Zona SISMica - Novembre 2016

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NUMERO 38|NOVEMBRE 2016

“BELIEVE YOU CAN AND YOU’RE HALFWAY THERE” THEODORE ROOSEVELT

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SISM Il SISM - Segretariato Italiano Studenti in Medicina è un’associazione no-profit creata da e per gli studenti di medicina. Si occupa di tutte le grosse tematiche sociali di interesse medico, dei processi di formazione di base dello studente in medicina, degli ordinamenti che regolano questi processi, dell’aggiornamento continuo dello studente e riesce a realizzare tutto ciò attraverso il lavoro di figure preposte a coordinare i diversi settori sopraddetti sia a livello locale che nazionale. Il SISM è presente in 37 Facoltà di Medicina e Chirurgia sparse su tutto il territorio. Aderisce come membro effettivo all’IFMSA (International Federation of Medical Students’ Associations), forum di studenti di medicina provenienti da tutto il mondo riconosciuto come Associazione Non Governativa presso le Nazioni Unite.

LA REDAZIONE Coordinatore di Progetto Carlo Chessari - Sede Locale di Catania Redazione Francesco Valente - Sede Locale di Catanzaro Arianna Caracciolo - Sede Locale di Parma Mariachiara Ippolito - Sede Locale di Palermo Giovanni D’Angelo - Sede Locale di Palermo Barbara Zimotti - Sede Locale di Foggia Andrea Berti - Sede Locale di Ferrara Publications Group Coordinator Maria del Prato - Sede Locale di Siena

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INDICE EDITORIALE di Carlo Chessari PGC’S WELCOME di Maria del Prato L’IMPORTANZA DEGLI EVENTI NAZIONALI “MINORI”: IL TIPE 10 di Giuseppe Quatrosi, Caterina Simoni e Francesco Valente LA GENERAZIONE V di Paolo Tosoni e Francesco Valente VORREI, MA NON POS(T)SO di Barbara Zimotti QUELLO CHE NON TI ASPETTI DALLA GASTROENTEREROLOGIA di Stella Brienza CLERKSHIPS: UN ASSITANT E UN OUTGOING A CONFRONTO di Carla Spadaro IVG NEL 2016: DIRITTO DELLE DONNE O DEI GINECOLOGI di Barbarbara Zimotti e Giovanni D’Angelo MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI: UNA QUESTIONE SCIENTIFICA E CULTURALE di Christian Nasti e Claudia Bartalucci PAROLA AL CN! Parola al CN VPE

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XLIX Congresso Nazionale del SISM Foto di gruppo Trabia, 10-13 novembre 2016 Foto dell’OC - Sede Locale di Palermo Il Congresso Nazionale è l’organo sovrano del SISM. Durante l’anno associativo, in primavera e in autunno, i delegati delle 37 Sedi Locali e i componenti del Team of Official si incontrano ufficialmente per discutere e deliberare modifiche e miglioramenti associativi, per confrontarsi e approfondire gli argomenti delle singole Aree Tematiche. Durante la seduta autunnale, vengono eletti i componenti del nuovo Team of Official.




XLIX Congresso Nazionale del SISM - Conferenza di Apertura del Congresso Trabia, 10-13 novembre 2016

Foto dell’OC - Sede Locale di Palermo L’organizzazione del XLIX Congresso Nazionale è stata affidata alla Sede Locale di Palermo, che ha curato tutti gli aspetti logistici: dall’accoglienza dei partecipanti alla predisposizione di vitto, alloggio e spazi per le attività. Il comitato organizzativo si è anche occupato della Conferenza di Apertura, centrato sulle tematiche della migrazione e realizzato in collaborazione con professori, esperti in materia e altre associazioni, come il CUAMM.


XLIX Congresso Nazionale del SISM Project Fair Trabia, 10-13 novembre 2016 Foto dell’OC - Sede Locale di Palermo Il Congresso non è solo cambiamenti formali e sostanziali di statuti e regolamenti: è anche un’occasione di crescita per il singolo partecipante e per le Sedi Locali. La Project Fair, ad esempio, è un momento in cui i partecipanti espongono i propri progetti ai soci: la condivisione è un valore associativo fondamentale, che permette di crescere e diventare sempre più grandi..




XLIX Congresso Nazionale del SISM : l’OC, Organizing Committee Trabia, 10-13 novembre 2016 Foto dell’OC - Sede Locale di Palermo Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza i ragazzi della Sede Locale di Palermo, che si sono spesi per garantire la riuscita dell’evento. La nutrita squadra siciliana, guidata dal Coordinatore Kurosh Yasrebi, è stata al lavoro per molti mesi prima dell’evento, per poi dare il massimo durante i giorni dell’evento. Grazie per questo stupendo Congresso!


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EDITORIALE Carlo Chessari Affezionate lettrici, affezionati lettori, si è da poco concluso il XLIX (IL) Congresso Nazionale, tornare alla “realtà” è sempre più difficile! Ci pensa Zona SISMica anche questo mese a tirarvi su e ad offrirvi spunti, riflessioni e condivisioni. Al Congresso è dedicata la Sezione Fotografica, mentre tra gli articoli di area tematica si parlerà di eventi formativi del SISM, ovvero TNT e TIPE, di mutilazioni genitali femminili, di esperienze internazionali, di attività locali formative e di interruzione volontaria di gravidanza.

per rendervi partecipi di ciò che vuol dire far parte di questa fantastica redazione! Non mi resta che augurare a tutti voi una buona lettura!

Carletto

Un articolo speciale sarà dedicato all’”esperienza Zona SISMica”,

PGC’S WELCOME Maria del Prato Salve SISMici tutti! Bentornati a questo nuovo numero di Zona SISMica! Mi trovate ancora qui a darvi il benvenuto perchè con Carletto abbiamo deciso di finire questa avventura insieme così come l’abbiamo iniziata! Questo numero contiene un articolo speciale che vi renderà partecipi di quello che vuol dire essere parte di Zona SISMica. Speriamo che le parole della nostra Barbara riescano a passarvi anche solo un po’ della passione

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che ci ha guidati in questo anno! Tornano ovviamente anche tutti gli articoli di area e l’intervista al CN, questo numero incontreremo il nostro VPI uscente! Vi auguro quindi una buonissima lettura! BaScioni Mari

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L’IMPORTANZA DEGLI EVENTI NAZIONALI “MINORI”: IL TIPE 10 di Giuseppe Quatrosi, Caterina Simoni e Francesco Valente Dal 29 settembre al 2 ottobre, a Cavazzo Carnico (UD), ospitato dalle SL di Padova ed Udine, si è tenuto il TIPE 10. A più di un mese dalla fine dell’evento, raccogliamo i pensieri di Giuseppe Quatrosi, Coordinatore Nazionale del Progetto TIPE: <<Oggi, a più di 4 anni dal mio primo Evento Nazionale (il TIPE 6 della SL di Cagliari), se mi chiedessero “Cosa vuol dire fare SISM per te?” io risponderei “Star seduto per terra, in cerchio, con amici e cercare di cambiare il mondo partendo da te stesso”. Questa risposta non è stata maturata negli anni, bensì consolidata da quel primo evento in poi. Quest’anno ho ricoperto l’incarico di Coordinatore Nazionale del Progetto TIPE Training Italiano in Peer Education, un evento che negli anni mi ha segnato sia dal punto di vista della formazione, sia dal punto di vista emotivo. Il TIPE, un evento che ha accompagnato gli ultimi quattro anni della mia vita, non ha avuto lo stesso impatto degli anni

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passati. Non sono stati quattro giorni di pure emozioni, quattro giorni di scoperta e riscoperta: quest’anno il TIPE è stato anche un anno lungo, passato dietro un pc o al telefono. Non è stato solamente un evento, concreto e tangibile; è stato anche una Project Proposal da modificare, delle mail a cui rispondere, soluzioni alternative da studiare. Sarò stato ingenuo quando mi sono candidato, ma mi è mancata quella sensazione di vedere lo spettacolo senza star dietro le quinte. Ma se oggi guardo a questa esperienza con qualche rimpianto, forse un domani mi ritroverò ad annoverare quest’anno tra quelli che più mi hanno insegnato... chi può dirlo? Organizzare questo evento è stato tremendamente difficile. Più volte mi sono chiesto “Perché farlo?”; una domanda che pensavo non mi sarei mai posto in merito ad un progetto che mi sta così a cuore. Sicuramente una delle cose che mi aveva colpito più negativamente e mi stava facendo perdere le speranze era il dislivello di partecipazione ed inter-

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esse che avevo notato in Mailing List tra quando si parlava di modificare la Project Proposal e quando, invece, per due volte, sono state aperte le chiamate per la Sede Locale Ospitante, per i formatori e per i partecipanti. È vero, non mi sarei dovuto sorprendere più di tanto, o almeno, forse non in negativo, la Project Proposal è l’evento, così come l’evento è la Project Proposal; almeno per quel che ci raccontiamo. Ma lascia un senso di amarezza aver ricevuto più mail, messaggi e chiamate riguardo un file, che riguardo l’organizzazione concreta dell’evento a cui quello stesso documento si correla. È anche vero che una discussione in Mailing List General era nata a tal proposito e ne erano nati spunti interessanti. Certo, quella mail, poco aveva a che vedere con il TIPE, riferendosi più al TNT, ma per vicinanza di temi e tempi ho trovato da quella discussione molti spunti di riflessione. Ci si chiedeva perché le Sedi fossero così riluttanti o in difficoltà se messe di fronte all’eventualità di ospitare un Evento Nazionale minore. C’è chi ha suggerito di delegare l’organizzazione dell’evento al CN, chi ha identificato il problema con la struttura. Io, sfruttando un OLM della PSD riguardo questa tematica, mi sono ritrovato a parlare di un altro aspetto: il marketing. Quello di cui abbiamo discusso era che forse il problema che sta alla base di certe difficoltà nel trovare Sedi che ospitino un evento, non stia nella dif-

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ficoltà nel farlo, ma nel poco “appeal” che possa avere per una Sede Locale. Mi chiedo però se sia giusto parlare di marketing, come se si volesse vendere l’evento a dei clienti e mi rispondo dicendomi che non sono clienti quelli a cui mi rivolgo, ma Soci che dovrebbero riconoscere l’importanza dell’evento e collaborare alla realizzazione dello stesso. Spero che in futuro, le testimonianze dei partecipanti, formatori e OC consolidino una Consapevolezza Associativa che permetta di comprendere perché facciamo qualcosa, perché ospitiamo un evento; perché c’è qualcuno dietro un PC a tentare di far funzionare qualcosa.>> Anche Caterina Simoni, della SL di Udine, OC Coordinator del TIPE 10, ha voluto condividere il suo punto di vista sull’evento: <<TIPE, quattro lettere dal significato poco comprensibile dai non SISMici, ma che nascondono un mondo intero. Soprattutto perché ognuno dal TIPE porta a casa qualcosa di personale e lascia una piccola parte di sé agli altri. Non si torna indenni da un TIPE, si è sempre un po’ frammentati, ma pieni di idee ed entusiasmo. Questa volta, il TIPE per me è stata un’esperienza ancora più diversa, perché l’ho vissuta dalla parte opposta del muro, come OC Coordinator. Il tutto è nato un po’ per caso, quasi per gioco. Ci siamo lanciati e abbiamo www.sism.org


Numero 38 | Novembre 2016 provato a sentire cosa significa volare. Ci sono stati momenti in cui ci siamo sentiti precipitare, ma prima di arrivare a schiantarci siamo sempre riusciti a riprendere quota, arrivando ad approdare a Cesclans, sui colli friulani. Non avrei mai pensato di riuscire ad organizzare un evento per più di 50 persone. Penso che sia questa paura di non farcela che blocca tanti a non provarci, rendendo difficoltoso trovare le sedi per gli eventi minori. E questo penso sia un gran peccato, considerando quanto un evento minore può dare all’Associazione. Non solo in termini di formazione di persone, ma anche per quanto una Sede Locale può guadagnare da un evento simile, non parlando ovviamente di guadagno economico, ma soprattutto umano ed emotivo. Far parte dell’OC è sicuramente faticoso ed impegnativo, prevede l’impiego di tempo ed energie per l’organizzazione di tutto, dalla ricerca della location alla caccia ai formatori, dalla decisione del menù alla gestione dei trasporti. Poi arriva il giorno dell’inizio dei lavori, tra l’accoglienza dei partecipanti e le presentazioni, la sistemazione del cibo in cucina e le lotte con la lavastoviglie. Si viene trascinati in un vortice di cose da fare, orari da rispettare, trainers ritardatari da richiamare all’ordine e magari poi coccolare con un caffè extra. Carta igienica che finisce, lampadine che si fulminano, “Dov’è il mio telefono?”, “Occhio che l’acqua bolle!” e via discorrendo. Non si dorme, forse si riesce a mangiare qualcosa, si è sempre di corsa. Poi ci vorrà una settimana per riuscire a recuperare il sonno perduto. Però quanto è bello! Da questa esperienza ho imparato mol-

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to. Ho scoperto che un buon programma è il modo migliore per gestire anche le emergenze. Che ogni persona ha delle caratteristiche e capacità nascoste che vanno fatte emergere e lodate e che dividersi i compiti è fondamentale. Certo, ci sono stati momenti di sconforto e magari qualche arrabbiatura, ma cantare qualche coro in cucina ha fatto passare tutto. Ho scoperto che nella mia Sede Locale non sono circondata solo da Soci con cui organizzare le attività, ma da amici. Questi quattro giorni ci hanno unito tantissimo, sia tra membri dell’OC che partecipanti della nostra SL. Non c’era momento libero in cui non passasse qualcuno per un saluto, una chiacchiera o un aiuto. Vorrei dire quindi grazie alla mia fantastica sede locale, UDUDUDUDUDINE: Gabriele, Luisa, Edoardo, il Best OCD ever. L’OC padovano, Simone. E super Peppe, Coordinatore Nazionale del TIPE. Anna, Laura, Rebecca, Matteo, Giulia e Miriana, i nostri partecipanti. Come non ringraziare i trainers, Martina, Alessandro e Christian, super! Soprattutto Luca, per le notti in bianco a chiacchierare e le tue cose sparse ovunque. Grazie per la vostra passione e la vostra energia! Sarà quindi stato difficile e impegnativo, considerando anche che questo TIPE è stato il primo Evento Nazionale che ci siamo trovati ad organizzare e che quindi ci mancava sicuramente un po’ d’esperienza per essere più al #top. Ma ci abbiamo messo davvero tutto e non potrei essere più soddisfatta del risultato. Per me questo non è stato per nulla un evento “minore”, anzi, è stato il più grande di tutti!>>

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LA GENERAZIONE V di Paolo Tosoni e Francesco Valente Il Training for New Trainers non è solo un corso di formazione. Si tratta di un’esperienza, di uno stimolo, dell’inizio di un percorso. Il TNT ha un inizio, ma non una fine; dura per tutta la vita associativa. Non ha uno scopo necessariamente unico per tutti, ma è costruito in modo che ogni partecipante possa ricercare e raggiungere il proprio obiettivo, quello che veste meglio, entro certi limiti. Cerchiamo di capire, però, il momento storico in cui il TNT 5.0 si è collocato. L’educazione non formale immerge le proprie radici nel SISM da non pochi anni ormai, nel lontano 2007. A quei tempi pochi training (scarsamente seguiti), venivano proposti da Trainer IFMSA. In quell’anno, tuttavia, l’ex NORA/NORP Federico Longhini scoprì l’International Peer Education Training, portando la peer in Italia e proponendo quindi il TIPE 1. Allora la situazione era differente: l’evento era costruito in modo completamente diverso da oggi, con diversi obiettivi. La necessaria propedeuticità del corso di malattie infettive dimostrava ancora un forte legame con l’educazione formale, universitaria, riconosciuta come l’unico solido riferimento per l’acquisizione di competenze. Possiamo però identificare in questo anno l’inizio dell’Educazione Non For-

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male, o meglio, della Peer Education nel SISM. Parallelamente, già nel 2006, nacque il Labmond. Con l’importazione della NFE, si sentiva sempre più l’esigenza di utilizzare questa nuova scoperta e sostituire parzialmente (ma gradualmente) l’approccio frontale, favorendo la crescita dei Gruppi di Autoformazione. Si capiva il potenziale della Non Formal Education, non solo dalle valutazioni e dai risultati ottenuti, ma soprattutto dall’entusiasmo dei nostri Soci. E proprio questo entusiasmo fu il motore che spinse l’Associazione a far crescere, negli anni a seguire, bellissimi progetti SISM, Locali e Nazionali, ancora presenti o rimasti nella storia, spesso e volentieri meravigliosi ibridi (Labmond, MIND, La cura per la morte, Workshop C.O.I., PEMP… chi se ne ricorda altri?). La NFE non si fermò, anzi, ebbe una svolta esattamente sei anni fa, a Bari 2010, quando poche persone formate in IFMSA decisero di proporre la prima Training Session. Alessandro Mereu, primo TSDC dal Congresso di Catania 2010, decise, dopo l’entusiasmo dei partecipanti, di avere come obiettivo durante il suo mandato la realizzazione del primo TNT nel SISM, realizzato infine nell’Ottobre 2011, insieme a Diego Iemmi e Giovanni

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Mastrangelo. Definire i diversi obiettivi dei training rispetto alla peer education non fu affatto semplice, né per la prima Training Support Division né, a maggior ragione, per i Soci. Negli anni successivi la situazione non fu più chiara, anzi, andò via via peggiorando: le Training Session Congressuali erano (e ahimè, forse sono ancora) viste come momenti per riposare o per farsi un giro in spiaggia; più cresceva la confusione tra i Soci e più i training venivano visti come inutili. A questo si sommava il numero crescente di progetti basati sull’utilizzo dell’Educazione Non Formale e della componente emotiva, sentita come unica via necessaria per raggiungere un obiettivo. Forse è ancora troppo presto per dirlo, ma il TNT 5.0 ha dato un brusco cambio alla rotta che avevamo intrapreso. Federico D’Attilio, Henrry Meza ed io siamo stati i timonieri e, dopo aver studiato i precedenti TNT, abbiamo cercato di impostare un evento solido, coerente con le attuali esigenze del SISM. L’agenda che abbiamo costruito si è basata sul conferire strumenti ai nuovi Trainers e fornire competenze concrete per colmare le enormi lacune attualmente presenti. Ovviamente il lavoro che è possibile svolgere in tre giorni è anche molto limitato, di conseguenza il nostro progetto iniziale si è ridotto e, a nostro malincuore, abbiamo dovuto in ogni caso tagliare parti importanti dell’agenda. Gli argomenti trattati sono stati, a grandi linee, quelli maggiormente importanti per un Trainer: Il lavoro di gruppo, la www.sism.org

sua gestione e le proprie dinamiche, la comunicazione verbale e non, il problem solving e la gestione dei tempi. Non sono mancate le simulazioni, potentissimo strumento per verificare l’efficacia del metodo. L’utilizzo delle fonti nella formazione e la strutturazione di agende. I princìpi su cui si è improntato il TNT sono stati: 1. AGENDA: impostare quella corretta è difficilissimo. Quale agenda adottare in quale contesto, per una Training Session, per un MiniMeeting, per un Training di più giorni. Ancora più difficile è trovare un’agenda fatta su misura per i partecipanti, dei quali spesso non si sa nulla prima dell’inizio dell’evento. La nuova frontiera su cui abbiamo lavorato, quindi, è riuscire ad adattare la propria agenda sulle necessità e possibilità dei Trainees. Quando noi Trainers abbiamo un obiettivo, diamo spesso per scontato che sia il medesimo dei partecipanti. E se non fosse così? Nel 90% dei casi, infatti, così non è. Il Trainer deve capire che lo scopo dei Trainees è forse più importante del proprio, deve quindi imparare a scendere a compromessi. In termini pratici: essere un Trainer dinamico. 2. LE FONTI: quando facciamo autoformazione, quasi sempre cerchiamo spunto da vecchi esercizi, da fonti di teoria ed articoli che troviamo in giro. L’errore più grosso è prendere tutto questo come oro colato, ed utilizzarlo come base per

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Numero 38 | Novembre 2016 formare i nostri Soci. Durante il TNT abbiamo analizzato approfonditamente dove ricavare le fonti sia per l’autoformazione (bibliografie, siti internet dedicati ed affidabili, database riconosciuti) sia per la formazione (associazioni esterne, partner ufficiali SISM e non, figure professionali e competenti). Insomma: smettiamola di educare a casaccio. 3. IL PERCHÉ: ci dimentichiamo sovente di essere Trainer SISM. Siamo convinti di essere legittimati a trattare argomenti che non ci riguardano, con mezzi che non conosciamo. Vogliamo fare cose perché “è bello farle”, oltre che “perché sì, è sempre stato fatto così”. Ogni giorno, ad Almese, abbiamo ragionato su tutto questo. Il Trainer deve costantemente porsi domande su ciò che sta facendo. La domanda è la bussola del formatore, senza la quale ci si perde molto facilmente e la cui via d’uscita diventa introvabile. Capire che il punto di vista del Trainer non sia l’unico corretto, ma che ve ne sono mille altrettanto corretti è lo strumento necessario per rendere una sessione fruttuosa. Il formatore quindi ha la facoltà di decidere la direzione del gruppo, stimolandone il lavoro (coaching), gestendone le discussioni (moderazione), ma soprattutto aiutando il gruppo a raggiungere uno o più obiettivi (facilitazione).

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Questo TNT ha permesso di far comprendere l’importanza assoluta delle domande (perché lo facciamo?) e di lavorare sul l’acquisizione dello strumento forse più importante: l’avere un occhio critico. Tutto questo è stato solo l’inizio, ora spetta alle nostre 24 nuove leve dare un vero significato alla colonna vertebrale tatuata sulla maglia da Trainer, dimostrando di essere garanti della formazione associativa, di essere una colonna portante del SISM. Il percorso che devono fare è ancora molto lungo: il TNT è stato un brevissimo inizio, un semino di curiosità piantato nelle loro teste. Il vero lavoro formativo, per loro, comincia adesso. Mi raccomando però, senza fretta, perché un educatore poco paziente non sarà mai un buon educatore.

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VORREI, MA NON POS(T)SO di Barbara Zimotti Questo sarà un pezzo diverso dal solito, cosa forse già nota dal titolo che riprende quello di un tormentone estivo. Chi scrive è una ragazza che sin da piccola diceva che da grande avrebbe fatto sia il medico sia la scrittrice. Entrambe le cose, assieme: non avrei rinunciato a nessuna delle due, mai, perché sentivo che se ne avessi fatto solo una non avrei vissuto al pieno delle mie potenzialità e mi sarei sentita incompleta. Nessun compromesso, nessuna incertezza, i miei due sogni non hanno mai viaggiato l’uno in modo divergente dall’altro, scontrandosi con la mia coscienza o con la realtà, ma si sono incontrati e hanno permesso di essere una cosa sola non appena ho avuto l’occasione per scrivere per Zona SISMica. Scrivere per Zona SISMica mi ha permesso di mettermi in gioco, superando quello che per me era un passo di montagna a dir poco invalicabile: provare a far qualcosa di utile, di concreto, proprio come quello che voglio fare donando la mia vita come medico, ma stavolta grazie alle parole, ossia quel mezzo che mi permette anche di sognare e di vivere altre vite oltre alla mia, come narratore e come personaggio. Una parte di me sorride pensando nello scrivere queste parole proprio nel mese di novembre, il mese in cui cade ogni anno una specie di sfida con se stessi, per ogni persona che vive di parole o che vuole cimentarsi nell’impresa di scrivere qualcosa, dal nome di NaNoWriMo. Non credo alle coincidenze, ma per la “me scrivana” è un’associazione senz’altro piacevole. L’altra parte di me, pensando alla scrittura e alla medicina e a quanto possano dare a livello qualitativo assieme, s’intristisce, perché nota che tutto il potenziale delle parole unite al sapere medico www.sism.org

resta inespresso, oppure visto soltanto come un concetto più di nicchia, a cui le persone nel quotidiano non possono avvicinarsi. Vuoi perché si pensa che scrivere sia difficile, vuoi perché si ha un certo snobismo nei confronti della scrittura in sé, ma alcuni pregiudizi sono duri a morire. Nella mia realtà quotidiana, da studentessa di medicina, ho notato che le lettere in generale o qualsiasi passione del singolo che è prettamente umanistica non è ben vista, almeno come tendenza maggioritaria, come se fosse qualcosa di cui “vergognarsi”, qualcosa di “inferiore”, che non vale tanto quanto quello che noi facciamo nel nostro percorso di studi e che dunque non serve dedicarsi a qualcosa di “inutile”. Tutto ciò è abbastanza sconfortante. Da quando sono membro del SISM mi sono sentita parte attiva di una realtà più grande di me che mi ha permesso di crescere sia come studentessa e futuro medico sia come persona, permettendomi di porre – a me stessa e agli altri – delle domande anche profonde su come si vuole diventare medici, un domani, e la consapevolezza di pensieri, parole e azioni non è così scontata come si potrebbe pensare, anzi, è un processo graduale che si avvale anche dell’informazione, oltre che dei gesti concreti. Se non si conosce è difficile poi agire, tra le altre cose. Mi piacerebbe dire a persone ormai medici anche già entrati in scuola di specializzazione che il SISM non è “una perdita di tempo” – per riprendere le loro parole – perché grazie al SISM mi sento una persona più ricca e completa. Zona SISMica è stato il modo grazie al quale le mie parole hanno smesso di essere soltanto e propriamente mie, diventando quelle di tutte le persone che hanno letto, magari riflettuto su quello che ho scritto e hanno scelto di

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Numero 38 | Novembre 2016 estendere un messaggio condividendolo a loro volta. Questo succede ogniqualvolta qualcuno decide di dar voce al proprio messaggio, dando forma e corpo a un pensiero che può raggiungere anche gli altri e non c’è nulla di più bello di vedere una rete di persone che comunica con tutti i mezzi a disposizione. Il clima che si crea con la redazione è proprio quello di un gruppo che non ti lascia allo sbaraglio, anche se non si è alle prime armi con le parole: il lavoro che crei è tuo e tale resta, ma dietro di te ci sono delle persone pronte ad aiutarti sistemando parlando di stile, costruzione delle frasi, elaborazione dei concetti... me n’ero accorta sin da quando mi era capitato di fare l’articolista per la prima volta e quando sono diventata io parte della redazione mi sono impegnata con tutta me stessa nel mettere a disposizione le mie conoscenze per rendere gli articoli più fruibili e gradevoli anche dal punto di vista dell’elaborato stesso. Non sono mai stata sola, nemmeno in questa circostanza, e posso assicurare che è una bella sensazione rendersene conto e saperlo le occasioni successive. Oggigiorno è molto facile comunicare con gli altri e grazie al web molti messaggi raggiungono più in fretta una grande fetta di utenza. Per condividere sui social, per esempio, una semplice foto, un link musicale o qualsiasi altra cosa occorre pochissimo tempo; se ne impiega di più nel dirlo che non nel farlo davvero. Eppure, una domanda si fa strada in ogni persona che vuole dire qualcosa agli altri: perché è diventato più difficile farsi ascoltare e comunicare se abbiamo più modi per farlo e anche rapidi? La risposta che mi sono data e che propongo come spunto di riflessione è data... dal titolo di questo articolo! Spesso manca la voglia di condividere quello che si legge e un gesto così semplice e ormai addirittura meccanico in certe occasioni diventa un modo per dire “questo non è importante”, “questo non mi interessa”.

scelta dice “avrei potuto fare di più per estendere il messaggio condividendolo” mostra un paradosso che poteva non esserci, perché era noto il modo per ovviare a quella che viene definita poi come una mancanza. “Spendere un secondo” per una condivisione di un articolo non dovrebbe pesare, almeno credo. L’augurio che vorrei fare, a tutti come anche a me stessa – perché non è mia prerogativa puntare il dito verso qualcuno ponendomi con un atteggiamento superiore – è quello di vedere Zona SISMica crescere, accogliendo chiunque voglia dire qualcosa come si è sempre fatto, ma facendo capire ancora di più che non bisogna aver paura di mettere davanti una pagina bianca i propri pensieri e allo stesso modo di mettere noi stessi davanti questa pagina che sa essere spaventosa. Se si pensa di avere qualcosa da dire, un qualcosa capace di permettere uno scambio costruttivo, partendo dall’informazione e dalla condivisione di idee che possono arrivare anche alle altre persone, allora non bisogna mai avere paura di prendere la penna – oppure di mettersi davanti un programma di videoscrittura – e di lasciare che le parole investano la pagina come un fiume, concretizzando con l’azione la volontà di esprimersi. Va da sé che nessuno mai farà un cartello in stile “Zio Sam” per reclutare qualcuno per scrivere, ma sentivo di dire che si è sempre a disposizione, sempre dalla parte della realtà della medicina che ci riguarda da vicino e delle parole. Riprendendo le parole di William Forrester nel film Scoprendo Forrester di Gus Van Sant: “La prima stesura la devi buttare giù, col cuore, e poi la riscrivi, con la testa. Il concetto chiave dello scrivere è... scrivere, non è pensare”. Cuore e testa ci sono, assieme a un brano. E ci sono anche le nostre mani, pronte a sostenervi in questo viaggio.

Sicuramente è una libera scelta, ma nel momento in cui poi chi compie questa

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QUELLO CHE NON TI ASPETTI DALLA GASTROENTEROLOGIA di Stella Brienza Questo articolo ha visto la luce perché mi piace condividere le mie esperienze formative – universitarie e non - con qualunque sfortunato conoscente mi capiti a tiro: essenzialmente gli/le “vomito addosso arcobaleni”. Ben inteso, solo quando suddette esperienze sono utili o ritenute tali. Per cui quando Arianna, mia amica e collega, mi ha proposto di estendere il getto di arcobaleni su Zona SISMica ho pensato: “Perché no? La parte difficile sarà rendere giustizia ai fatti.” Dal 12 Aprile 2016, presso l’Università di Parma, è partito un ciclo di conferenze organizzate dal Prof. Francesco Di Mario (docente del corso di gastroenterologia per il CL in Medicina e Chirurgia di Parma) dal titolo “Alla frontiera della gastroenterologia: La parola ai protagonisti”.

di Padova) è stato riassunto con il titolo: “Lo stomaco spiegato dal patologo”. Il professore ha iniziato con una frase che mi è rimasta impressa: “Non c’è nulla di troppo difficile da spiegare”. E in effetti la conoscenza non è difficile: le spiegazioni più d’impatto sono le più semplici, con pochi fronzoli. La conferenza è stata incentrata sull’evolversi delle patologie gastriche: da come una semplice gastrite può degenerare in una neoplasia, a seconda di determinanti in parte genetici (predisposizione) od ambientali (infezione da H. pylori, dieta, stile di vita).

Finora si sono svolti cinque dei sei incontri previsti, l’ultimo dei quali – su cui mi concentrerò – è avvenuto l’8 Novembre.

Com’è noto, il cancro non è una patologia di tipo acuto: non insorge da un giorno all’altro, ma si sviluppa per gradi; nel caso particolare del cancro gastrico, la sua evoluzione è stata efficacemente schematizzata dal Dottor Pelayo Correa, mostro sacro dell’Oncologia e maestro dello stesso Dottor Rugge.

L’argomento trattato dal Professor Massimo Rugge (docente presso l’Università

Allo stato attuale delle cose, ci ha informato il Prof. Rugge, la percentuale di

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Numero 38 | Novembre 2016 diagnosi istologiche effettuate in tempo utile - ossia potenzialmente per bloccare l’insorgenza del cancro gastrico - è tristemente bassa (così triste che non raggiunge le due cifre). Questo perché la sola indagine istologica non è sufficiente per calcolare il rischio di un’ipotetica evoluzione neoplastica a partire, ad esempio, da una gastrite.

fetto sul paziente, quanto per l’indifferenza. La totale mancanza di empatia che – alle volte – pervade le stanze di ospedale o i nostri libri: “Illustrazione n. 21: stomaco con carcinoma”. Stomaco, non paziente affetto da carcinoma gastrico: stomaco. Molto spesso il paziente diventa un’entità astratta, diventa l’organo sofferente.

Avete metabolizzato? O vi è venuta una gastrite nervosa?

Ma non è quello che traspariva dai relatori delle quattro conferenze a cui ho avuto la fortuna di assistere: saper essere un Medico non può voler dire laurearsi con 110 e lode ed eradicare il cancro da 1000 organi diversi, voglio che questa concezione rimanga lontanissima dalla mia futura vita professionale. Forse è questo il messaggio più importante che ho trovato riconfermato - di data in data - in questi incontri, ancora più che le nozioni trasmesse o degli studi all’avanguardia: io voglio essere un Medico che si preoccupi di curare o salvare quante più PERSONE possibile o di permettere loro di vivere il tempo che gli resta in maniera dignitosa.

Niente paura: quello che ha esposto il Prof. Rugge, e di cui ci stiamo occupando in questo articolo, riguarda prevalentemente le gastriti di tipo atrofico. Si dice, appunto, che la gastrite atrofica multifocale (GAM) rappresenti il “campo di cancerizzazione” per il cancro gastrico. Per “campo di cancerizzazione” si intende una zona comprensiva delle lesioni tessutali – in questo caso le zone della mucosa gastrica ghiandolare che vanno in atrofia – e di mucosa limitrofa apparentemente ancora sana. Qual è la causa principale della gastrite atrofica? Quel piccolo, meschino e flagellato enterobatterio noto come Helicobacter pylori. Il Prof. Rugge ha proseguito spiegando cosa comporti la GAM: la compromissione della funzionalità delle ghiandole gastriche. Ciò può accadere sia nel caso in cui le ghiandole diminuiscano numericamente, sia nel caso in cui vengano alterate qualitativamente producendo secreti diversi da quelli originali (metaplasia). “Quindi? Cosa c’è di speciale nello star seduti in un’aula e sentir parlare un professore?” direte voi. “Tutto e niente” vi rispondo io: le maniere e i toni con cui si sono svolti questi incontri sono stati del tutto diversi da una semplice lezione o da una esposizione curriculare. Quello che non ti aspetti dalla gastroenterologia è l’insorgere di riflessioni e certezze sulla deontologia del Medico. Vi è mai capitato di rimanere agghiacciati mentre studiate o fate tirocinio? Non tanto per le patologie o il loro ef-

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Numero 38 | Novembre 2016

CLERKSHIPS: UN ASSISTANT E UN OUTGOING A CONFRONTO di Carla Spadaro Molti amici mi avevano parlato della Campagna Scambi, la maggior parte dei quali per esperienza vissuta. Ciò che mi incuriosiva di più era il fatto che, nonostante avessero svolto lo scambio in paesi ‘scunchiuruti’ (come diciamo qua a Catania... insomma non di certo i primi in cui penseresti di farti un giro!) ne tornavano super entusiasti. Così, nel Maggio 2015, ho iniziato a frequentare il LEO/LORE Team : l’Agosto successivo avrei accolto e accompagnato gli incomings durante la loro Clerkship qui a Catania. L’idea mi rendeva un po’ nervosa in realtà, e temevo di non riuscire poi a preparare materie per la sessione di Settembre… ma non posso sempre rovinarmi la vita sui libri, ho pensato, ho pur sempre 22 anni! Beh, sapete che vi dico? Agosto è stato indimenticabile e ho pure dato Pneumologia ed Ematologia con ottimi risultati. Vivere lo scambio dall’interno mi ha insegnato moltissimo, sia a livello culturale che come occasione per diventare più responsabile.. Ho conosciuto ragazzi da

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varie parti del mondo (Marocco, Polonia, Lettonia, Spagna, Giappone, Repubblica Ceca, Russia, Tunisia per fare degli esempi), ho cercato di non farli sentire lasciati a se stessi, di risolvere eventuali piccoli loro problemi che si presentavano nel corso del mese, e ovviamente di farli divertire! Tutto ciò è stato possibile soprattutto grazie alla magnifica coesione che si è creata all’interno del nostro gruppo di assistant. È anche stata anche un’occasione per riscoprire la mia Sicilia, e visitare luoghi che seppur vicini non avevo mai avuto modo di conoscere; inoltre, mi ha particolarmente entusiasmato il nostro ‘Catania trip’, durante il quale abbiamo guidato i ragazzi in giro per la città, facendo delle tappe in corrispondenza dei principali monumenti e raccontandone loro la storia (back to the origins: dopo anni di materie attinenti la medicina, ho di nuovo rispolverato un po’ di storia!). Niente però può descrivere cosa ho provato quando, durante il Goodbye Party, gli occhi di quasi tutti i nostri incomings si sono riempiti di lacrime al pensiero

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Numero 38 | Novembre 2016 dell’imminente partenza. Come potrei definirlo? Un misto di orgoglio, perché, come ci hanno balbettato tra i singhiozzi, quell’agosto è stato uno dei mesi più belli della loro vita, e d’altra parte di infinita malinconia, perché mi ero ormai affezionata ai miei piccoli “figlioletti” internazionali. Forte di questa esperienza, ho deciso di viverla ‘dall’altra parte’, se così possiamo definirla: nel novembre di quell’anno ho provato il concorso per la Campagna Scambi e sono riuscita ad aggiudicarmi la città spagnola più artistica e più viva che ci sia. Non avete ancora indovinato? Inizia con la B, finisce con la A… Ebbene sì, BARCELLONA. Avevo grandissime aspettative prima della partenza, sia riguardanti l’aspetto formativo che del divertimento. Adesso, a distanza di più di 2 mesi, quando leggo, scrivo o pronuncio questo nome mi si stringe ancora il cuore e posso dire che quelle aspettative sono state ampiamente superate. Stavolta le paure iniziali riguardavano soprattutto le mie capacità di badare a me stessa per un intero mese, essendo ancora abituata alle comodità della vita in famiglia! Tutto è andato per il meglio, e ho anche riscoperto un lato ‘ordinato’ e casalingo di me stessa di cui ignoravo l’esistenza (ma non ditelo a mia mam-

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ma). Il reparto da me scelto e in cui, per fortuna, sono stata assegnata era Chirurgia Toracica. In quell’efficentissimo Hospital Universitari Germans Trias i Pujol ho avuto la possibilità di svolgere il tirocinio più entusiasmante della mia vita, guidata dal Dr. Martinez: non sono stata affatto una semplice osservatrice, anzi, come diceva lui ‘you must scrub out and join every operation!’. Così, tra lobectomie superiori destre, mediastinoscopie, biopsie polmonari e resezioni atipiche, ho imparato alcuni dei segreti di questa interessantissima branca della Medicina, che sto seriamente considerando per il mio futuro. Non dimenticherò mai i miei 16 compagni di viaggio: un ragazzo di Dubai, due greci, una ragazza di Bari, due slovacchi, uno spagnolo, un filippino, due olandesi, due ungheresi, due serbe, una tedesca, una belga. Abbandonati completamente dalla sede locale catalana, abbiamo organizzato un nostro invidiabilissimo Social Program con visita della Sagrada Familia, del Parc Guell, del Parc de Montjuic, del National Art Museum of Catalonia, del Parc del Laberint d’Horta, del Parc de la Ciutadella, e nei fine settimana delle vicine cittadine di Tarragona e Girona. Anche in questa occasione il momento dei saluti è stato assai triste, e forse anche più rispetto all’anno precedente,

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Numero 38 | Novembre 2016 soprattutto per l’idea che difficilmente ci saremmo rivisti tutti lì, a Barcellona, d’estate e spensierati. Mi sentivo come se, nel momento in cui sentivo che stavo per legarmi ad altre persone, queste mi venissero strappate via!

Cosa significa per me la Campagna Scambi quindi? Significa crescere, imparare, metter su altri mattoni per la costruzione del proprio futuro, e avere un amico o un’amica da incontrare quasi in ogni paese del mondo.

Tirando le somme, cosa dire? Vivere lo scambio da Assistant, e viverlo da Outgoing, sono due mondi a parte! Se da un lato il primo può essere stressante, perché mette alla prova le capacità organizzative, il secondo lo è in termini di capacità di adattamento; se l’uno è uno sguardo più profondo all’interno della propria cultura, l’altro permette di confrontare quest’ultima con un’altra e coglierne aspetti similari e aspetti discordanti. Amo viaggiare e, durante il mio girovagare per l’Europa, ho rivisto ragazzi conosciuti durante lo scambio a Catania: in Lettonia e in Lituania due amiche originarie rispettivamente di Riga e Vilnius, e a Barcellona una ragazza del Marocco in viaggio lì con la sua famiglia, infine a dicembre incontrerò a Mosca un’amica del luogo, di cui sono stata contact person l’anno scorso.

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IVG NEL 2016: DIRITTO DELLE DONNE O DEI GINECOLOGI? di Barbara Zimotti e Giovanni D’Angelo Carissimi Sismici e Sismiche dello Stivale, questo mese SCOPH e SCORA si uniscono per approfondire la questione morale relativa all’interruzione volontaria di gravidanza. Sebbene in questo specifico caso sia stato dimostrato un nesso di non causalità fra la mancata interruzione di gravidanza e la morte della mamma e dei due nascituri, i recenti fatti di cronaca avvenuti a Catania hanno riportato alla luce questa tematica, riaprendo un dibattito sempre acceso. È una questione indubbiamente spinosa e il nostro compito non sarà quello di dare una verità assoluta al riguardo o di ergerci a giudici della situazione. Il giornalismo che diventa sciacallaggio non è la prerogativa che ci prefiggiamo, quanto più quella di provare a dare degli spunti di riflessione. L’aborto è nato per così dire assieme all’uomo, giacché sono sempre esistite le gravidanze indesiderate. Nel corso dei secoli si è arrivati al Novecento, periodo storico in cui fu portata avan-

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ti l’idea che lo Stato dovesse garantire alla donna il diritto di poter decidere in modo del tutto autonomo se interrompere la propria gravidanza. La legge in Italia che garantisce il diritto a ogni donna di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza è la legge 194 approvata il 22 maggio 1978: l’interruzione di gravidanza è permessa gratuitamente e nelle strutture pubbliche entro certi limiti temporali e secondo una procedura medico-ospedaliera ben definita. Fino al 1975 l’aborto era in Italia ancora una pratica illegale e fu uno degli ultimi Paesi europei a considerarlo un reato. Ciò non significava che non ne avvenissero, anzi: gli aborti erano praticati clandestinamente, con mezzi assolutamente non idonei allo scopo, dietro un compenso anche esorbitante col rischio di perdere la vita durante l’intervento. In quello stesso anno la sentenza 27 della Corte Costituzionale stabilì la “differenza” tra un embrione e un essere umano e sanciva la prevalenza della salute della madre rispetto alla vita del

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nascituro, anche dichiarando l’illegittimità dell’articolo 546 del codice penale che fu abrogato proprio con l’entrata in vigore della legge 194. La legge 194 garantisce anche al medico la possibilità di rifiutarsi, tranne in caso di imminente pericolo di vita per la donna, e inviare la paziente da un altro medico: questa è quella che viene chiamata obiezione di coscienza. Ma che cos’è nello specifico? L’obiezione di coscienza è il rifiuto di assolvere a una prescrizione di legge di cui gli effetti del proprio espletamento sono contrari alle proprie convinzioni ideologiche, morali o religiose. Si chiede che venga consentita un’omissione di un comportamento previsto dalla legge; non si contesta esplicitamente la legge in quanto tale, ma per il singolo viene vista come immorale. Con essa si definisce il primato della coscienza dell’individuo nei confronti dell’autorità e della legge perché così il singolo può valutare se quanto gli viene richiesto è compatibile coi principi morali su cui basa la propria condotta. Sul piano etico ciò si traduce sia come una definizione di tolleranza e di democrazia, ma anche come una debolezza della legge a livello giuridico se riconosce nella sua stessa ratio il non interpretare il bene di tutti i cittadini, giacché prevede una legittima disobbewww.sism.org

dienza al suo interno: nella fattispecie si intende che se è possibile l’obiezione di coscienza sull’interruzione di gravidanza si dice implicitamente che la legge 194 non fa il bene di tutti i cittadini proprio perché è permesso obiettare. Viene garantita la libertà di coscienza e si vuole quindi promuovere un valore o un principio diverso da quello che garantisce la legge, che si scontra con l’opinione del singolo correlata alle sue azioni. L’obiezione di coscienza è ritenuto un diritto soggettivo: se la persona ha il diritto di non essere costretta ad agire contro la propria coscienza, una società giusta non deve permettere tale costrizione. Non è però un fatto giuridico, perché riconosciuto dalla legge; questo riconoscimento deriva perché si rispetta la dignità dei cittadini. A tal proposito, a parte lo schieramento più o meno palese tra le fazioni “pro-scelta” – che difendono il diritto all’aborto in quanto autodeterminazione della donna – e “pro-vita” – che difendono il concetto definito come “sacralità della vita” – occorre notare come oggi in Italia il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza non è garantito così come la legge invece lo prevede dato il crescente numero di medici obiettori di coscienza presenti nelle strutture pubbliche.

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Numero 38 | Novembre 2016 Questo fenomeno, stando alle ultime indagini statistiche, è maggiormente radicato nel Sud Italia. L’obiezione di coscienza permette di porsi molti interrogativi al di là del perché si scelga davvero di voler essere obiettori, quanto più sulle ipotetiche soluzioni che possano permettere la garanzia del diritto all’aborto. Da un punto di vista storico l’obiezione di coscienza in materia di aborto era legittima dato che quando fu approvata la legge vi erano già dei ginecologi esercitanti, e quella che doveva essere una soluzione transitoria per il cambiamento dell’impianto giuridico si è protratta sino ai giorni nostri. Due delle soluzioni proposte per questo è l’annullamento dell’articolo 9 della legge 194 oppure una sua rivisitazione apportando delle modifiche. Volendo permettere ancora l’obiezione di coscienza, uno studente di medicina che vorrebbe specializzarsi in ginecologia dovrebbe sapere che anche l’interruzione di gravidanza rientra nell’esercizio della sua professione. Nel caso in cui avesse problemi di coscienza a operare a tal modo due possono

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essere le alternative: lavorare in una struttura privata (è la struttura della sanità pubblica che deve garantire il diritto all’aborto) negando loro l’accesso a incarichi pubblici come ginecologi oppure cambiare specializzazione, eventualmente limitando il numero di posti per i ginecologi che vorrebbero avvalersi dell’obiezione di coscienza. Il lavoro in una struttura privata, secondo questa idea, non deve essere visto come una negazione del lavoro per chi si professa antiabortista, bensì come una garanzia del proprio diritto a esercitare senza negare loro il diritto soggettivo quale l’obiezione di coscienza è. Un’altra soluzione prevista potrebbe essere quella di garantire in ogni ospedale al 50% personale non obiettore e al 50% personale obiettore oppure quella di garantire un numero adeguato minimo di medici non obiettori in proporzione due a uno rispetto ai medici obiettori. Se la legge 194 è riuscita in gran parte a eliminare la piaga degli aborti clandestini, le finalità sociali e di prevenzione della legge non sono state inseguite seriamente; mancando anche di politiche e campagne adeguate sulla salute riproduttiva e sulla contraccezione si nota

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Numero 38 | Novembre 2016 che l’informazione scarseggia, come testimoniato dalle indagini ISTAT che vede aumentare il numero di interruzioni di gravidanza nelle giovanissime. “Che fare, dunque?”: la questione è sempre qui, apertissima e soggetta alle molteplici visioni delle cose. Affermare la propria coscienza in ogni momento ed essere fedele a essa è difficile, perché quando si cerca di far parlare la propria etica ci si impone di fare scelte delicate ed eventualmente anche dolorose, per faccende che sono alla base delle nostre convinzioni. Quando si parla della vita umana, le riflessioni non sfociano soltanto nell’etica, ma anche nel giuridico. È necessario capire di cosa si sta parlando, quando ci riferiamo alla medicina. Le troppe informazioni con cui oggigiorno siamo bombardati non implica necessariamente che si è a conoscenza dell’argomento in modo pertinente. Prima di parlare di questione di coscienza, bisogna parlare delle questioni di scienza. La corretta informazione consente di ricevere una adeguata formazione, anche grazie alla comunicazione di modo che non si perda di vista la base della medicina tutta: la salute fondata su percorsi coerenti che riescano a muovere intelletto e coscienza. Fonti: http://www.giurcost.org/decisioni/1975/0027s-75.html http://www.mondodiritto.it/codici/codice-penale/art-546-codice-penale-aborto-di-donna-consenziente.html http://www.repubblica.it/cronaca/2016/10/20/news/medici_obiettori_ecco_i_ dati_regione_per_regione-150182589/?refresh_ce (per gli ultimi dati ministeriali statistici riguardo al numero di medici obiettori per regione)

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MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI: UNA QUESTIONE SCIENTIFICA E CULTURALE di Christian Nasti e Claudia Bartalucci COSA SONO? Questione Scientifica Con la sigla MGF (o FGM in lingua inglese), che sta per Mutilazioni Genitali Femminili, si intendono tutte le pratiche che implicano la parziale o totale rimozione dei genitali esterni femminili o qualunque altra lesione praticata sui genitali femminili per ragioni non terapeutiche (definizione secondo WHO). Le MGF vengono classificate in 4 tipi principali: • Tipo 1 (clitoridectomia): consiste nella parziale o totale rimozione del clitoride o, in casi molto rari, del solo prepuzio clitorideo • Tipo 2 (escissione): consiste nella parziale o totale rimozione del clitoride e delle piccole labbra con o senza rimozione delle grandi labbra • Tipo 3 (infibulazione): consiste nella pratica di restringere l’orifizio vaginale mediante escissione e riposizionamento delle piccole labbra (o grandi labbra), talvolta mediante sutura; può includere o meno la rimozione del clitoride • Tipo 4: quest’ultima tipologia include qualunque altra procedura causante danno ai genitali femminili eseguita a scopi non terapeutici quali la puntura, la perforazione, il piercing, l’incisione, i graffi o le cauterizzazioni. Con il termine deinfibulazione, invece, ci si riferisce alla pratica di riapertura chirurgica dell’orifizio vaginale cicatrizzato a seguito di una infibulazione. Si stima che ad oggi più di 200 milioni di donne e bambine vivono con una MGF nelle zone in cui tale pratica è maggiormente diffusa quali l’Africa centrale e alcuni paesi del Medio Oriente e dell’Asia; i Paesi con un incidenza del fenomeno relativa al decennio 2004-2015 superiore al 50% (per quanto riguarda donne di

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età compresa tra i 15 e i 49 anni) sono (in ordine decrescente): Somalia, Guinea, Gibuti, Sierra Leone, Mali, Egitto, Sudan, Eritrea, Burkina Faso, Gambia, Etiopia, Mauritania e Liberia. Sono stati, inoltre, riscontrati casi all’interno di comunità di immigrati in Europa, America del Nord, Australia e Nuova Zelanda. Tali pratiche sono comunemente eseguite durante riti comunitari da “tagliatrici” per tradizione, in taluni paesi, invece, sono eseguite da personale sanitario. Nella maggioranza dei casi vengono eseguite su minorenni, che si stima siano di età uguale o inferiore ai 5 anni, e solo raramente su donne adulte. Si stima che più di 3 milioni di donne ogni anno sono a rischio di subire una MGF. Tuttavia una grossa fetta di dati rimane sconosciuta perché spesso il fenomeno non viene segnalato al personale sanitario, ma il tutto si svolge all’interno della comunità. Questione Culturale Nell’immaginario collettivo le Mutilazioni Genitali Femminili sono associate a un rito religioso, e in particolare alla religione Islamica. In realtà il giusto background in cui inserire queste pratiche non è la religione, bensì la cultura. Una testimonianza di ciò è dello storico greco Erodoto (V sec. a.C) che racconta che la MGF era praticata molto prima della sua epoca da Fenici, Ittiti, Egizi, Etiopi. L’infibulazione veniva praticata anche dai Romani: la parola fibula infatti è latina e indica la spilla con cui si agganciavano le toghe. In tempi più vicini anche in Europa tra il XVIII e XIX secolo veniva praticata la clitoridectomia per prevenire alcune malattie (come l’epilessia e la follia) attribuite alla masturbazione femminile. Questo ci fa capire come non siano correlate a nessun tipo di credo religioso in particolare ma facciano parte da moltissimi secoli del substrato culturale di molti popoli e che con gli anni si siano diffuse ed estese gettando radici in culture diverse e cowww.sism.org


Numero 38 | Novembre 2016 munità diverse. PERCHÉ SI PRATICANO? Questione scientifica Le MGF non apportano alcun beneficio in termini di salute, ma anzi comportano la rimozione ed il danneggiamento di tessuti perfettamente normali e sani. Talune motivazioni addotte a difesa di tale pratica comprendono: la necessità di contenere la altrimenti irrefrenabile sessualità femminile; la convinzione che i genitali non tagliati sarebbero scarsamente igienici oppure tenderebbero a crescere enormemente e che quindi sarebbero osceni e che crescendo possono assumere caratteri “mascolini”. Infine si pensa a volte che la mutilazione favorisca la fertilità della donna e la sopravvivenza del bambino Questione Culturale Possono essere considerate una “particolare declinazione” dell’ Empowerment femminile. Sembra paradossale poiché l’empowerment è definito come: “La conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica e sociale”. Il paradosso risiede nel fatto che la decisione di sottoporre una bambina a una MGF parte spesso dalla famiglia, in particolare dalla madre, e quindi la definizione di “controllo delle proprie scelte” non sembra poter essere applicabile a questo contesto. Tuttavia dobbiamo tener presente che a volte la richiesta di essere sottoposte a questo tipo di pratica può partire dalle stesse bambine o ragazze, che non comprendendo le conseguenze e i rischi della manovra, sono mosse da un desiderio di omologazione verso le coetanee, dal desiderio di essere accettate, di essere come le altre. Le ragioni culturali legate a questo fenomeno sono di tipo sociologico: è un rito di iniziazione delle adolescenti all’età adulta. Questo permette loro di essere inserite a pieno e incluse nella comunità, dove possono partecipare attivamente alla vita sociale, come per esempio sposarsi. Vista sotto questo aspetto, la MGF potrebbe essere concepita come uno strumento che permette alla donna di raggiungere il benessere “sociale” e “psicologico” a discapito di quello “fisico”. Si può comprendere quindi come l’approccio e il giudizio di una pratica www.sism.org

simile sia una questione delicata: il benessere sociale e quello psichico fanno parte della definizione di Salute secondo la WHO (“La Salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità”) e pertanto affrontare questa tematica, soprattutto da parte degli Operatori Sanitari, richiede di considerare questa visione olistica della Salute. COSA COMPORTANO? Questione scientifica Le sequele lasciate da una MGF sono numerose e si possono distinguere in a breve termine, ovvero che si possono manifestare subito dopo che la MGF è stata praticata, e a lungo termine, che possono manifestarsi in qualunque momento nella vita di una donna che ha subito una MGF. Le conseguenze a breve termine includono: dolore, emorragia, shock (settico o emorragico), possibilità di contrarre infezioni (tra cui l’HIV), ritenzione urinaria e minzione dolorosa, alterata cicatrizzazione, disturbi d’ansia, disturbi post-traumatici e/o disfunzioni sessuali. A lungo termine invece, compaiono: dolore cronico (per esempio a seguito dell’intrappolamento di fibre nervose nelle briglie cicatriziali); infezioni croniche ai genitali, alle vie genitali e alle vie urinarie (queste ultime, se non trattate, possono poi complicarsi in infezioni ascendenti al rene); dismenorrea (per la difficoltà di transito del flusso mestruale); formazione di cheloidi; complicanze ostetriche (necessità di ricorrere all’episiotomia, maggiore incidenza di parti cesarei, rischio più elevato di lacerazioni nonché aumentato rischio di morte per il neonato durante il parto); stress e depressione. Questione culturale Essere state sottoposte ad una Mutilazione Genitale Femminile comporta l’ingresso e l’accettazione della donna nella comunità, come rito di passaggio obbligatorio per avvicinarsi al mondo degli adulti. Per tale motivo, questo rituale è accompagnato spesso da cerimonie e festeggiamenti, che simboleggiano l’inclusione della ragazza nella società e con i quali ella si guadagna il rispetto e l’accettazione altrui. Questa pratica mira alla tutela della verginità e della castità, e nelle culture

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Numero 38 | Novembre 2016 dove questi sono requisiti necessari al matrimonio l’infibulazione permette alle giovani donne di sposarsi. Per questo sono spesso le famiglie ad incoraggiare la manovra, obbligando la bambina a sottoporvisi per poter ottenere una remunerazione maggiore con il matrimonio. Per tutti questi motivi, e per il fatto che la pratica è parte della propria cultura, la donna, una volta adulta, spesso non percepisce la manovra a cui è stata sottoposta come una “mutilazione”: come qualcosa che ha perso, che gli è stato sottratto. Pertanto approcciarsi ad una paziente durante un colloquio medico con la parola “mutilata” potrebbe farla sentire discriminata o in difetto. LA QUESTIONE LEGALE Questione scientifica La legge n.7/2006, in vigore dal 2 Febbraio 2006 disciplina le pratiche di prevenzione e le sanzioni penali ed amministrative per quanto riguarda le Mutilazioni Genitali Femminili. Tale legge introduce una norma incriminatrice ad hoc, in quanto le norme precedentemente applicate passavano per i soli articoli del codice penale relativi alle lesioni personali, che non specificavano nulla in materia di mutilazioni genitali. Secondo tale legge è punibile con la reclusione da 4 a 12 anni, chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili (come classificati dalla WHO) oppure reclusione da 3 a 7 anni per chi provoca qualunque lesione agli organi genitali femminili per fini non terapeutici diversa dai 4 tipi descritti secondo la classificazione WHO, la quale lesione inneschi un processo morboso produttivo di una riduzione apprezzabile della funzionalità degli organi interessati. Tale disposizione vieta dunque a chiunque, personale sanitario o meno, cittadino italiano o meno, di praticare una MGF. Essa è applicata anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, in danno di cittadino italiano o straniero residente in Italia. La legge inoltre introduce una pena accessoria per gli esercenti professioni sanitarie (medici, inferimeri, ostetriche etc...) che consiste nell’interdizione dalla professione da 3 a 10 anni. Inoltre

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la sanzione di condanna è comunicata all’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri che può aggiungere eventuali sanzioni disciplinari in quanto, secondo il codice di deontologia medica, è fatto divieto al medico di praticare qualsiasi forma di mutilazione sessuale femminile. Vengono inoltre introdotte sanzioni amministrative per gli enti (vedi ospedali o cliniche) in cui vengono praticate mutilazioni genitali femminili. Questione Culturale Gli organi internazionali (WHO, Unicef, Unfpa), e molti Stati, siano essi occidentali o africani o medio orientali, sono tutti concordi nel ritenere che le MGF rappresentano una grave violazione dell’integrità fisica, psichica e morale delle donne. Tali pratiche rappresentano infatti una grave violazione del Diritto alla Salute, del Diritto a non essere soggetti a pratiche crudeli e degradanti, il Diritto all’Integrità Fisica e Sessuale e il Diritto alla Riproduzione, espressi da Documenti e Convenzioni Internazionali come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), La Convenzione dei Diritti del Fanciullo (1989), la Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti e punizioni disumani e degradanti (1989), Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione delle donne (1979), l’African Charter on Human and Peoples’ Rights (1981). Dall’altra parte però le MGF rappresentano una pratica antica che affonda le sue radici nella cultura e nella tradizione, per cui è auspicabile (come per tutte le questioni culturali) applicare una sospensione del giudizio riguardo alle ragioni che portano ad intraprendere una tale pratica e non esprimersi né per una condanna né per un’approvazione. Sul piano giuridico, le posizioni dei singoli Stati sono diverse tra loro, anche se a livello Europeo c’è un diffuso atteggiamento di condanna, non tanto delle motivazioni che portano al fenomeno, quanto delle metodologie e della pratica in sé. In Italia si è scelto di seguire la strada della “repressione penale” con questi principali obiettivi: prevenzione (la minaccia di una sanzione penale mira a diminuire tali comportamenti), il riconoscimento simbolico di questa pratica come nociva, una funzione pedagogica (mirata a modificare le norme www.sism.org


Numero 38 | Novembre 2016 culturali relative). Tuttavia la repressione penale porta con sé una serie di criticità: in primis le motivazioni culturali sono spesso così profonde e radicate tali da non essere scongiurate dalla minaccia di una ripercussione legale, che comporta spesso l’effettuazione di tale pratica da personale non competente e in condizioni igieniche non adatte, con conseguente maggiore clandestinizzazione dell’operazione. Infine la condanna simbolica della pratica potrebbe aumentare il divario culturale, portando ad un isolamento tra loro (che considerano la pratica come necessaria) e noi (che la condanniamo) e costituire un ostacolo all’integrazione. Il dialogo aperto e l’inclusione culturale di coloro che praticano le MGF rappresenta un’occasione per avvicinarci e comprendere l’origine di questa tradizione, e permette un confronto sulle soluzioni di approccio ad una questione complessa e delicata come questa. In Conclusione Questi sono alcuni degli aspetti tra i molti correlati a questa tematica presentati da due punti di vista - a volte in contrasto tra di loro - come due voci apparentemente dissonanti ma che nel complesso costituiscono una visione unificata del fenomeno. L’approccio alle tante possibili sfaccettature in questo ambito dovrebbe essere il più eclettico e multidisciplinare possibile, per poter dare una visione globale e ponderata di una pratica che porta con sé tematiche come il Diritto alla Salute, la Cultura, la Salute Riproduttiva, Le Disuguaglianze di Genere.

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Numero 38 | Novembre 2016

Parola al CN! PAROLA AL CN: IL VPI La rubrica “Parola al CN” offre la possibilità ai lettori di conoscere, ogni mese, un National Officer del SISM. Questo mese conosciamo Sandro Limaj, Vice Presidente per gli Affari Interni 2016. Innanzitutto, conosciamoci! Chi è Sandro Limaj, oltre che VPI? Un immigrato barbuto di 23 anni. Sono al sesto anno, coltivo una grandiosa cultura in kebab e picchiaduro. Il mio più grande rimpianto è aver iniziato a vedere Black Mirror e realizzare che non dormirò mai più senz’ansia. L’altro lato della medaglia: chi è il VPI? Bella domanda. Affari interni: essenzialmente trattare tutto ciò che è di interesse associativo e di gestione. Assemblee dei soci, contenziosi, consigli su soft skills, comunicazione con le sedi locali. Essenzialmente colui che notifica, poi, il CN dicendo “abbiamo un problema”. Un ruolo grandioso. Qual è stato il tuo percorso SISMico e perché hai scelto l’area del Consiglio

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Esecutivo? Essenzialmente, è quello che ho sempre fatto. Nasco come ILass, andando alla mia prima president a Calizzano. Tornai con tanto entusiasmo e poca comprensione del contenuto. Iniziai a capire piano piano, dal meeting di Palermo in poi. Due anni da Incaricato, poi, mi hanno condannato a una vita da Esecutivo. Ogni tanto mi chiedo cosa avrei fatto in area tematica, ma ormai nasco esecutivo e muoio esecutivo! Il futuro si costruisce su basi solide. Cosa è stato fatto quest’anno e cosa ti auguri per l’anno prossimo? Ho iniziato il dramma dello status giuridico con il problema degli atti costitutivi. Mi era stato lasciato in handover questo problema, ma era meglio non saperlo. Tutto questo, alla fine, ha portato il SISM a cercarsi una vita più stabile, e nonostante i cambiamenti speriamo che possa essere un grande passo in avanti per l’associazione. Ho iniziato il lavoro inerente alla modifica dei report e dei PSA Locali, nonostante i secondi siano stati interrotti da problemi logistici. Però è una cosa che

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Numero 38 | Novembre 2016 verrà lasciata in handover, e ho ancora un mese per lasciare qualcosa di più concreto all’associazione! Inoltre, sportello supporto psicologico per varie sedi locali. Personalmente, invece, cosa ti ha lasciato questa esperienza? Esperienza ed esperienze. Ma per lo più l’ossessiva compulsione a guardare il telefono ogni 5 secondi. Riprendiamo a conoscerti un po’ di più. Un film, una canzone e un luogo che ti porti nel cuore. Impossibile limitare il tutto a una canzone, ma tra le mie preferite vi è Schism del Tool sia per musica che testo. Non saprei spiegare, sminuirei la potenza del brano. Un film, probabilmente, sarò banale, ma Ultimo Tango a Parigi. Mi ha lasciato un po’ emotivamente instabile, ma è bello concederselo ogni tanto! Un luogo, vi direi le Cliffs of Moher. Non possiamo non concludere parlando di Zona SISMica. Beh, Zona Sismica è sempre stata presente nel mio percorso SISMico. Iniziai rimanendo ispirato dalle condivisioni dei soci più “vecchi”, anche se non riuscivo a capirne il contenuto e alcuni di essi forse erano difficilmente accessibili a un “nuovo” che non conosce i progetti e il loro svolgimento. Ora, con una nuova consapevolezza, riesco a godermi molto di più le parole degli altri, arricchendo la mia esperienza con quella degli altri. Non si finisce mai di integrare la propria risposta alla domanda “perché lo facciamo?” Ecco, questo tipo di letture aiuta ad aggiungere altre parole alla propria risposta.

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SISM - Segretariato Italiano Studenti Medicina Ufficio Nazionale: Padiglione Nuove Patologie, Policlinico Sant’Orsola, via Massarenti 9, 40138 Bologna. tel/fax: +39 051 399507 – e-mail: nationaloffice@sism.org web: www.sism.org Codice Fiscale 92009880375


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