vox militiae anno x 2011 n.3

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VOX MILITIAE CAVENDO TUTUS

Anno X – N° 3

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Ottobre

2011

Il Risorgimento in posa Dalla Leva ai Professionisti, un cammino lungo 150 anni

La comunicazione Militare Canta in italiano Giornate di Storia delle Forze Armate Italiane La storia nella fotografia La fotografia nacque ufficialmente nel 1839, quindi la sua evoluzione e il consenso sempre più ampio nei suoi confronti coincisero con l‟affermarsi della borghesia, con la crisi di una idea di potere e di nobiltà, con l‟affacciarsi sulla scena socio politica di nuovi soggetti, dunque con lo sviluppo dei fatti risorgimentali. La rivoluzione fotografica accompagnò quella risorgimentale poiché contò su una committenza e su un pubblico che si allargarono via via che migliorarono le tecniche (dal daguerrotipo, al calotipo di Talbot, al collodio, al formato carte de visite), si abbassarono i costi, si aumentò la

riproducibilità dell‟immagine. La fotografia divenne ben presto uno strumento di comunicazione di massa efficace e decisivo, e per questo la propaganda patriottica se ne servì per costruire un immaginario del risorgimento, così come furono utilizzati la musica lirica, la canzone, la pittura, il teatro. Talvolta criticata, fu invece subito generalmente accettata, in particolare da parte di alcuni personaggi che ne compresero subito la portata rivoluzionaria, divenendo con il loro pieno consenso e appoggio delle icone, che poi vennero utilizzate come modelli, prototipi.


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Ottobre 2011 IL RISORGIMENTO IN POSA GARIBALDI

MAZZINI

Garibaldi ebbe una concezione moderna della comunicazione di massa. Di lui, con o senza il suo consenso, vennero realizzate miriadi di ritratti, utilizzati anche come foto segnaletiche. Come il Che nelle foto di Korda, l‟eroe dei due mondi divenne una icona pop (=popolare). Oltre a reliquie devotamente conservate … e meno devotamente rivendute (quali capelli o unghie tagliati, brandelli di abiti, ampolle con la sua schiuma saponata!) le foto furono utilizzate come una abitudinaria pratica: autografate o con una dedica particolare, venivano date agli ammiratori e ai patrioti. Tra il 1860 e il „70 l‟icona garibaldina si perfezionò: il nostro divenne personaggio anche attraverso l‟utilizzo di pose o particolari dell‟abbigliamento (ad esempio in piedi con la sciabola, o a cavallo, con il poncho, poi da anziano seduto ma con la camicia rossa e i jeans). È importante notare che in mancanza del reale importa il verosimile: il personaggio Garibaldi era interessante non solo in sé, ma per quel che rappresentava ed evocava. Con lui per la prima volta si è creato il non visto, si è ricostruito un falso documento visivo, orientando lo spettatore, facendo “storia”: è il caso di una immagine di “Garibaldi” ferito all‟Aspromonte, disteso, con in bella evidenza la ferita bendata, con la sciabola in mano, con le decorazioni, anche con tanto di scritte (Aspromonte 1862; riproduzione vietata). Peccato che non si tratti del Nostro, ma di un attore, e che si tratti di una messinscena (pure le medaglie sono patacche, in quanto il vero Garibaldi non portò mai quella dei reduci garibaldini). Il bello era che quel falso aveva diritti di riproduzione! Nel caso del famigerato ferimento in Aspromonte, il suo corpo venne assimilato a quello di un santo, per cui ogni parte (sineddoche) era utile per coinvolgere emotivamente lo spettatore, divenendo reliquia di chi, martire laico, si era sacrificato per la patria. Per questo vennero create tante immagini con il combattente ferito, curato amorevolmente (dai dottori Nelaton o Partridge, che quindi non erano solo comprimari, ma testimoniavano la partecipazione, anche internazionale, alle vicende garibaldine) o in convalescenza.

Apparentemente diverso da Garibaldi, in realtà usò la sua immagine (ora si direbbe il suo look). Come scrisse alla madre, vestiva di scuro “per l‟oppressione del suo paese”. Le immagini venivano usate per diffondere il messaggio mazziniano, per creare apostolato e ottenere finanziamenti (con la stessa finalità dei suoi scritti e delle sue lettere). Le sue pose erano quindi sempre serie e pensose: quando era seduto una mano teneva la testa, l‟altra reggeva dei fogli, oppure con il gomito sul bracciolo e la mano al mento, con dei libri a fare da contorno.

Foto segnaletica 1860

G. Le Gray – Palermo

F.lli Caldesi 1855-60

Lacombe 1860-65

CAVOUR Diversamente dai due, il conte utilizzò pose stereotipate, mirando all‟essenziale, comunicando con atteggiamento da severo politico, in mezzobusto o in piano americano. Eccezioni furono l‟immagine del congresso di Parigi dopo la guerra di Crimea, per comunicare l‟appartenenza del Piemonte al consesso internazionale, e quella che con un collage, tipo santino, comprendeva gli “strumenti del mestiere” del diplomatico. Peraltro Cavour comprese appieno l‟importanza della fotografia, commissionando immagini che a Venezia riprendevano piazza S. Marco piena di soldati austriaci, in modo da suscitare un‟ondata popolare di sdegno ex rivolta contro gli occupanti.

Jeanne Grillet – Reggia di Caserta 1865

Oggetti usati da S.E. il conte Camillo Benso di Cavour provvisti dal suo cappellaio P. Della Rocca” 1861 col dr Nelaton

L. Suscipj –col dr Partridge

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Ottobre 2011 IL RISORGIMENTO IN POSA VITTORIO EMANUELE II

Il “re galantuomo” fu un prodotto, si può dire, di marketing ante litteram. La sua immagine (nel senso più esteso del termine) venne costruita; gli stessi soprannomi servirono a creare consenso intorno alla usa figura, e, per esteso, alla nascita dello stato italiano (l‟altro soprannome “Padre della patria” venne ad intendere anche il fatto che ebbe tanti figli illegittimi …). Egli preferiva immagini che lo ritraevano a caccia, sia per rispecchiarne la sua indole, che per avvicinarlo alla gente, così come frequenti furono i ritratti insieme alla “bella Rosina” (sua amante da quando aveva 14 anni, poi divenuta contessa di Mirafiori). I ritratti ufficiali lo immortalarono con l‟immancabile sciabola (che serviva anche a dare equilibrio alla scena …) e il petto pieno di medaglie, con lo sguardo raramente indirizzato verso l‟osservatore, più spesso rivolto di tre quarti, verso gloriosi orizzonti.

I MILLE Nel mondo iconografico risorgimentale, un posto a parte ebbe L’album dei mille, Il fotografo milanese Alessandro Pavia (con studio prima a Genova, poi a Milano) raccolse i ritratti dei compagni dei Garibaldi (manca la foto dell’unico abruzzese, Pietro Baiocchi di Atri, morto a Palermo nel maggio 1860). Egli, che della sua opera affermò: “io non cercai con essa la gloria di artista, ma volli far opera di cittadino”, andò in giro per l‟Italia o commissionò a terzi i ritratti. In realtà si trattò di un‟operazione economica, parzialmente fallita per l‟alto costo della pubblicazione (460 lire), che mirava a cavalcare l‟onda emotiva generata dall‟impresa delle camicie rosse. L‟album era non solo un contenitore, ma anche un oggetto d‟arte, con borchie di decoro in bronzo, foto acquerellate, copertina in pelle preziosa. Esso comunque costituì un monumento iconografico che voleva creare identificazione negli osservatori. Lo stesso “eroe dei due mondi” ne consigliava l‟acquisto: “Raccomando all‟Italia, supplirà alla debole mia memoria”. Ritratti uguali come posa ma diversi perché identificativi per ogni singolo protagonista. Si venne così a creare un pantheon portatile.

L’album dei Mille

L. Montabone – Valsavaranche 1865 ca

PIO IX Se per il re la foto aveva più valore di souvenir e di scatto privato, per Mastai Ferretti esso divenne strumento di foto-cronaca, facendone un uso pubblico, dando un valore pubblico alle sue azioni di pontefice, che negli anni ‟60-‟70, dopo gli entusiasmi generati dalle sue aperture liberali, ebbe un atteggiamento reazionario ma non chiuso verso le nuove tecnologie. Quindi la gran parte delle immagini lo ritrassero nel corso di cerimonie collettive, che potevano essere di tipo religioso, come nel 1857, quando proclamò il dogma dell‟Immacolata Concezione, o durante le esercitazioni dell‟esercito (durante le quali si creavano coreografie a produrre la scritta viva Pio IX), o mentre riceveva l‟esule Francesco II ad Anzio nel 1865. è da ricordare che ritrattisti ufficiali furono i fratelli D‟Alessandri, di origini aquilane.

Alessandro Pavia 1863-67 F.lli D’Alessandri – Campi d’Annibale 1868

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Ottobre 2011 IL RISORGIMENTO IN POSA SEPOLCRI

I LUOGHI

Allo stesso modo le esequie servirono per creare un senso comune, onorando sia gli eroi moderni, che quelli precedenti, come Manin e Foscolo (di cui è inutile qui ripercorrerne il cammino), sorta di padri fondatori della patria. Al di là delle volontà espresse (è il caso di Garibaldi, che voleva esequie templi, ma ne ebbe di solenni), quello che si nota è la scenografia, il concorso di folla, l‟ambientazione melodrammatica.

I panorami risorgimentali sono stati particolari forme di paesaggio. Anche in questo caso non comparivano mai i combattimenti (al massimo, come in una foto dei D‟Alessandri a Mentana, appariva un corpo, ma composto, forse addirittura un figurante messo apposta lì …). Il protagonista, anche nella forma stereoscopica, antenata del moderno tridimensionale, era il luogo, o meglio, il nome del luogo, che dava valore all‟immagine. Un po‟ come negli album di figurine, uno scatto assumeva valore in relazione con gli altri. Non c‟era distruzione, non c‟era la morte: allo spettatore era lasciato il compito di evocare, immaginare, ricordare. La veduta divenne un monumento del ricordo, un luogo della memoria che contribuì notevolmente a creare una coscienza, una cultura nazionale. Si poteva fare un pellegrinaggio senza muoversi da casa: far conoscere l‟Italia agli italiani. Le immagini di Ludovico Tuminello riguardanti Roma si discostarono dal clichè della foto con le rovine, poiché mostravano ambulanze improvvisate, cannoni pronti per una inutile difesa, ma anche luoghi ameni, come un laghetto di un parco, in contrasto con le scene di guerra, con la polvere e il fumo della battaglia. Tuminello era un fuoriuscito, costretto all‟esilio dopo la Repubblica Romana: tornava quindi a casa dopo più di venti anni,quindi era animato dall‟idea di riprendere tutto, di documentare il reale, senza gerarchie, di mostrare la resa del papa-re. Quella della breccia di Porta Pia è divenuta l‟immagine simbolo del Risorgimento, quella emblematica dell‟Italia unita. In realtà essa non era “vera”: le immagini “vere” furono altre, che facevano vedere dove erano entrati i bersaglieri: non gloriosamente, come passando in un arco di trionfo, dalla porta, ma più a destra, come osservavano curiosi i passanti. E allora? Ancora una volta il verosimile risultava ben più significativo del reale: i “bersaglieri “ ricreavano la scena, illusionistica e teatrale. Il provvidenziale terrapieno all‟altezza della porta permetteva di produrre la mise en scène, con i soldati che sparavano, o meglio puntavano le armi verso il nemico invisibile (zuavi francesi? papalini?): simbolicamente era l‟Italia intera che spingeva il nemico dell‟unità a rinchiudersi, ad autoisolarsi. Il danese George Branders scrisse “è stato attraverso questa breccia che il primo raggio di sole, da secoli, è penetrato nella città dove Giordano Bruno venne bruciato e Galilei torturato”. E poco importava se il bersagliere era in realtà una sagoma che stava in piedi o stesa a simulare il morto in battaglia …

“Apoteosi di Garibaldi” – Roma 1882

CHERCHEZ LA FEMME Il ruolo della donna era codificato, come custode del focolare, garante della famiglia, madre e moglie esemplare. La fotografia ne esaltò la figura come madre di eroi (la Bono Cairoli), o come icona dell‟azione impegnata, come nel caso della White Mario, detta Miss Uragano per la sua forza (giornalista, quattro volte al seguito di Garibaldi come infermiera, polemista, agit prop …), o come guida al fianco del marito in difesa della patria (Maria Sofia di Borbone con alle spalle i cannoni, rievocandone le gesta come quando a cavallo andava da una batteria all‟altra per incitare alla difesa nell‟assedio di Gaeta ) . Nel caso di quest‟ultima venne creata ad arte una campagna diffamatoria, come quando venne diffusa una foto che la ritraeva nuda. Si trattava di un fotomontaggio realizzato montando la sua testa sul corpo di una modella (Costanza Vaccari Diotallevi). Maria Sofia aveva (per l‟epoca…) un atteggiamento in generale disinibito, che ne causò critiche in ambiente vaticano, per cui si disse che il fotomontaggio fu dovuto alla curia, mentre in realtà i colpevoli furono patrioti piemontesi che volevano gettare discredito verso i sovrani napoletani e verso la stessa curia che li ospitava.

Maria Sofia di Borbone 1861-62

Porta Pia

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Ottobre 2011 IL RISORGIMENTO IN POSA

FATTA L’ITALIA Quale Italia venne immortalata? Quali Italiani? Fare gli italiani significò, come sappiamo, creare un senso comune, combattere l‟ignoranza, le malattie, costruire strutture e infrastrutture. Problemi che portarono migliaia di persone ad emigrare. Spesso chi ha scattato volti, persone, era un intellettuale, o un pittore, come Michetti, che se ne serviva come modelli per le sue opere: “volti veri, di una cruda e triste realtà”, come affermò d‟Annunzio. Persone che appartenevano a un mondo rurale, arcaico, come era ancora molta Italia. Nelle immagini vennero a convergere visioni folcloriche e di stampo positivista. Il Sud non era formato solo dalle barricate di Palermo o dai panorami dei luoghi delle battaglie. Occorreva mostrare la gente. Alla stessa stregua delle foto di Pietroburgo riprese da Carrick, che mostravano la fine della servitù della gleba, si prendevano i popolani, li si mettevano in posa in uno studio, con finti paesaggi come fondali. Mentre in Carrick il fine era anche politico, nel nostro caso si voleva perpetuare l‟idea romantica, pittoresca dell‟Italia; siamo ancora lontani dal realismo di Street Life in London di John Thomson e Adolphe Smith in cui foto e testi mostravano il volto della città. Dunque il fine artistico prevaleva su quello sociale, il pittorico sull‟antropologico. Fu dopo il ‟70, principalmente dagli anni ‟80 che cambiò la prospettiva in tal senso, grazie allo sviluppo tecnico, ma anche grazie ad un approccio critico nei confronti della fotografia da parte di intellettuali come Capuana e Verga. In quegli anni le inchieste parlamentari e statistiche avevano bisogno di dati oggettivi, univocamente interpretabili, e la fotografia non poteva essere utile. Lo fu per altre inchieste: quella poliziesca, con scopi esemplari, selettiva e tipizzante (di stampo lombrosiano) e quella filantropica, che andava alla ricerca del “caso”, quindi accettando le implicazioni emotive date dalla foto.

MONUMENTOMANIA Nel 1872 con la prima celebrazione dell‟Unità, il Risorgimento ebbe la sua apoteosi; la retorica prevalse; l‟inquadratura dava profondità alla scena con i monumenti in primo piano, il palazzo, erede di vetuste glorie, pronto ad accogliere il nuovo potere. Altra missione sarebbe spettata all‟apparecchio fotografico: quella di riprendere le città dell‟Italia unita, con le lapidi dedicate a fatti ed eroi, le targhe (qui soggiornò Garibaldi etc), i monumenti commemorativi (si parlò di monumentomania), i nuovi edifici (ad esempio la Mole Antonelliana nel „63, la galleria Vittorio Emanuele II di Milano nel „65) diventando così cronaca artistica e al contempo cronaca patriottica. Inoltre, fatto non secondario – anzi – raccontò passo dopo passo il nuovo spazio, le nuove scenografie, anche a scapito della gloria e dei monumenti passati, ora non più funzionali, che lasciarono il posto al nuovo ordine.

prima festa italiana – Campidoglio 1872

Breve nota bibliografica. Chi volesse approfondire aspetti legati al rapporto tra fotografia e Risorgimento, può consultare, tra gli altri, i seguenti testi: Marco Pizzo (a cura di), Fotografie del Risorgimento Italiano, Roma, Cangemi Editore, 2004 (Istituto per la storia del Risorgimento Italiano – Repertori del Museo Centrale del Risorgimento, 1) Marco Pizzo, L’Album dei Mille di Alessandro Pavia, Cangemi Editore, Roma, 2004 (Istituto per la storia del Risorgimento Italiano – Repertori del Museo Centrale del Risorgimento, 2) Marco Pizzo, Lo Stivale di Garibaldi. Il Risorgimento in fotografia, Mondadori, Milano, 2011 Michele Smargiassi, Un’autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso. Contrasto Due, Roma, 2009

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I VOLONTARI NELL’ESERCITO ITALIANO Gen. Carlo Luciani

Un Esercito di professionisti Ore 0800 del mattino, inizia nei piazzali delle caserme la cerimonia dell'alza bandiera. I reparti sono allineati, un solo ordine e uomini e donne dell'esercito italiano intonano l'inno di Mameli. Sono professionisti e si nota subito per la perfetta sincronia delle operazioni. La leva obbligatoria è stata sospesa ed ora chi entra a far parte delle Forze Armate lo fa per propria volontà. Le Unità sono in termini di numero assai ridotte rispetto a quelle degli anni 80, ma sono preparate e pronte ad intervenire con spiccata professionalità. La strada che ha portato alla trasformazione dell‟esercito di leva a quello attuale non è stata semplice, anzi si sono dovute superare parecchie difficoltà e diffidenze. Il 4 maggio 1861 comparve sul Giornale Militare la seguente Nota: Vista la legge in data 17 marzo, colla quale S.M. ha assunto il titolo di Re d’Italia, il sottoscritto – il Ministro della Guerra M. Fanti - rende noto a tutte le autorità, Corpi ed Uffici militari che d’ora in poi il Regio Esercito dovrà prendere il nome di Esercito Italiano, rimanendo abolita l’antica denominazione di Armata Sarda.. Qualche giorno prima, a seguito dello scioglimento dell‟esercito garibaldino, e per disposizione di Cavour, molto sospettoso nei confronti degli stessi garibaldini e dei lori comandanti, veniva istituito il Corpo Volontari Italiani con l‟intenzione di mantenere, almeno in apparenza, in servizio gli ufficiali garibaldini, questi successivamente vennero posti in aspettativa, decretando in tal modo la chiusura di questo Corpo, sciolto definitivamente con decreto del 28 marzo 1862, dopo però aver ammesso circa duemila ufficiali garibaldini nell‟esercito italiano. Così terminava la prima sperimentazione di Unità costituita da soli “volontari professionisti”. Li ritroveremo, per un breve periodo, impegnati nella 3^ guerra d'indipendenza, al seguito di Garibaldi. Da allora la storia dell‟esercito è stata caratterizzata da una lunga serie di riforme, mobilitazioni e smobilitazioni, sono stati adottate varie configurazioni ed ordinamenti che in qualche modo si adeguavano alle risorse finanziarie destinate alla difesa, ma la prevenzione nei confronti dei volontari non venne mai meno fino agli anni quaranta. E‟ nota la diffidenza di Cadorna verso i volontari provenienti dall‟irredentismo. L‟esigenza di operare una profonda trasformazione dello strumento militare nazionale, modificando il meccanismo della alimentazione del personale di truppa da quello basato sulla coscrizione obbligatoria a quello improntato ad una stretta volontarietà, si concretizza solo all‟inizio di questo secolo con la legge 14 novembre 2000, n. 331 Norme per l’istituzione del servizio militare professionale, che trova la sua disciplina attutiva nel decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215 Disposizioni per disciplinare la trasforma zio

ne progressiva dello strumento militare in professionale, modificato con il decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 236. Questa “rivoluzione” è stata la necessaria conseguenza, da un lato, della spiccata specializzazione professionale e tecnologica indispensabile per l‟utilizzazione, anche ai più bassi livelli di impiego, degli armamenti in dotazione alle Forze Armate, e, dall‟altro, dei profondi mutamenti socio-politici che hanno caratterizzato, alla fine del secolo scorso, lo scenario internazionale con la caduta del muro di Berlino che hanno indotto tutte le principali nazioni a rivedere la loro politica estera e di difesa. Questo ha comportato per l'Italia un profondo ripensamento del ruolo da ricoprire nell'ambito delle alleanze militari e del contesto internazionale, con la conseguente modifica delle missioni affidate all'esercito, estendendo il concetto di difesa, ancorato ancora alla tutela del territorio nazionale, alla salvaguardia anche degli interessi geostrategici del Paese. Così si è sentita l‟esigenza di disporre di unità anche a livello Brigata, costituite da soli volontari, “spendibili” all‟estero. Questo fu l‟atto conclusivo di un cambiamento già in atto da parecchi anni; in effetti la professionalizzazione, a livello di truppa, dell‟Esercito italiano è avvenuta per passi successivi dopo varie esperienze e non sempre con esiti positivi. Inoltre non è da sottacere l‟aperta contrarietà che per molti anni caratterizzò una parte della popolazione italiana nei riguardi di un esercito costituito da soli professionisti.

qualitativi soddisfacenti. Nel 1964 l‟Esercito e l‟Aeronautica sospesero i corsi di volontari specializzati, ormai non più remunerativi sotto il profilo costo-efficacia. Nel 1974 l‟Esercito introdusse la categoria dei militari in ferma biennale con la qualifica di “volontari tecnici operativi” (VTO). L‟iter formativo dei VTO prevedeva un addestramento di base presso l‟80° battaglione a Cassino e poi corsi di specializzazione nelle varie scuole militari. Anche questo tipo di arruolamento non produsse gli effetti auspicati, questo soprattutto per l‟incerto sbocco i carriera ed il conseguente status di precario, veniva quindi soppresso l‟arruolamento dei VTO sostituendolo con la commutazione a domanda della ferma ordinaria di leva con una “ferma di leva prolungata” biennale e triennale; con la legge n. 958 del 1986, si delineava per la prima volta la figura professionale del volontario in ferma di leva prolungata, (VFLP) prevedendone il reclutamento prioritariamente dai militari di leva e, in subordine, dai civili. Le domande di commutazione della ferma dovevano essere presentate entro il decimo giorno dall‟incorporazione, tuttavia, siffatta esperienza non produsse risultati del tutto soddisfacenti, a causa di un rendimento qualitativo che non risultava confacente alle mutate esigenze della Forza Armata, anche a causa della permanenza dei VFLP nella stessa sede (che agevolava l‟assegnazione d‟incarichi logistico-amministrativi). (continua a pagina 7)

I volontari Lo Stato Maggiore, già nel dopoguerra aveva adottato alcuni provvedimenti, per costituire piccole (relativamente alla forza bilanciata) aliquote di volontari di truppa a lunga ferma. Nel 1945 veniva perseguito l‟obiettivo di impiegare volontari a ferma biennale negli incarichi specialistici. Dopo un periodo di “incomprensioni” con il Ministero del Tesoro (la storia insegna…) a causa degli oneri aggiuntivi da sostenere, nel 1948 fu concessa la facoltà di indire arruolamenti volontari di specializzati dell‟Esercito, con ferma triennale. I Volontari Allievi Specializzati (VAS) conseguivano il brevetto di specializzazione mediante esperimento teorico-pratico al termine di appositi corsi, di durata variabile tra le 25 e 39 settimane. Ma gli arruolamenti non raggiunsero numeri significativi e risultati

Immagine tratta da un opuscolo dello S.M.E. 6


VM (continua da pagina 6) A partire dal 1992 attraverso l‟emanazione di successivi provvedimenti legislativi, fu possibile destinare questa tipologia di volontari ad incarichi prettamente operativi, grazie alla previsione di un ulteriore prolungamento della ferma, che permise di migliorarne l‟addestramento e di ampliare le riserve teoriche di posti nelle Amministrazioni civili, rendendosi così, di fatto, più appetibile tale opzione. Il provvedimento in cui sono ravvisabili le premesse della professionalizzazione delle Forze Armate è stato, tuttavia, il decreto legislativo n. 196 del 1995, che istituiva la figura del volontario in ferma breve, con durata iniziale di tre anni, estendibile a cinque anni su domanda ed in base alle esigenze della Forza Armata. I volontari in ferma breve -VFB- ora sostituiti con i VFP4 (Volontari in ferma prefissata di quattro anni), costituirono il bacino privilegiato da cui fu possibile trarre il personale in servizio permanente, non solo per le Forze Armate ma anche per i Corpi Armati e le Forze di Polizia. Si profilava così un «primo livello», già significativamente munito in termini di capacità professionale e con status chiaramente definito e disciplinato dalla normativa vigente. Le possibilità di carriera offerte ai volontari in ferma breve o prefissata, con la previsione di transito nel ruolo di volontari in servizio permanente e successivamente, in quelli dei Sergenti, dei Marescialli e degli Ufficiali, nonché l‟assegnazione ad incarichi prevalentemente operativi – spesso assolti al di fuori del territorio nazionale. Infine i volontari in servizio permanente – VSP – che hanno il proprio fondamento giuridico nel citato decreto legislativo n. 196 del 1995, costituiscono la base della piramide relativa al personale con rapporto d‟impiego stabile con lo Stato. I VSP, oltre a determinare, unitamente ai volontari in ferma prefissata, il «nocciolo duro» dell‟intero strumento, sono destinati anche a svolgere elementari funzioni di comando, implicanti una particolare assunzione di responsabilità. Come già sopra ricordato, la disponibilità, in termini numerici, di volontari è stata la chiave di volta della professionalizzazione ed è stato conseguentemente uno degli obiettivi primari per garantire un adeguato passaggio delle Forze Armate ad uno strumento interamente professionale, senza subire traumi organizzativi o brusche diminuzioni di funzionalità, a tale scopo sono stati introdotti i volontari a ferma annuale VFA ora VFP1, anello di congiunzione tra il “civile” ed il volontario professionista, che oltre ad assicurare il completamento della forza di alcune unità permettono una selezione più accurata del personale intenzionato a proseguire la carriera militare.

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bre 1999 n. 380 che istituiva il servizio militare volontario femminile, ciò rivoluzionò la fisionomia dell‟esercito e per le donne si aprirono nuove prospettive lavorative. Non aveva più nessun senso, infatti, riservare interamente all‟uomo le attività finalizzate alla difesa del nostro paese, negando alle donne la possibilità di intraprendere la carriera militare. Per quanto concerne il processo di attuazione dell‟arruolamento di personale femminile, dopo un iniziale e prevedibile effetto di novità, si e„ verificato un consolidamento delle «vocazioni», con una diminuzione numerica delle partecipazioni ai concorsi tale da attestare le adesioni del personale femminile sui trend di reclutamento dei principali eserciti europei. Tuttavia, le citate adesioni di personale femminile risultano adeguate alle attuali potenzialità formative e infrastrutturali della Forza Armata. Gli incarichi che le donne ricoprono ed i criteri d'impiego, anche nei teatri operativi, sono gli stessi utilizzati per il personale maschile. Al conseguimento della specializzazione il personale è assegnato in maggioranza alle Unità operative della Forza Armata (cioè i reparti predesignati per le missioni «fuori area»), tenendo conto di inviare «pacchetti» di circa 25-35 unità per ognuno dei Reggimenti designati, di non costituire unità organiche di solo personale femminile, e mantenendo presenza e visibilità in tutte le

branche (operative, logistiche ed amministrative) del reparto.

Conclusioni Con la completa professionalizzazione, l'Esercito Italiano ha sicuramente annullato il gap che aveva con gli eserciti europei, sia perchè ha aumentato la propria capacità operativa e lo spettro delle missioni, sia perché ora dispone di unità impiegabili in operazioni fuori area, con un conseguente incremento della considerazione in ambito internazionale. Ma, e non vuole essere una domanda retorica, poteva essere “conservata” una aliquota di personale proveniente dalla leva, in sintesi poteva essere adottata una struttura mista? In termini di costi mantenere una componente di leva per svolgere mansioni di supporto, avrebbe portato dei vantaggi, evitando, inoltre, di dequalificare personale professionista, ma forse si sarebbe creata una frattura interna tra l'esercito d'èlite e quello di supporto. Per ora una cosa è certa lo Stato deve essere molto grato a questo esercito di volontari che giornalmente svolge con molto onore e pochi onori, un servizio prezioso per la nostra Patria.

Servizio Volontario Femminile Su proposta dell‟onorevole Spini, venne approvata a larga maggioranza la legge 20 otto

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Ottobre 2011 Comunicazione Militare e Comunicatori

di Zopito DI GIOVACCHINO La società civile ha sempre riconosciuto all‟organizzazione militare un particolare prestigio dovuto soprattutto al fatto che ad essa chiedeva di rappresentarla e difenderla; in realtà alla legittimazione non seguiva automaticamente il consenso. Lo stesso Machiavelli nell‟”Arte della guerra” ne parla, lamentando il fatto che la coscienza collettiva riteneva incompatibili vita civile e vita militare. Il mondo militare è rimasto, pertanto, quasi sempre confinato nell‟immaginario sociale, come se si volesse allontanare lo spettro della guerra con la rimozione dell‟istituzione deputata a condurla. E anche quando si è passati alla coscrizione obbligatoria, questo divario è rimasto, evidenziando due realtà separate nella cultura e nell‟immaginario collettivo. Per contro le Forze Armate, vincolate dalla riservatezza o dal segreto dei flussi comunicativi e, per tradizione, diffidenti verso gli operatori dei media percepiti come tendenzialmente portati a sfruttare gli eventi negativi a sfavore dell‟istituzione militare, hanno preferito nel passato ignorare il rapporto con i mezzi di comunicazione di massa. In Italia questa incomunicabilità, tranne nel periodo della propaganda fascista peraltro gestita unilateralmente dal regime attraverso il Ministero della Cultura Popolare (Min.Cul.Pop.), è stata resa particolarmente significativa da una condizione storica di separatezza regionale, con tanti Stati sotto autorità diverse e con eserciti diversi. Né la loro unificazione ha comportato un processo di integrazione veloce e automatico: in merito è opportuno sottolineare che la coscrizione obbligatoria, ponendo fianco a fianco giovani italiani con usi, costumi, idiomi e tradizioni diverse, ha svolto un‟importante funzione sociale di integrazione che ha contribuito notevolmente all‟unificazione effettiva del Paese. Fu solo negli anni ‟90, a seguito dei rivoluzionari eventi internazionali che si verificarono in quel periodo e i sempre più numerosi impegni - all‟interno del territorio per ordine pubblico (Operazioni Forza Paris, Vespri Siciliani, Riace, Partenope, Testuggine, Salento) e fuori dai confini nelle operazioni di peace keeping (Kurdistan, Albania, Mozambico, Somalia, Bosnia) - a cui furono chiamate le Forze Armate italiane, che nell‟opinione pubblica avvenne un forte processo di rielaborazione dell‟immagine del militare, e sulla base di questa spinta sembrò cambiare anche l‟atteggiamento dei massmedia. Ed è qui che i vertici dell‟Esercito, sulla spinta anche del processo di trasformazione che caratterizzò tutta la Pubblica Amministrazione (Legge n.142/90 sulle regole per l’autonomia degli enti e Legge n. 241/90 sulla trasparenza amministrativa), sentirono il passo del nuovo:

si concepì una precisa strategia che coinvolgesse anche la periferia, si riorganizzò la propria struttura comunicativa potenziandola in tutto il territorio nazionale e, finalmente, si “cominciò” a comunicare . Infine, la Legge del 7 giugno 2000 n. 150 sugli Uffici Stampa, che dettava le norme per la disciplina della comunicazione e dell‟informazione pubblica e consentiva alle Amministrazioni dello stato di dotarsi di portavoce e ufficio stampa costituito da personale iscritto all‟albo dei giornalisti (oppure reperito all‟interno della pubblica amministrazione tra coloro in possesso dei i titoli), accelerò questo processo di apertura e rivoluzionò il modo di porsi delle Forze Armate specie nei confronti dei media. Volendo sintetizzare, possiamo dire che questo processo di trasformazione si è verificato grazie alla sinergia di tre aspetti: - quello normativo, legato, cioè, a leggi quali quella sulla trasparenza o sulla formazione del personale; - quello tecnologico, legato alla informatizzazione sempre maggiore degli Uffici Pubblici; - quello relazionale, relativo, infine, al mutato rapporto tra Amministrazione e cittadino, che ora diventa paritario e che tende a far aumentare la consapevolezza e la partecipazione da parte di quest‟ultimo alla vita pubblica del proprio Paese. Ma cosa vuol dire comunicare? Comunicare non significa “mandare messaggi”, ancora meno “tentare di apparire” su un video accanto al cronista di turno, ma interagire, mettere in comune, compiere un atto sociale e reciproco di partecipazione tra individui e gruppi diversi, utilizzando simboli significativi. E la comunicazione, come nuovo modo di rapportarsi con il cittadino, vincola tutte le Istituzioni stimolandole a proseguire in un percorso evolutivo legato a nuove applicazioni, nuove metodologie, nuove tecnologie. I requisiti per lo svolgimento delle attività comunicativa, in particolare per le qualifiche superiori, sono: l‟iscrizione all‟albo nazionale dei giornalisti per il capo Ufficio Stampa e gli addetti stampa, e il possesso di un titolo di studio in comunicazione o materie assimilabili a livello universitario o postuniversitario (specializzazione, perfezionamento, master) per dirigenti e funzionari. Sempre la legge n. 150 prevede inoltre che le

Amministrazioni possono scegliere nel proprio ambito i comunicatori pubblici che saranno formati in specifici corsi dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, dalle università e da strutture pubbliche e private con finalità formative. Ed è qui che nasce il comunicatore militare. Ma per le Forze Armate, specie per le unità impiegate nei teatri operativi, le cose non sono proprio così semplici e rimane l‟eterno dilemma: dire tutto per soddisfare il bisogno di notizie dell‟opinione pubblica, oppure limitare la comunicazione di notizie imbarazzanti e tali da generare effetti negativi difficilmente controllabili? Abbiamo già visto in più occasioni come il comportamento anche di piccoli numeri di militari abbia danneggiato gravemente l‟immagine di una nazione e dei suoi contingenti creando problemi di sicurezza per il personale. Per prevenire situazioni di crisi mediatica occorre ovviamente esercitare una delle funzioni tipiche dell‟azione di comando, quella di controllo, che dovrebbe riguardare tutto il personale ma, in particolare, indirizzare l‟azione del comunicatore. Ma come stanno le cose dal punto di vista del comunicatore militare? Il comunicatore militare ha una doppia professionalità, militare e comunicatore, e ciascuna di queste professionalità è soggetta ad un proprio codice deontologico, entrambi molto forti e sostenuti da etiche precise e non sempre coincidenti (ne sono prova, ad esempio, l‟inconciliabilità tra il rispetto della trasparenza e la tutela della riservatezza in alcuni atti militari). E allora, quale dovrà essere il suo comportamento? Non è semplice trovare una risposta a questa domanda. Ma risulta evidente che nel comunicatore militare prevarrà il rispetto per l‟etica militare che, avendo tra i suoi pilastri il Regolamento di Disciplina basato sul mantenimento dell'ordine e sull‟osservanza dell'obbedienza, rischierà fatalmente di mortificare la deontologia del comunicatore.

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Ottobre 2011 Canta in italiano… (dal diario di Gabriele D’Annunzio)

Di Patrizia ALBANI La spedizione militare che si svolge nella notte tra il dieci e l‟undici di febbraio nell‟anno 1918 passata alla storia come la “ Beffa di Buccari” ( in croato Bakar ) ebbe il grande merito di dare un rinvigorimento di speranza alle truppe che si trovavano sul Carso. L‟azione fu annoverata dagli storici “ tra le imprese più audaci del conflitto “. Fu un evento che segnò la riscossa dell‟esercito Italiano dopo la grave sconfitta di Caporetto verificatasi nel 1917. A seguito dell‟estenuante attesa dell‟ordine di iniziare l‟impresa, finalmente il 9 febbraio 1918 D’Annunzio annuncia a Ciano e Rizzo che c‟è un conto da saldare con il popolo austriaco e di vendicare la battaglia di Lissa. Udendo quel nome Rizzo ha un tonfo al cuore poiché suo zio era morto proprio in quel combattimento e ad ucciderlo erano stati gli austriaci con la pece bollente. A quell‟annuncio del poeta di iniziare la battaglia Rizzo, con la faccia quadrata ma tirata dalla stanchezza “si apre al sorriso e dice: E‟ una pazzia, ma ormai è deciso…e il d‟Annunzio lo carica affermando “ L‟audacia è dei forti…e dei forti è la fortuna”. Il poeta prese parte in maniera impavida a questa spedizione e in un suo diario ci descrive in maniera dettagliata tutta la gloriosa gesta. Egli usa una particolare attenzione nella preparazione del corpo. La descrizione delle cure, afferma, diventano “profonde come un rito funebre”. Si trova tra le mani due vasetti di unguento contro il gelo: uno è intatto, l‟altro manomesso dal dito indice e medio di Maurizio Pagliano, compagno fraterno morto sul Cattaro. Gabriele D‟Annunzio in un arcano silenzio esita se usare l‟una o l‟altro . La pietà e il ricordo struggente dell‟amico gli fa dilaniare il cuore e il solo pensiero di poggiare le sue dita dove le aveva poste il suo caro compagno di battaglie lo riempie di emozione. Infine avvolto nel silenzio dello straziante ricordo decide di usare il vasetto con le impronte del fraterno amico e si domanda : “Non sono forse maturo per la morte” ? Dalla descrizione sembra poter vedere il poeta Gabriele D‟Annunzio che nell‟imminenza della partenza a bordo dei tre M.A.S. ( Moto-

scafi Armati SVAN ) parla ai trenta uomini allineati contro un muro di mattoni del colore del sangue aggrumato alla Giudecca. Quella fila di uomini è pervasa da una coesione così forte ed il connubio di spiriti ed intenti è tale che farà dire al Poeta che “ più dei motori possono i cuori” e che “credo che di rado uomini furono così compiutamente pronti ad un‟azione disegnata”. La coesione tra equipaggio ed il capo è come “ innesto e percotitoio “ e a dimostrazione di questa unione è la canzone del Quarnaro “ Siamo trenta d‟una sorte, e trentuno con la morte”. D‟Annunzio parlando agli uomini, pur non manifestando il luogo dove si terrà l‟azione bellica, afferma che “ La nostra impresa è tanto audace che già questa partenza è una vittoria sopra la sorte. Per ciascuno di Voi l‟averla compiuta sarà un onore perpetuo. Domani il vostro nome , dorato come il siluro e diritto come la sua traiettoria, traverserà l‟ aspettazione della Patria “. Al comando della spedizione è Costanzo Ciano medaglia d‟oro al valor militare attribuita con la seguente indicazione “ Al comando di una squadriglia di MAS percorreva novanta miglia entro mari nemici, spingendosi per angusti e sinuosi canali, sorpassando strettoie difese da artiglierie ecc..” Buccari 1918 . Come già esposto tra i partecipanti alla spedizione è Luigi Rizzo ( medaglia d‟argento ) e il volontario Gabriele D‟Annunzio ( medaglia d‟argento ). Luigi Rizzo, la settimana prima dell‟audace impresa, con il suo mas era entrato impavido da solo a Trieste e aveva affondato la corazzata Wien. A riprova della sua temerarietà era il suo amore per l‟azzardo purché ci fosse qualcosa da affondare. I MAS impiegati per l‟eroica spedizione erano tre: 94, 95, 96, del tipo Orlando 12 T una versione modificata dello Svan 12TE e possedevano un apparato ausiliario per la marcia silenziosa a bassa velocità . Le imbarcazioni erano rimorchiate ciascuna da una torpediniera e protette da unità leggere, i trenta dopo quattordici ore di navigazione iniziarono a dirigersi verso l‟isola di Cherso e la costa Istriana fino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dei servizi segreti, erano attraccate le navi austriache. Dietro la ruota del timone sta il motto “Memento Audere Semper “ è un latino che comprendono tutti i marinai “ come se fossero addottorati in Salamanca ( la più antica università spagnola fondata nel 1218 ). “ Memento .Aaudere Semper “ fu il motto che il

Vate urlò, rompendo il silenzio della traversata, per rincuorare i trenta arditi della spedizione . La foschia ricorda il D‟Annunzio nelle pagine del diario è così fitta che non si scorge né la costa di Cherso né quella dell‟Istria ma le imbarcazioni procedono nel silenzio ovattato della nebbia. “ Il silenzio è il nostro timoniere più fido “ afferma D‟Annunzio . Il poeta riflette su un percorso introspettivo e si pone domande ancestrali che lo portano ad affermare “ Credo che mai da che faccio la guerra il sogno abbia tanto perfettamente aderito all‟azione “ . Non ci sono rumori , non ci sono luci il silenzio è rotto da un timido gorgheggio di un “ usignoletto inesperto” , qualcuno chiede di che specie sia. “Canta in italiano “ risponde D‟Annunzio . Canta in italiano tutta la spedizione ancorché sterile di risultati materiali fu come una campana che ebbe il pregio di sostenere psicologicamente le truppe e gli italiani tutti e fu conosciuta anche all‟estero. Gli austriaci temevano fortemente il D‟Annunzio tanto che sul Suo capo misero una taglia enorme per l‟epoca cioè di 20.000 corone d‟oro (pari agli attuali 175.000 €.). Egli era passato dalla vita gaudente in Francia dove si svolgeva l‟ultima parte della epoca chiamata “Belle” alle azioni militari su Trieste, Pola, Cattaro. La spedizione che “ canta in italiano “ mise in ridicolo tutto l‟esercito imperiale austroungarico nonostante i siluri lanciati dai tre MAS (tranne uno) si fossero impigliati alle reti che erano a protezione della baia, il messaggio contenuto nelle tre bottiglie ornate con nastro tricolore ebbe una deflagrazione propagandista, come fosse una grande vittoria, una sorta di NIKE alata.. (continua a pagina 10)

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(Continua da pagina 9) Il messaggio contenuto era il seguente : “ in onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d‟Italia, che si ridono d‟ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a Osare l‟Inosabile . E un buon compagno, ben noto - il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro - è venuto con loro a beffarsi della taglia “ Il siluro che esplose illuminando la baia fece si che i MAS riprendessero velocemente la rotta verso l‟uscita ma uno ed esattamente il 94 si bloccò per un guasto al motore e Ciano dietro l‟urlo di D‟Annunzio “ O tutti o nessu

no “ordina ai due MAS di tornare indietro, a ricercare il MAS in difficoltà, ripassando sotto il naso delle batterie nemiche. Solo quando il MAS 94 riparata l‟avaria, riprende la navigazione, solo allora il comandante Ciano ripassa con la squadra completa per la quarta volta di fronte alle batterie nemiche. Quindi i MAS si dirigono verso Ancona, dove giungono la mattina successiva mentre i caccia austriaci muovevano verso Venezia. Mentre i trenta uomini sono nei pressi di Ancona al comando della Marina Austroungarica di Fiume un marinaio consegna una bottiglia di vetro spesso, nerastro e panciuta raccolta nella baia di Buccari. Ha un nastrino tricolore: “ Canta in italiano

Venezia - cippo commemorativo di questa impresa sul sagrato della Chiesa del Redentore

GIORNATE DI STORIA DELLE FORZE ARMATE ITALIANE La manifestazione, giunta alla VII^ edizione, si è svolta a L’Aquila nei giorni 21, 22 e 23 settembre 2011 e a Sulmona il giorno 24.

21 settembre 2011 L‟annuale appuntamento si è aperto nell‟ auditorium della Cassa di Risparmio di L‟Aquila, alla presenza di un folto pubblico, con la sezione storica dedicata nel 150° anniversario dell‟Unità d‟Italia all‟Esercito con una relazione del Capo Ufficio Storico dello SME, Col. Antonino Zarcone, dal tema L’Esercito Patria degli Italiani a cui ha fatto seguito l‟intervento del dottor Danilo De Masi dal tema c’è urgente bisogno di carabinieri! 1861 - la nascita dello Stato Italiano come esigenza di una delle cicliche “Globalizzazioni” internazionali 1859 - 1860.

Il pubblico in sala

Gli organizzatori ed i relatori. Da sinistra: Prof. D. Adacher, dr. D. De Masi, Col. A. Zarcone e il gen. R. Suffoletta

Col. Antonino Zarcone

Dr. Danilo De Masi

La giornata si è chiusa con la consegna del premio “Martiri di Cefalonia” dedicato a uomini e unità delle Forze Armate italiane che si sono distinti per dedizione al dovere. I premi assegnati sono stati due, il primo al Col. Clemente D‟Amato per l‟attività svolta in soccorso alla popolazione colpita dal sisma del 6 aprile 2009, il secondo al Cap. f. alpini Francesco Todisco (tenente all‟epoca degli avvenimenti) per l’esemplare condotta nell‟ambito di un conflitto a fuoco nella missione ISAF in Afganistan. A latere è stata consegnata una “Menzione Speciale” al Maresciallo dell‟Aeronautica Militare Davide Andreetti per la stesura di una tesi di laurea sul Gen. Antonio Gandin.

Al Col. a. (ter) Clemente D’AMATO Comandante del 33° rgt. a. ter. “ACQUI” in L’Aquila, durante il terremoto del 6 aprile 2009, organizzava d’iniziativa squadre di pronto soccorso per avviare le operazioni di primo intervento a favore della popolazione civile per la rimozione delle macerie, permettendo di trarre in salvo molte persone, e la distribuzione di viveri di conforto, vestiario e coperte per coloro che sorpresi dal sisma avevano lasciato precipitosamente la propria abitazione.

Al ten. f. (alp) Francesco Todisco Vice Comandante della 143^ compagnia del battaglione alpini “L’Aquila” nella missione NATO – ISAF in Afghanistan, coinvolto con il suo reparto in un attentato terroristico durante un’operazione di pattugliamento, pur nella caotica situazione determinatasi e in condizioni menomate per un forte shock acustico, reagiva con decisione impartendo le necessarie disposizioni ai suoi uomini per riprendere l’iniziativa delle operazioni, mostrando doti non comuni di uomo e di Comandante.

Al maresciallo Davide Andreetti per aver elaborato una tesi sul gen. Antonio Gandin e per averne recuperato la figura, scrutando l’attività, l’opera, i pensieri e gli atteggiamenti di un uomo che si trovò ad affrontare una delle situazioni più aspre e più dure che mente umana possa immaginare essere toccata ad un Comandante. Una interessante analisi critica sugli avvenimenti che hanno visto protagonisti i militari della Divisione da Montagna “ACQUI” e del loro comandante Gen. D. Antonio Gandin.

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Ottobre 2011 GIORNATE DI STORIA DELLE FORZE ARMATE ITALIANE 22 settembre 2011 L‟Aquila – Tensostruttura di Piazza Duomo Mostra storico – documentale da Cefalonia all’Afghanistan (con esposizione di foto e documenti sui Nove Martiri Aquilani)

23 settembre 2011 Ricordo dei Nove Martiri Aquilani

L‟Aquila: piazzale I. I. S. “Amedeo di Savoia duca D‟Aosta”. Alza bandiera ed onori ai caduti

I giovani lungo il sentiero percorso dei Nove Martiri;

Deposizione corona presso il cippo commemorativo della caserma Campomizzi

24 settembre 2011 Archivio di Stato Sezione di Sulmona

Conferimento del premio Ettore Troilo

Al dottor Nicola Troilo Con gratitudine e con commozione l'Abruzzo offre il premio "Ettore Troilo" a Nicola Troilo, il più giovane partigiano d'Italia, che con questo libro, "La storia della Brigata Maiella", nella sua nuova e più importante edizione, ci consegna il documento fondamentale per la comprensione della più nobile esperienza storica e morale vissuta dalla nostra regione nel XX secolo. Un messaggio vivo, un insegnamento per l'oggi: in un momento in cui tutto crolla tra l'egoismo e la mediocrità, occorre ritrovare la strada della patria, della dignità e dell'orgoglio, l'unica che porta al futuro.

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Ottobre 2011 LA DIVISIONE ACQUI

La Divisione da Montagna “ACQUI”, storica Unità della Forza Armata, dislocata nelle isole dell'Egeo durante la Seconda Guerra Mondiale, pagò un pesante tributo di sangue nelle dure giornate conseguenti all'armistizio. Il suo nome viene ereditato, nel 2002, dalla 3^ Divisione Italiana, affiliata al Corpo di Reazione Rapida delle NATO (ARRC), che assume l'attuale denominazione di Divisione "ACQUI". Il comando divisione "Acqui" è un comando di proiezione senza forze assegnate in tempo di pace che, all'esigenza, può essere ridislocato anche al di fuori del territorio nazionale nel quadro di operazioni internazionali. Il Comando è dislocato presso la sede del 2° Comando Forze di Difesa a San Giorgio a Cremano (NA). Al fine di testare le procedure di lavoro per la gestione di un'operazione militare a seguito di una crisi internazionale con l'adozione di scenari operativi simili a quelli in cui potrebbe essere chiamata ad operare la Divisione “ACQUI” è stata impegnata, presso il Comprensorio Militare di Persano (SA), nell'esercitazione interforze “Mole Pit 2011” alla quale hanno preso parte oltre 500 militari. Per l'occasione, il Comando Divisione è stato potenziato con personale delle altre Forze Armate (Marina, Aeronautica e Carabinieri) . All'esercitazione ha preso parte anche un team di personale proveniente dal Corpo d'Armata di Reazione Rapida della NATO, dislocato a Solbiate Olona (VA).

Sofia ed Elena SUFFOLETTA con mamma Valentina e papà Mauro annunciano con gioia la nascita di Vittoria.

Ciao io sono Vittoria Sono nata a Trieste il 19 settembre 2011 ore 21.55

Posto Comando ACQUI L’Associazione Culturale VOX MILITIAE si propone di:  Catalizzare le persone che condividono i Valori della Società Militare;

 Diffondere la cultura e il ruolo dei militari

ASSOCIAZIONE CULTURALE VOX MILITIAE QUOTA ASSOCIATIVA ANNO 2011 € 25,00

nella Nazione che cambia;

 Condividere momenti di vita (SolidaristicoRicreativo) con persone che hanno identicche motivazioni;

 Fornire ai soci assistenza e consulenza giuridica e amministrativa. La partecipazione è aperta a tutti coloro che vogliono far sentire la loro voce. Gli articoli investono la diretta responsabilità degli autori e ne rispecchiano le idee personali, inoltre devono essere esenti da vincoli editoriali. Di quanto scritto da altri o di quanto riportato da organi di informazione occorre citare la fonte. La redazione si riserva di sintetizzare gli scritti in relazione agli spazi disponibili; i testi non pubblicati non verranno restituiti. Contattateci tramite telefono: 320.1108036; E-Mail: acvm@libero.it.

CI SI ASSOCIA INVIANDO DOMANDA, CORREDATA DEI DATI ANAGRAFICI A: ASSOCIAZIONE CULTURALE VOX MILITIAE Via Puglia, 18 – 67100 L’AQUILA Il versamento della quota associativa per i nuovi soci ed il rinnovo della tessera per gli associati può essere effettuato sul C/C Bancario n. 104934 intestato a : “Associazione Culturale VOX MILITIAE” CARISPAQ di L‟Aquila, sede Centrale

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VOX MILITIAE DIRETTORE GENERALE Raffaele Suffoletta DIRETTORE RESPONSABILE Alessia Di Giovacchino COORDINATORE Gianluca Romanelli Hanno collaborato Adacher Davide, Albani Patrizia, Di Giovacchino Zopito, Luciani Carlo. Impaginazione e grafica TIPOGRAFIA LA ROSA – Via Costa di Bagno Piccolo 67042 L’Aquila Autorizzazione Tribunale di L‟Aquila N. 480 del 21.11.2001 VOX MILITIAE Tel. 320.11.08.036 Stampato il 27 ottobre 2011 Spedito il 31 ottobre 2011

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