderlo concreto, come? Ve lo spiega Claudia Marotta nell’articolo in proposito dell’intervento di Marmot nel workshop “Equità nella salute: come fare rete per passare dalle parole ai fatti.” Vi saluto e vi aspetto per il prossimo numero con una lettera all’Italia di Nadin Kanaa che ci serve per ricordarci quanto bello sia il nostro “stivale”

IL SALUTO DEL PGC Paolo Miccichè Anno Nuovo Zona SISMica nuova! Ebbene sì, il 2015 riprende con un nuovo numero, bello tondo, il 20° numero della rivista! Nell’editoriale potrete sbirciare le novità di questo mese, ma oltre agli articoli c’è anche una Redazione tutta nuova di zecca! E allora presentiamoli: Carlo Chessari - CE ed eventi; Lucia Panzeri - SCOME; Ilaria Rossiello - SCOPH; Stefania Panebianco - SCORA;

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Noemi Streva - SCORP; Caterina Pellegrino - SCOPE/SCORE. E ovviamente la nostra esplosiva Responsabile di Progetto: Maria Luisa Ralli! Anche quest’anno troverete tanti inserti e articoli scritti dai membri del SISM della Redazione e non! E ovviamente, come ormai saprete, ogni socio SISM può scrivere un articolo, basta contattarci! E allora cosa aspettate?! Zona SISMica aspetta anche TE!

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IL SISM CHE CAMBIA: LA RIFORMA DEI PROGETTI Luca Tirloni e Marco Lamarmora Venti di novità spirano in casa SISM. Durante il XLV Congresso Nazionale, tenutosi a Castellaneta Marina (Taranto) e organizzato dalla Sede Locale di Bari, l’Associazione, oltre all’elezione del nuovo Team of Officials, ha adottato alcune riforme degne di nota e che rappresentano una svolta della vita associativa. Tra queste, la Riforma dei Progetti del SISM, proposta dalla Project Support Division, coordinata durante l’anno associativo 2013/2014 da Luca Tirloni, rappresenta un importante cambiamento che coinvolge trasversalmente tutto il SISM. La Riforma ha tra le sue motivazioni anche il perseguire uno degli obiettivi del Piano Strategico Associativo 2012-15, in cui è specificata la necessità di una ricerca di uno “Sviluppo di un percorso progettuale sistematicamente condiviso tra Officer Locali e Nazionali volto al raggiungimento di cambiamenti concreti nella società promuovendo la creazione, la continuità e la diffusione capillare sul territorio”. L’Associazione è andata incontro negli ultimi anni ad una grossa evoluzione, soprattutto per quanto riguarda le relazioni con partner esterni e istuituzioni a vari livelli. Questa crescita rende necessario che la struttura interna si rafforzi e stabilizzi. I progetti del SISM sono sia una vetrina sia ciò che sostiene la struttura associativa. Sono il prodotto finale del lavoro dell’Associazione, a disposizione degli studenti in Medicina e della popolazione in generale. Sono il mezzo con cui ci si avvicina alla Vision dell’Associazione. È necessario per avere la giusta efficacia che un progetto segua il giusto percorso di ideazione, costruzione e realizzazione. Affinchè questo avvenga, è necessario che la struttura stessa dell’Associazione sotenga e supporti questo percorso. In quest’ottica si è mossa la Project Support Division 2013/14, coordinata da Luca Tirloni. www.sism.org

<Alla luce della realtà associativa e delle riflessioni portate avanti dai passati Team of Officials -spiega Luca- è emersa chiaramente la necessità di riformare le modalità con cui l’Associazione e il Consiglio Nazionale gestivano i progetti del SISM. I progetti devono essere le punte di diamante dell’Associazione, con alta qualità, grande impatto e dati concreti che evidenzino un cambiamento effettivo. Per raggiungere ciò è necessario agire sia a livello locale che nazionale. Il lavoro nelle Sedi Locali deve essere a cura dei singoli Officer di Area, io e la PSD ci siamo concentrati in particolare sul rinnovo della struttura dei Progetti a livello nazionale definendo dei criteri e dei passaggi utili a supportarlo il più possibile e a permettere di lavorare con un alto grado di efficacia. L’idea di base è che i Progetti Nazionali non esistano come isole scollegate dal lavoro del Team of Officials, ma questi devono inserirsi pienamente nel più ampio progetto che viene portato avanti: il raggiungimento della vision associativa>. I progetti sono stati ufficialmente suddivisi in quattro categorie: Locali, Nazionali, Internazionali ed Endorsed. I Progetti Locali e Internazionali non hanno subito sostanziali modifiche. Sono i Progetti Nazionali ad aver avuto una profonda modifica della loro natura, si è ricercata la massima uniformità tra le Sedi Locali in cui sono presenti e sono stati introdotti alcuni accorgimenti utili a garantire una qualità quanto più possibile elevate, raggiungibile anche grazie ad un costante controllo e monitoraggio della loro realizzazione tramite, ad esempio, l’impostazone di strategie valutative efficaci sia durante che alla fine del progetto. La figura del Coordinatore di Progetto avrà dunque l’importante ruolo di perseguire gli standard di eccellenza richiesti a ogni progetto. Infine, durante l’ultimo Congresso le Sedi Locali hanno stabilito che il Coordinatore venisse eletto ogni anno dal Congresso Nazionale durante la

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Numero 20 | Febbraio 2015 Seduta Autunnale e non nominato dal CN, come aveva proposto la PSD. Lo status di Progetto Nazionale è riconfermato ogni due anni durante la Seduta Autunnale del Congresso. La vera novità è invece rappresentata dai Progetti Endorsed. Endorsed è uno status che viene attribuito dal Consiglio Nazionale ad un progetto ritenuto meritevole e interessante, garantendo un costante sostegno a coloro che lo propongono e permettendo il corretto sviluppo dello progetto in ottica di ottenere lo status di Progetto Nazionale. Questo sistema risulta necessario per fare in modo che i Progetti Nazionali raggiungano il livello citato prima. Durante il Congresso di Bari i progetti “STEP – Sudan Tropical Exchange Program”, “Wolisso Project” e “Smile X Project” sono stati riconfermati Progetti Nazionali del SISM e da quest’anno saranno accompagnati da “Ospedale dei Pupazzi”, “DisasterSISM”, “La Isla”, “TIPE – Training Italiano in Peer Education”, “Workshop – Il conflitto di interessi nella pratica medica”, “TNT Training for New Trainers” e “Zona SISMica” dal quale scriviamo. Quali sono le prospettive per il prossimo anno? A questa domanda rispone Marco Lamarmora, Project Support Division Coordinator 2014/15: <Come ha già detto, in parte, Luca, il ritocco del Regolamento riguardo il capitolo Progetti non è una pura revisione della formalità, perché non è la forma il fine della riflessione portata avanti lo scorso anno dalla PSD, direi piuttosto che si tratta del mezzo attraverso il quale raggiungere il vero fine: definire cosa significa Progetto Nazionale. Questo perché quando si definisce qualcosa è perché si cerca di discernerne l’essenza stessa e delinearne le qualità e le conseguenze che ne scaturiscono. In quest’ottica l’evaluation di un progetto, ad esempio, è la sua carta d’identità perché ne decifra gli obiettivi, attraverso una chiave di lettura che non può che esserne la definizione, tramite dati reali e comprensibili da tutti. Ma non basta la forma, bisogna scavare all’essenza. Come diceva Tucidide: “Il futuro non è che una proiezione del presente sui fondamenti del passato” e, se definiamo, in quest’ottica, progresso come una condizione nel futuro migliore del passato, allora non possiamo che cercare nella memoria storica e

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nell’analisi della situazione attuale una lettura logica del futuro e dei punti chiave per modificarlo e tendere ad evolvere. E’ questa, secondo me, la direzione su cui lavorare: un’evaluation legata alla realtà in cui il progetto s’inserisce, presente e passato che ci aiutino a capire dove ci porta il futuro. Se i Progetti Nazionali sono le punte di diamante della nostra Associazione, allora è bene raffinarli, intagliarli e lavorarli perché possano riflettere l’impegno come una vera nuziale al matrimonio fra vision e mission>. I progetti sono una parte fondamentale del SISM. Con questa riforma si può puntare a raggiungere risultati sempre più elevati, non solo per i progetti nello specifico, ma per l’intera Associazione.

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DISASTERSISM OUTBREAK! TUTTO QUELLO CHE VORRESTE SAPERE SULLA MEDICINA DEI DISASTRI Giancarlo Bruno Da ragazzino, rimanevo sempre scosso da avvenimenti e notizie riguardanti eventi calamitosi. Ricordo, come se fosse ieri, quanto mi tenne incollato al televisore la vicenda del Word Trade Center dell’ 11 Settembre 2001; ricordo quanto mi turbò la visione di quelle dure immagini dell’ “Onda Anomala” del 26 Dicembre 2004, di quanto mi hanno fatto riflettere gli attentati di Oslo ed Utøya del 22 Luglio 2011, la recentissima vicenda del traghetto Norman Atlantic nel Dicembre scorso, o della complessa gestione dell’Emergenza Sanitaria ancora attiva riguardante l’Ebola. Ho sempre guardato a questi eventi con molta apprensione da un lato, interrogandomi sul cosa avrei fatto io in quelle stesse situazioni e devo dire che, nonostante la formazione ricevuta, la risposta non è di così facile comprensione. Dall’altra parte però, ho sempre cercato di pensare, da studente di Medicina e non, alla difficoltà di chi avrebbe dovuto gestire i soccorsi, gli aiuti, la sicurezza delle vittime e di chi avrebbe dovuto organizzare la complessa assistenza sanitaria, considerando che ,ad ogni evento catastrofico, corrisponde una precisa categoria di patologie e passi da seguire. Non essendo tali situazioni così rare oggi, bisogna essere adeguatamente preparati a gestirle. In questa ottica, si colloca il Progetto che mi trovo a coordinare: sono Giancarlo Bruno, Coordinatore Nazionale del Progetto 2014/2015! Il progetto DisasterSISM è un progetto divenuto Nazionale durante lo scorso Congresso Nazionale tenutosi a Bari nel Novembre 2014, ma che affonda le sue origini nel lontano 2007 quando la nostra associazione iniziò la collaborazione con il Centro di Ricerca in Medicina D’Emergenza e dei Disastri (CRIMEDIM) di Novara, divenuto ormai uno dei nostri più importanti partner, e che, finalmente, dopo anni di lavoro ha assunto una sua precisa collocazio ne nell’ambito della Formazione in Medicina, proponendosi come un www.sism.org

progetto d’eccellenza riconosciuto anche dall’IFMSA nello corso August Meeting Taiwan 2014! Perchè impari a conoscere il mondo e come esserne parte attiva Il progetto è articolato in tre diversi livelli: alla base, abbiamo il corso di formazione denominato “DisasterTEAM”. Il corso, ormai alla sua terza edizione, si appresta a formare un numero sempre maggiore di studenti, soci SISM, che appassionati di questa vasta branca della Medicina, vogliono acquisire conoscenze medio-avanzate in ‘Disaster Management’ e, soprattutto, vogliono mettersi in gioco, acquisendo competenze e strategie educative che serviranno loro per condurre i prossimi corsi “Basic DisasterSISM”, presso le Sedi Locali della nostra associazione. Nello scorso anno, in 10 Sedi Locali si sono tenuti i primi corsi Basic, gestiti proprio dai formatori già presenti. Sono stati circa 250 gli studenti di Medicina di tutt’Italia che hanno sperimentato una didattica innovativa e di eccellenza.Durante il corso, la conoscenza dei rudimenti della materia passa attraverso una piattaforma ‘E-learning’ dedicata e caratterizzata da lezioni frontali, esercizi di ‘Peer Education’, simulazioni paper-based e case reports, e da una simulazione finale in ambiente virtuale table-top, durante la quali i partecipanti sono chiamati a gestire i primissimi istanti di una MaxiEmergenza. Può sembrare strano che tutto questo lavoro, complesso e gratificante allo stesso tempo, sia svolto interamente da studenti che costituiscono però la vera forza motrice del Progetto, la grande DisasterFAMILY. Infatti, la modalità di educazione alla pari, una forma di insegnamento in cui il SISM crede molto e per la quale spende gran parte delle sue forze, viene applicata anche in questo progetto. La formazione non è a senso unico, le conoscenze non passano solo dal formatore ai partecipanti al corso,

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Numero 20 | Febbraio 2015 In questo anno però oseremo di più: è l’anno in cui, con il nuovo Protocollo d’Intesa aggiornato, aumenteremo il numero di corsi presso le realtà locali; sarà l’anno dell’Interprofessionalizzazione (con l’apertura del corso base a tutti gli studenti delle Professioni Sanitarie); l’anno in cui ci apprestiamo a coordinare un nuovo corso di formazione internazionale per formare studenti facenti parti delle altre organizzazioni straniere di studenti di Medicina che fanno parte dell’IFMSA; l’anno della possibilità di Internship presso il CRIMEDIM per chi davvero voglia approfondire la materia. La scoperta della Medicina dei Disastri è stata del tutto casuale per me. Era il Gennaio 2013 quando, in qualità di LOME della Sede Locale di Catanzaro, applicai al primo corso di Formazione dei Formatori, la prima edizione del DisasterTEAM. Dopo 3 anni, posso affermare che è stata sicuramente una delle migliori possibilità formative che mi sia stata offerta. Ho conosciuto innanzitutto un gruppo di persone fantastiche, ognuno con i suoi pregi e i suoi difetti, ognuno con le proprie paure, i propri sogni, desideri, e con la voglia di essere formati dal CRIMEDIM. Quei ragazzi che ho conosciuto, fanno parte ancora della mia quotidianità, del mio modo di vivere l’associazione e la vita, sono quelli che seppur a chilometri di distanza, ci sono stati e ci saranno. Il SISM (e il progetto DisasterSISM) crea

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anche questi tipi di legami. Un grazie va a loro, alla mia DisasterFAMILY, che ha creduto in me! Un grazie, come Coordinatore del Progetto, vorrei rivolgerlo anche e soprattutto a tutti coloro i quali nelle scorse settimane hanno mandato la propria candidatura ad essere selezionati per il nuovo corso di formazione. In questi 3 anni, è stata la prima volta in cui sono arrivate ben 20 application. Io, Eleonora Leopardi (NOME 2014/2015) e tutti i responsabili CRIMEDIM siamo rimasti davvero positivamente colpiti; questo è un segno tangibile di quanto questo Progetto venga percepito come un punto cruciale nella formazione dello studente di Medicina. In bocca al lupo ai selezionati, ed un “arrivederci” agli esclusi; sarà tra le mie priorità non spegnere quella passione che ho colto in tutte le vostre lettere motivazionali. Per chiunque, invece, voglia fare due chiacchiere con me sulla Medicina dei Disastri, potrà contattarmi al mio indirizzo ufficiale: disastersism@sism.org Ad Majora!

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WCD: WORLD CANCER DAY - GIORNATA MONDIALE DELLA LOTTA AI TUMORI Mariangela Pasqualoni “Perchè possiamo fare più di quanto noi stessi immaginiamo. Perchè possiamo agire su più fronti. Perchè agiamo tutti insieme per un fine comune.... Perchè quello che iniziamo noi oggi, lo finirà qualcun altro domani. Perchè quel numero enorme (8,2 milioni di morti l’anno), possa man mano decrescere.” NPO: National Officer on Public Health – Martina Bartolone

La nostra parola d’ordine è proprio questa: prevenzione. Innanzitutto, per prevenzione primaria intendiamo assumere un comportamento in grado di ridurre il rischio di insorgenza della patologia (agendo quindi sui fattori di rischio modificabili). La prevenzione secondaria, invece, è la diagnosi precoce, da usare come arma per ridurre la pericolosità della malattia.

Noi Scopheroes, in occasione di questa importantissima Giornata Mondiale,page_1 abbiamo deciso di unire le nostre forze per creare del materiale efficace, di rapida visualizzazione e che potremmo dire “standardizzato”. Lo scopo del nostro lavoro è far capire come i numeri dei morti, degli affetti e delle persone a rischio possa diminuire con solo qualche piccolo accorgimento in più. Sembra assurdo, sì! Ma anche molte forme di cancro si possono PREVENIRE!

Grazie a questo breve questo articolo, che riassume il nostro lavoro, scopriamo quali sono le forme più comuni e più aggressive di cancro, ma soprattutto cosa possiamo fare in tal proposito.

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Il 15% di tutte le morti mondiali è dovute a tumori non curabili e nel 2010 hanno causato ben 7 milioni di morti. Primo fra tutti per incidenza, tanto nel maschio quanto nella femmina, è il Tumore al Polmone. Un tempo l’istotipo più diffuso era il

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Numero 20 | Febbraio 2015 Carcinoma Squamocellulare (a partenza dall’epitelio squamoso) principalmente associato al tabagismo. Questo è stato superato ormai dall’Adenocarcinoma (che origina dall’epitelio ghiandolare) sia perché nelle sigarette moderne ci sono cancerogeni che lo favoriscono, sia perché l’astensione dal fumo riduce rapidamente il rischio di insorgenza dello squamocellulare ma non quello dell’adenocarcinoma. Il tumore al polmone causa ben il 17.8% di tutte le morti per tumore con 1.2 milioni di nuovi casi e 1.1 milioni di nuovi decessi nel 2000. Ciò che maggiormente dovrebbe far riflettere è che è uno di quei pochi tumori per il quale il fattore ambientale causale principale è ben noto, diffuso e legalizzato: sto parlando del fumo di tabacco, responsabile dell’87% di questi tumori negli uomini e il 47% nelle donne. E’ importante però far notare che dopo 20 anni dall’astensione del fumo, il rischio di tumore polmonare diventa simile a quello dei non fumatori . Secondo per incidenza e mortalità è il Tumore del Colon-Retto, inusuale sotto i 50 anni. I fattori di rischio sono rappresentati da una dieta ricca di grassi e carboidrati raffinati e povera di fibre vegetali non assorbibili. In questo caso il detto “Ciò che non strozza, ‘ngrassa” (ciò che non ti uccide ti fa ingrassare), non è proprio vero considerati gli effetti a lungo termine! Chi più dei medici ha il dovere di mandare avanti questo messaggio? Il sospetto deve insorgere quando il paziente riferisce dolore all’addome o all’ano, trova sangue nelle feci e quando cambiano le abitudini intestinali. Dopo i 50 anni si dovrebbe effettuare un test di screening con cadenza biennale per la

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ricerca di sangue occulto nelle feci, se il test risulta positivo c’è l’indicazione ad eseguire una colonscopia. “Googlando” infatti , il browser ci rimanda subito al sito della CDC, il centro americano per il controllo e la prevenzione delle malattie, che ha osservato un incremento di 10 volte superiore negli ultimi 40 anni e che di fatto, un bambino su 88 soffre di un disturbo dello spettro autistico. Allo stesso tempo, purtroppo, si legge che studi accurati hanno mostrato come, solo una parte di questo incremento possa essere giustificata dal miglioramento del processo diagnostico. Passiamo ora ad una patologia prevalentemente femminile: il Tumore alla Mammella, con 37000 nuovi casi l’anno colpisce una donna su dieci; mai stancarsi di insegnare e ricordare alle donne di effettuare l’autopalpazione periodicamente, fin dall’età giovanile. Anche rivolgendoci agli uomini i numeri ci fanno riflettere per quanto riguarda il Tumore alla Prostata; nei Paesi Occidentali ci sono 55 nuovi casi per 1000 abitanti, in Italia si registrano circa 7000 decessi l’anno su 20000 nuovi casi. Il più frequente è l’adenocarcinoma, si manifesta con frequente minzione con piccole quantità di urina, nicturia (necessità di svegliarsi per urinare durante la notte) e disuria (difficoltà e dolore nell’emissione di urina). Questa è stata una panoramica molto generica sui tumori più frequenti nel Mondo. Grazie al contributo delle numerose Sedi Locali che hanno aderito, abbiamo approfondito le nostre conoscenze sui tumori della pelle, della tiroide, della cervice uterina, tumore

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Numero 20 | Febbraio 2015 del rene, dello stomaco, del midollo e di molti altri. Importante è anche fare un piccolo accenno a quello che il nostro Sistema Sanitario ci offre. Non bisogna dimenticare infatti che negli ultimi dieci anni le istituzioni nazionali e internazionali hanno sostenuto la prevenzione oncologica puntando sulla diagnosi precoce e, in particolare, tramite l‘attivazione di programmi di screening. Questo è visto come un complesso investimento per la Salute, che ha come risultato una riduzione della mortalità. Il Decreto ministeriale dell’8 giugno 2007 definisce le modalità e i criteri di realizzazione dei programmi approvando il Piano di Screning 20072009, come il documento ci mostra, oggi in Italia sono attivi dei programmi di screening per il Cancro del Seno, della Cervice Uterina e del Colon-Retto. Per quanto riguarda il Cancro alla Cervice Uterina, il programma di screening ha come obiettivo quello di far eseguire uno o più Pap test ogni 3 anni ad almeno l‘85% della popolazione bersaglio, ovvero le donne di età compresa tra 25 e 64 anni, esso si concentra soprattutto al Centro e al Nord. Tuttavia al di fuori dei program-

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mi organizzati ci sono molte donne che eseguono il test spontaneamente, anche con frequenza eccessiva, accanto a una fetta consistente della popolazione femminile italiana che non lo ha mai eseguito o lo esegue in modo irregolare. A fronte di questa informazione, proveniente dalle indagini del “Centro Nazionale per il controllo e la prevenzione delle malattie”, capiamo l’importanza del nostro lavoro e del tempo che dedichiamo ad esso, tra un esame e l’altro, inserendo le ricerche e le chiamate skype alla fine o nel mezzo delle nostre giornate di studio; ci permettendo nel nostro piccolo di sentirci grandi, di poter guardare oltre il numero di pagine infinite dei libri già da adesso, rivolgerci a colui per i quale lavoriamo ogni giorno: l’altro. Per quanto riguarda il tumore al ColonRetto, anche qui, l’obiettivo è quello di identificare precocemente le forme invasive, ma anche individuare e rimuovere le lesioni precancerose. L’ideale, raccomandato dal Ministero della Salute, sarebbe offrire come test di primo livello la ricerca del sangue occulto nelle feci con test immunochimici, ogni due anni e in entrambi i sessi, tra i 50 e 70 -74 anni. Consigliata, sempre di primo livello, sarebbe la Rettosigmoscopia, da

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Numero 20 | Febbraio 2015 effettuare una volta tra i 58 e i 60 anni. Lo screening oncologico rivolto alla mammella prevede l’esecuzione di un esame mammografico con cadenza biennale per le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni. Tutte queste informazioni sono reperibili sul sito del “ Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie” del Ministero della salute, al link: http://www.osservatorionazionalescreening.it/. Sul sito potrete consultare i documenti relativi ai dati provenienti da ogni regione d’Italia. Concluderei quindi dicendo che sicuramente i medici e tutti gli operatori sanitari possono aiutarci a ricordare l’importanza della prevenzione, ma è sicuramente la presa di coscienza da parte di ognuno di noi che potrà fare veramente la differenza. Possiamo iniziare cambiando le nostre di abitudini, non in qualità di futuri medici, ma semplicemente di persone informate sui fatti, diventando un esempio per la nostra amica, per il nostro genitore e per chiunque di stia intorno. Potremmo forse fare quella differenza che può sembrare nulla guardando ai grandi numeri, ma ricordiamoci sempre che sono le gocce che fanno l’oceano.

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Cliniche Solidali di Salonicco: un esempio di attivismo politico Proprio ora, con la musica greca della radio di Syriza che fa da sottofondo ai pensieri, le infinite riflessioni che il nostro viaggio ci ha suscitato ci sembrano di scottante attualità. I discorsi che nascevano con i volontari, la gente comune o anche più semplicemente tra noi stessi ci ritornano alla mente, ci martellano e ci spingono in qualche maniera a ridiscuterne con voi. Chiariamo, infatti, che questo breve articolo non ambisce a essere un semplice racconto preparato con allegata la morale e le soluzioni (che ovviamente noi non abbiamo)... ma più che altro speriamo di instillare in voi un po’ di dubbi, delle angosce e sicuramente anche delle speranze che questa realtà ci ha regalato. Quattro mesi sono ormai passati dall’Ottobre scorso, quando, in cinque sgangherati compagni del SISM padovano, decidemmo di prendere un volo per rispondere all’invito del dott. Thanassis di visitare le Cliniche Solidali di Salonicco. Per capire l’antefatto, dobbiamo fare un salto indietro di qualche mese, quando Giulia e Lorenza, due vecchie socie, facendo tesoro degli insegnamenti del LabMond, ci hanno sottoposto l’idea di finanziare questo strano progetto con il ricavato della nostra festa. A votazione abbiamo approvato, e così, nella prima città greca per disoccupazione, sono arrivati non solo i nostri spiccioli, ma anche e soprattutto la consapevolezza di avere - a distanza - degli amici in più per una battaglia contro dei nemici molto più grandi di loro. Ma cosa sono le Cliniche Solidali? Sono ambulatori fondati da gruppi di volontari nelle maggiori città greche con lo scopo primario di sopperire alla mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria primaria per le

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fasce più povere della popolazione. Com’è noto, infatti, una legge in Grecia stabilisce la possibilità di accesso alle cure solo ai cittadini in possesso di regolare assicurazione sanitaria. L’assicurazione è obbligatoria per chi ha un lavoro ma ormai, con la crisi che non si attenua, i disoccupati non se la possono permettere e in questo momento, come loro stessi ci riferiscono, “il 20% della popolazione greca non ha diritto di accesso al Servizio Sanitario Nazionale”. Le Cliniche si trovano in un quartiere popolare di Salonicco, vicino al porto, e sono ospitate in sale concesse dalla locale Cooperativa operaia. L’urto con questa realtà è stato un piccolo trauma. Quella casetta “col naso tutto incerottato” che fino ad allora avevo visto soltanto sulle locandine della nostra festa, ci apre le sue porte. I locali sono piccoli, c’è una piccola farmacia con i medicamenti di immediata necessità, il resto è stipato in due magazzini. La quantità di gente in attesa, fuori e dentro la piccola sala d’aspetto, parla da sola. Dietro una tenda tirata ci sono due poltrone da dentista e, in fondo al corridoio, due ambulatori in cui si alternano medici specialisti. L’ambiente dà l’idea di un’intima familiarità in cui è difficile non sentirsi di troppo. Le competenze richieste non sono solo quelle di area medica e odontoiatrica: chiunque può dare una mano, anche per funzioni di segreteria o per smistare farmaci; gli aiuti d’altra parte non arrivano solo in termini finanziari ma di medicamenti, guanti, cancelleria e altro ancora. I finanziatori (chiamati con riserbo benefattori) delle Cliniche sono in genere privati cittadini, sindacati stranieri o altre organizzazioni che accettano di donare in forma anonima e senza quindi la possibilità di ricavarne guadagni d’immagine. Non viene accettato alcun tipo di aiuto da banche, partiti, case farmaceutiche o da chiunque cerchi di avere qualche influenza sulle

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Numero 20 | Febbraio 2015 Cliniche inficiandone indipendenza.

l’assoluta

Ma prima di parlare d’indipendenza, come vengono prese le decisioni? Già la prima sera, tra un bicchiere di vino e un boccone di formaggio locale, la domanda ci sorge spontanea. Sissi, segretaria delle cliniche la sera, insegnante durante il giorno, quella domanda se l’aspetta e ci risponde con il suo solito tono acceso ed un pizzico d’orgoglio: “La Clinica non ha capi, né presidenti, né statuti che l’avrebbero resa una ONG con un’impostazione gerarchica. Qui siamo tutti Compagni, uno vale uno, ogni Giovedì sera c’è un’assemblea in cui si discute e le decisioni vengono approvate solo quando tutti sono d’accordo”. Come si evince anche del nostro titolo, il fine non può essere unicamente medico, sarebbe infatti impossibile compensare tutte le falde dell’odierno sistema sanitario greco con quattro ambulatori e una farmacia: gli obiettivi sono soprattutto politici e sociali. Lo scopo è gridare ad alta voce che è lo Stato che deve garantire ai suoi cittadini l’accesso ai servizi sanitari, che la salute non è un business e che bisogna smetterla di affidarsi alle “cure” proposte dai diretti responsabili della miseria in cui si è ridotti.

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Le cliniche non hanno la pretesa di sostituirsi al sistema sanitario statale o costituirne un’alternativa; la speranza è che arrivi il giorno in cui diverranno inutili, ma per il momento, lavorando silenziosamente e gratuitamente, evidenziano e rimarcano ogni giorno le grandi mancanze dello Stato, come un ronzio continuo di sottofondo che magari a qualcuno suonerà molto fastidioso. Ora sono passati mesi, ma fortunatamente della nostra Thessaloniki non ci è rimasta solo una forte nostalgia o una sbiadita immagine da cartolina. Vi riportiamo le poche cose che l’ultima sera, all’Hemingway Pub, ci ha detto un’altra collaboratrice, Demetra, psicologa che aveva studiato in Italia e con una particolare allergia a Berlusconi. “Noi non accettiamo la carità da nessuno, ma neanche la facciamo; l’accesso alle cure è un sacrosanto diritto che spetta a chiunque, Greci e immigrati. Nel nostro piccolo cerchiamo di assicurarlo attraverso la solidarietà, ma se un giorno lo Stato tornerà a farsene carico, come dovrebbe, noi quel giorno saremo ben lieti di chiudere la nostra Clinica”. Spostando l’asse di osservazione su un punto più culturale del viaggio, i padri

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Numero 20 | Febbraio 2015 della democrazia si confermano un popolo fortemente orgoglioso e non perdono occasione per fare politica dal basso, partendo da bisogni primari la cui soluzione viene sempre suggerita invocando un “bene comune” da conseguire. Sono molto teneri tra di loro: ricordo i loro balli in cerchio, tutti per mano, alla festa organizzata da Syriza, in quella che sarebbe stata l’ultima nostra sera a Salonicco. Ho pensato che, se noi Italiani cadessimo mai in una situazione come quella greca, non avremmo probabilmente la stessa voglia di darci una mano a vicenda.

amici delle Cliniche -che non finiremo mai di ringraziare per l’ospitalità e gli insegnamenti- ci ha fatto toccare con mano le conseguenze che possono verificarsi sottoponendo ai vincoli delle leggi di mercato un bene delicato come la Salute. Brindiamo con l’ultimo Ouzo, affinché il treno della crescita non porti verso drammatiche disuguaglianze.

Chi scrive spera che, con l’avvento al potere in Grecia del partito a loro più vicino (i volontari non hanno mai nascosto il loro gauchisme), le Cliniche Solidali di tutto il Paese possano trovare delle orecchie che ascoltino le rimostranze loro e della gente che quotidianamente aiutano. Condividere la nostra esperienza, infine, ci permette di affrontare un problema meno romantico e molto più casereccio delle elezioni in Grecia. Dopo esserci angosciati ogni volta che nei nostri programmi elettorali si parlava di incentivare cliniche convenzionate per alleggerire il carico del nostro SSN, siamo scoppiati leggendo gli articoli degli ultimi giorni. Sfrontate compagnie assicurative si propongono di entrare nel nostro sistema sanitario e - ancor peggio trovano un governo consenziente, smanioso di liberalizzare quello che viene definito un gigantesco business, “locomotiva della ricrescita”. Nonostante le cooperative private si stiano muovendo per presentare proposte concrete e abbiano importanti sponde politiche, nei nostri quotidiani in fondo l’argomento è trascurato e se ne sente poco parlare: come mai? Non possiamo rispondere, però non possiamo neanche farci trovare impreparati quando se ne parlerà, nel momento in cui questi mutamenti ci interesseranno da molto vicino. Come abbiamo detto prima (e non abbiamo cambiato idea!) noi non abbiamo facili e belle soluzioni a portata di mano per pavoneggiarci con chi ha avuto la pazienza di leggerci fino alla fine; però l’esempio degli www.sism.org

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ERINNERUNG MACHT FREI LA MEMORIA RENDE LIBERI Ilaria Ponziani e Simone Pietro Filitto “La chiave per comprendere le ragioni del male è l’indifferenza; quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore” - Liliana Segre La storia che vorremmo raccontarvi inizia il 27 Gennaio 1945, giorno in cui le truppe russe aprirono le porte di Auschwitz, il campo di concentramento divenuto poi il simbolo della Shoa. La scena che si presentò davanti ai loro occhi fu semplicemente agghiacciante, era al di là anche della più fervida immaginazione. Eppure, tutto quello, qualcuno lo aveva pensato, fin nei minimi dettagli. Per questo dal 2005 l’ONU ha istituito la celebrazione del Giorno della Memoria proprio il 27 Gennaio, perchè è importante ricordare e non dimenticarsi del passato. Ma, come vi abbiamo detto, vorremmo raccontarvi una storia un po’ diversa, e vi chiediamo quindi di essere flessibili e pazienti, e di concederci qualche salto nel tempo. Andiamo un po’ avanti con gli anni e arriviamo al 1999, siamo a Hong Kong, al 14° Congresso di Sessuologia, e in questa sede la World Association for Sexual Health approva la Dichiarazione Universale dei Diritti Sessuali. Sono passati più di 50 anni dalla Dichiaraz ione Universale dei Diritti Umani, ma da quel momento in poi è scritto nero su bianco che i diritti sessuali sono parte integrante dell’essere umano, contribuiscono al suo sviluppo e alla sua integrità, e, come tutti i diritti, sono inalienabili. Torniamo nel 1945, i crimini commessi dai nazisti all’interno dei campi di concentramento fecero emergere la necessità di avere una Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, un documento che sancisse cosa era lesivo della persona in quanto tale, in quanto essere umano. Ma questo cosa c’entra con la Dichiarazione dei Diritti Sessuali del 1999? La storia che vorremmo raccontarvi parla proprio di questo, di come anche i diritti sessuali furono violati sistematicamente dal

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regime nazista, e di come questo ha contribuito all’annientamento sia fisico, che psicologico delle vittime.

Premesso ciò, possiamo tornare all’inizio della nostra storia, anzi no, torniamo ancora più indietro. 14 Luglio 1933 Germania Hitler, insieme all’alto consiglio del Reich, presenterà una delle leggi fondamentali per il futuro del paese; il 14 Luglio 1933 nella Germania nazista vengono aboliti tutti i partiti tranne quello che governa, è il primo passo decisivo verso la dittatura. Ma lo stesso giorno Hitler fa volutamente approvare un’altra legge, passa un po’ in sordina ma c’è, sarà il primo di una lunga serie di provvedimenti che avranno un unico obiettivo: il mantenimento della purezza della razza ariana. Viene istituita la sterilizzazione obbligatoria per tutti coloro che sono fuori dai parametri, ma le viene dato un nome più orecchiabile, più accettabile, “Gesetz zur Verhütung erbkranken Nachwuchses” (Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie). Sotto la guida dei suoi più fidati consiglieri il Fuhrer istituisce anche delle apposite corti genetiche, 180 per la precisione, dei tribunali in miniatura che dovranno decidere chi accede alla sterilizzazione obbligatoria e chi no. Ogni corte è composta da un medico e un giudice, solo due persone, e hanno una lista sommaria di parametri di inclusione. È una lista piuttosto lunga, comprende schizofrenia, epilessia, cecità, sordità, cretinismo, deficienza mentale, eccetera, ma anche alcolismo e prostituzione; d’altronde anche queste sono caratteristiche che il Reich non identifica come proprie della razza ariana pura. E così, da questa data, le corti genetiche iniziano il loro lavoro. Ma fermiamoci un attimo ad analizzare cosa succede.

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Numero 20 | Febbraio 2015 Per cominciare, un po’ di numeri per renderci conto del problema: in Germania tra il 1933 e il 1939 verranno sterilizzate più di 400’000 persone, l’1-2% dei pazienti muore in seguito al trattamento (più di 4000 persone in totale) e se ci si oppone al trattamento si viene internati in manicomio. Oltre alla legge in sè vengono approvati altri provvedimenti, come la proibizione dei matrimoni e dei contatti sessuali tra ariani e non ariani, oppure l’istituizione del certificato di idoneità matrimoniale: ogni coppia tedesca doveva riceverlo prima di sposarsi, e per ottenerlo dovevi dimostrare di essere di razza pura e di poter generare figli perfetti. In realtà, la legge sulla sterilizzazione di massa rappresenta solo il primo step di un progetto più grande: l’Aktion T4. L’Aktion T4 è il programma di eutanasia ed eugenetica messo in atto dal terzo Reich con l’obiettivo di eliminare fisicamente tutti coloro che rappresentavano un “peso” per lo stato, economico ma soprattutto morale, perchè erano inferiori, erano nutzlose Esser, mangiatori inutili. Dopo la sterilizzazione coatta viene messo in atto un piano di soppressione dei bambini, infine uno destinato agli adulti. La domanda sorge spontanea, come

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è possibile che un popolo intero accetti un provvedimento del genere? La risposta è molto semplice: il nazismo ha fatto proprie delle teorie che erano già presenti nell’ambiente da molti anni, erano idee consolidate, che avevano pure una base scientifica, ed erano ampiamente accettate soprattutto nell’ambiente medico. Il termine “eugenetica” nasce alla fine dell’800 e a crearlo è uno statunitense, Francis Galton, cugino di un altro scienziato ben più famoso, Charles Darwin; Galton studia gli esseri umani e quello che tenta di fare è dividerli in categorie. Questo però ha delle conseguenze, ci sono esseri umani che appartengono necessariamente a delle categorie inferiori, Galton fu il primo a teorizzare che se non posso impedire l’esistenza delle razze inferiori, posso almeno impedire che queste si riproducano. Sulle teorie di Galton si fonderanno le principali campagne di sterilizzazione forzata, che non verranno attuate solo in Germania, ma anche in Svizzera, Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia, addirittura, nei soli Stati Uniti tra il 1920 e il 1940 vengono sterilizzate quasi 100’000 persone. C’è un altro documento importante al quale Hitler si ispirerà per la sua politica,

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Numero 20 | Febbraio 2015 si tratta di un libro pubblicato nel 1920 da Alfred Hoche e Karl Binding, “Il permesso di annientare vite indegne di essere vissute”; sono uno psichiatra e un giurista - un medico e un giudice vi dice niente?- e all’interno del libro si trova un concetto che si radicherà profondamente nell’ideologia nazista, il fatto che esistano delle vite indegne di essere vissute e che, di queste vite, possiamo disporne a nostro piacimento. Ma torniamo ai fatti del 1933 e analizziamoli meglio da un punto di vista pratico. La legge matrimoniale nazista rende il medico un custode dei diritti di procreazione: i certificati prematrimoniali di salute assicurano un pedigree libero da malattie genetiche, che comprendono, come già citato, anche i comportamenti considerati “antisociali” e le dipendenze. Le donne individuate come “difettive” vengono ricoverate in cliniche e sottoposte a sterilizzazione contro la loro volontà (utilizzando poi le ovaie per studi sulla fertilità); prima della procedura vera e propria sono sfruttate anche per esperimenti ormonali e radiologici sul ciclo mestruale e sul transito dell’ovocita, ovviamente senza consenso. Al fine di effettuare un ulteriore controllo sulle nascite viene messa a punto anche una metodica sperimentale per praticare l’aborto e utilizzare

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poi i feti abortiti per fini di ricerca. Gli esperimenti sugli aborti continuano anche durante la guerra: colui che più s’impegna su questo fronte è Karl Ehrhardt, che tra il 1943 e il 1945 nella sua clinica di Graz, in Austria, pratica più di 350 aborti su donne prigioniere di guerra, sperimentando su di loro i metodi più disparati (iniezione di sostanze radioattive, isterectomia radicale, inserimento di un dispositivo intrauterino, applicazione di formalina e altre sostanze tossiche). Da tutto questo emerge che l’interesse per la fertilità e la sterilità procede in parallelo, con numerose intersezioni, in una corsa per il controllo della riproduttività dell’essere umano. In questa realtà s’intrecciano il desiderio di affermazione della superiorità di una razza ariana priva di malattie aberranti, il pieno potere sulla capacità riproduttiva umana e la storia di alcune scoperte in ambito di ginecologia endocrinologica e fisiopatologia della riproduzione umana, fondamentali per lo sviluppo di questa branca della medicina. Un perfetto esempio di questi tre aspetti è Carl Clauberg, giovane professore di ginecologia e ostetricia all’università di Koningsberg e ideatore dell’omonimo test per misurare l’azione del progesterone nel processo di fecondazione. I suoi studi sugli steroidi sessuali sono supportati dai laboratori farmaceutici

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Numero 20 | Febbraio 2015 Schering e portano alla produzione del Progynon (estradiolo) e del Proluton (idrossiprogesterone), che arrivano fino ai giorni nostri. Clauberg, tra le tante cose, delinea anche un ambizioso piano di ricerca che prevede: il trattamento intensivo delle tedesche infertili, la valutazione di come sterilizzare le donne indegne di avere figli mediante un nuovo metodo non chirurgico, un laboratorio per la ricerca in vivo su animali, una fattoria sperimentale per ricerche su agricoltura e fertilità, ed esperimenti su prigionieri di sesso femminile. Himmler, Comandante Generale delle SS, accoglie le proposte di Clauberg e le trasforma nella grande opera di sterilizzazione delle donne ebree ad Auschwitz. Per questo la nostra storia va avanti. 1942 - Oświęcim e Brzezinka, Polonia Ritroviamo Clauberg a fare la spola tra gli immensi campi di Birkenau e Auschwitz, in baracche appositamente destinate ad accogliere donne tra i 20 e i 40 anni, con ciclo mestruale e preferibilmente non nullipare, messe in una lista di “prigionieri per motivi sperimentali”. Nel famigerato blocco n. 10, allestisce una vera e propria “clinica di sterilità”, con un team multidisciplinare di medici e infermieri, reclutati tra i prigionieri, e con la supervisione del chirurgo ginecologico Alina Bialostoka, un’ebrea polacca. “Datemi una siringa e vi sterilizzerò il mondo”, volendo intepretare in chiave archimedea il suo operato: infatti inietta con una siringa di 30 cm di lunghezza un liquido sigillante di composizione segreta (verosimilmente una miscela di formalina in soluzione e novocaina), la cui diffusione nelle successive 24 ore ulcera e restringe le tube fino a occluderle (cosa confermata da salpingografie con mezzo di contrasto). “Ero sdraiata nuda su un tavolo nero, e coperta dalla luce di un pannello [...]. Presto, una sorta di dispositivo fu posizionato nella mia vagina. Sentii dolore come nel partorire. [...] Dopo questo trattamento ebbi potenti brividi per 12 ore. Lo stesso esperimento fu ripetuto due settimane dopo, e ancora due settimane dopo. Oltre a ciò, nel frattempo, mi furono fatte delle iniezioni al seno, 3 la prima volta e ulteriori 9 in un’unica volta molti giorni dopo. [...] Dopo un paio di mesi il professore mi

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disse che non ero più utile agli esperimenti e mi mandò a Birkenau, insieme a 12 delle 300 donne con cui arrivai al blocco 10, alcune delle quali nel frattempo erano morte di peritonite o sepsi e altre continuavano a essere preda di emorragie, febbre alta ed enormi dolori crampiformi.” Durante il suo operato rende noto a tutti, con report e lettere, che un medico formato e 10 assistenti possono procedere a centinaia di sterilizzazioni ogni giorno. Alcune volte si va oltre, intervenendo chirurgicamente, ma non sempre l’equipe è disponibile, viste le centinaia di donne sottoposte a tali procedure: “[...] sono stata richiamata per avere l’altro ovaio distrutto [...]. Questo nazista cercò di inserire il dispositivo allo stesso modo, ma non ha funzionato. Tese molto il mio utero, facendomi urlare. Mi disse che se non avessi smesso di lamentarmi mi avrebbe gasato. Provò ancora una volta ma non era felice dei risultati. Finalmente posò gli attrezzi e mi disse: ‘Io non so nemmeno che cosa sto facendo. Sono un barbiere!’ [...] Sapevo che se fossi vissuta dopo la guerra, io e le altre ricoverate non avremmo mai potuto avere figli”. Nello stesso tempo, in qualche altra stanza, si discute dello stesso tema, con un approccio diverso… “Un metodo pratico di procedura [di sterilizzazione] sarebbe costringere le persone che devono essere trattate ad avvicinarsi a un ufficio dove sarebbe chiesto loro di rispondere ad alcune domande o di riempire determinati moduli per un periodo della durata di due o tre minuti. La persona seduta dietro allo sportello manovrerebbe l’apparato [a raggi X] in modo tale che un interruttore metta in azione due lampade simultaneamente [la radiazione veniva erogata da entrambi i lati]; [...] da 150 a 200 persone potrebbero essere sterilizzate ogni giorno e di conseguenza, con venti impianti di questo tipo, da 3’000 a 4’000 persone [...].” Con queste premesse, Horst Schumann comincia a sterilizzare uomini e donne in maniera non camuffata, ad Auschwitz e Birkenau, dalla fine del 1942. Non è un radiologo di formazione e procede per tentativi ed errori, arrivando comunque all’estrazione chirurgica delle gonadi, con la necessità di trovare anche un posto capiente per stipare tutti i testicoli estratti. Le testimonianze di ebrei polacchi al riguardo sono decine.

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Numero 20 | Febbraio 2015 “I 60 uomini selezionati dovevano posizionare lo scroto su un ripiano. Molti erano già a conoscenza dei raggi X e dei loro possibili effetti. [...] L’irradiazione durava circa 5 minuti. Non si sentiva dolore durante. [...] Venivamo inviati direttamente alle baracche per lavorare il giorno successivo. La pelle sul genitali diventava presto arrossata; poi c’era un senso di bruciore profondo e le ferite trasudavano pus. [...] Nonostante le rassicurazioni di Schumann che non saremmo stati uccisi, molti sono morti, altri persero le forze ed erano consumati dal dolore mentre avevano ancora il lavoro forzato di un intero giorno da completare. [...] 8 mesi dopo fummo sottoposti a controllo [...]: ci fu chiesto se avevano erezioni, emissioni notturne [...]. Poi un tubo metallico somigliante a un asta fu introdotta nel mio ano, fu eseguito un massaggio, e fu raccolto dello sperma dal mio organo sessuale [...]. Dopo 2 giorni io e il mio amico fummo portati nella stanza operatoria. [...] Dopo un’iniezione non sentivo esattamente cosa mi stavano facendo ma vidi che avevano rimosso il mio testicolo sinistro; ho visto quello del mio amico estratto in un barattolo di vetro di formalina. [...] 6 mesi dopo mi fu rimosso il secondo testicolo. [...] Non so perchè tutto questo avveniva [...]. Dopo la castrazione, tutti i capò molestavano i castrati, imprecando contro di loro davanti a tutti i prigionieri. Le donne sono una minoranza. “Schumann sceglieva giovani ebree e le sterilizzava ponendo le piastre dell’apparato a raggi X a livello del basso addome e del dorso delle vittime. In questo modo bruciava le ovaie, causando anche ustioni superificali e molto dolore, con

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infiammazione cutanea e peritoenale e aderenze. [...] Le sottoposte erano colpite da nausea, vomito, spasmi e complicazioni, compresa la morte [...]. Inoltre, nonostante molto giovani, sembravano più vecchie. [...]”. 1944

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Buchenwald,

Germania

“[...] cinque omossessuali autentici che verrano ritenuti adatti saranno scelti per verificare le ipotesi. Prima che l’intervento chirurgico venga effettuato, verranno esaminati i livelli di ormone su campioni di urine [...]. Se i risultati saranno soddisfacenti, saranno realizzati gli interventi chirurgici.” Facciamo un passo indietro: dal 1937 è imposta l’incarcerazione degli omosessuali, che poi saranno internati nei campi di concentramento, in quanto ritenuti “una piaga da estirpare”, hanno addirittura un marchio specifico, un triangolo rosa. Carl Peter Vaernet, endocrinologo danese assunto a Buchenwald, conduce nel 1944 esperimenti sugli omosessuali, somministrando preparati ormonali a base di testosterone e impiantando estratti ghiandolari di testicolo oppure una “ghiandola artificiale” da lui brevettata, consistente in un tubicino metallico per il rilascio di testosterone, impiantato nel sottocutaneo inguinale. Le valutazioni post-trattamento riportano che i non deceduti per complicazioni post-chirurgiche si sentono in forma, tuttavia i veri omosessuali non rinnegarono mai il proprio orientamento. Questi sono i principali esperimenti condotti nei campi di concentramento nazisti, che possiamo ricondurre alle tematiche di salute e diritti sessuali e riproduttivi. Ce ne sono anche altri, meno quantitativamente impattanti E a questi si somma l’infinità di esperimenti su innumerevoli aspetti

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Numero 20 | Febbraio 2015 della fisiologia e della patologia umane, facenti capo a moltissime branche della medicina. Della totalità dei responsabili, degli artefici a vario titolo e contributo, solo 23 arrivarono al “Processo ai Dottori”, processo secondario, i cui documenti sono stati in gran parte perduti, facente parte degli innumerevoli Processi di Norimberga. I procuratori dipinsero le atrocità mediche non tanto in termini di abusi scientifici quanto soprattutto come il prodotto di un sistema politico depravato; preferirono collocare i medici miscredenti nella mostruosa politica del nazismo, che vederli colpevoli di aver violato i principi di etica e deontologia medica, che aveva una collocazione giuridica incerta. Gli imputati di Norimberga furono derisi come pseudo-scienziati, e mantennero la loro posizione solo grazie all’ala protettrice delle alte sfere naziste. Tuttavia spiegare gli esperimenti umani nazisti si rivelò molto più complesso del previsto; infatti, fu così difficile ottenere una condanna per quello che sembrava così palesemente criminale, che le fasi del processo ebbero molti momenti di frustrazione e assurdità. Gli imputati si mostrarono desiderosi di descrivere l’importanza scientifica del loro lavoro e sostennero di non essere colpevoli delle peggiori atrocità, scaricando la responsabilità sulle SS. Inoltre si difesero anche dietro al fatto che gli esperimenti erano effettuati su prigionieri condannati a morte. Mobilitarono addirittura il mondo accademico per sostenere la legittimità delle loro ricerche e garantire le loro credenziali scientifiche.

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Molti accademici tedeschi sostennero che se un ex-collega fosse stato ritenuto colpevole, allora anche loro dovevano essere imputati; mentre ad alcuni sembrò opportuno fingere ignoranza o uno stato di malattia per non essere ascoltati, ci fu in generale un alto grado di solidarietà per i colleghi internati. Scienziati e medici Alleati si divisero sulla legittimità degli studi scientifici tedeschi in tempo di guerra e sul valore del processo. La diatriba più illustre fu portata avanti sulle pagine di The Lancet e del British Medical Journal, ma su molte testate giornalistiche alleate, come il Time e The Daily Telegraph, comparsero articoli che sostenevano che alcuni esperimenti medici sui detenuti nei campi di concentramento potessero avere un grande valore per la scienza medica. Fu poi sostenuta una distinzione tra “sterotechnics”, termine con il quale s’indicavano la sterilizzazione e l’aborto come tecniche di genocidio e “sterology” come scienza umana del controllo delle nascite. La definizione del concetto di sterilizzazione fu cruciale per affermare la necessità di una legge sul genocidio, poichè l’uccisione di un nascituro non era perseguibile come reato di sterminio di massa e il controllo delle nascite era di per sè legittimo. Il nostro viaggio nel tempo è finito e vorremmo tornare per un’ultima volta al 1999 e alla Dichiarazione Universale dei Diritti Sessuali. Ci piacerebbe che la leggeste, non vi preoccupate, è breve, sono solo undici diritti

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Numero 20 | Febbraio 2015 fondamentali. Dopo di che soffermatevi un attimo a ripensare a tutto quello che abbiamo scritto, vi accorgerete che nella nostra storia sono stati violati tutti e undici. Perciò crediamo che durante il Giorno della Memoria anche questo aspetto debba essere ricordato, per non dimenticarci che la sessualità è parte integrante dell’essere umano. Ovviamente, vorremmo precisare che ci siamo limitati a fare un breve riassunto di quello che è un capitolo della storia ben più ampio. Nel caso voleste approfondire l’argomento in fondo all’articolo troverete una serie di fonti tramite le quali documentarvi. Quando abbiamo deciso di scrivere questo articolo eravamo perfettamente consapevoli che questo è solo uno degli esempi di cosa può arrivare a concepire la mente umana; avremmo potuto narrarvi tante altre storie avvenute in altri paesi e in altre epoche. Abbiamo dato molto spazio alle testimonianze: la testimonianza può far parte della storia, non tanto perchè contiene i dettagli di una “memoria esplicita”, ma soprattutto per la “memoria implicita”, per la carica emotiva che, integrata con i fatti storici, crea un contenuto esistenziale completo, che fissa l’avvenimento in modo forte, facendolo memorizzare e ricordare. Crediamo fermamente che ricordare il passato sia importante soprattutto per il futuro, perchè la storia non si ripeta. In questa storia ci fu il momento in cui i tedeschi, e non solo loro, si resero conto di dove andavano i treni carichi di ebrei, di cosa succedeva a quelli che venivano scelti dal dottor Mengele, l’Angelo della morte, di quale sarebbe stata la fine di coloro che venivano trasferiti in ospedali psichiatrici a elevata complessità assistenziale, e in quel momento successe qualcosa: “Successe che si abituarono”.

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MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI THE CUTTING TRADITION Noemi Streva, Stefania Panebianco e Martina Manoli “Mi chiamo Rasha e sono stata circoncisa quando avevo 7 anni” “Mi chiamo Musha e sono stata circoncisa quando avevo 11 anni” Questo è l’incipit del film “The Cutting Tradition”, prodotto da SafeHands for Mother e da F.I.G.O. ( International Federation of Gynecology and Obstetrics), che, osservando da vicino piccoli ma importanti stralci di vita quotidiana delle donne e bambine protagoniste, ha cercato di far comprendere il fenomeno delle Mutilazioni Genitali Femminili. La pratica è ampiamente diffusa in Africa: in 7 Stati (Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e Somalia) e nel Nord del Sudan il fenomeno tocca, praticamente, l’intera popolazione femminile; in altri 4 paesi (Burkina Faso, Etiopia, Gambia, Mauritania) ne interessa la maggioranza; in altri 5 (Ciad, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Kenya e Liberia) il tasso medio di diffusione è stimato intorno il 30/40%, mentre nei restanti 12 paesi africani la diffusione varia dallo 0,6 al 28,2%. In alcuni luoghi le pratiche di circoncisione genitale femminile, considerate necessarie in quanto garanzia dell’integrità morale della persona, hanno un valore simbolico. Sono considerate infatti dei veri e propri riti di passaggio dalla giovinezza all’età adulta a cui le donne (sempre più spesso bambine) sono costrette ad essere sottoposte per essere accettate dalla società, non solo dagli uomini che ne fanno parte, ma paradossalmente anche dalle donne adulte che hanno subito tale pratica estremamente dolorosa.In altri Paesi si pensa addirittura che le MFG possano preservare le mogli dall’adulterio, frenando gli istinti sessuali: il clitoride rappresenterebbe infatti la porzione satanica, diabolica della donna, da eliminare fisicamente, cosicché la sposa rimanga sempre fedele, al fianco del proprio uomo senza che possa sentire la necessità di andare alla ricerca di un altro.

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Altre volte assumono un significato religioso, anche se negli ultimi anni c’è da registrare al riguardo le prese di posizione di istituzioni religiose, come l’Imam etiope o il Grand Mufti egiziano, il più alto ufficiale della legge religiosa islamica di un paese musulmano, che considerano le MFG un’antichissima tradizione, precedente alla venuta del profeta Maometto. Secondo il Corano e la Sunna, la pratica non dovrebbe essere abolita, ma non si dovrebbe nemmeno trattare di una mutilazione, piuttosto di un vero e proprio rito che consisterebbe nello “spuntare” il clitoride. La rimozione delle labbra e la cucitura della vagina sarebbe da considerarsi peccato. Nonostante tutto, spesso, la figura religiosa di riferimento della singola comunità risulta avere maggiore influenza, favorendo il perpetuarsi della tradizione; in altri contesti, invece, l’usanza è talmente radicata che prescinde dai dettami delle istituzioni religiose. Come abbiamo già visto, ciò che maggiormente colpisce è il fatto che a perpetuare la pratica siano delle donne: non si tratta solo delle madri che decidono di far sottoporre le figlie ad infibulazione, ma soprattutto delle così dette “Escissore”, che di questa pratica ne hanno fatto il loro mestiere, ricevendone in cambio un compenso. L’operazione si svolge senza le giuste precauzioni mediche, mediante l’uso di lamette da rasoio, spine, senza l’uso di anestesia, in condizioni ambientali che favoriscono la diffusione di infezioni e del HIV. In base alla tradizione, alla credenza religiosa e alla regione geografica, le Escissore effettuano diversi tipi di MGF, che dall’OMS vengono distinte in: > Circoncisione (o infibulazione alsunna): asportazione della punta della clitoride, con fuoriuscita di sette gocce di sangue simboliche; > Escissione del clitoride : asportazione della clitoride e taglio totale o parziale delle piccole labbra; > Infibulazione : asportazione della clitoride, delle piccole labbra, di parte

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Numero 20 | Febbraio 2015 delle grandi labbra vaginali con cauterizzazione, cui segue la cucitura della vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale; > Il quarto gruppo comprende una serie di interventi di varia natura sui genitali femminili. Le bambine che sono state infibulate non possono camminare per giorni, hanno cospicue perdite di sangue dalle ferite e la zona operata rimane dolorante. Al momento della procreazione il travaglio del parto ha una durata maggiore e aumentano le percentuali delle emorragie post-partum e delle morti neonatali. Le ripercussioni non sono solo a livello ostetrico-ginecologico, ma anche a livello psicologico: aumenta infatti il senso di inferiorità, di paura e il numero di patologie psichiatriche e psico-somatiche. Le caratteristiche del fenomeno e le ripercussioni sulla salute della persona hanno spinto non solo l’OMS, ma anche i governi dei Paesi principalmente interessati, ad adottare misure mirate al ridimensionamento della pratica.In Egitto, ad esempio, il medico egiziano Reslan Fadl è la prima persona nella storia del Paese a essere stata incarcerata per aver praticato mutilazioni genitali femminili. La giurisprudenza dei Paesi interessati quindi non sembrerebbe essere indifferente a queste abominevoli pratiche: ben 18 Stati sui 28 menzionati precedentemente hanno approvato una Legge che sanziona le MGF,

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offrendo una mano d’aiuto a coloro i quali si battono per l’abolizione di una tradizione crudele e foriera soltanto di dolore, fisico e spirituale, e che non vede in nessuna delle sue accezioni risvolti positivi per il soggetto coinvolto, che invero, andrebbe più precisamente definito “vittima”. I Paesi che non hanno assecondato l’onda del cambiamento sono i seguenti: Mali, Sierra Leone, Sudan, Gambia, Liberia, Costa D’Avorio, Guinea Bissau, Repubblica Centrafricana, Camerun e Uganda, quasi tutti situati nella regione orientale del continente africano. Non pochi sono gli sforzi della Cooperazione Internazionale per eradicare questa disumana tradizione. Esempi lampanti dell’impegno da parte degli Stati africani e non, nella risoluzione del problema, sono la “Conferenza del Cairo per l’eliminazione delle MGF” tenutasi nella capitale egiziana nel 2003 e l’istituzione di un fondo Unicef destinato alle vittime di questa barbarie.Sulla scorta di questa rivoluzione, è stato approvato a Maputo (Mozambico) a seguito della Conferenza, sempre durante il 2003, il “Protocollo sui diritti delle donne africane”, il quale documento cita specificatamente le MFG, condannandole come “gravemente lesive per donne e bambine”. In Europa pratiche di tal genere sono fortunatamente un terribile ricordo del passato, chiuso nell’oscuro dimenticatoio della coscienza storica e per questo non molto noto ai più. Eppure, anche nei Paesi dell’EU, il problema si pone eccome, soprattutto in quei Paesi che ogni anno accolgono nutriti flussi migratori, provenienti specialmente dai Paesi africani. La posizione dell’EU nei confronti di questa grave questione è ben chiara: le

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Numero 20 | Febbraio 2015 MGF devono assolutamente vedere la fine dei propri giorni, ma pare che non siano mai stati presi provvedimenti legislativi che mirino specificatamente al problema. Tuttavia il Parlamento Europeo esorta i Paesi dell’Unione a promuovere leggi che all’interno dei propri confini vietino le MGF, con gravi conseguenze penali per i trasgressori. Invito accolto prontamente dall’Italia: nel nostro Paese è in vigore una legge, ossia la “Legge 9 gennaio 2006, n. 7” che vieta severamente la pratica delle MGF, considerandole un grave reato (anche se purtroppo, per eludere la legge del Paese d’adozione, molti genitori mandano in vacanza le figlie nel Paese d’origine con lo scopo di poter praticare liberamente ogni sorta di mutilazione, che la giovane donna sia volente o, più presumibilmente, nolente). L’Italia è inoltre impegnata attivamente per contrastare lo scempio delle mutilazioni a scopo non terapeutico: è infatti in prima linea nei progetti di Cooperazione Internazionale che si concentrano sulla questione, istituendo fondi dedicati e promuovendo campagne e conferenze soprattutto nei Paesi coinvolti. Un fenomeno come questo ci appare così lontano da noi, dalla nostra realtà, dalla nostra quotidianità, dalla nostra cultura “moderna” e dalle nostre tradizioni, tanto che spesso tendiamo a sottovalutarlo. Tutto ciò crea un vortice di disinformazione dal quale è necessario portarsi fuori. Perché? Semplicemente per il fatto che non è un fenomeno così lontano come crediamo. Sono stati molteplici i casi di mu-

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tilazioni registrati in Italia e in generale in Occidente, specie in paesi quali Inghilterra, Francia, Norvegia, Svezia ma anche Stati Uniti,Canada, Australia e Nuova Zelanda, dove sono numerose le comunità di migranti che portano con sé un bagaglio culturale nuovo con il quale non possiamo fare a meno di confrontarci ogni giorno, mettendo in risalto le criticità che esso contiene. Ogni medico ha dunque il dovere di informarsi su una pratica che ha conseguenze gravi dal punto di vista della salute del soggetto che vi si sottopone, in quanto può trovarsi di fronte a casi di giovani donne che chiedono di essere sottoposte a infibulazione o a mutilazioni parziali di diverso tipo, e deve essere in possesso di tutte le informazioni del caso per poter prendere una decisione tale da poter garantire la salute della sua paziente. Ma quando si parla di salute pensiamo, come ci è stato insegnato, alla salute in tutte in tutte le sue componenti: fisica, psicologica e sociale. Sulla base di questa considerazione, è giusto pensare che ogni medico sia a conoscenza delle motivazioni socio-culturali , spirituali e religiose che sono nascoste dietro a tale pratica, e che variano da paese a paese, da regione a regione. All’interno delle comunità di immigrati è invece diventato quasi un fenomeno di rigetto della cultura occidentale, col fine di mantenere integre le proprie origini, e che si scontra, naturalmente, con la resistenza delle ragazze immigrate, immerse in una cultura occidentale con una concezione del tutto diversa della sessualità, del ruolo sociale della donna e dei suoi diritti.

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Numero 20 | Febbraio 2015 Ogni qual volta un medico si trovi in presenza di una richiesta di mutilazione da parte di una giovane donna deve quindi fare una riflessione profonda sulle implicazioni che questa richiesta ha sulla salute della sua paziente. È’ possibile, infatti, che la donna possa cercare un’altra via per sottoporsi a mutilazione, spinta da quelle motivazioni socio-culturali che abbiamo pocanzi elencato, e che possa quindi rivolgersi per esempio alle cosiddette “escissore”, mettendo in pericolo la loro stessa incolumità, oltre al fatto che una risposta negativa da parte del medico potrebbe comportare l’espulsione del soggetto dalla comunità o addirittura dalla famiglia, ma nello stesso tempo gli consentirebbe di salvare la propria paziente dalle terribili conseguenze fisiche e psicologiche che questa pratica comporta. Quello che è possibile fare e che si sta facendo, soprattutto grazie al contributo di moltissime associazioni umanitarie che si interessano alle MGF, è quello di combattere le credenze popolari in termini di mutilazioni sradicando il fenomeno dalla base. È stato accertato, infatti, che il fenomeno è tanto più diffuso quanto è minore il grado d’istruzione, il che significa che è possibile opporre resistenza a questa pratica per mezzo dell’informazione e dell’istruzione. Ancora un volta

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la parola si cipale arma fruire e nello cura di cui

attesta come la prindi cui possiamo usustesso tempo la miglior ci possiamo avvalere.

L’estinzione definitiva delle pratiche di mutilazione genitale femminile a scopo non terapeutico sarebbe una conquista per l’umanità intera. Se ciò accadesse, in un’unica manovra ben tre tra gli Obiettivi del Millennio verrebbero realizzati: Obiettivo 3, che si focalizza sulla promozione della parità dei sessi e dell’empowerment femminile; Obiettivo 4, che si preoccupa della riduzione della mortalità infantile; Obiettivo 5, che si concentra sul miglioramento della salute moderna.

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HEALTH IS A HUMAN RIGHT: DO SOMETHING, DO BETTER, DO MORE Claudia Marotta Quando una sera qualunque, controllando le mail, ti accorgi dell’invito ad un Workshop che vedrà protagonista Marmot, beh, qualunque cosa di brutto ti sia potuto accadere quel giorno passa in secondo piano e, senza pensarci nemmeno un attimo,sei già lì a cercare treni e ad organizzarti per poter partecipare all’evento. “Equità nella salute: come fare rete per passare dalle parole ai fatti.” Era questo il titolo del workshop, e così sono andata, senza pensarci troppo, senza interrogarmi su quali potessero essere i contenuti, con l’entusiasmo ingenuo di chi sa di non poter essere deluso. E’ stato facile farsi ispirare dagli o ratori che si sono susseguiti, da Marmot all’italiano Costa, è stato facile pensare ancora una volta che un altro mondo è possibile sognando al suono delle loro parole, trovando la forza nella veemenza delle loro idee. Come mi immaginavo, le mie aspettative non sono state deluse dallo spessore dei contenuti proferiti da quei nomi che avevo sempre letto con una certa riverenza ed ammirazione, ma, sono sincera, quello che mi ha più segnato di quella giornata sicuramente non è stato questo, non è stata l’esperienza di poter conoscere da vicino una persona che ti aveva illuminata nel grigiore di un pomeriggio di studio qualche anno prima. Piacevole sorpresa per me è stato scoprire quanto ad ispirarmi potevano essere, invece, realtà a me molto più vicine, persone che non erano grandi teorici, ma operatori della salute, come potrò essere io tra qualche anno, senza i quali però le grandi teorie di Marmot non avrebbero avuto un grosso senso. Piacevole sorpresa è stato per me scoprire quanto in Italia si cerchi di fare, di fare bene il bene, con entusiasmo e professionalità. Piacevole sorpresa per me è stato stare lì ad ascoltare il contributo che ogni regione italiana aveva portato come esempio di ciò che aveva fatto e stava facendo per www.sism.org

combattere le disuguaglianze in salute. Piacevole sorpresa è stato capire come tutta la teoria che ho sempre letto sui temi della salute globale, che sì mi rimaneva sempre reale e contingente ma allo stesso tempo anche un po’ astratta e poco tangibile, potesse in realtà declinarsi con facilità in qualcosa di concreto, scientifico, valutabile, comparabile. E’ stato bello realizzare come quell’idea un po’ utopistica e vaga di mondo equo, di una sanità equa potesse orientare strategie politiche ben precise, con obiettivi misurabili, materiali, veri. Qualcuno di voi penserà che la mia reazione di sorpresa di fronte all’applicazione reale e concreta delle teorie di Marmot e dei grandi teorici di equità in salute sia stata eccessiva, però vi assicuro che è stato strano. Siamo abituati a parlare di salute globale, di disuguaglianze in salute,di Marmot e le sue teorie, siamo abituati a leggere i suoi articoli, a commentarli, a sognare insieme a lui, però vederle applicate nel reale è tutt’altra cosa, avere delle prove tangibili che tutto ciò è possibile, con un po’ di impegno e dedizione, ti stimola a fare di più, a metterti in gioco in prima persona. In definitiva è stato vedere un sogno materializzarsi in qualcosa di vicino, di accessibile. Così, colmare gli svantaggi per praticare un’equità mi è parsa una cosa anche alla mia portata. Come medico, come persona, come cittadino. Qualcosa non solo alla mia portata, ma qualcosa da poter e dover fare, da fare meglio, da fare di più perché la salute è un diritto umano e qualcosa per garantirlo a tutti si può fare adesso e qui. Mentre restavo sconcertata dalla percezione di quanto questa banalità potesse risuonare con tanto impatto dentro di me, dall’altro lato mi pareva chiaro e altrettanto tangibile un grosso, gigante limite a tutta questa bella realtà che stavo scoprendo esistere, ovvero quanto

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Numero 20 | Febbraio 2015 quella buona pratica, quell’agire buono e giusto in una determinata città o in una determinata regione perdesse molta dell’innata potenzialità e della sua efficacia se fosse rimasta sconnessa, slegata da ciò che le accadeva intorno, nello stesso momento, magari nello stesso luogo, nella stessa regione, ai suoi confini o nella regione vicina. Mi è parso chiaro, in quel preciso momento, quanto sia importante la condivisione di una strategia, di un metodo, dei risultati, la loro sistematizzazione, la loro fruibilità da parte di tutti quelli che lavorano nella stessa direzione. Mi resi conto di quanto lo scambio di esperienze e conoscenze, possa realmente migliorare l’efficienza e l’efficacia generale degli interventi finalizzati ad una politica sanitaria orientata all’equità. Così, solo alla fine ho capito il vero senso del titolo del Workshop al quale stavo partecipando, a cui avevo prestato inizialmente poca attenzione abbagliata da quel “Marmot” nella locandina: “ Equità nella salute: come fare rete per passare dalle parole ai fatti” e quella rete mi è parsa importante più di qualunque teoria e di qualunque teorico. Quel fare rete e la cura di quella rete mi sono sembrati in un attimo qualcosa di vitale importanza affinché tutte quelle belle parole che spesso sappiamo dirci possano tradursi un qualcosa di visibile, in un fatto.

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CARA ITALIA Nadin Kanaa Cara Italia, questa è la mia lettera per ringraziarti di uno dei momenti più belli della mia vita. Tutto ha avuto inizio quando sono stata selezionata per un Professional Exchange tramite l’IFMSA e mi sono ritrovata a scegliere in quale nazione andare. Se devo essere sincera, la prima ragione per cui ho pensato di sceglierti è stato il gelato. Tutti sanno che il tuo gelato è il più buono del mondo e, per una golosa come me, l’idea mi allettava molto. Ossessione per i dolci a parte, un’altra ragione era di aver promesso a me stessa di tornare dopo il mio primo viaggio nel 2008 con la mia famiglia. Lasciasti qualcosa indelebile nei miei ricordi e desideravo conoscerti meglio…così ti ho scelto! Il mio viaggio è iniziato nella città di Parma. Quando sono scesa dal treno il 2 settembre, ero trepidante e carica di eccitazione: questa volta avevo la consapevolezza di incontrare nuove persone e di assaporare meglio una nuova cultura. Stavo per cominciare una nuova avventura, la Mia avventura, da sola, in Italia. Come parte del programma, gli studenti possono essere ospitati dalle famiglie italiane, da altri studenti o nei dormitori universitari. Io sono stata ospitata da una meravigliosa studentessa di medicina nel suo appartamento. Sono stata molto fortunata a riguardo, perché questo mi ha permesso subito di ambientarmi nella mia nuova città e nella mia nuova vita in un ‘Italian Style’. Ho frequentato il reparto di chirurgia nell’ospedale della città ed ho avuto la possibilità di assistere a vari interventi. I medici erano davvero molto gentili con me ed è stato veramente divertente divincolarsi tra parole in inglese, arabo e italiano, nel cercare di capirci su temi scientifici vari.

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Cara Italia, non puoi immaginare quante gaffe! Ovviamente la mia avventura attraverso la tua terra, cara Italia, non è stata solo all’interno delle quattro mura di un ospedale. Nel mio tempo libero sono riuscita a viaggiare molto,fortunatamente. Ho avuto modo di apprezzare Parma e i suoi dintorni, con le sue belle distese verdi di pianura e le strade piene di gente in bicicletta. Sono stata felicissima quando me ne hanno data una per poter girare meglio nella città. Questa è stata una delle cose che mi ha colpito: il ‘tempo’ italiano, o almeno, ‘Parmigiano’. La gente conduceva la vita con un approccio rilassato, si fermava nelle piccole botteghe sulle strade o tra i mercatini di frutta e verdura nelle piazze. Tutto sembrava essere così tranquillo, mentre in Israele le persone sono frenetiche e vivono la propria vita sempre di corsa. Non ho potuto fare a meno di ammirarli!Dopo Parma, ci hanno portato a Milano: ricordo ancora la sensazione che mi attraversò guardando la facciata anteriore del Duomo. Mi sono sentita così piccola e il tuo Duomo, mia bella Italia, era talmente articolato e decorato che non ho potuto fare a meno di chiedermi quanto animo umano ci fosse voluto per costruirlo. Tuttavia mi sono sentita anche travolta dall’atmosfera vivace e confusionaria che si respirava nel centro città e altrettanto povera di fronte le vetrine costose delle vie milanesi. Quando mi sono ritrovata a viaggiare lungo la tua costa occidentale, ho scoperto che uno dei più bei paesaggi naturali si rivela nelle Cinque Terre. Non dimenticherò mai tutti i colori di quelle case che sembravano scivolare all’interno del mare turchese e le spiagge di questo meraviglioso pezzo di terra (o forse dovrei ‘di queste 5 terre’?). La tappa successiva è stata Firenze. La mia visita qui è stata proprio una celebrazione di arte, storia e cultura. Non so con quali parole descrivere le emozioni che ho provato: ero entusiasmata da tutto ciò che potei vedere, dagli Uffizi, alla

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Numero 20 | Febbraio 2015 Cattedrale, a Ponte Vecchio, e ancora tantissime altre cose. Sembrava che il tempo non fosse passato in questa città e mi aspettavo, da un momento all’altro, di incontrare Michelangelo e Leonardo seduti ad un bar di Piazza della Signoria. Cara Italia, che fortuna che hai nel goderne la sua bellezza ogni singolo giorno! Dopo tutto, come se non fosse stato abbastanza, ho avuto l’opportunità di passare cinque bellissimi giorni nel Sud della Sicilia. Con la buona compagnia dei miei nuovi amici, ho viaggiato attraverso questa bellissima isola dove mi sono sentita riscaldata dalla brezza calda che soffiava sul Mar Mediterraneo, dal cuore caldo e dall’ospitalità della gente che vi vive. Sono stata inondata di felicità, a cui credo nessuno possa scappare, assaggiando i cibi e i dolci siciliani. Ho incontrato una realtà così confortante che è stato come essere a casa.

vostra situazione politica ed economica, e dispiaciuta nel sapere delle difficoltà che voi futuri miei colleghi potrete incontrare nel proseguire il vostro stesso percorso da medico.Come è possibile che qualcuno vi possa far venir voglia di abbandonare la vostra terra per essere padroni del vostro futuro? È una cosa grave. Avete il dono e il pregio di vivere in una terra così bella, il connubio perfetto tra cultura, natura, buon cibo e bella gente; riuscite ad accorgervene? Chiunque al mondo vi invidierebbe per quello che avete! Dovete prendervene cura, apprezzarla e proteggerla cosi che, sia voi che gli altri, ne possano godere! Italia cara, prometto di tornare!

Questa, purtroppo, è stata l’ultima tappa del mio incredibile viaggio. Questa volta, cara Italia, e dopo tutti quei giorni, ti ho conosciuto veramente, perché mi sono resa conto che una vera connessione con la terra in cui vai nasce dalla relazione che si instaura con la sua gente. Io ho avuto la fortuna di incontrare tanti ragazzi italiani, provenienti da qualsiasi parte, da Udine a Ragusa. Ho avuto la possibilità di uscire con loro, conoscerli e creare profonde amicizie. Ognuno di loro è stato in grado di introdurmi in una peculiarità della loro stessa regione. Mi sono sentita come se fossi il loro studente e loro i miei maestri di storia e arte. Parlando con loro, mi sembrava di continuare a viaggiare tra le tue regioni. Ho goduto tanto l’ospitalità di queste persone così generose e simpatiche! Chiunque ti visiti, cara Italia, noterà senz’altro il tuo grandissimo dono: Tu hai un posto per tutti! Lungo il tuo stivale gli amanti della natura, gli artisti, o gli adoratori della cultura troverebbero la loro passione. Sia grandi che bambini scoverebbero i loro interessi. Adesso mi rivolgo a voi, cari Italiani.

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SISM - Segretariato Italiano Studenti Medicina Ufficio Nazionale: Padiglione Nuove Patologie, Policlinico Sant’Orsola, via Massarenti 9, 40138 Bologna. tel/fax: +39 051 399507 – e-mail: nationaloffice@sism.org web: www.sism.org Codice Fiscale 92009880375

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